[SESTO ARTICOLETTO]
LA CONQUISTA ROMANA
di Calogero
Taverna
Attorno al 282 a.C. si affaccia
sul proscenio della storia un tiranno agrigentino di un qualche rilievo:
Finzia. Fu lui a radere al suolo Gela e a trasportarne la popolazione
nell'attuale Licata: in questa località il tiranno costruì una città in puro
stile greco, cinta di mura e dotata di agorà
e di templi. Racalmuto dovette essere terra subalterna a Finzia e dovette
contribuire quindi al sostegno finanziario delle mire egemoniche del tiranno
agrigentino. Fu però vicenda storica di
breve respiro. Sparisce ben presto Finzia e Akragas, ritornata debole e
faccendiera, non sa ostacolare l'egemonia di Siracusa.
Nel 280 a. C. Siracusa sconfigge
Akragas. Cartagine, vigile ed interessata, arma un imponente corpo di
spedizione che presto raggiunge le porte di Siracusa. Akragas ed il suo territorio - ivi compreso Racalmuto - si estraniano, come
sempre, dalla lotta armata ed assistono piuttosto indifferenti all'intrusione
di Pirro, quel re dei molossi, passato alla storia per le sue risibili
vittorie.
Akragas e Racalmuto, quale sua
pertinenza, rientrano nella zona di influenza di Cartagine e vi restano per quasi un ventennio fino a
quando la Sicilia fenicia entra inspiegabilmente nelle grinfie espansionistiche
della repubblica romana. Ancor oggi gli storici non riescono a spiegarsi perché
i romani armarono uomini e navi contro i cartaginesi di Sicilia.
Nel 264 a.C. scoppia la prima
guerra punica e la vicenda siciliana si avvia melanconicamente a divenire
un'oscura appendice della lontana e suprema Roma. Per la Sicilia si creano le
premesse per l'infame detto ciceroniano:
«prima docuit maiores nostros quam
praeclarum esset exteris gentibus imperare». Già, la Sicilia ebbe l'ingrato
compito di far gustare per prima ai Romani quanto fosse bello soggiogare popoli
stranieri. A distanza di un secolo e mezzo, Sicilia, Akragas (e ancor più
Racalmuto): tutto ciò era per i romani - anche se, come Cicerone, erano
chiamati a difesa dei conculcati diritti da un tremendo Verre - nient'altro che
«extera gens» [straniera gentucola]
da dominare e da proteggere solo perché «ornamentum
imperi».
Roma conquistò Akragas nel 261 e
fu una crudelissima vicenda bellica romana: dopo un assedio di sei mesi, le
bestiali furie dei romani si sfogarono ignominiosamente sui poveri cittadini
agrigentini. Né beni, né donne e neppure gli stessi uomini furono
risparmiati: 25.000 dei suoi abitanti
furono venduti come schiavi.
Sette anni dopo, sono i
cartaginesi a rimpadronirsi della città, dopo avere distrutto la flotta romana
che ritornava dall'Africa. A farne le spese è ancora una volta la città di
Akragas: i cartaginesi bruciano ogni cosa, abitazioni e mura.
Riteniamo che la terra di
Racalmuto dovette essere alquanto decentrata per subire direttamente le
atrocità di quella guerra punica. Ma i riflessi dovettero esserci, dolorosi e
devastanti. Lutti fra i parenti che si erano stanziati nella vicina polis; distruzione di beni; spoliazioni,
rapine, banditismo, vandalismi ed altro infestarono le campagne racalmutesi,
con più che probabile ferocia e con sgomento degli sparuti abitanti locali.
Le antiche fonti nulla ci dicono
sui successivi due decenni: verso lo spirare del secolo, Akragas e la vicina Eraclea Minoa appaiono saldamente in mano dei cartaginesi.
Tra il 214 e il 211 a.C. un massiccio movimento di uomini armati - si parla di
40.000 militari tra i quali 6.000 cavalieri - su 200 navi parte da Cartagine
per raggiungere la Sicilia. Punto di approdo è Akragas: sulle colture
raculmutesi si abbatte il gravame di apporti alimentari a quegli eserciti tutto
sommato stranieri. Nel 212 a. C. tocca a Siracusa cadere nelle mani dei romani
ed il grande Archimede finisce ucciso per mano militare. Per i cartaginesi, nel
grande scontro con i romani, le sorti belliche volgono al peggio: i fenici
ripiegano su Agrigento, ultimo baluardo delle loro difese. Mercenari numidi
consumano l'ennesimo tradimento. Akragas cade ancora una volta in mano dei
romani; ancora una volta popolazione e beni diventano bottino di guerra per una
vendita sui mercati del mondo e la triste sorte di cittadini akragantini,
finiti schiavi da alienare, ha il suo
ricorso storico, sempre a vantaggio dei conquistatori di Roma. Levino a Roma fa il suo trionfale rapporto. Per Racalmuto
inizia l'epoca di agro ferace per le distribuzioni di grano nella lontanissima
Roma.
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