venerdì 30 dicembre 2016


LIBRO SECONDO – Racalmuto nell’epoca moderna


 


 


IL SECOLO DELLA MADONNA DEL MONTE


La tradizione colloca nell’anno 1503 la venuta a Racalmuto della Madonna del Monte. La pia leggenda è talmente scolpita nei cuori dei racalmutesi da impedire ogni ricerca storica che suonerebbe falsa e blasfema. Noi quindi ce ne asteniamo. Facciamo nostra la seconda lezione dell’Officio sulla nostra prodigiosa Madonna: «a Racalmuto, in Sicilia, - vi si recita in latino - da tempo immemorabile, un prodigioso simulacro troneggia nel magnifico tempio dedicato alla Madonna del Monte, Madre di Dio. Secondo una costante tradizione, la statua in nessun modo poté venire rimossa dal Monte, ove era giunta per una sosta su un carro rustico tirato da buoi, proveniente dal litorale agrigentino per essere condotta nella antica città di Castronovo. E questo fu un mero portento

Francesco Vinci, in un una memoria del 1760, Don Nicolò Salvo, il padre Bonaventura Caroselli, Nicolò Tinebra Martorana, un anonimo nel 1913, Eugenio Napoleone Messana nel 1968,  Leonardo Sciascia in una chiosa del 1982, ed altri che ci sfuggono hanno scritto sull’evento, quasi sempre con filiale devozione e con trepido attaccamento alla nativa terra di Racalmuto.

Un quadro storico puntuale e documentato ce l’ha fornito di recente il compianto gesuita locale P. Girolamo Morreale. Esso è esaustivo per chi pretende l’umana verità storica. Col suo candore l’ex-voto esposto nel Santuario del Monte rappresenta, pare dalla fine del Seicento, la nostra ancestrale devozione mariana; esso ci immerge nella concitazione del popolo racalmutese per l’arrivo nella parte alta del paese del carro trainato dai buoi con sopra il venerato simulacro della Madonna.

Nella visita pastorale del 1540 - la prima di cui si abbia notizia documentata - la gloriosa statua viene come inventariata, con stile del tutto anodino. Nell’Archivio Vescovile di Agrigento si rinviene il documento della visita fatta nel 1540 dai legati vescovili alla chiesa del Monte. Essa è chiesa non mediocre, con un corredo notevole. Non vi si scorge però nulla che possa richiamare alla mente un santuario prestigioso della Vergine. P. Morreale [1] ha come un moto di stizza quando vede il notista della Curia trattare apaticamente l’argomento. In seconda battuta, come se si trattasse di cosa di scarsa importanza, l’irriguardoso burocrate in veste talare si limita ad inventariare il glorioso simulacro semplicemente come «una figura di nostra donna di marmaro». Non ci si può però meravigliare: il culto della Madonna del Monte esplode a Racalmuto solo a partire dai primi decenni del ‘700, dopo l’opera del p. Signorino, ma soprattutto a seguito di un libretto del 1764 di un frate agostiniano centuripino, il padre Catalanotto, che con semplici ma accattivanti versi in dialetto (invero più della periferia ovest di Agrigento che della nostra Racalmuto) stila una devota saga della Vinuta di la Beddra Matri di lu Munti che alquanto si distacca (apparendo peraltro più credibile) da quella che il pretenzioso padre Caroselli forgiò in una estranea lingua italica quasi un secolo dopo.

La visita pastorale del Vescovo di Agrigento, datata 1540, è per altri versi un momento importante per la storia religiosa di Racalmuto. Abbiamo un documento storico  basilare. Pur nel linguaggio non perspicuo ed arcaico, balza un quadro della struttura ecclesiale di Racalmuto.

 

 

Ci affacciamo, così, all’epoca moderna per la quale disponiamo di fonti d’archivio e documentali rilevantissime che vanno studiate ed interpretate con rigore scientifico, bandendo quel vezzo della visionarietà cui gli eruditi locali sono stati soliti abbandonarsi. La storia della comunità ecclesiale racalmutese appare ora circostanziata e colma di  affascinanti spunti e di specificità di grande portata edificante. Si pensi al culto della Madonna, alla devozione verso S. Rosalia, alla veneranda figura di padre Elia Lauricella ed ai tanti servi di Dio della nostra epoca contemporanea. 


SACERDOTI DI RACALMUTO DEL XVI SECOLO


 

 

Nell’Archivio parrocchiale della Matrice di Racalmuto si rinviene un elenco di sacerdoti che abbraccia il periodo dal 1545 sino ai nostri giorni. L’intestazione è molto eloquente e ben specifica il contenuto del registro. «Liber - viene denominato - in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum, nec non Diaconorum, Subdiaconorum et Clericorum huius terrae Racalmuti, jam ex hac vita discessorum a pluribus ab hinc annis fere immemorabilibus, opere R.di Sac. D. Paulini Falletta hoc anno 1636 pro quarum animarum suffragio semel in mense in feria secunda secundae hebdomadae ad cantandam Missam omnes Sacerdotes, Diaconi, Subdiaconi et Clerici se obligaverunt convenire. - Ut in actis Not. Panfili Sferrazza Racalmuti sub die 26 Marzii 1638.» Fino a quando si cantò quella messa il lunedì  della seconda settimana di ogni mese, non sappiamo. Oggi non avviene più e crediamo a memoria d’uomo.

Il primo sacerdote a venirvi annotato è l’arciprete e canonico d. Nicola de Galloctis, citato nella visita pastorale di Mons. Pietro di Tagliavia e d’Aragona del 1543. La trascrizione è però scorretta: lo si chiama “Nicola Galletti”. Abbiamo quindi i tre successori nel tempo: d. Tommaso Sciarrabba - anche lui arciprete e canonico - D. Gerlando d’Averna e don Michele Romano. Viene omesso l’arciprete Capoccio per saltare a d. Andrea d’Argomento, con il quale s’inizia il secolo XVII.

Sui sacerdoti racalmutesi del secolo XVI sappiamo ben poco. Qualche dato si desume dall’archivio vescovile di Agrigento. Notizie e riferimenti si colgono nei libri parrocchiali della Matrice, quasi tutti di battesimo per quello scorcio di secolo, e databili, comunque, a partire dal 1564. La bolla di conferimento dell’arcipretura di Racalmuto al sac. Gerlando di Averna  è stata da noi rintracciata nell’ Archivio Vaticano Segreto e risale al 13 novembre del 1561.

Lo stato delle nostre ricerche ci permette di individuare soltanto due sacerdoti officianti a Racalmuto prima del XVI secolo. Sono i religiosi ricordati nella Colletteria dell’archivio vaticano (cfr. ASV - Collect. 161 f. 96) Martuzio de Sifolono, titolare della chiesa di S. Maria, chiamato  a corrispondere un’oncia per le decime di due anni (1308 e 1310), ed il prete  Angelo di Montecaveoso, tassato per nove tarì  in re­lazione all’ufficio sacerdotale che esplicava nel Casale di Racalmuto. Del primo non sappiamo neppure se fosse un sacerdote. Ignoriamo anche dove era ubicata la chiesa di S. Maria - ed ogni attribuzione ad uno dei vari templi oggi dedicati alla Madonna è mero arbitrio. Il “presbiter”  Angelo de Montecaveoso ha tutta l’aria di essere un frate: parroco di Racalmuto nel 1308 e nel 1310, non sembra indigeno; ricava pochi proventi (dopo, l’arcipretura di Racalmuto diverrà molto appetibile e la vorranno prelati di Messina, Napoli, Prizzi, S. Giovanni Gemini, etc.) e non lascia traccia di sé.

Non abbiamo elementi per stabilire se, oltre ad incassare le prebende, i beneficiari di S. Margherita, ebbero a svolgere una qualche missione sacerdotale a Racalmuto: si tratta di due preti di cui ci tramanda i nomi un noto documento (Archivio di Stato di Palermo: Reale Cancelleria, Vol. 34, f. 137v, anno 1398) del 20 settembre 1398, Tommaso de Manglono e Gerardo de Fino. Il primo era un canonico agrigentino, considerato ribelle dal re Martino e pertanto spogliato della prebenda racalmutese; il secondo, arciprete di Paternò, era divenuto cappellano regio: difficilmente avrà avuto tempo per pratiche religiose nella terra del beneficio di Santa Margherita, ricevuto graziosamente dal re. Gli bastava mettersi in contatto con Matteo del Carretto, cui erano state impartite istruzioni per la corresponsione dei proventi a quelll’arciprete di Paternò.

Biagio Pace vorrebbe un ipogeo cristiano in contrada delle Grotticelle di Racalmuto. Se ha ragione, il cristianesimo si sarebbe diffuso nel paese fin dal V-VI secolo; da allora sino al nono secolo, quando gli arabi s’impadronirono di questa parte della Sicilia, molti sacerdoti si saranno succeduti ma su di loro nulla assolutamente si sa e non sono neppure tentabili congetture, anche azzardate. Lo stesso avviene per i tempi dei Normanni e per quelli successivi sino al 1308. Occorre fare un salto, dunque, che ci porta al 17 maggio del 1512: in un documento vescovile si accenna al sacerdote racalmutese Francesco La Licata che - unitamente ai sindaci Vito Graci, Francesco Bona, Giacomo Mulè, Filippo Fanara, Salvatore Casuccio, Gabriele La Licata. Orlando Messina e Stefano Santalucia - si era rivolto all’autorità viceregia per avanzare un imprecisato ricorso avverso il chierico Paolo del Carretto. Possiamo affermare che il La Licata sia il primo sacerdote veramente racalmutese di cui abbiamo notizia.

In definitiva, è proprio dal La Licata che può partire una ricognizione dei sacerdoti racalmutesi: i precedenti quattro nominativi (due dell’inizio e due della fine del XIV secolo) ci appaiono forestieri e per un paio di loro non è ipotizzabile una qualche sia pure sporadica presenza a Racalmuto.

 

 

 

 


 

I CONVENTI DI RACALMUTO NEL ‘500


Se crediamo ad un quadro che si trova a Licata e che  raffigura l’albero frondoso  ed abbondantemente fruttifero ad esaltazione della famiglia dei carmelitani nell’agrigentino, dovremmo dire che già nel 1270 si ergeva a Racalmuto il convento del Carmine, ma la fonte è molto labile per innestarvi origini conventuali racalmutesi che peratro ribalterebbero il tanto creduto ed il molto sostenuto da grintosi storici locali. Tolto dunque il convento del Carmine, dobbiamo saltare ai conventi che sono di sicuro operanti nel XVI secolo. Non crediamo che vi siano  stati conventi a Racalmuto, oltre a codesto incerto del Carmine, nei primi quarant’anni del ‘500: solo attorno al 1545 è di sicuro operante il convento di S. Francesco ove erano insediati i padri francescani dell’Ordine dei Minori Conventuali. In certi documenti vescovili che riguardano il sac. don Lisi Provenzano abbiamo rinvenuto elementi tali da suffragare questa antica datazione del convento. L’altro cenobio che appare alla fine del secolo, quello dei carmelitani, pare risorto  all’incirca verso il 1575 se diamo credito alla lapide dell’avello di un  priore locale, padre Paolo Fanara, quale ancora si legge nella chiesa del Carmelo (la chiesa appare invece da molto tempo prima ed è attestata dalla visita del Tagliavia nel 1540 non mancando nel testamento del barone Giovanni del Carretto).

Giovan Luca Barberi parla di un convento benedettino presso Racalmuto, ma gli eruditi locali negli ultimi tempi sono propensi a ritenere che il chiostro fosse quello di S. Benedetto, in territorio di Favara.

Quanto all’altro convento francescano, quello dei Minori di Regolare Osservanza, esso, seppure se ne parla già nel 1598, inizia la sua attività nei primi anni del ’600.

Per tutto il Cinquecento non vi sono conventi femminili a Racalmuto. Il primo - quello di S. Chiara - comincerà ad operare verso il 1645.

Convento di S. Francesco


Sappiamo con certezza che il 21 novembre 1545 il convento di S. Francesco era operante. Noi pensiamo che sin dagli esordi furono i padri minori conventuali ad occupare il chiostro, sotto l’egida di Giovanni del Carretto. Pietro Rodolfo Tossiniano, vescovo di Senigallia, vi  nel libro 2° della sua Historia Serafica. Il maltese Filippo Cagliola nel 1644, fa un discorso un poco più articolato e, descrivendo le “Almae sicilienses Provinciae ordinis Minorum Conventualium S. Francisci”, prende in considerazione anche Racalmuto in questi termini:

LOCUS RACALMUTI [custodia agrigentina]. suae fondationis certam non habet notam, cum scripturas omnes grassantis  pestis insumpserit lues. Quam ob rem annus 1576 a THOSSINIANO inscriptus, ad reparationem Ecclesiae, post eliminatum languorem, non ad fundationem referendus; pugnaret siquidem secum Auctor, qui a Comite Ioanne, certam pecuniam pro Ecclesia reparatione, legatam asserit, anno 1560. Ecclesia denuo excitata, imperfecta iacet, locus iuxta arcem a Friderico Claramontano constructa, situs amoenus, qui fabricis non spernendis incrementa suscepit. Ecclesia Divo Francisco dicata.[2]

Dunque non era nota la data di fondazione, per la distruzione dell’archivio nel tempo della grande peste del 1576. Questo stesso anno viene indicato dal Tossiniano come data di fondazione, subito dopo la cessazione del flagello. Ma questi cade in contraddizione con se stesso, dato che afferma che il conte Giovanni [invero era barone] ebbe a lasciare una certa somma nel 1560 per riparare la chiesa. La chiesa, invero, di nuovo eretta, giace ora incompleta vicino al castello edificato da Federico Chiaramonte, in un luogo ameno e con un notevole chiostro. Essa è dedicata a S. Francesco.

Il barone Giovanni del Carretto, a dire il vero non aveva tanto pensato alla chiesa ma alla sua tomba. Egli lasciò cento onze per la sua cappella tombale. Ed altri mezzi per la celebrazione di messe in Conventu Sancti Francisci dictae Terrae, che dunque nel 1560 era attivo.

Francescani conventuali nel 1593


Da una nostra ricerca  risulta che nel 1593 stanziassero a S. Francesco i seguenti religiosi:

1
1593
COLA  ANDREA
GAITANO
PADRE PRIORE
2
1593
GIOVANNIANTONIO
TODISCO
FRA
3
1593
SEBASTIANO
D ‘ ALAIMO
FRA
4
1593
FRANCESCO
BARBERIO
FRA
5
1593
GIO
BARBA
FRA
6
1593
LODOVICO
DI  SALVO                           
FRA
7
1593
GIUSEPPE
LA MATINA
FRA

 

Francamente non conosciamo granché della loro vita: abbiamo, ad esempio, alcuni accenni nell’atto di donazione di quel singolare personaggio che fu Antonella Morreale, rimasta vedova piuttosto giovane di Leonardo La Licata. Il rogito è datato 9 gennaio 1596 e ad un certo punto stabilisce:

Et voluit et mandavit ditta donatrix quod dittus Jacobus donatarius ...debeat ac teneatur supra dicto ut supra donato solvere uncias decem po: ge: in pecunia fratri Lodovico de Salvo ordinis Sancti Francisci, filio magistri Rogerij consanguineo dittae donatricis infra annos duos cursuros et numerandos a die mortis dittae donatricis in antea hoc est anno quolibet  in fine unc. unam in pacem pro vestito ispius Lodovici pro Deo et eius anima ipsius donatricis et solutis dictis unc. 10 ut supra dictus Jacobus de Poma donatarius per se et successores teneatur et debeat pro dittis unc. decem anno quolibet in perpetuum solvere unciam unam  redditus supra dicto loco de supra donato dicto ven.li conventui Sancti Francisci dictae Terrae Racalmuti eiusque guardiano mentionato pro eo et successoribus in ipso conventu in perpetuum legitime stipulante in quolibet ultimo die mensis augusti cuiuslibet anni incipiendo solvere anno quolibet in perpetuum pro Deo et eius anima ipsius donatricis pro celebratione tot missarum celebrandarum per fratres dicti ven. conventus

Fra Ludovico de Salvo era dunque un consanguineo della Morreale. Nella donazione si parla di sussidi per il suo vestiario. Per le messe v’è un altro legato di un’oncia annua in favore del padre guardiano.

Il guardiano padre Cola Andrea Gaitano 


La Morreale si ricorda di questo priore anche a proposito della sistemazione della non  chiara vicenda del lascito da parte del marito di  un vestito appartenente a don Cesare del Carretto. In dialetto, ella dispone piuttosto prolissamente che:

Item ipsa donatrix pro Deo et eius anima ac pro anima ditti condam Leonardi olim eius viri titulo donationis preditte post mortem ipsius donatricis ... donavit et donat ditto ven. conventui Sancti Francisci  ditte terre uti dicitur: una robba di donna di villuto russo chiaro con li soi passamanu di oro, quali robba ditta donatrichi teni in potiri suo in pegno del sig. don Cesaro il Carretto, la somma dello quali pignorationi ipsa donatrici non si recorda, per tanto essa donatrici voli chè si il detto del Carretto paghira ditto conventu seu suo guardiano la reali summa per la quali robba fui inpignorata, chè in tali casu lu guardiano di detto convento chè tunc forte serra sia tenuto restituiri ditta robba a ditto del Carretto et casu chè il detto del Carretto non si recapitassi detta robba oyvero non declarira la summa per la quali detta robba sta pignorata voli la detta donatrichi chè lu guardiano di detto convento habbia di obtenere lettere di executione et per quella somma chè serra revelato il detto guardiano debbea detta robba per detta somma ad altri personi inpignorarla et quelli denari convertirli et expenderli in   subsidio et bisogno di detto conventi et fari diri tanti missi per l’anima di detta donatrici et il ditto condam Leonardo per li frati di detto convento et quoniam sic voluit ditta donatrix et non aliter nec alio modo.

Il nome del padre guardiano doveva essere padre Cola Andrea Gaitano: non è certamente racalmutese, mentre originari del paese appaiono tutti gli altri sei fraticelli.

Fra Ludovico de Salvo


La famiglia cui apparteneva fra Ludovico Salvo è così censita nel rivelo del 1593:

 

 

36
360
Salvo (de) Mg. Ruggero, soldato anni 45
Nora de Salvo moglie; Santo anni 14; Ludovico 11; Francesco 7; Ivella; Caterina; Vincenza
confina con  La Lattuca Paulino
abita  al Monte

 

Nel 1602 consegue i quattro ordini minori e pare che non sia andato oltre. Un’annotazione del vescovo Bonincontro del 1608 farebbe pensare che fra Ludovico abbia lasciato il convento e si sia secolarizzato. Lo troviamo infatti fra i chierici sottoposti alla giurisdizione dell’ordinario diocesano:

Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23 martii 1602  ... S. Francisci

Fra Ludovico era nato a Racalmuto nel 1581 come da questo atto di battesimo:

19
7
1581
Lodovico
Rogieri m.o
Salvo
Nora

 

 

Fra Sebastiano d’Alaimo


Semplice frate nel 1593 ricevette sicuramente gli ordini sacerdotali. Nella visita del 1608 viene autorizzato alle confessioni per sei mesi:

Frater Sebastianus de Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses

Risulta dai Rolli di S. Maria quale teste in un atto del 28 ottobre 1597. Null’altro ci è dato di sapere su questo francescano, sicuramente racalmutese.

Il Convento del Carmine.


Per il Pirri questo convento è nobile ed antico ed ai suoi tempi (1640) contava 10 religiosi con 108 onze di reddito. Ne era stato solerte priore per 46 anni il racalmutese fra Paolo Fanara. La lapide del suo sepolcro fornisce questi dati biografici:

Paolo Fanara innalzò, accrebbe e decorò, dotandolo d’immagini, questo tempio; curò l’edificazione del convento con somma operosità. Visse 71 anni e nell’anno della salvezza 1621, dopo 41 anni di priorato, morì nella pace del Signore.

Fra Paolo Fanara nacque dunque nel 1550; nel 1575 diviene priore del cenobio carmelitano di cui è fondatore a Racalmuto. Il convento viene edificato accanto alla chiesa periferica del Carmelo, che stando ai documenti disponibili sorgeva invero da tempo, a dir poco dal 1540.

La chiesa sembra in costruzione al tempo della morte del barone Giovanni del Carretto che così ne accenna nel suo testamento:

Item praefatus Dominus Testator dixit expendisse unceas centum triginta in emptione lignaminum et tabularum  facta per Magistrum Paulum Monreale, et per Magistrum Jacobum de Valenti, de quibus dominus Testator consequutus fuit nonnullas tabulas, et lignamina; voluit propterea, et mandavit quod debeat fieri computum per dictum spectabilem D. Hieronymum heredem particularem, et faciendo bonas uncias viginti septem solutas Ecclesiae Sanctae Mariae de Jesu, et uncias undecim solutas pro raubis; de residuo tabularum et lignaminum compleri debeat tectum Ecclesiae Sanctae Mariae di lu Carminu dictae Terrae Racalmuti, et voluit  quod debeat expendere unceas quindecim in pecunia in dicto tecto, et ita voluit, et mandavit, et hoc infra terminum annorum trium.

Nel 1560, dunque, la chiesa di Santa Maria del Carmelo era a buon punto e doveva soltanto completarsi il tetto, cosa che andava fatta entro tre anni. Non è attendibile quindi quel che dice l’avello del p. Fanara, quanto alla chiesa. Certo dopo il 1575 fra Paolo non mancò di farvi fare opere murarie e migliorie ed a ciò è da pensare che si riferisca l’iscrizione della lapide.

I carmelitani racalmutesi del secolo XVI


Nel rivelo del 1593, questo era l’organico del cenobio carmelitano racalmutese:

1
1593
PAULO
FANARA
PADRE PRIORE
2
1593
RUBERTO
COSTA
PADRE
3
1593
SALVATORE
RICCIO
FRA
4
1593
FRANCESCO
SFERRAZZA
FRA
5
1593
ANGELO
CASUCHIO
FRA
6
1593
GEREMIA
RUSSO
FRA
7
1593
GIUSEPPI
RAGUSA
FRA
8
1593
ZACCARIA
RICCIO
FRA

 

Fra Paolo Fanara


Nella visita del Bonincontro del 1608 il priore del Carmelo è ricordato fugacemente come confessore approvato ed indicato semplicemente come  “fra Paulo di Racalmuto padre guardiano del Carmine”.

Fra Paolo fu molto attivo anche nelle faccende sociali. Lo incontriamo in un documento del 1614 [3]  in cui si briga per consentire una “fera franca” in occasione della festività della Madonna del Carmine.

«Ill.mo Signor Conte di questa terra. Fra Paulo Fanara priore del Convento del Carmine di questa terra, dice a V.S. Ill.ma che per devotione et decoro della festività della Madonna del Carmine quali viene alla terza domenica di giugnetto [luglio] resti servita V.S. Ill.ma concedere ché ogn’anno per otto giorni cioe quattro inanti detta festa et quattro poi, si possa inanti detto convento farci la fera franca di quella di Santa Margarita la quale si transportao in lo conventu di Santa Maria di Giesu per lo decoro della detta festa et della terra di V.S. Ill.ma ché li sarà gratia particolare ultra il merito che per tal causa haverà ut altissimus etc. - Racalmuti Die XX° octobris XIII^ ind. 1614.»[4]

Nel 1596 lo incontriamo come teste in un paio di atti della confraternita di S. Maria di Gesù. Non spesso, ma qualche volta assiste pure alla celebrazione del matrimonio di qualche racalmutese in vista.

Fra Salvatore Riccio di Racalmuto


Dalla solita visita del 1608 sappiamo che è sacerdote ed è autorizzato alle confessioni per sei mesi:

Frater Salvator Riccius Carmelitanus ad sex menses.

A dire la verità abbiamo dubbi sulla correttezza della grafia del cognome. Se racalmutese, ebbe forse a chiamarsi fra Salvatore Rizzo.

Fra Zaccaria Riccio


Anche in questo caso, il cognome è forse da correggere in Rizzo. Un chierico a nome Zaccaria Rizzo è presente in vari atti di battesimo ed in atti di trascrizione matrimoniali  della Matrice dal 1598 in poi. Costui è anche citato nella nota visita del 1608:

cl: Zaccaria Rizzo an. 25 cons. ad p. t. die 19 decembris 1597 alias vocatus Leonardus

Tratterebbesi di un racalmutese nato nel 1581 come da seguente atto di battesimo:

5
9
1581
Rizzo
Leonardo
Martino
Norella

 

Ma resta pur sempre da appurare se v’è identità fra il fraticello carmelitano ed il chierico che s’incontra negli atti della matrice e della curia vescovile di Agrigento.

Fra Angelo Casuccio


Nel 1608 lo ritroviamo fra i confessori:

P. Angelo Casuchia

Stando al Liber in quo ..  sarebbe morto il 4 febbraio 1636 (c. 2 n.° 45). Certo sorge il dubbio che tra il frate carmelitano del 1593 ed il sacerdote che del 1608  vi sia identità di persona. Noi siamo per la tesi affermativa e pensiamo ad una secolarizzazione del giovane fraticello del Carmine. Il Casuccio che s’incontra in Matrice è chierico tra il 1598 ed il 1600 e figura come diacono in un atto di battesimo del 30 agosto 1600. Il 12 gennaio 1601 è già stato, comunque, ordinato sacerdote.

Fra Francesco Sferrazza


Analogo dubbio sorge per questo fraticello, visto che negli atti della Matrice figura un omonimo che però viene indicato nel Liber (c. 2 n.° 38) come don Francesco Sferrazza Fasciotta (ma rectius Falciotta).

A quest’ultimo di certo si riferiscono gli atti della visita del 1608, ove è reiteratamente citato. Vengono forniti alcuni dati anagrafici:

D. Franciscus Sferrazza an. 27 cons. ad sacerd. die 17 decembris 1605 Panorm ... quas dixit amisisse

Costui era già protagonista a quell’epoca, come emerge dai alcuni passi di quella relazione episcopale a proposito di S. Giuliano. [5]

Da altri elementi risulta che trattasi di un membro dell’importante famiglia degli Sferrazza Falciotta. Sembrerebbe quindi che si debba escludere l’identità con l’umile fraticello del Carmelo. D. Francesco Sferrazza Falciotta fu peraltro anche Commissario del Tribunale del S. Officio e morì il 7 maggio 1630.

Se fra Francesco Sferrazza, carmelitano nel 1593, fu persona diversa, come sembra, nulla sappiamo all’infuori di quella citazione del rivelo.

Fra Giuseppe d’Antinoro


                                                                                              

Dalle brume documentali dell’archivio parrocchiale dell’ultimo scorcio del ‘500 affiorano alcune figure di religiosi racalmutesi o, comunque, operanti a Racalmuto: uno di questi è fra Giuseppe d’Antinoro, sicuramente un carmelitano, che l’11 settembre 1584 è presente nel matrimonio insolitamente celebrato nella chiesa del Carmine. Per questa inusuale celebrazione era occorso il benestare del vescovo agrigentino. Il matrimonio era avvenuto tra certo La Licata Paolo di Paolo e La Matina Antonella di Pietro e di Vincenza. Benedisse le nozze l’arc. Romano. Ne furono testimoni il noto fra Paolo Fanara ed il citato fra Giuseppe d’Antinoro. Ne trascriviamo qui l’atto che si conserva nella matrice.

11     9  1584 La Licata Paolo di Paolo    e di Angela con La Matina Antonella di Petro e di Vincenza.= Sacerdote benedicente:Romano Michele arciprete. Testi: Fanara r. fra Paolo ed D’Antinoro frate Gioseppe. Nota: foro benedetti nella chiesa del Carmine ex concessione Ill.mi et rev.mi n. Epi. Agrigentini        

Due religiosi di fine secolo:


fra Antonino Amato;


fra Pasquale Di Liberto


gli atti di matrimonio di fine secolo restituiscono alla memoria questi due monaci, di cui però s’ignora tutto: dall’ordine d’appartenenza ad un qualsiasi altro dato biografico. Quel che conosciamo è tutto contenuto in queste annotazioni d’archivio:

1 9 1588 Gibbardo Berto Vincenzo con Savarino Francesca di Joanne. Benedice le nozze: Amato frati Antonino. Testi: Todisco Pietro e Rotulo Pietro

30 9 1596 Mendola (la) Leonardo di Angilo e Paolina con Aucello Antonella di Paolo e Minichella. Benedice le nozze: Spalletta don Nardo. Testi: Mulioto Giuseppe e Di Liberto frati Pasquali.

Nella visita del 1608 è invero ricordato un francescano a none fra Antonino Amato: che si tratti dello stesso monaco del 1588, non abbiamo elementi per affermarlo. Questi comunque non figura nel rivelo del 1593. Nella relazione episcopale del 1608 è indicato in questo stringato modo:

Notamento di confessori di S.to Francisci:  il p.re guardiano - fra. Antonio di Amato.


L’arciprete don  Gerlando d’AVERNA


 

Presso l’Archivio Segreto Vaticano si rinviene l’antica bolla di nomina ad arciprete di Racalmuto di don Gerlando d’Averna. Il documento pontificio è una bolla che trovasi nei “Registri Vaticani: Bullae n.° 1911” -  ff. 211-212v. Esso investe appieno la storia della Matrice di Racalmuto.

Il quadro che emerge - se si può essere sinceri - non pare tanto onorevole per la storia della chiesa, anche se la storpiatura della nostra attuale visione appanna una obiettiva valutazione.

E’ strano che sia occorsa addirittura una lunga bolla di papa Pio IV per assegnare il rettorato dell’arcipretura di S. Antonio di Racalmuto al sac. d. Giurlando d’Averna. Non edifica molto quell’intrigo tra il Sallustio, il chierico Cesare ed il suo procuratore, il chierico Natale Remondino (forse neppure siciliani, certamente non racalmutesi), un intrigo che  ha un vago sapore di simonia[6]. Tutto sommato, impallidisce la figura dell’investito Giurlando d’Averna che pure viene designato come uno che può vantare «vitae ac morum honestas aliaque laudabilia probitas et virtuum merita, super quibus apud nos fide degno  commenda[tur] testimonio». E su tale aspetto si ritorna dopo, quando il papa dichiara: «Nos tibi premissorum meritorum tuorum intuitu specialem gratiam facere vol[umus]». Sono - mi pare - stonature nel contesto della Bolla e mi richiamano le battute che nell’ottocento l’avvocato dell’arciprete Tirone si permette di declamare nell’attacco contro i Savatteri nella controversia sul beneficio del Crocifisso. «Chiunque - scrive a pag. 10 l’avv. Giuseppe de Luca, se non ispirato, di certo non contraddetto dal colto arciprete Tirone [7] - ha familiarità dello stile delle Cancellerie della Curia Romana ben conosce il modo rituale come si ottengono le grazie. Per le dispense, che la detta Curia deve impartire, bisogna accennare ad un motivo che coonesta la grazia che si chiede. In mancanza di legitima causa si specola una ragione qualunque che avesse onesta apparenza, che vera o falsa si fosse rientra nel demanio della coscienza del petente

Si è potuta rintracciare quella Bolla pontificia dopo una difficoltosa consultazione degli schedari Carampi dell’Archivio Segreto Vaticano: non era facile reperirla e per la sua periferica rilevanza non risulta pubblicata da alcuno.

Il Giurlando d’Averna - figura che interessa personalmente, visto che quel cognome si è poi mutato a Racalmuto in Taverna - appare reiteratamente nei primi registri parrocchiali di battesimo della Matrice di Racalmuto.

Il documento pontificio non collima perfettamente con le annotazioni del “Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum  ..”  del 26 marzo 1638, in atti della Matrice.

Al n.° 3 abbiamo: «D. Gerlando D’Averna - Arciprete anno 1554». Credo che gli estremi siano stati presi dai primi fogli degli atti di battesimo che in effetti recano - ma con scrittura postuma  - quell’anno. Ma è datazione inattendibile, specie se consideriamo i tempi d’attuazione delle disposizioni del Concilio di Trento in ordine appunto alle registrazioni dei battesimi. Dobbiamo far dunque differire al 1564 quei documenti della Matrice. In tal caso, non vi è contraddizione tra la Bolla pontificia ed il dato del “Liber”.

Il D’Averna fu arciprete - o rettore - di Racalmuto sino alla metà degli anni ‘70: a partire dal 1579 è arciprete di Racalmuto don Michele Romano. Trovo nelle registrazioni degli atti della Matrice un dato che riguarda  il D’Averna sotto questa data:

164
21
5
1576
Gerlando di Averna

 

Non so, però,  se si riferisca al rettore della Bolla.[8]

Sintetizzando, si può sostenere che d. Giurlando D’Averna - proveniente forse da Agrigento - fu rettore dell’arcipretato di S. Antonio di Racalmuto dal 13 di novembre del 1561 sino al 1576 (probabile anno della sua morte).

E’ singolare che nella doviziosa documentazione su d. Gerlando d’Averna che si rinviene nei registri parrocchiali di battesimo del 1571, egli non sia mai indicato con il titolo di Arciprete.

Rimase allora semplice rettore di Racalmuto? E tale rimase per aggirare quella esosa pensione al Sallustio che il Vaticano voleva imporre sulla parrocchia racalmutese ad onta di ogni consuetudine e diritto della Legazia Apostolica siciliana? E saremmo tentati di rispondere affermativamente.

Il nobile Girolamo Russo, marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto.


 

E’ certo che le vicende arcipretali di Racalmuto sono condizionate pesantemente dai Del Carretto. Sotto il d’Averna, più che il conte – che gozzoviglia in Palermo – è il genero Girolamo Russo a vessare il nostro paese, ed in definitiva anche la relativa arcipretura. Codesto Russo, pur nobile, non mancò di sposare la figlia illegittima del conte di Racalmuto, Elisabetta. Si trasferì nel castello chiaramontano come locale governatore e, a credere alle lagnanze del pingue presule Horozco, tiranneggiò sul popolo, sui preti e sui chierici.

Sul genero del conte Giovanni siamo in grado di fornire qualche cenno anagrafico, desunto dai registri della Matrice.                                                                                                                                                                   

ATTI DI BATTESIMO (Battesimo di tre bambini del nobile Russo)
data di battesimo    Cognome              Nome            Paternità                 Maternità    

                                                                                                                                                                             
3 luglio 1596           RUSSO        Francesco Maria  Girolamo sig.           Sabetta, donna               
  3 luglio 1598           RUSSO        Margherita           Gironimo don          D.a Elisabetta                                          

10   gennaio 1600          RUSSO        Giuseppe              Gerolamo, don        Elisabetta                      
Padrini dei battesimi sono i coniugi Vincenzo e Caterina Piamontesi.»

La vicenda feudale dei del Carretto della seconda metà del Cinquecento  ha alcuni momenti solenni negli estremi dei Processi che si celebravano a Palermo.  Al fine di meglio inquadrare la vicenda di d. Gerlando d’Averna, possiamo qui segnare i seguenti stralci:

1560 [9] Fino al gennaio del 1560 è barone di Racalmuto Giovanni del Carretto.  Gli succede Girolamo del Carretto, come si evince dai tanti riferimenti di quel particolare processo feudale che riportiamo in altra sede.

 

Importante è il testamento di Giovanni del Carretto per le implicazioni nella storia delle chiese di Racalmuto.

1584 Gli atti del processo interessano il passaggio, per successione, dal neo conte Girolamo al figlio Giovanni del Carretto.

 



[1]) Girolamo M. Morreale, S.J - Maria SS. del Monte di Racalmuto - Racalmuto 1986: pag. 29 «Le notizie più sicure e più antiche sulla Madonna del Monte le abbiamo dalla sacra Visita, fatta a Racalmuto dal vescovo o da un suo delegato, nel 1540 ... La statua è descritta con termini assai scarni, secondo lo stile inventariale: "Una figura di Nostra Donna di marmaro"» Pag. 30: «Poco dopo sono riportati gli ornamenti della statua: "Item uno panigliuni [rectius: pavigluni, n.d.r.] di cuttuni cum sua frinza di sita russa per [rectius: supra, n.d.r.] la Immagini  [rectius: inmagini, n.d.r.] di marmaro di Nostra Donna et una cultra vecchia  [rectius: vecha, n.d.r.] per la ditta Immagini  [rectius: supra la ditta inmagini, n.d.r.] ... Item: uno panigliuneddo  [rectius: paviglunetto, n.d.r.] a la immagini  [rectius: inmagini, n.d.r.] di Nostra Donna .»
«Il titolo della chiesa è riportato nel paragrafo che la riguarda: "Visitatio ecclesie sancte Marie di lo Munti".
«Per la quantità di beni riportati nell'inventario, la chiesa del Monte è la terza dopo la Matrice e l'Itria. Si ha l'impressione di una chiesa periferica  che ha appena il necessario: sono ricordati un solo paio di candelieri di legno e le 13 tovaglie di altare come biancheria sacra. Le due chiese centrali, Annunziata (Matrice) e l'Itria, invece appaiono bene attrezzate di parati sacri..»
A quest'ultimo proposito mi par di potere annotare: a) Il P. Morreale legge sicuramente in modo errato Jsu  in Itria (la chiesa dell'Itria sorgerà a Racalmuto un secolo dopo); b) la chiesa del Monte figura dopo Matrice, S. Maria di Gesù ed anche S. Giuliano, al quarto posto, forse addirittura alla pari di S. Margherita; c) in ogni caso, trattasi delle prime cinque chiese di Racalmuto: le altre (ricordo ad esempio: S. Rosalia e  S. Leonardo) non attiravano l'attenzione dei visitatori episcopali per la loro scarsa importanza. La chiesa del Monte, comunque, ha una buona dotazione di paramenti sacri, ha una cassetta per le elemosine ed un guardaroba per la sua prestigiosa statua di marmo, anche se viene indicata come vecchia (da ciò si potrebbe anche dedurre che la statua marmorea non è poi detto che sia quella che si venera oggi e che la chiesa del Monte è molto antica, forse più antica della stessa S. Maria di Gesù).
Altra importante fonte è : «LA VISITA PASTORALE DI MONS. PIETRO DI TAGLIAVIA E D'ARAGONA - parte II (Anno 1542-43)» - Tesi di laurea di Rosa Fontana, relatore Paolo Collura dell'Università degli Studi di Palermo - facoltà di lettere e filosofia - anno accademico 1981-1982. Racalmuto risulta tratttato nelle pagine 207-218. La visita è dell'11 giugno 1543 ed è successiva di tre anni a quella qui indicata. La Chiesa del Monte non vi figura perché il visitatore si limitò ad annotare a lato la vecchia visita.
[2])  ALMAE SICILIENSES PROVINCIAE - ORDINIS MINORUM CONVENTUALIUM S.FRANCISCI - a patre magistro Philippo CAGLIOLA - a MILITA.
"Sicilia francescana secoli XIII-XVIII a cura di Filippo ROTOLO" Venetiis, MDCXLIV - Officina di Studi Medievvali - Via del Parlamento, 32 - 90133 PALERMO - 1984. pag. 108 [Petrus Rodulfus THOSSINIANUS, Episcopus Senegallensis ordinis nostri, in Historia Serafica - v. per RACHALMUTUM lib. 2] .
[3]) Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 506 - f. 1.
[4]) Il prosieguo del documento è in latino e recita:
«Cons. Ref., eodem, Ad relationem U.J.D. Francisci la Rizza fuit provisum quod concedatur petitio et fiat actus in curia juratorum, Joannes Gulielmus secretarius etc.».
 
Più complesso il seguito che trascriviamo per gli eventuali cultori della lingua latina in uso nella curia racalmutese del primo Seicento:
 
 «Die XXI ottobris XIII^ Ind. 1614:
 
«fuit provisum et mandatum per Ill.mum Dominum Comitem Don Hyeronimum del Carretto Comitem huius terrae et Comitatus Racalmuti ad relationem U.J.D. Francisci la Rizza consultoris, vigore provisionis fattae in dorso memorialis venerabilis fratris Pauli Fanara prioris venerabilis conventus Sanctae Mariae de Monte Carmelo, eiusdem terrae, sub die 20 praesentis mensis
 
 
«quod otto de numero dierum sexdecim nundinarum quae antiquitus fiebant in hac praeditta terra et in festivitate Divae Margharitae et postea translatae in festivitate divae Mariae Jesu, eiusdem terrae solitae fieri in die secundo mensis Julij cuiuslibet anni cum illis franchitijs pro ut hactenus servatum fuerat.
 
«Intelligantur et sint concessae ditto venerabili conventui Sanctae Mariae de Monte Carmelo pro ut vi praesentis actus perpetuo valituri, spectabilis ill.mus Comes per se et suos etc. tribuit et concessit eidem ven: conventui Virginis de Monte Carmelo eiusdem terrae  nundinas praedittas pro maiori decoro et devotione festivitatis dittae Beatae Mariae Virginis de Monte Carmelo celebrandae in dominica tertia cuius libet mensis Julij cuiuslibet anni in perpetuum fiendas ante eccelsiam et conventum praedittum per dies quatuor ante et dies quatuor postea dittum festum
 
«et hoc cum omnibus et singulis franchitijs et alijs pro ut dittae nundinae gaudunt et sunt exemptae ab omnibus gabellis ditti ill.mi domini comitis ut supra dittum est et non aliter.
 
 
«Remanentibus tamen de numero dierum sexdecim nundinarum praedittarum divae Margharitae alijs diebus octo pro ditta ecclesia et Conventu Sanctae Mariae Jesu eiusdem terrae fiendarum quoque antea dittam ecclesiam et conventum dittae Sanctae Mariae de Jesu pro ut hucusque servatum est, in festivitate dittae Beatae Mariae Virginis de Jesu quae celebratur in die secundo cuiuslibet mensis Julij in perpetuum,
 
« hoc est pro diebus quatuor antea et diebus quatuor postea dittam  festivitatem et cum franchitijs et aliis ut supra dittum est e non aliter nec alio modo etc.
 
 
 
 
«Unde ut in futurum appareat fattus est praesens actum in curia juratorum huius terrae praedittae juxta ordinem et provisionem praeditti ill.mi D. Comitis suis die loco et tempore valitures etc.
 
«Unde etc. -
 
«Ex actis Curiae Juratorum huius terrae et Comitatus Racalmuti, extratta est praesens copia - Coll. Sal. - Sanctus Poma, magister notarius.»
[5] ) Sequitur Cappella transfigurationis S.mi Dni Nostri Iesu Xristi, quae fuit constructa a Don Francisco Sferrazza propriis expensis. et adhuc non est completa. Altare d.e Cappellae est decenter ornatum super quo est scena trasfigurationis praedictae cum multis imaginibus aliorum sanctorum, est bene depicta et pulchra, est dotata unciarum duarum redditus relicti a q. Antonino praedicti de Sferrazza pro celebratione unius missae qualibet hebdomada quae celebratur a Cappellano Ecclesiae
Habet etiam dicta Cappella incias X pro maritaggio unius orfanae consanguineae, pariter relictus iure legati a d.o Antonino Sferrazza.
 
[6]) Ma papa  Giovanni Angelo Medici (Pio IV) non viene considerato pontefice propenso alla simonia, neppure da autori laici come L. von Ranke (cfr. L. Von Ranke - Storia dei Papi - Sansoni 1974, pag. 233 e ss.). Neppure nepotista: un suo nipote fu il cardinale Carlo Borromeo. «Carlo Borromeo - scrive il Ranke,  v. p. 238 - non considerò la sua posizione di congiunto del papa, e l’accesso agli affari più importanti che gli era consentito, come un diritto, che gli permettesse qualche cosa, ma come un dovere al quale egli doveva dedicarsi con ogni cura. E vi si dedicò con modestia pari alla costanza. [...] Così le qualità del nipote supplirono a quelle deficienze che i rigoristi avevano potuto trovare nello zio.»
 
[7]) Cfr. “Comparsa conclusionale dei Signori Ben. d. Calogero Matrona e consorti, convenuti, contro i coniugj d. Giuseppe Savitteri e donna Concetta Matrona interveniente forzosa, e contro il signor cav. Vincenzo Ferlazzo Intendente di Finanza” - Girgenti tip. E. Romiti - 1876 - pag. 10 c.o. Chiesa Madre di Racalmuto.
[8] ) Quanto al Romano, rinvengo:
·     «Annotato in foglio v.: S.T.D.Dn. Michaele ROMANO Arcip. 1579».
·     «Viene annotato: DIE 28 Julii X Ind. 1597. Incomensa lo conto delli inguaggiati dopo la morte del arciprete don Michele Romano. ‘f.to illeggibile’ (n.d.r.)».
Nel “Liber”, invece, figura al n.° 4:«D. Michele Romano - Arciprete anno 1578».
 
[9]) ARCHIVIO DI STATO IN PALERMO - PROTONOTARO DEL REGNO - PROCESSI D’INVESTITURE - BUSTA N. 1517 - PROCESSO N. 2554 - FEUDO: TERRA CON CASTELLO DI RACALMUTO - COGNOME E NOME DELL’INVESTITO: DE CARRECTIS GIROLAMO - ANNO: 1562

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