L’arciprete Lo Brutto fu in eccellenti rapporto col vescovo Rini: si
fece elevare a chiese “sacramentali” S.Anna, S. Michele Arcangelo, il Monte. In altra sede abbiamo
riportata la bolla di elevazione della chiesa di S. Anna in chiesa
“sacramentale”. Del tutto analoghe sono
le altre, come quella: Datis
Agrigenti die 17 Junii 1686 - fr. Franciscus Maria Episcopus Agrigentinus - Can
Lumia Ass. - Vincentius Calafato M.r notarius.
Del pari fece autorizzare l’istituzione della speciale
congregazione dei Filippini a Racalmuto, di cui parla il padre
Morreale, ed al presente oggetto di studio da parte del prof. Giuseppe Nalbone.
Costituisce la Comunia e ne ottenne la nomina di mansionari.
Contro la devastante peste del 1671 nulla poté fare il povero
arciprete racalmutese della fine del Seicento, se non
annotare in bella calligrafia la iattura capitata tra capo e collo; e fu iattura per tanti versi: da quello
economico a quello sociale; da quello dell’umano vivere a quello del decomporsi
morale e spirituale; per il clero con tanti fedeli in meno e quindi tante
primizie assottigliate, per l’arciprete stesso, il cui gregge veniva drasticamente
ridimensionato; per l’Universitas che non sapeva dove andare a racimolare le
onze occorrenti, essendosi rastremata la tassa del macinato per morte di un un
quarto della popolazione in un anno; per i suoi giurati che rispondevano dei
tributi alla Spagna con la clausola “solve et repete”; per il neo conte
Girolamo III Del Carretto, salassato dal re per il
tradimento del padre Giovanni V Del Carretto, dalla mala gestione
dei suoi antenati che non pagando i
debiti di “paragio” erano finiti sotto la mannaia delle condanne giudiziarie
del pagamento degli arretrati e della capitalizzazione degli interessi di mora
relativi; ed in più una sortita beffarda dell’uterina virago donna Aldonza del
Carretto e delle sue similissime sei sorelle, aveva
dato in pasto allo spietato convento di S. Rosalia di Palermo ([1]) l’intero
patrimonio dei conti di Racalmuto.
Girolamo III Del Carretto, esasperato, si rivale sui
ricchi preti di Racalmuto - su quelli poveri, che erano tanti, nulla
poteva: a sua chiamata finiscono sotto il torchio della giustizia palermitana:
contra ed
adversus Reverendos Sacerdotes
don Fabritium Signorino;
don Sanctum de Acquista;
don Joseph Casucci;
don Joannem Battistam Baera;
don Petrum Casucci;
don Calogerum Cavallaro;
don Franciscum de Agrò;
et don Michaelem Angelum Rao,
indebitos
possessores; [2]
Girolamo
III Del Carretto sembrò benevolo verso la locale Chiesa quando
fece venire i padri Benefratelli perché accudissero presso S. Giovanni di Dio
ai malati di Racalmuto e li dotò: ma a ben guardare si limitò ad
assegnare loro le vecchie rendite del vetusto ospedale racalmutese, la cui
memoria si perdeva nella notte dei tempi. Forse non si astenne dall’incamerare
alcuni lasciti che a suo avviso erano di dubbia origine.
Girolamo
III Del Carretto aveva contratto matrimonio con una Lanza di
Mussomeli, di cui parla il Sorge nel
suo studio su quella cittadina. Era una Lanza decrepita per anni che riesce a
partorire il figlio maschio Giuseppe, quello che premuore al padre, ed una
figlia femmina i cui discendenti dopo un secolo consentono ai Requisenz di impossessarsi
dell’esangue - ma litigiosa - contea di Racalmuto. Quella Lanza muore a
Racalmuto a 70 anni come dal seguente atto rinvenibile in Matrice:
10.4.1701
|
D.
MELCHIORRA
|
LANZA
|
UXOR
HIERONIMI
|
LANZA DEL CARRETTO
|
RINCIP.A
COMITISSA RACALMUTI
|
70
|
Viene
seppellita in “s.maria de
iesu in venerabili cap. ss. rosarii”: era
stata assistita nella sua ultima ora dall’arciprete d. Fabrizio Signorino.
Quanto
fosse addolorato l’ancor giovane marito non sappiamo: di certo, passò subito a
nuove nozze.
* * *
L’arciprete
Lo Brutto morì nel 1696 come da atto in Matrice:
5.2.1696
|
VINCENZO
|
S.T.Dr. SACERDOS DON
|
LO BRUTTO
|
ARCHIPRESBITER
|
69
|
MATRICE
|
.
|
FALLETTA PAOLINO CONF. PROB
|
DA OBLIG.
|
In calce ad un libro dei morti del tempo trovasi questa nota:
Victoria figlia di Giaijmo
LO BRUTTO e della quondam Melchiora,
entrò nel monastero di Santa Clara per monacharsi di questa terra di Racalmuto a
24 giugno 8.a Ind. 1685 in presenza dell'Ecc.mi Sig.ri d. Geronimo e Donna
Melchiora del CARRETTO conte e contessa di detta terra, dell'ecc.mo Prencipino
don Gioseppe et ill.mi donna Maria e donna Gioseppa figli di d.i sig.ri
eccell.mi - Dr don Vincenzo LO BRUTTO Archip. di detta terra.
A
questo si abbarbica un Savatteri del XIX secolo per vantare un’ascendenza
nobile ed esigere la proprietà del beneficio del Crocifisso. Ebbe però pane per
i suoi denti imbattendosi nel formidabile duo, don Calogero Matrona (che quel
beneficio volle ed ottenne) e l’agguerrito in utroque arciprete Tirone. La storia del beneficio è
lunga: inizia nei primi quarant’anni del ’Seicento e resta scandalosamente in
sospeso ancora oggi. Beneficio nato per ‘recupero crediti’ - si direbbe ora -
fu da vescovi compiacenti trasformato in appannaggio di un ragazzino della
potente famiglia Cavallaro, sotto condizione che divenisse e restasse prete.
Don Ignazio Cavallaro morì vecchissimo, a 84 anni, il 25 novembre 1874. Il
nipote Calogero Savatteri che lo teneva in casa voleva mantenere la cospicua
proprietà terriera, ma la curia l’aveva assegnata a don Calogero Matrona. Il
Savatteri vanta un diritto di successione affermando che i beni fondiari
nient’altro erano che una dote dei Del Carretto ad un’antenata che aveva vincoli di sangue con
quei nobili: ne sarebbero derivati anche titoli nobiliari che sarebbero
spettati a lui ed a sua moglie: donna Concetta Matrona (le omonimie si spiegano
con i tanti matrimoni tra cugini, anche di primo grado che la chiesa del tempo
non solo non osteggiava, ma incoraggiava; diversamente per i poveracci erano
sanzioni con umilianti atti pubblici di riparazione). Eugenio Napoleone Messana riecheggia nel suo libro queste amene vicende
nobiliari, nella benevola versione tramandata in famiglia da vecchissime zie.
L’arciprete Tirone, in memorie a stampa (deliziose) che si conservano in
Matrice rintuzza, da par suo, quella rappresentazione
dei fatti. La vertenza giudiziaria si risolve a favore del duo Tirone-Matrona.
Don Calogero Matrona può prendere possesso del Crocifisso. Deve però celebrare
tante messe per l’anima dei pii leganti. Vive sino all’11 gennaio 1902. Sul
letto di morte un terrore l’assale: quelle messe lui non le ha mai celebrate
ritenendo di potere fare una compensazione occulta con le pesanti spese
sostenute contro Savatteri-Matrona. Si confida con l’arc. Genco: lascia
cospicui legati come atto riparatore. L’arc. Genco interessa le autorità
ecclesiali. Sostiene che il lascito, andando in conto spese per la riparazione
della Matrice, ripara alla grave inadempienza del Matrona. Le autorità trovano
un compromesso: una metà alla Matrice e l’altra per la celebrazione di messe
per l’anima dei secenteschi benefattori.
Nella
varie bolle pontificie e vescovili, il beneficio del Crocifisso deve essere
volto al sostentamento di un coadiutore della Matrice. L’ignota origine - in
effetti si trattava di terre rientranti nei beni allodiali della Noce spettanti
ad un ramo cadetto dei del Carretto e dall’ultima erede di tale ramo rivenduti a
donna Maria Del Carretto, dopo il 1650 - era stata
bene strumentalizzata dall’arciprete Tirone per riavere dal governo le terre che nel
frattempo erano state vendute a profittatori delle leggi dell’eversione
garibaldina. Alla morte dell’arciprete Genco, quando sorse la controversia tra
il Casuccio ed il padre Farrauto, il Crocifisso fu assegnato a quest’ultimo a
ristoro del torto subito con la preferenza del vescovo per il primo nella
nomina ad arciprete. P. Farrauto ebbe anche il
contentino di una parrocchia creata dal nulla, tutta per lui: quella della
Madonna della Rocca, il 26 giugno 1923. Trasferito alla parrocchia del Carmelo,
gli fu consentito di conservare a titolo personale il beneficio. Quando diviene
parroco del Carmine don Giovanni Arrigo, il Crocifisso viene da
lui preteso e ne esige il mantenimento anche quando nuovo parroco del Carmine è
don Alfonso Puma. La gestione delle
appetibili terre della Noce avviene in modo ... arrighiano. Contadini amici vi
si insediano ed oggi nessuno ha più titolo per allontanarli. Già perché alla
morte di padre Arrigo, è la curia vescovile che ne rivendica la titolarità.
Come gestisca quegli ingenti beni immobiliari, chi scrive è e vuole mantenersi
all’oscuro.
DAL
SETTECENTO AI NOSTRI GIORNI
IL
SECOLO DEI LUMI
Premessa
Siamo
giunti al Settecento: il secolo dei lumi, quello tanto caro a Sciascia, quello
di Voltaire cui lo scrittore ammiccava persino quando intese stroncare il pio
p. Morreale che si era permesso di cercare la verità storica della venuta della
Madonna del Monte, quel secolo, dunque, passa per Racalmuto senza propri
eretici, con stravolgimenti tutti interni alla vicenda araldica dei successori
dei Del Carretto, con l’equivoco del terraggiolo, con vicende insomma tutte
minime, tutte paesane, tutte antieroiche, “non narrabili”, direbbe Amérigo
Castro.
Per
celebrare Sciascia alle prese col XVIII secolo, la omonima Fondazione invita
nel 1996 storici, letterati e cattedratici a Racalmuto. Veniamo a sapere da
Antonio Grado che la domanda del Caracciolo: «Come si può essere siciliani?»
può attanagliarsi allo Scrittore come «un’affermazione, un disincantato
epitaffio, che attraversa come un liet-motiv,
come una frase musicale ossessivamente reiterata nella partitura di un requiem, l’intera opera di Leonardo
Sciascia: dal Consiglio d’Egitto a Fatti diversi di storia letteraria e civile.
E proviene, quella domanda, o meglio quella sconsolata constatazione, dal
«secolo educatore», o meglio dal Settecento siciliano di Meli e Tempio, di
Gregorio e Cagliostro, di Vella e Di Blasi, di Matteo Lo Vecchio e del Marchese
di Villabianca: dunque, da un grumo di contraddizioni, di eresie e di raggiri,
di speranze accese da quei remoti «lumi» d’oltralpe, di sconfitte accumulate
nella buia stiva del disincanto.» [3]
Che
tutto ciò si attagli al tetro Leonardo, è pur plausibile, ma che riguardi la
storia del paese di Sciascia, ne dubitiamo fortemente. Più pianamente – e
significativamente – Orazio Cancila ci erudisce, dopo, [4]
«Il Settecento siciliano si apre con la notizia della morte a Madrid nel novembre
del 1700 di re Carlo II, causa di una lunga guerra di successione al trono
spagnolo che coinvolgeva la Sicilia ponendo fine alla plurisecolare dominazione
spagnola; e si chiude con la presenza a Palermo nel 1799 di re Ferdinando di
Borbone, fuggito da Napoli dove era stata proclamata la Repubblica Partenopea.
Cento anni nei quali la Sicilia cambiava ben quattro padroni.»
A
Racalmuto, la scansione degli eventi settecenteschi può essere così
schematizzata, in una sorte di quadro sinottico:
-
9 marzo 1710: muore Girolamo III del Carretto,
sopravvissuto al figlio, e suo unico erede, Giuseppe del Carretto, e così si
estingue la locale casata carrettesca;
-
3 settembre 1713: Die
3 7bris 1713 VII Ind.Vigilia Sanctae Rosaliae hora vigesima fuit affixum
interdictum generale locale in hac terra Racalmuti: l’interdetto – riflesso
racalmutese della sciasciana
controversia liparitana – ha tragici scoramenti sui locali, per non potere più
seppellire i propri morti nelle proprie chiese, che ben travalicano lo
smarrimento di quel cambio di padroni, dagli spagnoli ai Savoia, che gli
implicati nella politica dovettero provare, in quello stesso periodo;
-
1715: il regio
commissario generale d. Domenico Damiani e Scammacca della città di Randazzo,
in nome di S. Maestà, chiama a raccolta i notai di Racalmuto e chiede il
dettagliato resoconto di tutti gli atti pubblici del clero locale e dei beni
delle chiese: immaginabili il terrore e
lo sgomento dei tanti nostri preti e monaci;
-
10 luglio 1716: Brigida Scittini e Galletti, vedova di
Giuseppe del Carretto, si aggiudica, jure crediti, per diritto di credito
dotale, la contea di Racalmuto. Chissà se la notizia giunse in paese;
-
27 agosto 1719: sospiro di sollievo: «L’interditto fu imposto dall’Ill.mo e
Rev.mo Signor D. Francesco Remirens Arc. E Vesc. di Girgenti con il consenso
della S. Sede nella Chiesa Cathedrale di Girgenti e in tutta la Diocesi fu
sciolto la domenica di Agosto al dì 27 [1719] dell’ora vigesima seconda dal
rev.mo Sig. Dr. D. Giuseppe Garucci , Can. Teo. e Vic. Generale Apostolico con
l’Autorità della S. Sede.»;
-
1736: Panormi
die duodecimo mensis aprilis 14 ind. 1736 Fuit prestitum juramentum debitae
fidelitatis et vassallagij e pertanto servatis
servandis concedatur investitura ....
tituli Comitatus Racalmuti in personam ill.s D. Aloysij Gaetano ducis Vallis
Viridis. Don Luigi Gaetani - che
doveva pur rifarsi delle enormi spese sostenute in questa usurpazione feudale -
non si aspettava una situazione così deteriorata come quella rinvenuta. Cerca
innanzitutto di ripristinare il patto del 1580 sul terraggio. Si dichiara
“mosso da pietà per i suoi vassalli” ma le due salme di frumento per ogni salma
di terra coltivata le vuole tutte;
-
1738: in
quest’anno, sorge una controversia feudale su Racalmuto, con tutti i crismi (e con
tutti i costi). Il duca trova pretermessi anche i suoi diritti di terraggiolo
sui coltivatori racalmutesi dei feudi di Aquilìa e Cimicìa: gli abili
benedettini di San Martino delle Scale di Palermo erano risusciti a farsi
confezionare un decreto di esonero dal vescovo di Agrigento. Don Luigi Gaetani
è costretto ad adire le vie legali: premette che è stato già magnanimo
accontendandosi della metà di quanto
dovuto per terraggiolo (pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis
exegit). Non può pertanto tollerare che i benedettini usufruiscano di un falso
esonero, fallacemente accordato dal vescovo di Agrigento, il noto Ramirez, in
data 16 settembre del 1711;
-
1741: il 22 giugno 1741 i benedettini risultano
soccombenti, con compenso di spese, però;
-
1747: la contea di Racalmuto passa alla principessa di
Palagonia Maria Gioacchina Gaetani e Buglio;
-
7.1.1754; SCIASCIA
LEONARDO M.°, di m.° Giovanni ed
Anna Scibetta; sposa ALFANO INNOCENZA
di m.° Bartolomeo e Caterina olim fugati.
- Matrimoni 1751-1763 - 67 –
Nota: d. Albertus Avarello -- Cl. Mario Borsellino e Cl. Giuseppe Lipari,
testi; furono benedetti da d. Giuseppe Pirrera; gli atti della Matrice ci
ragguagliano su questo antenato di Leonardo Sciascia che va ben al di là del
«nonno di suo nonno» che lo Scrittore voleva come suo capostipite racalmutese,
oriundo, per giunta, da Bompensieri;
-
1755: nasce a
Racalmuto il Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802) -
-
1756: il 19 febbraio viene nominato arciprete di
Racalmuto d. Stefano Campanella: sarà colui che passerà alla microstoria locale
come l’arciprete che debellò il terraggio ed il terraggiolo;
-
1759: all’Itria viene fondata la Confraternita della Mastranza (26 luglio 1759);
-
1767: l’arciprete Campanella completa la costruzione
del «cappellone grande» della Matrice;
-
1771: i Requesens si appropriano di Racalmuto il 28
gennaio 1771. Girolamo III del Carretto aveva contratto matrimonio con una
Lanza di Mussomeli, di cui parla il Sorge nel suo studio su quella cittadina.
La Lanza – pur avanti negli anni - riesce a partorire il figlio maschio
Giuseppe, quello che premuore al padre, ed una figlia femmina i cui discendenti
dopo un secolo consentono ai Requesens di impossessarsi dell’ormai esausta contea di Racalmuto. Annota il San Martino de
Spucches: «Giuseppe Antonio REQUISENZ
di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771, della Terra,
Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza pronunziata a suo
favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per voto segreto,
contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già c.ssa di
Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu pubblicata, in
esecuzione degli ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno 1770 (Conserv.
Reg. Invest. 1172 [o 1772?], f. 143, retro).
[...] Detto P.pe Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino
Requisenz e Morso e di Giuseppa del
CARRETTO. Questa Dama fu infine figlia del Conte di Racalmuto GIROLAMO di
cui è parola di sopra al n. 4. E' da questa discendenza che i signori REQUISENZ
reclamarono ed ottennero i beni tutti ereditari della famiglia del CARRETTO;
-
1776: lo stesso arciprete continua nei lavori di
abbellimento della Matrice; dicono le cronache: «Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si fecero i due campanili
ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.»;
-
1782: «E' noto - abbiamo già scritto - un reperto di
grande interesse che fu trovato da tal Gaspare Vaccaro nel 1782: esso ci
attesta della organizzazione esattoriale delle decime agrarie a Racalmuto da
parte di Roma. Trattasi di una iscrizione latina pubblicata nel 1784 da
Gabriele Lancellotto Castello, principe di Torremuzza, nel suo "Siciliae et adiacentium insularum veterum
inscriptionum - nova collectio.."»;
-
1783: inizia la causa – intentata dal sac. Figliola
presso il Tribunale di Napoli – contro il «terraggiolo»;
-
1785: « Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri,
arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo
Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere
anticlericali. Nessuna ricerca storica,
da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico;
-
1785-1786 : ma è Giuseppe Tulumello ad affermarsi in
paese: nel 1785-86 egli figura tra i giurati dell’Università di Racalmuto,
insieme agli ottimati Lo Brutto, Scibetta, e Gambuto. Il sindaco è Antonino
Grillo. Il collettore risulta don Giuseppe Amella.
-
1786: il sac. Figliola
« … ottenne dal Re, che questa
terra di Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia
d’anni ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto e dolore
universale, nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco nel
convento della Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in Palermo.
14 luglio 1787 d’anni 38.»;
-
1787: D.
Stefano Campanella prosegue nella controversia antifeudale intentata dal
Figliola e così « … con altri primari del paese
incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di
Palermo e dopo quattro anni di
strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787.
“Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium
declaratur non deberi.”;
-
1791-92 : forte
dell’ascesa dello zio sacerdote don Nicolò Tulumello, don Giuseppe di quella
famiglia di gabelloti, fa il grande
salto nella scala dei valori sociali del luogo: ora il tesoriere comunale è
lui. A lui la borsa. L’apice del Comune può restare agli altisonanti “magnifico
rationale Impellizzieri Santo”, al “magnifico Baldassare Grillo”, al “magnifico
Salvatore Lo Brutto”, a “Francesco Amella”, a “Paolo Baeri e Belmonte” - che
sono sindaco e giurati -, ma è lui che tiene i cordoni della borsa e così,
improvvisamente, i fogli ufficiali della Curia panormitana lo designano con il
nobilitante appellativo di “don”. Finalmente! Ancora non barone come il nipote
Giuseppe Saverio, ma il primo tassello, quello più difficile, è tutto nel
carniere di famiglia;
-
1793: la vecchia. Gloriosa chiesa di S. Rosalia viene
smantellata; era riuscita a resistere sino
al 3 giugno 1793 quando viene ceduta al
sac. Salvadore Grillo che ha intenzione di farne una stalla: fu
barattata dal can. Mantione in cambio di
un altare con statua alla Matrice;
-
1796: il feudo di Gibellini viene venduto con rogito
del «Not. Salvatore SCIBONA di Palermo li
22 luglio 1796 a D. Giovanni SCIMONELLI, pro persona nominanda annue onze 157,
tarì 14, grana 3 e piccioli 5 di censi sopra salme 57, tumoli 11 e mondelli 2
di terre, dovute sul feudo di Gibellini; e ciò per il prezzo in capitale di
onze 3500 pari a lire 44.625. Il detto Scimoncelli dichiarò agli atti di Notar
Giuseppe ABBATE di Palermo che il vero compratore fu il Sac. D. Nicolò
TOLUMELLO. Per speciale grazia accordata dal Re a 29 aprile 1809 fu confermato
lo smembramento di dette onze 157 e rotte dal feudo di GIBELLINI già effettuate
senza permesso Reale (Conservatoria, libro Mercedes 1806-1808, n. 3 foglio 77)».
Passeranno 13 anni prima che emerga la persona nominanda. Eccola: «D.
Giuseppe Saverio TOLUMELLO» che «
s'investì a 7 giugno 1809 per refuta e donazione a suo favore fatte dal Sac. D.
Nicolò sudetto agli atti di Notar Gabriele Cavallaro di Ragalmuto li 22 aprile
1809 (Conservatoria, libro Investiture 1809 in poi, foglio 40). Questo titolo
non esce nell'«Elenco ufficiale diffinitivo delle famiglie nobili e titolate di
Sicilia» del 1902. L'interessato non ha curato farsi iscrivere e riconoscere.»;
-
1799: Il secolo dei lumi si chiude tristemente per
Racalmuto: necessita il paese dei vessatori mutui della locale Comunia della
Matrice – cui con sussiego accondiscende il famigerato vescovo Ramirez – onde i
preposti all’Annona racalmutese possano riuscire ad approvvigionarsi delle più
urgenti vettovaglie. Ecco il diploma vescovile del 23 febbraio 1799: «XAVERIUS
Rever. Archipresbitero et deputatis ...terrae Racalmuti, Salutem. Ci
rappresentano codesti Giurati, Proconservatori, e Sindaco le gravi pressanti
urgenze, che si sperimentano in codesta Popolazione, a segno che si teme molto
della furia della Popolo perché pressato dalla fame, e dalla miseria. Onde sono
in penziero di occorrere quanto si può con mutui, eccedono, e chiedono che per
conto di Codesta matrice Chiesa vi sia nella Cassa una certa somma, che la
reputano sufficiente ad impiegarla nelle presenti istanze, bastevole a
soccorrere la indigenza comune. Noi dunque avendo in considerazione
l'espressati sentimenti del Magistrato, e volendo per quanto ci sarà permesso
anche aiutare codesto Publico, venghiamo colle presenti ad eccitare la vostra
carità , il vostro zelo ed il vostro patrimonio acché concorriate per quanto si
può a sollevarlo nelle urgenti angustie e miserie. Essendovi dunque nella Cassa
la indicata somma, qualora si appronta una sufficiente bastevole fideiussione
di restituirla nell’imminente Agosto e riposta in Cassa, potrete apprestarla a
beneficio comune per distribuirsi in mutuo secondo le intenzioni del
Magistrato. Nostro Signore vi assista. Datum Agrigenti die 23 februarii 1799. =
Canonicus Thesaurarius Caracciolo Vicarius Generalis = Canonicus Trapani
Cancell». [5]
-
Il Settecento a Racalmuto sorge con le diatribe tra
padre e figlio degli ultimi del Carretto; cessata quella casata più o meno
dannosa per il paese agrigentino, subentrano altre diatribe feudali che
schiariranno l’opaco svolgersi della vicenda umana dei nostri antenati in quel
torno di tempo, tutto sommato sino al 1787; dopo i tempi sono tutt’altro che
felici: i rampanti gabelloti sono peggiori dei loro nobili dante-causa ed in mano di questi emergenti borghesi (i Tulumello in
testa, ma anche i Grillo, gli Amella, i Matrona, i Farrauto) la sorte del
contado è sempre quella: triste e subalterna. A fine secolo, si verifica
addirittura un fenomeno che, nella ferace terra del grano, non si era mai registrato:
la fame. Vendono impegnati gli iogalia
delle chiese per il panizzo quotidiano.
DOPO
I DEL CARRETTO
Il seguito della storia dei del
Carretto di Racalmuto mostra ombre ancora non del tutto dissolte. Noi
disponiamo del testo di una procura rilasciata da don Luigi Gaetano per
l’occorrente investitura della contea di Racalmuto; vi è riepilogata la
faccenda della singolare acquisizione feudale: uno strano ed antigiuridico
passaggio dai del Carretto ai Gaetano attraverso la popolaresca intermediazione
di una tale Macaluso. L’evento poté verificarsi per il trambusto di quel
periodo con quell’alternarsi dei Savoia e degli austriaci in Sicilia fino alla
venuta dei Borboni.
E
in un atto del 6 marzo del 1736 si raccontano le peripezie della vedova di don
Giuseppe del Carretto, donna Brigida Schettini, alle prese con la curia nel
tentativo di rinviare gli esborsi per l’investitura della contea di Racalmuto,
cadutale addosso dopo la morte del suocero don Girolamo del Carretto.
[1]) Se
non vuol credere a noi, il lettore (eventuale) vada a dilettarsi nella lettura
del greve e grave documento del fondo Palagonia del 1645 che esordisce: «Jesus
Maria Rosalia
Die decimo
octobris decimae quartae indictionis millesimo sexcentesimo quatragesimo
quinto.
Cum sit quod
inter ill.mum Joannem del Carretto comitem Ragalmuti et principem de XXlijs ex una U.J.d. Joseph Bonafante uti procuratorem generalem et protectorem
Venerabilis Monasterij Sanctae Rosaliae h. c. per acta not. Joannis Antonij Chiarella Panormi fuerit et sit
factus et stipulatus contractus tenoris sequentis videlicet:
Die decimo quinto mensis Julij XJ ind. 1643. Quia
per ill.m d. Didacum de Uzeda consultorem E.S. fuit facta provisio in dorso
memorialis d. Joseph Bonafante Protectoris et Procuratoris generalis
venerabilis monasterij sanctae Rosaliae h.c. nominibus pro ut in scripturis et
omni alio meliori nomine et modo tenoris
sequentis, videlicet:
Die
quinto maj XJ ind. 1643. Stante ista communicatione E.S. cogantur ill.s Comes
Regalmuti solvere infra mensem .....
[2] ) E
prosegue in latino:
cuiusdam clusae cum terris scapulis, vineis,
arboribus, palmento et alijs in ea existentibus, sitae et positae in pheudo
Racalmuti et in contrata nominata di Bovo, confinantis cum vinea ditti rev.di
sacerdotis don Petri Casucci, cum vinea Honuphrij Garlisi et cum clusa
Francisci La Matina, alias Inbuccaquagli et alios
confines, nulliter possessae per dictum Rev.dum Sacerdotem d.
Fabritium Signorino.
Item cuiusdam clusae cum vineis existentis in
dicto pheudo Racalmuti et in contrada nominata di Pinnavaira, confinantis cum
clusa et vineis Bartholomei de Acquista
et cum clusa Petri Mulè alias Paruzzo et cum clusa Joseph Mantione, nulliter
possessae per dictum don Sanctum de Acquista.
Item alterius clusae cum terris scapulis
exstentis in dicto pheudo Racalmuti et in contrata nominata di Bovo, confinantis
cum clusa Joseph Torretta, cum vineis Stephani Bruno et cum clusa Augustini de
Beneditti, nulliter possessae per dictum reverendum sacerdotem d. Joseph
Casucci.
Alterius clusae cum terris scapulis cum
vineis, arboribus et alijs exstentis in dicto pheudo Racalmuti et in contrata
nominata di Bovo seu Montagna confinantis ex una parte cum vineis et terris
ditti de Signorino, cum clusa noatarij Francisci de Puma et cum clusa don Antonini Bartholotta, nec non
cuiusdam vineae cum terris scapulis exstentis in dicto pheudo Racalmuti et in
contrata nominata della Fontana della Fico confinantis cum vineis quondam
Antonini Vassallo, cum vineis Isidori Lauricella Erarij et cum vineis Pauli
Bucculeri alias Gialì, indebité
possessarum per dictum Sacerdotem don Petrum Casucci.
Item alterius clusae cum vineis, palmento et
alijs existentis in dicto pheudo Racalmuti, in contrata nominata della Rina seu
Scavo Morto, confinantis cum clusa magistri Stephani Pino, cum clusa Joseph
Nalbone et cum vinea Antonini Pagano;
item alterius clusae exstentis in dicto pheudo
Racalmuti in contrata Fontanae Fici, confinantis cum vinea Sancti La Matina, cum loco U.J. doctoris don
Antonini Bisacci et cum terris Pasqualis de Agrò;
item alterius clusae cum vineis intus
exstentis in dicto pheudo Racalmuti in contrata nominata della Difisa,
confinantis cum clusa Joseph Alaymo, alias Rovetto, et cum vinea Vincentij
Petrozzella et cum vallone nominato della Difisa;
item alterius vineae cum palmento exstentis in
ditto pheudo Racalmuti in contrata nominata di Jacuzzo, confinantis cum vinea
Alberti Avarello, alias Nigro, et cum terris dicti rev.di sacerdotis don
Michaelis Angeli Rao et cum terris Francisci de Piazza;
item unius clusae exstentis in dicto pheudo
Racalmuti in contrata nominata di Zimmulù confinantis cum terris don Antonini
de Amico et cum
terris Petri Pagano, alias Pernice, et cum via publica;
item alterius clusae existentis in dicto
pheudo Racalmuti in contrata nominata del Caliato, confinantis cum clusa don
Francisci Curti, cum clusa Vincentij de Marsala et cum vinea Societatis
Anumarum Sancti Purghatorij;
item salmarum duarum terrarum exstentium in
dicti pheudo Racalmuti in contrata nominata del Serrore cum suis stantijs,
confinantium cum Salvatore Petruzzella, Barholomeo de Acquista et Francisco
Mulè;
item alterius clusae cum suis arboribus
exstentis in dicti pheudo Racalmuti in contrata nominata di Pietravella,
confinantis cum heredibus magistri Sebastiani Savatteri, cum Deco Bucculeri
alias Campanella, cum Petro [126] La Licata Jacobi;
item unius vineae consistentis in miliarijs
duabus et dimidio exstentis in ditto pheudo Racalmuti et il contrata della
Rina, confinantis cum Nicolao Busuito, cum Josepho Bucculeri alias Campanella,
quae est cum via publica;
item binorum viridariorum nominatorum Sancti
Gregorij exsistentium in ditto pheudo Racalmuti, secus terram confinantium, scilicet
unius cum Francisco et Joanne La Nuoara et Ignatio de Falco et alterius cum
vinea don Pauli Rizzo et cum
vinea magistri Alexandri Picone et cum via publica nulliter possessorum
per dittum rev.dum sacerdotem d. Joannem Battistam Baera.
Item cuiusdam clusae cum flumaria exstentis in
ditto pheudo Racalmuti in contrata dello Saracino seu Molino dell’Arco, confinantis cum terris
Joannis Curto alias Cirame et cum terris et flumaria Michaelis Angeli
Lauricella et cum molino noncupato di Immenzo;
item alterius clusae exstentis in ditto pheudo
Racalmuti in ditta contrata dello Saracino confinantis cum clusa Gasparis Barone et cum
clusa Hieronymi Cinquemani et cum clusa sororis Annae à Panormo;
item alterius clusae existentis in ditto
pheudo et in ditta contrata di Bovo confinantis cum clusa Antonini Bartholotta
et cum clusa heredum quondam Dominici Curto et cum via publica;
item unius vineae cum arboribus exstentis in
ditto pheudo Racalmuti ex parte ut dicitur delli Piamontisi, confinantis cum
vinea Philippi Costa, cum vinea Sancti la Matina alias Calello et cum via
publica nulliter possessorum per dictum reverendum sacerdotem
don Calogerum Cavallaro.
Item clusae existentis in ditto pheudo
Racalmuti, in contrata nominata di Bovo confinantis cum clusa Annae de Agrò et
cum vinea Pasqualis de Agrò;
item alterius vineae cum palmento intus
existentis in ditta contrata nominata di Bovo, confinantis cum vinea ditti
Pasqualis de Agrò et cum vinea don Petri de Agrò;
item alterius vineae cum terris scapulis
exstentis in ditto pheudo et in contrata [127] nominata delli Menziarati
confinante cum clusa Vincentij Gulpi et cum terris Raphaelis Monreale et cum terris
Pauli de Falco nulliter possessarum per dictum rev.dum don Franciscum
de Agrò.
Item alterius clusae cum terris scapulis
exstentis in ditto pheudo Racalmuti et in contrata nominata di Culmitelli
confinantis cum terris Hieronymi Lo Brutto, cum Terris Joseph Mulé alias
Paruzzo, et cum vineis Nimphae Baera;
item alterius clusae cum vineis arboribus et
alijs in ea existentibus sitae et positae in dicto pheudo Racalmuti et in
contrata nominata di Jacuzzo, confinantis cum vinea Calogeri de Alaymo, alias
Xiortino, cum vineis Angeli Pecuraro et cum vinea magistri Antonini Valenti;
item alterius vineae cum palmento, baleo,
arboribus et alijs in ea existentibus sitae et positae in ditto pheudo
Racalmuti et in contrata predicta di Jacuzzo, confinantis cum vinea ditti
rev.di sacerdotis don Joannis Battistae Baera, via publica et alijs confinibus;
item cuiusdam tenutae terrarum cum vinea
exstentis in ditto pheudo Racalmuti et in ditta contrata di Jacuzzo,
confinantis cum vinea Marci de Alaymo et cum vinea Didaci de Alaymo nulliter
et indebité possessarum per dictum Michaelem Angelum Rao.
[3] )
AA.VV., Leonardo Sciascia ed il
Settecento in Sicilia, Caltanissetta 1998, p. 5.
[4] ) ibidem, p. 9.
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