GLI ULTIMI EVENTI A RACALMUTO
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UNA INAUGURAZIONE STORICA –
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UN’INTENSA GIORNATA DI STUDIO –
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IL 4 OTTOBRE 2003 A RACALMUTO.
Una santa messa, alle ore 9, del 4 ottobre 2003, in
commemorazione del defunto padre Calogero Salvo di Racalmuto doveva aprire la giornata
di manifestazioni culturali ma in forma discreta e riservata. La messa è stata
celebrata nei locali dell’ex chiesa di S. Sebastiano – di cui la quasi totalità
dei racalmutesi ignora l’esistenza – da uno smarrito padre Alessi (a pagamento)
ma di fedeli oranti neppure l’ombra; se non fosse stato per la presenza di tre
cattolicissimi (ma quanto credenti Dio solo sa) componenti della famiglia
Taverna, neppure la pagina in volgare dell’odierno messale si sarebbe potuta
leggere, come di dovere, da un assistente laico del celebrante.
Era l’inizio della concertazione del sabotaggio plurimo
che a dire il vero ebbe pieno successo per l’insuccesso della manifestazione.
Pensate che neppure le bizzochere, tanto aduse a messe e rosari in assidui
abbracci mefitici con cose e uomini di chiesa, erano presenti. Insolita
assenza! E neppure tantissimi sacrestani e sacrestane a pagamento quali LSU
osarono affacciarsi sul sacrato di quel deturpato anche se dismesso luogo di
culto. Anzi si erano adoperati a sabotare il tutto non installando microfoni e
non provvedendo ad allestire pedane per il tavolo della presidenza. Crediamo
che così facendo volessero fare dispetto a Calogero Taverna, loro esacerbato
fustigatore. Errore. Tanto giova alla polemica del nomato fustigatore. Altra
carne a cuocere per una pulizia di tanti sicofanti pettegoli ed inetti, a
carico delle esauste casse comunali che balzelli impropri di iva e monnezza non
riescono ad implementare.
Dopo, viene solo la guardia di finanza (ufficiali e
marescialli superiori): sono in divisa; segno che vengono solo per assistere
alle cerimonie. Qualche imbecille – il solito riddilio? – mette in giro che
sono venuti perché era stata trafugata una tela dell’Asaro. Cosa da sorriderci
beffardamente sopra. Ma la redazione del Giornale di Sicilia di Agrigento ha
voglia (o interesse?) di prendere sul serio la facezia e tempesta di telefonate
a destra e a manca, anche a tarda notte per tentare e ritentare di avere una
qualche conferma di una notizia che non c’era. Turbativa della quiete pubblica?
Inconscia istigazione? A richiesta di informazioni sull’occulto informatore (da
parte del sottoscritto ma anche del sindaco) l’omertà più assoluta. Ma chi è
costui? Di certo è autorevole se demotivati redattori periferici lo prendono sul
serio. Dove vuole arrivare? Le pubbliche autorità inquirenti non hanno alcun
interesse ad indagare? E se domani qualcuno penetra di notte nei locali della
neo pinacoteca e si adopera in atti vandalici, di chi si dovrà dopo sospettare?
Grazie comunque alla efficiente Guardia di Finanza di
Agrigento e Canicattì, oltre al locale comandante dei carabinieri di Racalmuto,
che, invitata, viene ad assistere ad una manifestazione che oltre ad essere un
momento qualificante della cultura nel paese di Sciascia, finisce con l’essere
una insolita finestra sulla realtà economica, sociale e politica, sia pur
tediosa e defatigante, che i vigilanti pubblici sono tenuti a tenere d’occhio.
E allora che dire dei tanti assenti? Dall’on. Errore, agli
organi giudiziari agrigentini, a quelli amministrativi (prefetto e questore);
dal presule ai pingui redattori dell’Amico del Popolo; dall’intero consiglio
comunale all’intera giunta; dai signori ragionieri di Racalmare ai soliti
critici girovaghi della contermine Grotte; dai preti ai sacrestani; dai colti e
queruli malevoli, persino dai padri mensili di figlie femmine, dai
peripatetici, insomma, lungo il marciapiede di Sciascia, dalla Citalena alla
locale televisione. Erano stati regolarmente invitati. Hanno forse in gran
dispitto i patrocinatori? Ma chi erano? Milioto o padre Puma, Restivo o
Taverna?
Purtroppo l’on. Milioto, presente, tornò ad essere il
solito e contravvenendo ad ogni regola di rispetto per gli organizzatori e per
il livello culturale della manifestazione si sdilinquì nei suoi virulenti
improperi di taglio personale contro un paio di presenti (anzi contro un solo
presente). A buon rendere, onorevole!
Nel pomeriggio, ci si è messo anche un funerale. Mi
toccava proprio nel centro dei miei affetti personali. Lo slittamento della
manifestazione non valse a colmare i vuoti delle poche sedie, e dire che
parlava il prof. Enrico Mazzarese Fardella e parlava a quel dio biondo. Nobile,
coltissimo, aduso all’affubulazione d’alto lignaggio, spiegò, illustrò,
convinse: Tutti gli idola dell’imbecillità storica racalmutese furono ridotti
alla loro vituperosa ridicolaggine. Le cervellotiche congetture di taverniana
memoria emersero dall’elegante dire del prof. Mazzarese Fardella in tutta la
loro risibile ridicolaggine. A cominciare dal ‘famigerato ius primae noctis’.
A tempo debito pubblicheremo gli atti. Ci è dispiaciuto
che il professore fosse alla fine ripiccato per il fatto che neppure un giovane
era presente. Solo due, disse il professore che naturalmente escludeva mio
nipote, un suo discepolo. Si dava il caso che anche gli altri due erano le
sorelle di quell’unico discepolo presente. Quando i tanti studenti in legge
racalmutesi andranno a sostenere gli esami di storia del diritto a Palermo, …
beh! non vorrei trovarmi nei loro panni. Quando i signori del consorzio
universitario agrigentino – e soprattutto il suo sedicente e rumoroso
rappresentante locale – cercheranno appoggi ed aiuti presso l’egemone ateneo
palermitano, non penso che troveranno accondiscendente quel decano rispettabilissimo
e rispettatissimo professore. Questi sa che ad Agrigento l’università la si
vuole non a fini culturali. Gli esponenti non hanno tempo per assistere neppure
ad un illuminante e allettante squarcio di storia medievale siciliana, in
ispecie agrigentina, in particolare racalmutese.
Unica eccezione per una qualificante presenza quella
costituita dall’assessore provinciale dottore professore ingegnere Santino Lo
Presti, a cui va il nostro sentito grazie e la nostra, crediamo non sterile,
riconoscenza.
Con l’occasione un ringraziamento all’architetto Carmelo
Antinoro di Favara che volle essere presente per l’intera giornata preferendo
l’incontro culturale racalmutese alle emule iniziative favaresi. Ci dispensò
una dotta trattazione di due ceppi familiari favaresi oriundi da Racalmuto, sia
pure nella notte dei tempi. Quando potremo pubblicare gli atti, si potrà
appurare e gustare l’eccezionalità dei rinvenimenti storici dell’Antinoro. Per
chi abbia interesse, segnaliamo intanto le sue documentatissime pubblicazioni.
Il sindaco di Racalmuto avv. Luigi Restivo Pantalone, è
stato davvero impareggiabile; assiduo dalla mattina alla sera (e anche lui
poteva inventarsi qualche impegno per qualche michelino sbarcato a Palermo);
elegante nel dire e nel fare, come sempre; signorile persino nel rintuzzare le
aporie miliotesche. A Gigi Restivo va la nostra ammirata stima, il nostro
sincero e grato grazie.
E qui la perla finale: si doveva onorare il sacerdote
Salvo: non c’era in sala alcun uomo di chiesa; nessuna monaca del collegio
anche se padre Salvo ne era stato il rinomato cappellano, nessun parente,
nessun sacrestano. Persino il pettegolo diacono – pronto a sogghignare con
padre Puma sull’insuccesso dell’iniziativa per latitanza di pubblico – si
eclissava.
Il padre Pirrera – il grande amico di padre Salvo ed anche
suo editore – l’avevo personalmente dissuaso dal venire per i suoi davvero
gravi problemi cardiopatici e non potè fare l'agognata presentazione degli
scritti, in corso di pubblicazione.
Credette di delegarmi. Ma io non sono prete né ho più il parametro
circospetto del sinuoso dire ecclesiastico. Pensate che curia, amico del
popolo, giovani direttori in veste talare di quella stampa della chiesa
agrigentina hanno non solo negletto quella commemorazione ma l’hanno osteggiata
per quello che dirò. Naturalmente Studio 98 ha altro da “studiare” alle cinque
della sera.
Ed allora?
Ho esordito dicendo che se vi erano caste orecchie
cattoliche, erano pregate ad abbandonare l’aula. Nessuno l’ha fatto. A dire il
vero ce n’era una: non abbandonò l’aula. Per mia fortuna non capì il vero senso
della mia sardonica, sincera, violenta invettiva.
Ecco il testo.
Calogero Salvo …padre Calogero Salvo … noi l’abbiamo conosciuto il 10 ottobre del
1945. Era allora rettore del seminario
mons. Jacolino, un prete asciutto ed arcigno, più tedesco dei tedeschi … un
uomo ascetico, probo, serio e giusto ….morì giovane ma in tempo per diventare
vescovo.
Sfogliamo l’almanacco ecclesiastico della
chiesa agrigentina del 1993, un libro pretenzioso con papa Woytjla ancora
giovane, sorridente e dietro la cattedrale, non sai se araba o spagnola,
medievale o borbonica, moderna o avveniristica … pensavamo di rinvenire in
quell’almanacco – quando padre Salvo era maturo ma sano, esplosivo e fervente –
un inno ed un osanna alla sua intelligenza, alla sua facondia, al suo acume, al
suo essere originalmente prete e poeta, storico e filosofo, poeta e mistico ..
ed invece deludentemente a pag. 196 solo Salvo Calogero nato a Racalmuto il 6.1.1926,
ordinato il 29.6.1949, cappellano al collegio di Maria delle suore della sacra
famiglia a Racalmuto, residenza eccetera, eccetera. .. Semplice successore di padre Elia
Lauricella dunque e noi che le visite pastorali dell’epoca le abbiamo lette
tutte (anche se in latino) sappiamo bene che padre Elia fu solo sessuofobo bigotto tutt’altro che
colto, roba da monachelle insomma.
L’almanacco di mons. Vincenzo Gallo ha poco
da almanaccare a gloria di padre salvo: essere invisi alla gerarchia
ecclesiastica si risolve in cocenti umiliazioni, irridenti misconoscimenti,
sardonici orpelli. Mi dico e in parte ricordo che padre Salvo talora veniva
dichiarato primo talora secondo nelle graduatorie del seminario vescovile di
Agrigento per profitto scolastico nelle passerelle del 7 marzo giorno di S.
Tommaso. Lo tallonava. Qualche volta lo superava, poi si appaiava padre Stefano
Pirrera l’altro intelligente ribelle della chiesa Agrigentina degli anni 50-80.
Gli altri compagni di ordinazione, mediocri o di minori livello anche se oggi
appaiono prediletti dei vescovi loro sovraordinati.
Ora diamo uno sguardo all’ultimo (anzi al
postumo) libro di padre Salvo “ Più luce …” E’ stato il suo grande amico ed
emulo padre Pirrera a volerlo, pochi mesi dopo la morte di padre Salvo. Vi si
coagula l’epifania occidua di un titanico sacerdote, di un tormentato
pensatore, di un poeta iracondo, e soprattutto di un grande eretico, perché
padre Salvo, sì, fu un eretico del solfifero altipiano come fra Diego La
Matina, secondo ovviamente la letteraria invenzione sciasciana, e non certo
come Sciascia che muore a 68 anni, con un fratello suicida – agghiacciante
analogia con Ovidio e Pasolini ed anche purtroppo con padre Salvo – così come
pressoché alla stessa età muore Padre Salvo (solo un anno in più). Fu eretico
perseguitato (come ora la chiesa sa fare, senza sangue, senza rogo, ma con
vituperosa aggressività morale). E neppure i suoi parenti capirono o seppero.
Fu eretico bandito dalle blandizie delle cariche e degli incarichi. Gli fu tolto
anche l’appiglio per un intimo compiacimento di immeritato martirio. La
crudeltà talare ha tocchi e rintocchi di
devastante perfidia. E si estingue con il male del secolo da cui credette per
certo tempo di essere guarito per speciale grazia della sua fida Madonna del M
onte: tragico autoinganno.
Corse allora composto alla morte, fidente ed
orante come esangue anacoreta di vetusto tempo.
Il vescovo ebbe apprezzamenti solo per tale
erioca disperata morte. Scriveva Sciascia: chi dice che la speranza è l’ultima
a morire? E’ la morte l’ultima speranza. Ma il presule non ebbe destro
d’accorgersene.
Di contro padre Salvo fu guglia gotica
svettante oltre le nubi, non guatabile dai poveri di spirito o dagli imbecilli,
li vuoi in veste tale (nera o rossa o in albis, che importa?)
Padre Salvo non potè vantarsi di un nutrito
novero d’amici. Ma di nemici potenti ( or di questo o di quell’altro colore,
ora in veste talare ora in clergyman
ora in tiara ed anche il semplice mozzetta), ed a dire il vero un po’ se
li andava a cercare. Eppure a qualche grande amico poté aggrapparsi come padre
Stefano Pirrera, l’emulo della giovinezza scolastica, il sostegno nel tempo del dolore, il difensore grintoso e
greve nell’ora tarda.
(leggere: prefazione di più luce, in memoria,)
Epitaffi sinceri, epitaffi d’occasione da
parte di amici, da parte di gente modesta e grata. L’epitaffio del vescovo
sorprende: gira al largo, timoroso e tiepido. Leggiamolo:
Troppo poco per noi, esimio arcivescovo:
forse Ella venendo da lontano anche se sempre dalla Sicilia, dalla diversa S.
Crore Camerina, non capì, certo non apprezzò, quanto geniale era l’irrisione di
padre Salvo, quanta inflessibilità etica c’era nella sua irriverenza, come
fosse sapiente padre Salvo, come fosse disumanamente schietto, perché alla fin
fine era un contadino di Racalmuto – intemerato – un genio incoercibile della
terra del sale e dello zolfo (ed era intelligente come Sciascia, più di
Sciascia). E lo dilaniava non un tenace concetto – che equivale ad ottusa
caparbietà – ma cultura e studio, intemperanza e cimento, voglia di vero
giammai barattabile per un successo magari librario, letterario, per un
accaparramento di pingui borse monetarie, ( e qui taciamo di mitre e baculi).
Non poté vendere diritti cinematografici, padre Salvo; non ebbe onori, non ebbe
affermazioni, non ebbe gloria: era tetragono nella sua inaccessibile torre
eburnea, e per l’amore della libertà, della sua libertà, abdicò al grumo delle
gioie dei mediocri.
Dissero di lui gli amici sinceri: (leggere tutto
p. Pirrera, tutto padre de Gregorio, qualche brano di p. Puma … )
Ci colpisce tra costoro ancora padre
Pirrera, il prete che noi riveriamo dal profondo del nostro umano e desolato
sentire, un prete alieno dai compromessi – anche da quelli che anche i preti
vorrebbero storici – un prete tetragono come il tetragono padre Salvo. E furono
i dioscuri del Novecento ecclesiale agrigentino; i due preti senza orpelli, i
due giganti che seppero essere colti anche se invisi, i due meritevoli
sacerdoti non degnati neppure (che ci importa se qualcuno vi rinunciò? Non era
peraltro troppo tardi?) di un canonicato minore. Non poterono andare neppure in
viola.
Padre Puma
non c’era: pare se ne stesse a fare da guida alla neo pinacoteca Pietro d’Asaro
(e dire che l’aveva un tempo tanto avversata). Quando un paio di giorni dopo
gli lessi il testo che spero abbiate scorso mi invitò ad oscurarlo. Al mio
diniego, ebbe accenti di rammarico profondo. “Non ho più ventiquattro anni, per
difendermi”, mi disse. Francamente non ho capito, e come vedete disobbedisco,
come ho sempre fatto con i potenti – grandi o piccini che fossero – ed in fin
dei conti mi son sempre divertito. E dire che sono in contraddizione con me
stesso. Non ripeto spesso e volentieri: “lascia che i morti seppelliscano i
morti”?
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