LIBRO SECONDO –
Racalmuto nell’epoca moderna
IL SECOLO DELLA MADONNA DEL MONTE
La
tradizione colloca nell’anno 1503 la venuta a Racalmuto della Madonna del Monte. La pia leggenda è talmente
scolpita nei cuori dei racalmutesi da impedire ogni ricerca storica che
suonerebbe falsa e blasfema. Noi quindi ce ne asteniamo. Facciamo nostra la
seconda lezione dell’Officio sulla nostra prodigiosa Madonna: «a Racalmuto, in Sicilia, - vi si recita
in latino - da tempo immemorabile, un
prodigioso simulacro troneggia nel magnifico tempio dedicato alla Madonna del
Monte, Madre di Dio. Secondo una costante tradizione, la statua in nessun modo
poté venire rimossa dal Monte, ove era giunta per una sosta su un carro rustico
tirato da buoi, proveniente dal litorale agrigentino per essere condotta nella
antica città di Castronovo. E questo fu un mero portento.»
Francesco
Vinci, in un una memoria del 1760,
Don Nicolò Salvo, il padre Bonaventura
Caroselli, Nicolò Tinebra Martorana, un anonimo nel 1913,
Eugenio Napoleone Messana nel 1968,
Leonardo Sciascia in una chiosa del 1982, ed altri che ci
sfuggono hanno scritto sull’evento, quasi sempre con filiale devozione e con
trepido attaccamento alla nativa terra di Racalmuto.
Un
quadro storico puntuale e documentato ce l’ha fornito di recente il compianto
gesuita locale P. Girolamo Morreale. Esso è esaustivo per chi
pretende l’umana verità storica. Col suo candore l’ex-voto esposto nel Santuario
del Monte rappresenta, pare dalla fine del Seicento, la nostra ancestrale
devozione mariana; esso ci immerge nella concitazione del popolo racalmutese
per l’arrivo nella parte alta del paese del carro trainato dai buoi con sopra
il venerato simulacro della Madonna.
Nella
visita pastorale del 1540 - la prima di cui si abbia notizia documentata - la
gloriosa statua viene come inventariata, con stile del tutto anodino.
Nell’Archivio Vescovile di Agrigento si rinviene il documento della visita fatta
nel 1540 dai legati vescovili alla chiesa del Monte. Essa è chiesa non
mediocre, con un corredo notevole. Non vi si scorge però nulla che possa
richiamare alla mente un santuario prestigioso della Vergine. P. Morreale [1] ha come un
moto di stizza quando vede il notista della Curia trattare apaticamente
l’argomento. In seconda battuta, come se si trattasse di cosa di scarsa
importanza, l’irriguardoso burocrate in veste talare si limita ad inventariare
il glorioso simulacro semplicemente come «una figura di nostra donna di marmaro».
Non ci si può però meravigliare: il culto della Madonna del Monte esplode a Racalmuto solo a partire dai primi decenni del ‘700,
dopo l’opera del p. Signorino, ma soprattutto a seguito di un libretto del 1764
di un frate agostiniano centuripino, il padre Catalanotto, che con semplici ma
accattivanti versi in dialetto (invero più della periferia ovest di Agrigento
che della nostra Racalmuto) stila una devota saga della Vinuta di la Beddra Matri di lu Munti che alquanto si distacca
(apparendo peraltro più credibile) da quella che il pretenzioso padre Caroselli
forgiò in una estranea lingua italica quasi un secolo dopo.
La visita pastorale del Vescovo di Agrigento, datata 1540, è per altri
versi un momento importante per la storia religiosa di Racalmuto. Abbiamo un documento
storico basilare. Pur nel linguaggio non
perspicuo ed arcaico, balza un quadro della struttura ecclesiale di Racalmuto.
Ci
affacciamo, così, all’epoca moderna per la quale disponiamo di fonti d’archivio
e documentali rilevantissime che vanno studiate ed interpretate con rigore
scientifico, bandendo quel vezzo della visionarietà cui gli eruditi locali sono
stati soliti abbandonarsi. La storia della comunità ecclesiale racalmutese
appare ora circostanziata e colma di
affascinanti spunti e di specificità di grande portata edificante. Si
pensi al culto della Madonna, alla devozione verso S. Rosalia, alla
veneranda figura di padre Elia Lauricella ed ai tanti servi di Dio della nostra epoca
contemporanea.
SACERDOTI DI RACALMUTO DEL XVI SECOLO
Nell’Archivio parrocchiale della Matrice di Racalmuto si rinviene un elenco di sacerdoti che
abbraccia il periodo dal 1545 sino ai nostri giorni. L’intestazione è molto
eloquente e ben specifica il contenuto del registro. «Liber - viene denominato
- in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum, nec non Diaconorum,
Subdiaconorum et Clericorum huius terrae Racalmuti, jam ex hac vita discessorum
a pluribus ab hinc annis fere immemorabilibus, opere R.di Sac. D. Paulini
Falletta hoc anno 1636 pro quarum animarum suffragio
semel in mense in feria secunda secundae hebdomadae ad cantandam Missam omnes
Sacerdotes, Diaconi, Subdiaconi et Clerici se obligaverunt convenire. - Ut in
actis Not. Panfili Sferrazza Racalmuti sub die 26 Marzii 1638.» Fino a
quando si cantò quella messa il lunedì
della seconda settimana di ogni mese, non sappiamo. Oggi non avviene più
e crediamo a memoria d’uomo.
Il primo sacerdote a venirvi annotato è l’arciprete e
canonico d. Nicola de Galloctis, citato nella visita
pastorale di Mons. Pietro di Tagliavia e d’Aragona del 1543. La trascrizione è però
scorretta: lo si chiama “Nicola Galletti”. Abbiamo quindi i tre
successori nel tempo: d. Tommaso Sciarrabba - anche lui arciprete e canonico - D. Gerlando d’Averna e don Michele Romano. Viene omesso l’arciprete
Capoccio per saltare a
d. Andrea d’Argomento, con il quale s’inizia il
secolo XVII.
Sui sacerdoti racalmutesi del secolo XVI sappiamo ben
poco. Qualche dato si desume dall’archivio vescovile di Agrigento. Notizie e riferimenti si
colgono nei libri parrocchiali della Matrice, quasi tutti di battesimo
per quello scorcio di secolo, e databili, comunque, a partire dal 1564. La
bolla di conferimento dell’arcipretura di Racalmuto al sac. Gerlando di Averna è stata da noi rintracciata nell’ Archivio
Vaticano Segreto e risale al 13 novembre del 1561.
Lo stato delle nostre ricerche ci permette di
individuare soltanto due sacerdoti officianti a Racalmuto prima del XVI secolo. Sono i religiosi
ricordati nella Colletteria dell’archivio vaticano (cfr. ASV - Collect. 161 f.
96) Martuzio de Sifolono, titolare della chiesa di
S. Maria, chiamato a corrispondere un’oncia per le decime di due
anni (1308 e 1310), ed il prete Angelo
di Montecaveoso, tassato per nove tarì in relazione all’ufficio sacerdotale che
esplicava nel Casale di Racalmuto. Del primo non sappiamo neppure se fosse un
sacerdote. Ignoriamo anche dove era ubicata la chiesa di S. Maria - ed ogni
attribuzione ad uno dei vari templi oggi dedicati alla Madonna è mero arbitrio.
Il “presbiter” Angelo de Montecaveoso ha tutta l’aria di essere un frate: parroco di
Racalmuto nel 1308 e nel 1310, non sembra indigeno; ricava pochi proventi
(dopo, l’arcipretura di Racalmuto diverrà molto appetibile e la vorranno
prelati di Messina, Napoli, Prizzi, S. Giovanni Gemini, etc.) e non lascia traccia
di sé.
Non abbiamo elementi per stabilire se, oltre ad
incassare le prebende, i beneficiari di S. Margherita, ebbero a svolgere una
qualche missione sacerdotale a Racalmuto: si tratta di due preti di
cui ci tramanda i nomi un noto documento (Archivio di Stato di Palermo: Reale
Cancelleria, Vol. 34, f. 137v, anno
1398) del 20 settembre 1398, Tommaso de Manglono e Gerardo de Fino. Il primo era un canonico
agrigentino, considerato ribelle dal re Martino e pertanto spogliato della
prebenda racalmutese; il secondo, arciprete di Paternò, era
divenuto cappellano regio: difficilmente avrà avuto tempo per
pratiche religiose nella terra del beneficio di Santa Margherita, ricevuto graziosamente dal
re. Gli bastava mettersi in contatto con Matteo del Carretto, cui erano state impartite
istruzioni per la corresponsione dei proventi a quelll’arciprete di Paternò.
Biagio Pace vorrebbe un ipogeo cristiano in contrada delle Grotticelle di Racalmuto. Se ha ragione, il
cristianesimo si sarebbe diffuso nel paese fin dal V-VI secolo; da allora sino
al nono secolo, quando gli arabi s’impadronirono di questa parte della Sicilia,
molti sacerdoti si saranno succeduti ma su di loro nulla assolutamente si sa e
non sono neppure tentabili congetture, anche azzardate. Lo stesso avviene per i
tempi dei Normanni e per quelli successivi
sino al 1308. Occorre fare un salto, dunque, che ci porta al 17 maggio del
1512: in un documento vescovile si accenna al sacerdote racalmutese Francesco
La Licata che - unitamente ai sindaci Vito Graci, Francesco Bona, Giacomo Mulè, Filippo Fanara, Salvatore Casuccio, Gabriele La Licata. Orlando Messina e Stefano Santalucia - si era rivolto
all’autorità viceregia per avanzare un imprecisato ricorso avverso il chierico
Paolo del Carretto. Possiamo affermare che il
La Licata sia il primo sacerdote veramente racalmutese
di cui abbiamo notizia.
In definitiva, è proprio dal La Licata che può partire una ricognizione dei sacerdoti
racalmutesi: i precedenti quattro nominativi (due dell’inizio e due della fine
del XIV secolo) ci appaiono forestieri e per un paio di loro non è ipotizzabile
una qualche sia pure sporadica presenza a Racalmuto.
I
CONVENTI DI RACALMUTO NEL ‘500
Se crediamo ad un quadro che si trova a Licata e
che raffigura l’albero frondoso ed abbondantemente fruttifero ad esaltazione
della famiglia dei carmelitani nell’agrigentino, dovremmo dire che già nel 1270
si ergeva a Racalmuto il convento del Carmine, ma la fonte è molto labile per
innestarvi origini conventuali racalmutesi che peratro ribalterebbero il tanto
creduto ed il molto sostenuto da grintosi storici locali. Tolto dunque il
convento del Carmine, dobbiamo saltare ai conventi che sono di sicuro operanti
nel XVI secolo. Non crediamo che vi siano
stati conventi a Racalmuto, oltre a codesto incerto del Carmine, nei primi quarant’anni del ‘500: solo attorno
al 1545 è di sicuro operante il convento di S. Francesco ove erano insediati i padri francescani
dell’Ordine dei Minori Conventuali. In certi documenti vescovili che riguardano
il sac. don Lisi Provenzano abbiamo rinvenuto elementi tali da suffragare
questa antica datazione del convento. L’altro cenobio che appare alla fine del
secolo, quello dei carmelitani, pare risorto all’incirca verso il 1575 se diamo credito
alla lapide dell’avello di un priore
locale, padre Paolo Fanara, quale ancora si legge
nella chiesa del Carmelo (la chiesa appare invece da molto tempo prima ed è
attestata dalla visita del Tagliavia nel 1540 non mancando nel testamento del
barone Giovanni del Carretto).
Giovan Luca Barberi parla di un convento benedettino presso
Racalmuto, ma gli eruditi locali
negli ultimi tempi sono propensi a ritenere che il chiostro fosse quello di S.
Benedetto, in territorio di Favara.
Quanto all’altro convento francescano, quello dei
Minori di Regolare Osservanza, esso, seppure se ne parla già nel 1598, inizia
la sua attività nei primi anni del ’600.
Per tutto il Cinquecento non vi sono conventi
femminili a Racalmuto. Il primo - quello di S.
Chiara - comincerà ad operare verso il 1645.
Convento
di S. Francesco
Sappiamo con certezza che il 21 novembre 1545 il
convento di S. Francesco era operante. Noi pensiamo che sin dagli
esordi furono i padri minori conventuali ad occupare il chiostro, sotto l’egida
di Giovanni del Carretto. Pietro Rodolfo Tossiniano,
vescovo di Senigallia, vi nel libro 2°
della sua Historia Serafica. Il maltese Filippo Cagliola nel 1644, fa un
discorso un poco più articolato e, descrivendo le “Almae sicilienses Provinciae
ordinis Minorum Conventualium S. Francisci”, prende in considerazione anche
Racalmuto in questi termini:
LOCUS RACALMUTI [custodia agrigentina]. suae
fondationis certam non habet notam, cum scripturas omnes grassantis pestis insumpserit lues. Quam ob rem annus
1576 a THOSSINIANO inscriptus, ad reparationem Ecclesiae, post
eliminatum languorem, non ad fundationem referendus; pugnaret siquidem secum
Auctor, qui a Comite Ioanne, certam pecuniam pro Ecclesia reparatione, legatam
asserit, anno 1560. Ecclesia denuo excitata, imperfecta iacet, locus iuxta
arcem a Friderico Claramontano constructa, situs amoenus, qui fabricis non
spernendis incrementa suscepit. Ecclesia Divo Francisco dicata.[2]
Dunque non era nota la data di fondazione, per la
distruzione dell’archivio nel tempo della grande peste del 1576. Questo stesso
anno viene indicato dal Tossiniano come data di fondazione, subito dopo la
cessazione del flagello. Ma questi cade in contraddizione con se stesso, dato
che afferma che il conte Giovanni [invero era barone] ebbe a lasciare una certa
somma nel 1560 per riparare la chiesa. La chiesa, invero, di nuovo eretta,
giace ora incompleta vicino al castello edificato da Federico Chiaramonte, in un luogo ameno e con un
notevole chiostro. Essa è dedicata a S. Francesco.
Il barone Giovanni del Carretto, a dire il vero non aveva
tanto pensato alla chiesa ma alla sua tomba. Egli lasciò cento onze per la sua
cappella tombale. Ed altri mezzi per la celebrazione di messe in Conventu Sancti Francisci dictae Terrae,
che dunque nel 1560 era attivo.
Francescani conventuali nel 1593
Da una nostra ricerca risulta che nel 1593 stanziassero a S.
Francesco i seguenti religiosi:
1
|
1593
|
COLA ANDREA
|
GAITANO
|
PADRE PRIORE
|
2
|
1593
|
GIOVANNIANTONIO
|
TODISCO
|
FRA
|
3
|
1593
|
SEBASTIANO
|
D ‘ ALAIMO
|
FRA
|
4
|
1593
|
FRANCESCO
|
BARBERIO
|
FRA
|
5
|
1593
|
GIO
|
BARBA
|
FRA
|
6
|
1593
|
LODOVICO
|
DI SALVO
|
FRA
|
7
|
1593
|
GIUSEPPE
|
LA MATINA
|
FRA
|
Francamente non conosciamo granché della loro vita:
abbiamo, ad esempio, alcuni accenni nell’atto di donazione di quel singolare
personaggio che fu Antonella Morreale, rimasta vedova piuttosto
giovane di Leonardo La Licata. Il rogito è datato 9
gennaio 1596 e ad un certo punto stabilisce:
Et voluit
et mandavit ditta donatrix quod dittus Jacobus donatarius ...debeat ac teneatur
supra dicto ut supra donato solvere uncias decem po: ge: in pecunia fratri
Lodovico de Salvo ordinis Sancti
Francisci, filio magistri Rogerij consanguineo dittae donatricis infra annos
duos cursuros et numerandos a die mortis dittae donatricis in antea hoc est
anno quolibet in fine unc. unam in pacem
pro vestito ispius Lodovici pro Deo et eius anima ipsius donatricis et solutis
dictis unc. 10 ut supra dictus Jacobus de Poma donatarius per se et successores
teneatur et debeat pro dittis unc. decem anno quolibet in perpetuum solvere
unciam unam redditus supra dicto loco de
supra donato dicto ven.li conventui Sancti Francisci dictae Terrae Racalmuti
eiusque guardiano mentionato pro eo et successoribus in ipso conventu in
perpetuum legitime stipulante in quolibet ultimo die mensis augusti cuiuslibet
anni incipiendo solvere anno quolibet in perpetuum pro Deo et eius anima ipsius
donatricis pro celebratione tot missarum celebrandarum per fratres dicti ven.
conventus
Fra Ludovico de Salvo era dunque un consanguineo della Morreale. Nella donazione si parla
di sussidi per il suo vestiario. Per le messe v’è un altro legato di un’oncia
annua in favore del padre guardiano.
Il guardiano padre Cola Andrea Gaitano
La Morreale si ricorda di questo priore anche a proposito
della sistemazione della non chiara
vicenda del lascito da parte del marito di
un vestito appartenente a don Cesare del Carretto. In dialetto, ella dispone
piuttosto prolissamente che:
Item ipsa donatrix pro Deo et eius anima ac pro anima
ditti condam Leonardi olim eius viri titulo donationis preditte post mortem
ipsius donatricis ... donavit et donat ditto ven. conventui Sancti
Francisci ditte terre uti dicitur: una robba di donna di villuto russo chiaro
con li soi passamanu di oro, quali robba ditta donatrichi teni in potiri suo in
pegno del sig. don Cesaro il Carretto, la somma dello quali pignorationi ipsa donatrici non
si recorda, per tanto essa donatrici voli chè si il detto del Carretto paghira
ditto conventu seu suo guardiano la reali summa per la quali robba fui
inpignorata, chè in tali casu lu guardiano di detto convento chè tunc forte
serra sia tenuto restituiri ditta robba a ditto del Carretto et casu chè il
detto del Carretto non si recapitassi detta robba oyvero non declarira la summa
per la quali detta robba sta pignorata voli la detta donatrichi chè lu
guardiano di detto convento habbia di obtenere lettere di executione et per
quella somma chè serra revelato il detto guardiano debbea detta robba per detta
somma ad altri personi inpignorarla et quelli denari convertirli et expenderli
in subsidio et bisogno di detto
conventi et fari diri tanti missi per l’anima di detta donatrici et il ditto
condam Leonardo per li frati di detto convento et quoniam
sic voluit ditta donatrix et non aliter nec alio modo.
Il nome del padre guardiano doveva essere padre Cola
Andrea Gaitano: non è certamente
racalmutese, mentre originari del paese appaiono tutti gli altri sei
fraticelli.
Fra Ludovico de Salvo
La famiglia cui apparteneva fra Ludovico Salvo è così censita nel rivelo del 1593:
36
|
360
|
Salvo (de) Mg. Ruggero,
soldato anni 45
|
Nora de Salvo moglie; Santo anni
14; Ludovico 11; Francesco 7; Ivella; Caterina; Vincenza
|
confina con
La Lattuca Paulino
|
abita
al Monte
|
Nel 1602 consegue i quattro ordini minori e pare che
non sia andato oltre. Un’annotazione del vescovo Bonincontro del 1608 farebbe pensare che fra Ludovico
abbia lasciato il convento e si sia secolarizzato. Lo troviamo infatti fra i
chierici sottoposti alla giurisdizione dell’ordinario diocesano:
Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23 martii
1602 ... S. Francisci
Fra Ludovico era nato a Racalmuto nel 1581 come da questo atto di battesimo:
19
|
7
|
1581
|
Lodovico
|
Rogieri m.o
|
Salvo
|
Nora
|
Fra Sebastiano d’Alaimo
Semplice frate nel 1593 ricevette sicuramente gli
ordini sacerdotali. Nella visita del 1608 viene autorizzato alle confessioni
per sei mesi:
Frater Sebastianus de Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses
Risulta dai Rolli di S. Maria quale teste in un atto
del 28 ottobre 1597. Null’altro ci è dato di sapere su questo francescano,
sicuramente racalmutese.
Il Convento del Carmine.
Per il Pirri questo convento è nobile ed antico ed ai
suoi tempi (1640) contava 10 religiosi con 108 onze di reddito. Ne era stato
solerte priore per 46 anni il racalmutese fra Paolo Fanara. La lapide del suo sepolcro
fornisce questi dati biografici:
Paolo Fanara innalzò, accrebbe e decorò, dotandolo
d’immagini, questo tempio; curò l’edificazione del convento con somma
operosità. Visse 71 anni e nell’anno della salvezza 1621, dopo 41 anni di
priorato, morì nella pace del Signore.
Fra Paolo Fanara nacque dunque nel 1550; nel 1575 diviene
priore del cenobio carmelitano di cui è fondatore a Racalmuto. Il convento viene
edificato accanto alla chiesa periferica del Carmelo, che stando ai documenti
disponibili sorgeva invero da tempo, a dir poco dal 1540.
La chiesa sembra in costruzione al tempo della morte
del barone Giovanni del Carretto che così ne accenna nel suo testamento:
Item
praefatus Dominus Testator dixit expendisse unceas centum triginta in emptione
lignaminum et tabularum facta per
Magistrum Paulum Monreale, et per Magistrum Jacobum de Valenti, de quibus
dominus Testator consequutus fuit nonnullas tabulas, et lignamina; voluit
propterea, et mandavit quod debeat fieri computum per dictum spectabilem D.
Hieronymum heredem particularem, et faciendo bonas uncias viginti septem
solutas Ecclesiae Sanctae Mariae de Jesu,
et uncias undecim solutas pro raubis; de residuo tabularum et lignaminum compleri debeat tectum Ecclesiae Sanctae Mariae
di lu Carminu dictae Terrae Racalmuti, et voluit quod debeat expendere unceas quindecim in
pecunia in dicto tecto, et ita voluit, et mandavit, et hoc infra terminum
annorum trium.
Nel 1560, dunque, la chiesa di Santa Maria del Carmelo
era a buon punto e doveva soltanto completarsi il tetto, cosa che andava fatta
entro tre anni. Non è attendibile quindi quel che dice l’avello del p. Fanara, quanto alla chiesa. Certo
dopo il 1575 fra Paolo non mancò di farvi fare opere murarie e migliorie ed a
ciò è da pensare che si riferisca l’iscrizione della lapide.
I carmelitani racalmutesi del secolo XVI
Nel rivelo del 1593, questo era l’organico del cenobio
carmelitano racalmutese:
1
|
1593
|
PAULO
|
FANARA
|
PADRE PRIORE
|
2
|
1593
|
RUBERTO
|
COSTA
|
PADRE
|
3
|
1593
|
SALVATORE
|
RICCIO
|
FRA
|
4
|
1593
|
FRANCESCO
|
SFERRAZZA
|
FRA
|
5
|
1593
|
ANGELO
|
CASUCHIO
|
FRA
|
6
|
1593
|
GEREMIA
|
RUSSO
|
FRA
|
7
|
1593
|
GIUSEPPI
|
RAGUSA
|
FRA
|
8
|
1593
|
ZACCARIA
|
RICCIO
|
FRA
|
Fra Paolo Fanara
Nella visita del Bonincontro del 1608 il priore del Carmelo è ricordato
fugacemente come confessore approvato ed indicato semplicemente come “fra Paulo di Racalmuto padre guardiano del Carmine”.
Fra Paolo fu molto attivo anche nelle faccende
sociali. Lo incontriamo in un documento del 1614 [3] in cui si briga per consentire una “fera
franca” in occasione della festività della Madonna del Carmine.
«Ill.mo
Signor Conte di questa terra. Fra Paulo Fanara priore del
Convento del Carmine di questa
terra, dice a V.S. Ill.ma che per devotione et decoro della festività della
Madonna del Carmine quali viene alla terza domenica di giugnetto [luglio] resti
servita V.S. Ill.ma concedere ché ogn’anno per otto giorni cioe quattro inanti
detta festa et quattro poi, si possa inanti detto convento farci la fera franca
di quella di Santa Margarita la quale si transportao in lo conventu di Santa
Maria di Giesu per lo decoro della detta festa et della terra di V.S. Ill.ma
ché li sarà gratia particolare ultra il merito che per tal causa haverà ut
altissimus etc. - Racalmuti Die XX° octobris XIII^ ind. 1614.»[4]
Nel 1596 lo incontriamo come teste in un paio di atti
della confraternita di S. Maria di Gesù. Non spesso, ma qualche
volta assiste pure alla celebrazione del matrimonio di qualche racalmutese in
vista.
Fra Salvatore Riccio di Racalmuto
Dalla solita visita del 1608 sappiamo che è sacerdote
ed è autorizzato alle confessioni per sei mesi:
Frater Salvator Riccius Carmelitanus ad sex menses.
A dire la verità abbiamo dubbi sulla correttezza della
grafia del cognome. Se racalmutese, ebbe forse a chiamarsi fra Salvatore Rizzo.
Fra Zaccaria Riccio
Anche in questo caso, il cognome è forse da correggere
in Rizzo. Un chierico a nome
Zaccaria Rizzo è presente in vari atti di battesimo ed in atti di trascrizione
matrimoniali della Matrice dal 1598 in poi. Costui è anche citato nella
nota visita del 1608:
cl: Zaccaria Rizzo an. 25 cons. ad p. t. die 19 decembris 1597 alias
vocatus Leonardus
Tratterebbesi di un racalmutese nato nel 1581 come da
seguente atto di battesimo:
5
|
9
|
1581
|
Rizzo
|
Leonardo
|
Martino
|
Norella
|
Ma resta pur sempre da appurare se v’è identità fra il
fraticello carmelitano ed il chierico che s’incontra negli atti della matrice e
della curia vescovile di Agrigento.
Fra Angelo Casuccio
Nel 1608 lo ritroviamo fra i confessori:
P. Angelo Casuchia
Stando al Liber in quo .. sarebbe morto il 4 febbraio 1636 (c. 2 n.°
45). Certo sorge il dubbio che tra il frate carmelitano del 1593 ed il
sacerdote che del 1608 vi sia identità
di persona. Noi siamo per la tesi affermativa e pensiamo ad una secolarizzazione
del giovane fraticello del Carmine. Il Casuccio che s’incontra in Matrice è chierico tra il 1598 ed il 1600 e figura
come diacono in un atto di battesimo del 30 agosto 1600. Il 12 gennaio 1601 è
già stato, comunque, ordinato sacerdote.
Fra Francesco Sferrazza
Analogo dubbio sorge per questo fraticello, visto che
negli atti della Matrice figura un omonimo che però viene indicato nel
Liber (c. 2 n.° 38) come don Francesco Sferrazza Fasciotta (ma rectius Falciotta).
A quest’ultimo di certo si riferiscono gli atti della
visita del 1608, ove è reiteratamente citato. Vengono forniti alcuni dati
anagrafici:
D. Franciscus Sferrazza an. 27 cons. ad sacerd. die 17 decembris 1605
Panorm ... quas dixit amisisse
Costui era già protagonista a quell’epoca, come emerge
dai alcuni passi di quella relazione episcopale a proposito di S. Giuliano. [5]
Da altri elementi risulta che trattasi di un membro
dell’importante famiglia degli Sferrazza Falciotta. Sembrerebbe quindi che si debba
escludere l’identità con l’umile fraticello del Carmelo. D. Francesco Sferrazza
Falciotta fu peraltro anche Commissario del Tribunale del S. Officio e morì il
7 maggio 1630.
Se fra Francesco Sferrazza, carmelitano nel 1593, fu
persona diversa, come sembra, nulla sappiamo all’infuori di quella citazione
del rivelo.
Fra Giuseppe d’Antinoro
Dalle brume documentali dell’archivio parrocchiale
dell’ultimo scorcio del ‘500 affiorano alcune figure di religiosi racalmutesi
o, comunque, operanti a Racalmuto: uno di questi è fra
Giuseppe d’Antinoro, sicuramente un carmelitano, che l’11 settembre 1584 è
presente nel matrimonio insolitamente celebrato nella chiesa del Carmine. Per
questa inusuale celebrazione era occorso il benestare del vescovo agrigentino.
Il matrimonio era avvenuto tra certo La Licata Paolo di Paolo e La Matina Antonella di Pietro e di Vincenza. Benedisse
le nozze l’arc. Romano. Ne furono testimoni il
noto fra Paolo Fanara ed il citato
fra Giuseppe d’Antinoro. Ne trascriviamo qui l’atto che si conserva nella
matrice.
11 9 1584 La Licata Paolo di Paolo
e di Angela con La Matina Antonella
di Petro e di Vincenza.= Sacerdote benedicente:Romano Michele arciprete.
Testi: Fanara r. fra Paolo ed D’Antinoro frate Gioseppe.
Nota: foro benedetti nella chiesa del Carmine ex concessione Ill.mi et rev.mi
n. Epi. Agrigentini
Due religiosi di fine secolo:
fra Antonino Amato;
fra Pasquale Di Liberto
gli atti di matrimonio di fine secolo restituiscono
alla memoria questi due monaci, di cui però s’ignora tutto: dall’ordine
d’appartenenza ad un qualsiasi altro dato biografico. Quel che conosciamo è
tutto contenuto in queste annotazioni d’archivio:
1
9 1588 Gibbardo Berto Vincenzo con Savarino Francesca di Joanne. Benedice le
nozze: Amato frati Antonino. Testi:
Todisco Pietro e Rotulo Pietro
30
9 1596 Mendola (la) Leonardo di Angilo e Paolina con Aucello Antonella di Paolo
e Minichella. Benedice le nozze: Spalletta don Nardo. Testi: Mulioto Giuseppe e Di Liberto frati Pasquali.
Nella visita del 1608 è invero ricordato un
francescano a none fra Antonino Amato: che si tratti dello stesso
monaco del 1588, non abbiamo elementi per affermarlo. Questi comunque non
figura nel rivelo del 1593. Nella relazione episcopale del 1608 è indicato in
questo stringato modo:
Notamento di confessori di S.to Francisci: il p.re guardiano - fra. Antonio di Amato.
L’arciprete
don Gerlando d’AVERNA
Presso
l’Archivio Segreto Vaticano si rinviene l’antica bolla di nomina ad arciprete di Racalmuto di don Gerlando d’Averna. Il documento pontificio è
una bolla che trovasi nei “Registri Vaticani: Bullae n.° 1911” - ff. 211-212v. Esso investe appieno la storia
della Matrice di Racalmuto.
Il
quadro che emerge - se si può essere sinceri - non pare tanto onorevole per la
storia della chiesa, anche se la storpiatura della nostra attuale visione
appanna una obiettiva valutazione.
E’
strano che sia occorsa addirittura una lunga bolla di papa Pio IV per assegnare il rettorato
dell’arcipretura di S. Antonio di Racalmuto al sac. d. Giurlando d’Averna. Non edifica
molto quell’intrigo tra il Sallustio, il chierico Cesare ed il suo procuratore,
il chierico Natale Remondino (forse neppure siciliani, certamente non
racalmutesi), un intrigo che ha un vago
sapore di simonia[6]. Tutto
sommato, impallidisce la figura dell’investito Giurlando d’Averna che pure
viene designato come uno che può vantare «vitae
ac morum honestas aliaque laudabilia probitas et virtuum merita, super quibus
apud nos fide degno commenda[tur]
testimonio». E su tale aspetto si ritorna dopo, quando il papa dichiara: «Nos tibi premissorum meritorum tuorum
intuitu specialem gratiam facere vol[umus]». Sono - mi pare - stonature nel
contesto della Bolla e mi richiamano le battute che nell’ottocento l’avvocato
dell’arciprete Tirone si permette di declamare nell’attacco contro i Savatteri
nella controversia sul beneficio del Crocifisso. «Chiunque - scrive a pag. 10 l’avv. Giuseppe de Luca, se non
ispirato, di certo non contraddetto dal colto arciprete Tirone [7] - ha familiarità dello stile delle
Cancellerie della Curia Romana ben conosce il modo rituale come si ottengono le
grazie. Per le dispense, che la detta Curia deve impartire, bisogna accennare
ad un motivo che coonesta la grazia che si chiede. In mancanza di legitima
causa si specola una ragione qualunque che avesse onesta apparenza, che vera o
falsa si fosse rientra nel demanio della coscienza del petente.»
Si
è potuta rintracciare quella Bolla pontificia dopo una difficoltosa
consultazione degli schedari Carampi dell’Archivio Segreto Vaticano: non era
facile reperirla e per la sua periferica rilevanza non risulta pubblicata da
alcuno.
Il
Giurlando d’Averna - figura che interessa personalmente, visto che quel cognome
si è poi mutato a Racalmuto in Taverna - appare reiteratamente nei primi registri
parrocchiali di battesimo della Matrice di Racalmuto.
Il
documento pontificio non collima perfettamente con le annotazioni del “Liber in quo adnotata reperiuntur
nomina plurimorum Sacerdotum
..” del 26 marzo 1638, in atti
della Matrice.
Al
n.° 3 abbiamo: «D. Gerlando D’Averna - Arciprete anno 1554». Credo che gli estremi
siano stati presi dai primi fogli degli atti di battesimo che in effetti recano
- ma con scrittura postuma - quell’anno.
Ma è datazione inattendibile, specie se consideriamo i tempi d’attuazione delle
disposizioni del Concilio di Trento in ordine appunto alle registrazioni dei
battesimi. Dobbiamo far dunque differire al 1564 quei documenti della Matrice. In tal caso, non vi è
contraddizione tra la Bolla pontificia ed il dato del “Liber”.
Il
D’Averna fu arciprete - o rettore - di Racalmuto sino alla metà degli anni ‘70: a partire dal
1579 è arciprete di Racalmuto don Michele Romano. Trovo nelle registrazioni
degli atti della Matrice un dato che riguarda il D’Averna sotto questa data:
164
|
21
|
5
|
1576
|
Gerlando di Averna
|
Non so, però,
se si riferisca al rettore della Bolla.[8]
Sintetizzando,
si può sostenere che d. Giurlando D’Averna - proveniente forse da Agrigento - fu rettore dell’arcipretato di S. Antonio di Racalmuto dal 13 di novembre del 1561 sino al 1576
(probabile anno della sua morte).
E’
singolare che nella doviziosa documentazione su d. Gerlando d’Averna che si rinviene nei registri parrocchiali di
battesimo del 1571, egli non sia mai indicato con il titolo di Arciprete.
Rimase
allora semplice rettore di Racalmuto? E tale rimase per aggirare
quella esosa pensione al Sallustio che il Vaticano voleva imporre sulla parrocchia
racalmutese ad onta di ogni consuetudine e diritto della Legazia Apostolica
siciliana? E saremmo tentati di rispondere affermativamente.
Il nobile Girolamo Russo, marito della
figlia spuria di Giovanni del Carretto.
E’ certo che le vicende arcipretali di Racalmuto
sono condizionate pesantemente dai Del Carretto. Sotto il d’Averna, più che il
conte – che gozzoviglia in Palermo – è il genero Girolamo Russo a vessare il
nostro paese, ed in definitiva anche la relativa arcipretura. Codesto Russo,
pur nobile, non mancò di sposare la figlia illegittima del conte di Racalmuto,
Elisabetta. Si trasferì nel castello chiaramontano come locale governatore e, a
credere alle lagnanze del pingue presule Horozco, tiranneggiò sul popolo, sui
preti e sui chierici.
Sul genero del conte Giovanni siamo in grado di
fornire qualche cenno anagrafico, desunto dai registri della Matrice.
ATTI DI BATTESIMO (Battesimo
di tre bambini del nobile Russo)
data di
battesimo Cognome Nome Paternità Maternità
3 luglio 1596 RUSSO Francesco Maria Girolamo sig. Sabetta, donna
3 luglio 1598 RUSSO Margherita Gironimo don D.a Elisabetta
10 gennaio 1600 RUSSO Giuseppe Gerolamo, don Elisabetta
Padrini dei battesimi sono i
coniugi Vincenzo e Caterina Piamontesi.»
La
vicenda feudale dei del Carretto della seconda metà del Cinquecento ha alcuni momenti solenni negli estremi dei
Processi che si celebravano a Palermo.
Al fine di meglio inquadrare la vicenda di d. Gerlando d’Averna, possiamo qui segnare i
seguenti stralci:
1560 [9] Fino al
gennaio del 1560 è barone di Racalmuto Giovanni del Carretto. Gli succede Girolamo del Carretto, come si
evince dai tanti riferimenti di quel particolare processo feudale che riportiamo
in altra sede.
Importante
è il testamento di Giovanni del Carretto per le implicazioni nella storia delle chiese
di Racalmuto.
1584 Gli atti del processo interessano il passaggio, per
successione, dal neo conte Girolamo al figlio Giovanni del Carretto.
[1])
Girolamo M. Morreale, S.J - Maria SS. del Monte di
Racalmuto - Racalmuto 1986: pag. 29 «Le notizie più sicure e più antiche sulla
Madonna del Monte le
abbiamo dalla sacra Visita, fatta a Racalmuto dal vescovo o da un suo delegato,
nel 1540 ... La statua è descritta con termini assai scarni, secondo lo stile
inventariale: "Una figura di Nostra Donna di marmaro"» Pag. 30: «Poco dopo sono riportati gli ornamenti
della statua: "Item uno panigliuni [rectius: pavigluni, n.d.r.] di cuttuni cum sua frinza di sita
russa per [rectius: supra, n.d.r.] la
Immagini [rectius: inmagini, n.d.r.] di marmaro di Nostra Donna et una
cultra vecchia [rectius: vecha, n.d.r.] per la ditta Immagini [rectius: supra la ditta inmagini, n.d.r.] ... Item: uno panigliuneddo [rectius: paviglunetto, n.d.r.] a la immagini [rectius: inmagini, n.d.r.] di Nostra Donna .»
«Il titolo della chiesa è riportato nel paragrafo che la riguarda:
"Visitatio ecclesie sancte Marie di lo Munti".
«Per la quantità di beni riportati nell'inventario, la chiesa del Monte
è la terza dopo la Matrice e
l'Itria. Si ha l'impressione di una chiesa periferica che ha appena il necessario: sono ricordati
un solo paio di candelieri di legno e le 13 tovaglie di altare come biancheria
sacra. Le due chiese centrali, Annunziata (Matrice) e l'Itria, invece appaiono bene
attrezzate di parati sacri..»
A quest'ultimo proposito mi
par di potere annotare: a) Il P. Morreale legge sicuramente in modo errato Jsu in Itria
(la chiesa dell'Itria sorgerà a Racalmuto un secolo dopo); b) la chiesa del Monte figura
dopo Matrice, S. Maria di Gesù ed anche S.
Giuliano, al quarto posto, forse addirittura alla pari di S. Margherita; c) in
ogni caso, trattasi delle prime cinque chiese di Racalmuto: le altre (ricordo
ad esempio: S. Rosalia e S. Leonardo)
non attiravano l'attenzione dei visitatori episcopali per la loro scarsa
importanza. La chiesa del Monte, comunque, ha una buona dotazione di paramenti
sacri, ha una cassetta per le elemosine ed un guardaroba per la sua prestigiosa
statua di marmo, anche se viene indicata come vecchia (da ciò si potrebbe anche
dedurre che la statua marmorea non è poi detto che sia quella che si venera
oggi e che la chiesa del Monte è molto antica, forse più antica della stessa S.
Maria di Gesù).
Altra importante fonte è :
«LA VISITA PASTORALE DI MONS. PIETRO DI TAGLIAVIA E D'ARAGONA - parte II (Anno
1542-43)» - Tesi di laurea di Rosa Fontana, relatore Paolo Collura
dell'Università degli Studi di Palermo - facoltà di lettere e filosofia - anno
accademico 1981-1982. Racalmuto risulta tratttato nelle pagine 207-218. La
visita è dell'11 giugno 1543 ed è successiva di tre anni a quella qui indicata.
La Chiesa del Monte non vi figura perché il visitatore si limitò ad annotare a
lato la vecchia visita.
[2]) ALMAE
SICILIENSES PROVINCIAE - ORDINIS MINORUM
CONVENTUALIUM S.FRANCISCI - a patre magistro Philippo CAGLIOLA - a MILITA.
"Sicilia francescana
secoli XIII-XVIII a cura di Filippo ROTOLO" Venetiis, MDCXLIV - Officina
di Studi Medievvali - Via del Parlamento, 32 - 90133 PALERMO - 1984. pag. 108
[Petrus Rodulfus THOSSINIANUS, Episcopus Senegallensis ordinis nostri, in
Historia Serafica - v. per RACHALMUTUM lib. 2] .
[3])
Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 506 - f. 1.
[4]) Il
prosieguo del documento è in latino e recita:
«Cons. Ref., eodem, Ad
relationem U.J.D. Francisci la Rizza fuit provisum quod concedatur petitio et
fiat actus in curia juratorum, Joannes Gulielmus secretarius etc.».
Più complesso il seguito che
trascriviamo per gli eventuali cultori della lingua latina in uso nella curia
racalmutese del primo Seicento:
«Die XXI ottobris XIII^ Ind. 1614:
«fuit provisum et mandatum
per Ill.mum Dominum Comitem Don Hyeronimum del Carretto Comitem huius terrae et Comitatus Racalmuti ad
relationem U.J.D. Francisci la Rizza consultoris, vigore provisionis fattae in
dorso memorialis venerabilis fratris Pauli Fanara prioris venerabilis conventus Sanctae Mariae
de Monte Carmelo, eiusdem terrae, sub die 20 praesentis mensis
«quod otto de numero dierum
sexdecim nundinarum quae antiquitus fiebant in hac praeditta terra et in
festivitate Divae Margharitae et postea translatae in festivitate divae Mariae
Jesu, eiusdem terrae solitae fieri in die secundo mensis Julij cuiuslibet anni
cum illis franchitijs pro ut hactenus servatum fuerat.
«Intelligantur et sint
concessae ditto venerabili conventui Sanctae Mariae de Monte Carmelo pro ut vi
praesentis actus perpetuo valituri, spectabilis ill.mus Comes per se et suos
etc. tribuit et concessit eidem ven: conventui Virginis de Monte Carmelo
eiusdem terrae nundinas praedittas pro
maiori decoro et devotione festivitatis dittae Beatae Mariae Virginis de Monte
Carmelo celebrandae in dominica tertia cuius libet mensis Julij cuiuslibet anni
in perpetuum fiendas ante eccelsiam et conventum praedittum per dies quatuor
ante et dies quatuor postea dittum festum
«et hoc cum omnibus et
singulis franchitijs et alijs pro ut dittae nundinae gaudunt et sunt exemptae
ab omnibus gabellis ditti ill.mi domini comitis ut supra dittum est et non
aliter.
«Remanentibus tamen de
numero dierum sexdecim nundinarum praedittarum divae Margharitae alijs diebus
octo pro ditta ecclesia et Conventu Sanctae Mariae Jesu eiusdem terrae
fiendarum quoque antea dittam ecclesiam et conventum dittae Sanctae Mariae de
Jesu pro ut hucusque servatum est, in festivitate dittae Beatae Mariae Virginis
de Jesu quae celebratur in die secundo cuiuslibet mensis Julij in perpetuum,
« hoc est pro diebus quatuor
antea et diebus quatuor postea dittam
festivitatem et cum franchitijs et aliis ut supra dittum est e non
aliter nec alio modo etc.
«Unde ut in futurum appareat
fattus est praesens actum in curia juratorum huius terrae praedittae juxta ordinem
et provisionem praeditti ill.mi D. Comitis suis die loco et tempore valitures
etc.
«Unde etc. -
«Ex actis Curiae Juratorum
huius terrae et Comitatus Racalmuti, extratta est praesens copia - Coll. Sal. -
Sanctus Poma, magister notarius.»
[5] ) Sequitur Cappella transfigurationis S.mi Dni
Nostri Iesu Xristi, quae fuit constructa a Don Francisco Sferrazza propriis
expensis. et adhuc non est completa. Altare d.e Cappellae est decenter ornatum
super quo est scena trasfigurationis praedictae cum multis imaginibus aliorum
sanctorum, est bene depicta et pulchra, est dotata unciarum duarum redditus
relicti a q. Antonino praedicti de Sferrazza pro celebratione unius missae
qualibet hebdomada quae celebratur a Cappellano Ecclesiae
Habet etiam dicta Cappella incias X pro maritaggio unius
orfanae consanguineae, pariter relictus iure legati a d.o Antonino Sferrazza.
[6]) Ma
papa Giovanni Angelo Medici (Pio IV) non
viene considerato pontefice propenso alla simonia, neppure da autori laici come
L. von Ranke (cfr. L. Von Ranke - Storia dei Papi - Sansoni 1974, pag. 233 e
ss.). Neppure nepotista: un suo nipote fu il cardinale Carlo Borromeo. «Carlo Borromeo - scrive il Ranke, v. p. 238 -
non considerò la sua posizione di congiunto del papa, e l’accesso agli affari
più importanti che gli era consentito, come un diritto, che gli permettesse
qualche cosa, ma come un dovere al quale egli doveva dedicarsi con ogni cura. E
vi si dedicò con modestia pari alla costanza. [...] Così le qualità del nipote supplirono a quelle deficienze che i
rigoristi avevano potuto trovare nello zio.»
[7]) Cfr.
“Comparsa conclusionale dei Signori Ben. d. Calogero Matrona e consorti, convenuti, contro i coniugj d.
Giuseppe Savitteri e donna Concetta Matrona interveniente forzosa, e contro il
signor cav. Vincenzo Ferlazzo Intendente di Finanza” - Girgenti tip. E. Romiti - 1876 - pag. 10 c.o. Chiesa
Madre di Racalmuto.
[8] ) Quanto al Romano, rinvengo:
·
«Annotato in foglio v.: S.T.D.Dn. Michaele
ROMANO Arcip. 1579».
·
«Viene annotato: DIE 28 Julii X Ind. 1597.
Incomensa lo conto delli inguaggiati dopo la morte del arciprete don Michele Romano. ‘f.to illeggibile’
(n.d.r.)».
Nel “Liber”,
invece, figura al n.° 4:«D. Michele Romano - Arciprete anno 1578».
[9])
ARCHIVIO DI STATO IN PALERMO - PROTONOTARO DEL REGNO - PROCESSI D’INVESTITURE -
BUSTA N. 1517 - PROCESSO N. 2554 - FEUDO: TERRA CON CASTELLO DI RACALMUTO - COGNOME E NOME DELL’INVESTITO: DE CARRECTIS
GIROLAMO - ANNO: 1562
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