« [
...]
« [ ...] Il problema da risolvere non è già
di trovare dei grandi insustriali disposti a governare la cosa pubblica con la
mentalità industriale. Essi non potranno fare che del male. Saranno degli
straordinari improvvisatori. Chi può immaginare quali stravaganze è capace di
compiere un giovane audace e fidente in sé, un uomo d’azione, un industriale
abituato a decidersi rapidamente da solo, quando si troverà dinanzi a problemi
complessi e terribili come il disavanzo, le imposte, il cambio, il latifondo,
la giustizia? L’impulso primo che viene dagli audaci è di tagliare i nodi
gordiani, di mandare a spasso il giudice che non decide un processo in
ventiquattro ore, di ordinare ai direttori delle banche di emissione di far
scendere il cambio del dollaro a 10 lire e così via. [...]
«La verità è che la capacità e la pratica di
governo non sono innate e non si acquistano facendo grandi cose negli altri
campi dell’attività umana. Orator fit;
così l’uomo di governo si fa governando gli uomini, discutendo con gli
avversar, cercando di convincerli del loro errore e rimanendo anche persuaso
dagli avversari della necessità di mutare parzialmente la propria strada. [...]
«Insistiamo oggi su queste considerazioni
fondamentali perché le vicende di questi giorni hanno avuto per effetto, come
si diceva in principio, di render popolare presso una parte del pubblico l’idea
di forme più o meno larvate di governo autocratico, e da molte parti si è
parlato di spedizioni fasciste su Roma per prendere possesso del potere, di
colpi di stato, di dittature o di direttori nazionali, e via dicendo. Lo stesso
direttorio del partito fascista si è affrettato a smentire una parte di queste
chiacchiere, il che non impedirà che certe fantasie continuino a correre
basandosi sui «si dice» immancabili nei momenti agitati come questo, e sulla
riserva fatta dall’on. Mussolini durante l’ultimo discorso alla camera circa la
scelta che il partito fascista si riservava di fare fra la legalità e
l’insurrezione.
«Ora noi non vogliamo ammattere neppure per
un momento che le voci correnti possano corrispondere a reali propositi e che
propositi di tal genere possano trovare il consenso di coloro che hanno la
responsabilità del movimento fascista.
«Oggi i fascisti hanno ragione di credersi
sorretti dalla pubblica opinione; hanno probabilmente ragione di credere che la
loro rappresentanza parlamentare è assai inferiore al consenso che essi
riscuotono nel paese. Appunto per ciò essi non hanno nessun interesse ad
imporre agli altri le loro opinioni con l’ordine secco e perentorio, con la
facile arma della dittatura. Attraverso alla discusssione ed alle vie legali
essi possono ottenere tutto. Un parlamento di neutralisti diede durante la
guerra il voto a Salandra ed a gabinetti di guerra, perché esso sentiva che
l’opinione pubblica era per la guerra. Domani, il parlamento attuale darà il
proprio voto ad un gabinetto in cui entri come uomo rappresentativo il leader
del fascismo ed in cui qualche altro fascista sia a capo di dicasteri
importanti ed il fascismo impronti di se stesso e dei suoi ideali l’azione
intiera del governo. Il paese è ora favorevole ai fascisti perché essi hanno
dato il colpo decisivo che lo ha salvato dalla follia e dalla tirannia
bolscevica. Ed è pronto a consentire ad essi per le vie legali l’ascesa al
potere quando essi dimostrino di essere atti ad esercitarlo. Sinora sappiamo
che essi hanno fervore d’azione, che essi amano intensamente la nazione, che
essi la vogliono salva dalle malattie distruttive; che essi vogliono ridare a
tutti i cittadini la libertà di vivere e di agire e di pensare, fuori della
mortificante cappa di piombo della tirannia socialista. Per quanto essi hanno
fatto per ridare tonalità al paese, per trarlofuori dal brutto materialismo
ventraiolo denigratore della guerra combattuta, della vittoria ottenuta, dei
valori spirituali della nostra stirpe, tutti siamo loro grati.
«Ora si aprono ad essi le porte del potere,
le vie dell’azione immediata e diretta. Non più lotta per vincere, ma
traduzione in atto dei principii per cui si è vinto. Due vie si aprono a loro
dinanzi: quella rapida della dittatura, via brillante, senza avversari costretti
alla fuga, senza critiche dei giornali, soggetti a censura, con uomini fidi di
governo, dotati di poteri illimitati; e quella noiosa, fastidiosa, minuta della
legalità costituzionale, dinanzi ad un parlamento di scettici e di ambiziosi,
attraverso le lungaggini della procedura parlamentare, e sotto al maligno
vaglio di giornali avversari ed infidi.
«Ma la prima via, così attraente e
promettente, conduce fatalmente alla tirannia ed alla rovina del paese. Con un
re devolto al suo giuramento di fedeltà alla costituzione come è Vittorio
Emanuele III, essa vuol dire proclamazione della Repubblica; vuol dire l’inizio
di un periodo convulsionario di sperimenti politici, di contrasto fra le varie
tendenze aristocratiche e demagogiche a cui una nuova costituzione repubblicana
potrà essere informata; vuol dire necessità di giustificare ‘razionalmente’ i
nuovi sistemi costituzionali; vuol dire oscillare tra un governo di generali,
un consiglio dei dieci aristocratico od un consiglio di commissari socialisti.
A che scopo, quando non si vedono i generali ed i geni capaci di governare
dittatorialmente e quando i nostri comunisti sono goffe imitazioni di quei
Lenin che, nonostante il loro fanatismo, trassero la Russia alla morte?
«Quanto più gloriosa e feconda, agli occhi degli
uomini amanti del paese, è la seconda viadel rispetto alla costituzioneed alla
legalità! La costituzione e la monarchia valgono non per sé, ma come
incarnazione di tre quarti di secolo di vita nazionale e di un millennio di
sforzi verso l’egemonia e la formazione di uno stato unitario nella penisola
italiana. In quest’ora decisiva, tutti coloro i quali attribuiscono un pregio
ai valori spirituali, alla tradizione, alla continuità della storia nazionale,
tutti coloro i quali sentono che in politica le creazioni nuove non hanno
probabilità di vita, ma che ogni più audace novità può essere innestata nel
vecchio tronco e suggere dalla linfa di questo una vita assai più vigorosa e
lunga di quanta possa derivare dall’improvvisazione di dittature incapaci, devono
contrastare l’avvento della dittatura! [..]»
Einaudi raggiunse quei livelli di «gratitudine» alle lotte politiche dei
fascisti - se essa fu sincera e non strumentale al suo regionamento - molto
tardi, alla vigilia della “marcia su Roma”. Prima aveva sottovalutato il
fenomeno fascista. In quel biennio, rarissimamente aveva accennato al fascismo
sulle colonne del Corriere della Sera. Il 14 gennaio 1922, polemizzando con i
socialisti, aveva accordato loro «causa vinta»
«contro ai casi singoli di violazione dei diritti degli operai,
verificatisi sporadicamente ad opera di qualche nucleo fascista.» A parte il
lungo articolo citato, sembra - a scorrere le cronache einaudiane di quel torno
di tempo - che non esista una questione fascista. L’articolo «per lo stato» del 4 novembre 1922 (op.cit.
pag. 926 e segg.), con tutta la sua dose di supponenza, con il suo tono
arrogantemente monitorio, sbuca fuori inopinato, arcano, inspegabile che non si
sapesse aliunde della capitolazione
del re di fronte agli ultimatum di
Mussolini del 28 ottobre. ([31]).
Ottusità della pur colta alta borghesia o miopia politica di un economista?
Sottovalutazione di un fenomeno di massa o marginalità effettiva della realtà
politica del partito fascista, prima della scelta di Vittorio Emanuele III,
improvvisa e sollecitata da gruppi di pressione (borghesia agraria, corpi
militari dello stato, etc.)? Domande cui non è dato qui dare ponderate
risposte, se non altro per economia di lavoro. Un approccio alla storia del
fascismo di tal fatta non pare, però, che sinora sia stato mai tentata. Quel
che anoi preme qui rimarcare è che se ad un osservatore del calibro di Einaudi
sfuggiva l’importanza del fascismo ante-marcia,
ben speigabile è che - come avverte Nolte - nelle plaghe sperdute di Sicilia (e
noi appuntiamo il nostro osservatorio su quelle di Racalmuto) non venisse
neppure percepita.
Attorno al 1922, a Racalmuto premeva in sommo grado la questione della
crisi finanziaria del settore zolfifero.
Nel settembre del 1922 una
commissione degli esercenti le miniere di zolfo della Sicilia si era
recata a Roma per premere al fine di ottenere un decreto-legge autorizzante
l’emissione di obbligazioni per 120 milioni di lire garantite dallo stato.
Vagava tra la camera ed il senato un disegno di legge in tal senso. A dire il
vero la camera l’aveva approvato, ma il senato ancora no, per via della crisi
ministeriale. Si cercava, con il decreto-legge, di ovviare al pericolo che la
legge naufragasse in quel bailamme parlamentare. Pronubo il sottosegretario Lo
Piano.
La crisi zolfifera era allo stremo. La concorrenza degli Stati Uniti era
stata micidiale. Solo che con la guerra, si era estratto zolfo a prezzi
politici. Si era costituito il «consorzio obbligatorio per l’industria zolfifera siciliana» al quale il produttore
era obbligato di consegnare il minerale
estratto. Il consorzio, aveva accumulato uno stock di zolfo invenduto. Al 30
aprile del 1922 erano giacenti nei magazzini consortili 270.000 tonnellate di
zolfo. Su tale quantitativo le banche avevano anticipato 85 milioni di lire e
si rifiutavano di accordare altre anticipazioni sullo zolfo che frattanto si
era continuato a produrre. Si profilava un blocco nella produzione dello zolfo.
Gli industriali chiedavo di togliere - con l’emissione obbligazionaria - di
togliere lo stock dalla circolazione e di rendere quindi possibile la immediata
vendita della nuova produzione. ([32])
Einaudi era sferzante ed irriducibile: «Chi ha stock da vendere, -
rintuzzava (pag. 887) - si arrangi. Può
darsi che il modo migliore di arrangiarsi sia di accantonare lo stock, facendo
un’operazione con istituti bancari, nella speranza di poterlo vendere in tempi
migliori. E’ accaduto parecchie volte che l’operazione è riuscita bene.
Riuscirà tanto meglio, quanto meno lo stato ci ficcherà dentro il naso. [...]
Ma - si obietta - il consorzio fu creato
dallo stato; i prezzi li fissa il consorzio, col consenso del governo. Quindi
il governo o mantenga le sue promesse o sciolga il consorzio. Parliamoci
chiaro. A chi vuol dare ad intendere l’ing. Raverta questa solennissima bubbola
che il governo osi sciogliere di sua iniziativa il consorzio solfifero? Il
consorzio rimarrà finché lo vogliono deputati, rappresentanze, industriali
solfatai siciliani. Essi lo hanno creato ed essi lo vogliono. Il resto d’Italia
non ci ha messo bocca e non osa metterci
bocca, per timore di far cosa spiacevole ai siciliani. E’ uno di quei casi di
leggi, in cui deputati e senatori delle altre regioni hanno ritegno di parlare,
temendo, se parlano contro, di suscitare delicate recriminazioni regionali.
Tutta la responsabilità del cosiddetto ‘governo’ è qui: nel non avere osato, se
aveva un’opinione contraria al consorzio, di farla valere per timore di dire o
di fare cosa spiacevole ai siciliani. Se ora questi si persuadono, e sarebbe
tempo, che il consorzio è stato un errore, che la sua esistenza nuoce alla
Sicilia, ed è una minaccia all’industria solfifera, lo dicano chiaro e netto; e
lo dicano tutti. Troveranno governo e parlamento disposti a mandare a carte quarantotto
un esperimento tollerato solo per reverenza al volere che sembrava unanime di
quella grande e patriottica e nobile regione.»
Quel numero del Corriere della
Sera sarà arrivato a Racalmuto e letto dagli interessati. Einaudi era anche
senatore. Sarà stato considerato alla stregua del nostro Bossi. Negli ambienti
degli esercenti sarà corso un brivido; forse una fibrillazione. Intanto saliva
al potere quel Mussolini di cui si era appena sentito dire. A lui si guardò
certo con acuto interesse in quel di Racalmuto, più in speranzosa attesa che
con timore politico. Il «liberismo» di Einaudi non era proprio un’appetibile
scelta politica!
Lo storico locale E.N. Messana (op. cit. pag. 358) retrodata sentimenti
antifascisti del dopoguerra con evidente falsificazione della realtà, quando
storicizza le sue personali fantasie sul tiennio racalmutese 1919-1922. «A
Milano intanto, - annota - nel marzo dello stesso anno [1919], fu fondato il
fascio di combattimento. La borghesia e specialmente i capitalisti presero
respiro di quella forza antirivoluzionaria e violenta che subito cominciò a
bravacciare nelle città e nei comuni. A Racalmuto, il partito nazionalista, di
già menzionato, aveva accampato le pretese di rappresentare la conservazione
contro la evoluzione affiorante, sebbene con metodi inesperti e puerili. Le
notizie dei fasci e dello squadrismo si raccontavano al circolo Unione ed al
circolo degli Amici. Qualche do’
esultava a quelle nuove e non nascondeva il desiderio che anche a Racalmuto
venissero i prodi in camicia nera a bastonare gli zolfatai e i contadini.» Ma
la questione - come vedremo in seguito - era ben altra, più complessa e più gravida di conseguenze sociali.
Il biennio 1923-1924 è denso di avventimenti che sicuramente moficano lo
scenario nazionale: è però erroneo ritenere che si apra una parentesi destinata
a chiursi a conclusione della guerra, adottando il criterio interpretativo del
Croce. La storia non procede per salti. Solo alcuni processi modificativi hanno
sussulti di accelerazione. E la consegna dei pieni poteri a Mussolini alla fine
del 1922 è una di queste fase. Peculiare diventa l’acquisizione di una
sensibilità delle masse in senso nazionale che, sicuramente prima difettava,
specie in Sicilia.
Per il pensiero ufficiale del fascismo del tempo si iniziava una Rivoluzione; ma è da credere allo stesso
Mussolini se nel drammatico discorso al Senato del 1924 precisava: «all’indomani della Rivoluzione, io mi trovai
di fronte a questo quesito: creare una nuova legalità o innestare la Rivoluzione nel tronco, che io non ritenevo affatto
esausto, della vecchia legalità? Fuori la Costituzione o dentro la
Costituzione? Io scelsi e dissi; dentro la Costituzione. Questo vi spiega la
composizione del mio primo Ministero, e vi spiega la serie dei successivi atti
politici». Il 12 giugno del 1924, in un altro discorso al Senato, Mussolini
aveva ancor più puntualmente aveva ben raffigurato questo processo di
«normalizzazione costituzionale» del primo fascismo: «Si trattava di
riassorbire la illegalità nella Costituzione ... di rimettere grado a grado ...
nell’alveo della legalità la vasta fiumana che aveva rovesciato gli argini.
[...] Chiamai al governo uomini di tutti i partiti. Riapersi il Parlamento, e
ne ebbi, dopo regolari discussioni, i pieni poteri. Affrontai e risolsi di lì a
poche settimane il problema gravissimo degli squadristi. Ho esercitato i pieni
poteri per un anno. Potevo chiedere la proroga ... Vi rinunciai. Non avevo
proposte leggi eccezionali e mi proponevo di fare un altro passo innanzi sulla
strada della legalità .... Sciolta regolarmente la Camera, furono nei termini
prescritti dalla legge, indetti i comizi
elettorali. La lista nazionale ha raccolto circa 4 milioni ottocentomila voti
... Ottenuto il suffragio del popolo, le necessità della politica interna si
delinearono ancor più chiaramente nel mio spirito, precisate in questi
capisaldi fondamentali:
«1° far funzionare regolarmente l’istituto parlamentare come organo del
potere legislativo ...; 2°) regolare dal punto di vista della Costituzione la
situazione della Milizia Volontaria; 3°) reprimere i superstiti illegalismi del
Partito; 4°) chiamare all’opera di ricostruzione tutte le forze vive della
Nazione ... Tutte le mie manifestazioni politiche dal 6 aprile in poi tendono a
questa mèta: ad accelerare l’entrata definitiva del Fascismo nell’orbita della
Costituzione». E ritornando al discorso al Senato del 5 dicembre, Mussolini,
alla domanda rivolta a se stesso: «Da allora ad oggi c’è stato o non c’è stato
un processo di riassorbimento della Rivoluzione nella Costituzione?», affermava
«Rispondo nettamente: c’è stato: faticoso, lento, difficile, ma c’è stato ...».
([33])
Siamo propensi a credere che - ad onta delle autorevoli affermazioni del
Valiani e del Ragioneieri ([34]) - ben
diverso sarebbe stato il corso della storia nazionale se non ci fosse stato il
delitto Matteotti (10 agosto 1924) e l’irrigidimento aventiniano. Ciò -
s’intende - tenendo presente che la storia non ammette ipotesi.
Come veniva ricostruita quella tragica crisi seguita al delitto
Matteotti, all’interno del fascismo coevo? Stralciamo dallo studio dell’Ercole
([35]) i seguenti passaggi:
«Mussolini pareva esser riuscito ... «a
ristabilire i termini necessari di quella convivenza politica e civile che è
più necessaria fra le parti opposte della Camera ...» (V, p. 10),»; eppure «”mentre nel Paese si era diffusa la
sensazione che un nuovo periodo di tranquillità e di pace stava per iniziarsi
[si aveva] l’episodio tragico, che è costata la vita all’on. Matteotti” (IV, 24 giugno al Senatop. 195). Quella sciagurata beffa del giugno, come Egli
la chiamerà in Gerarchia, in uno
articolo scritto alla fine di ottobre ‘25,
“diventa orribile tragedia indipendentemente, anzi contro la volontà degli
autori”, la quale determinerà nello sviluppo della Rivoluzione la “sosta di un semestre” (v. Elementi di storia in Gerarchia, p. 179)»
«Perché dal delitto Matteotti le opposizioni credettero subito di poter
trarre il pretesto per tentare di “annullare
tutto quello che significa, dal punto di vista morale e politico, il Regime che
è uscito dalla Rivoluzione dell’ottobre” (IV, 25 giugno 1924, alla
maggioranza parlamentare, p. 207), inscenando la secessione parlamentare
cosidetta dell’Aventino e abusando di una persistente eccessiva libertà di parola
e di stampa, per chiedere, e per proprio conto iniziare, il processo al regime,
alla Marcia su Roma e alla Rivoluzione
... (‘il Regime non si fa processare se non dalla storia ‘.. (IV, 22 luglio
‘24: al Gran Consiglio, p. 214, e v. anche 7 agosto ‘24: al Consiglio Nazionale
del Partito, p. 242), in nome di una pretesa normalizzazione, dietro cui non si nascondeva che la speranza di
potere agganciare Mussolini, isolare materialmente e moralmente, disarmandolo,
il Fascismo e i Fascisti nel Paese, creare una situazione tale da permettere il
ritorno alla paralisi parlamentare,
sbarazzarsi del Governo fascista con un semplice voto di maggioranza della
Camera dei Deputati: come se il Fascismo fosse
arrivato al potere per la via ordinaria, e questo gli fosse stato dato
da un ordine del giorno: come, cioè, se esso potesse considerarsi “alla stregua di tutti i Partiti e
considerare il Parlamento come l’unico ambiente, nel quale tutte le situazioni
politiche di una Nazione in momenti eccezionali potessero trovare la loro
soluzione ordinaria e regolare” (IV, all’Associazione Costituzionale di
Milano, 4 ottobre ‘24, p. 290).»
«Alla quale speranza Mussolini darà la definitiva risposta, parlando il
29 ottobre 1924, al Popolo di Cremona:
«”Noi siamo qui a dire che .. non
siamo dei vanitosi e nemmeno dei prepotenti, ma siamo dei soldati fedeli alla
consegna, e la consegna ci è stata data dal Re e dalla Nazione. Solo al Re,
solo alla Nazione noi dobbiamo rendere atto del nostro operato; non a coloro,
che ad ogni gesto, ad ogni provvedimento, ad ogni legge, vorrebbero intentarci
il loro ridicolo processo, mentre sono gli esclusie i condannati dalla nuova
storia” (IV, p. 335): onde la
dichiarazionedel 5 dicembre in Senato: ... “Si
è detto: voi voleterestare al potere ad ogni costo. Non è vero. Nella grande
piazza di Cremona, ad una moltitudine immensa di Popolo, ho detto che
riconoscevo i diritti della Nazione e i diritti imprescrittibili di Sua Maestà
il Re. Se Sua Maestà al termine di questa seduta mi chiamasse e mi dicesse che
bisogna andarsene, mi metterei sull’attenti, farei il saluto militare e
obbedirei. Dico Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III di Savoia; ma, quando si
tratta di Sua Maestà il Corriere della Sera, allora no” (IV, p. 411).»
«[ ...] “La maggioranza cominciò a
perdere alcuni dei suoi elementi in
margine: liberali, democratici, combattenti. Credo che nella seduta del 16
dicembre - la seduta di tre ex-presidenti - questo processo di erosione ai
margini abbia toccato il punto estremo”
(V, Elogio ai gregari, p. 23)».
Il tentativo parlamentare di far crollare il fascismo non ebbe successo
«perché dall’altra parte stava il Fascismo “con
i suoi ottomila grusppi in ogni angolo d’Italia, con le sue forze politiche,
sindacali, amministrative, sempre imponenti”: il Fascismo che era stato “percosso, non abbattuto”, e a cui il
colpo aveva finito per giovare, facendogli perdere “le scorie funeste” (IV, p. 197). [..] “Se il Regime rapidamente potè
essere in grado di sferrare il contrattacco - il che avvenne il 3 gennaio di
quell’anno (1925) - il merito -- va alle masse rurali del Fascismo, che non si
sbandarono, a me, che rimasi tranquillo al mio posto nell’imperversare delle
molte bufere, e al Popolo italiano, che non fu dimentico del passato e non
disperò dell’avvenire” (V, Elementi di Storia, p. 179).»
Non crediamo che fra quelle “masse rurali” era da includere il ceto
contadino racalmutese. Nulla ce lo lascia intravedere. E’, però, certo che
agrari locali, esercenti delle miniere di zolfo racalmutese, gabellotti,
contadini e braccianti ed il piccolo ceto dell’infima borghesia di Racalmuto
ebbero modo di disaffezionarsi ai loro referenti politici sia della Democrazia
Sociale di Guarino Amella e Colonna di Cesarò, sia allo stesso partito
democratico-riformista di Enrico La Laggia, cui ultimamente aveva aderito una
frangia degli ottimati racalmutesi. Mussolini parlava dell’ «Aventino» quale epicedio dello stato demo-liberale. Non cìera cultura greca a
Racalmuto bastevole per apprezzare l’immagine classica. Vi era molto buon senso
(ed pressanti interessi del quotidiano) per dissentire dai loro deputati eletti nel listone “nazionale” del 1924 che ora
facevano l’«Aventino». In definitiva, nepppure Gramsci mostra di apprezzare
questi rappresentanti degli agrari siciliani con i quali, inopinatamente, si
trovava in sodalizio.
«Ho visto in faccia la “piccola borghesia “ con tutti i suoi tipici
caratteri di classe - scriveva Gramsci alla moglie il 22 giugno 1924
commentando i primi lavori dell’Aventino ([36]). - La
parte più ributtante di essa era costituita dai popolari e dai riformisti (per
non parlare dei massimalisti, povera gente di cascia andata a male; i più
simpatici erano Amendolae il generale Bencivenga dell’opposizione
costituzionale che si dichiaravano favorevoli in principio alla lotta armata e
disposti anche (almeno a parole) a porsi agli ordini dei comunisti, se questi
fossero in grado di organizzare un esercito contro il fascismo. Un deputato
democratico-sociale (è questo un partito siciliano che unisce latifondisti e
contadini) che è duca Colonna di
Cesarò, ministro di Mussolini fino al mese di marzo, dichiarò di essere più
rivoluzionario di me perché fa la propaganda del terrore individuale contro il
fascismo. Tutti, naturalmente, contrari allo sciopero generale da me proposto e
all’appello alle masse proletarie ... ».
Colonna di Cesarò - è certo - non riuscì a propagandare “il terrore
individuale contro il fascismo”, a Racalmuto. I locali suoi aderenti dovettero
disorientarsi non poco: già amavano molto poco i blandi socialisti racalmutesi
agli ordini dell’avv. Vella; figuriamoci se potevano dare credito a chi osava
associarsi con i bolscevichi del 1921.
A livello locale il problema centrale restava sempre quello dei
finanziamenti per lo zolfo invenduto. La faccenda del 1922 veniva ricordata
ancora. I più avvertiti avevano l’odiato
senatore Einaudi per quello che scriveva allora sulle colonne del Corriere
della Sera. Il governo di Mussolini diede quel decreto invocato sotto Facta
(D.L.n. 202 dell’11/1/1923). Nel nuovo corso fascista si potevano dunque
riporre attese meridionalistiche e di intervento statale. Tra le varie
provvidenze del decreto, lo stato garantiva lo smaltimento a prezzi
remunerativi dello stock e si impegnava nel finanziamento del Consorzio, ma su
obbligazioni dell’ente garantite sugli esercizi futuri. «Insomma - scrive Salvatore Lupo [37]- a
pagare sarebbe stata la futura produzione». Vi era - è vero - chi come Carlo
Sarauw, forse per opposto interesse, aveva di che ridire su quanto si riusciva
a conbiare in provincia di Agrigento e di Caltanissetta. «Io posso spiegarmi
che un’accolta di maffiosi ignoranti delle province di Girgenti e di
Caltanissetta abbia potuto premere a Palermo sull’amministrazione del Consorzio
[...] ma non posso ammettere che essa potesse allungare i suoi tentacoli fino a
Roma o piegasse il Governo alle direttive di quegli organi del Consorzio che
subivano la sua azione». ([38]) In
quel di Racalmuto, ove gli interessi zolfiferi passavano trasversalmente per
tutti i ceti sociali, vi fu soddisfazione per il provvedimento mussoliniano del
gennaio 1923 ed iniziava quel consenso che dopo il 1926 si consoliderà
penetrantemente, in profondità, in maniera totalizzante. Le bizze dell’Aventino dei propri deputati
dovettero apparire atteggiamenti incomprensibili, sospetti, fedifraghi, da non
approvare, da rimuovere.
Il delitto Matteotti, invero, non lasciò indifferente l’intera comunità
civica racalmutese. Se dobbiamo credere a E.N. Messana, il socialista Vella si
diede da fare: «Fu lui - scrive il Messana ([39]) - che
in seguito all’uccisione di Giacomo Matteotti si presentò con la guantiera a
raccogliere il contributo per la corona. Entrò nel salone di Salvatore Rizzo, Paparanni, e là Luigi Scimè, giovane figlio del Dr.
Nicolò, gli diede L. 0,50, altri uguale cifra o meno. Contribuirono molti
racalmutesi, oltre i summenzionati si ricordano il comm. Giuseppe Bartolotta
consigliere provinciale in carica, il sindaco Scimè, Pio Messana, Salvatore
Falcone, Calogero Mattina fu Gaetano, Carmelo Schillaci Ventura, Giuseppe
Cutaia, i fratelli Luigi e Giuseppe Lo Bue. Questi furono segnati a dito e
perseguitati dal fascismo. Luigi Scimè, ufficiale effettivo dell’esercito, non
avanzò più di grado.»
L’emozione per l’efferato delitto dovette essere una momentanea reazione,
non coinvolgente la stima verso Mussolini. Questo, almeno a Racalmuto. A più
ampio raggio, ancor oggi non crediamo che sia stata stabilita la verità
storica. Troppi risentimenti, molti condizionamenti ideologici. A distanza di
settant’anni, in riviste storiche pur autorevoli, la vicenda Matteotti viene
così rievocata, passionalmente, con evidenti pregiudizi di valore:
«Giacomo
Matteotti - leggesi nell’editoriale del
n. 1-2 del 1994 di Storia e Civiltà (
[40]) -
segretario del partito socialista unitario, capo - con Giovanni Amendola -
dell’opposizione al fascismo, [..] mentre dalla sua abitazione, per il
lungotevere Arnaldo da Brescia, si dirigeva, attorno alle 16, verso il
Parlamento, era sequestrato, costretto a entrare in un’automobile ed, essendosi
difeso, ucciso. [Fu] uno dei più esecrandi delitti che la storia ricordi. [AM1][Ad
eseguirlo, c’erano] una brutale figura di squadrista toscano, Amerigo Dumini e
suoi quattro complici.
«Come sarebbe
emerso, dal memoriale Rossi, e da altre ammissioni, se anche Mussolini non era stato il diretto mandante, vi aveva
dato il suo tacito consenso. La commozione popolare fu così profonda, che
avrebbe dovuto avere per sbocco, con quale vantaggio per l’Italia è inutile dire,
l’immediato tracollo del fascismo. Mancò una forza organizzata a dirigere la
rivolta. Non vi fu, da parte della Monarchia, come nel ‘22, la coscienza del
dovere. Al governo venne lasciato il modo, con pochi ritocchi alla sua
compagine, di sopravvivere, e al fascismo di consolidarsi, più per l’altrui
debolezza che per virtù propria, profittando anzi dell’irrimediabile errore
delle opposizioni, di astenersi dalla presenza in Parlamento (l’«Aventino»),
che avrebbe consentito, nel gennaio ‘26, di farne deliberare la decadenza. Non
mancò la “trahison des clercs”, in
un’ora straordinariamente feconda per la cultura: e Giovanni Gentile, pur
surrogato come ministro dell’istruzione, ad assicurarsi maggior potere, si
assunse la responsabilità d’un manifesto degli intellettuali a favore del
fascismo, cui, con un numero minore di firme, se ne sarebbe contrapposto un
altro, redatto dal Croce.
«[Il processo
venne trasferito] alla lontana e più tranquilla Chieti, [e si ebbe] l’arrogante
difesa di Farinacci (cui si consentì di dichiarare di assumerla “prima come
segretario del partito, e poi come avvocato” e che il processo non si sarebbe
fatto “né al regime né al partito”). Esclusa dalla stessa pubblica accusa, la
premeditazione ed ammessa la preterintenzionalità, la sentenza, del 24 marzo 1925, condannava solo tre degli
imputati a cinque anni, undici mesi e venti giorni, che, col condono di ben
quattro anni per una opportuna amnistia, e tenuto conto della carcerazione
preventiva, li rendeva, di fatto, liberi.»
L’avvento del fascismo nell’area provinciale di Agrigento.
Nella Sicilia - scrive Salvatore Leone ([41]) - in
cui il fascismo ebbe “natura ricettiva e non radiante”, schematizzando possiamo
dire che l’aristocrazia agraria aderì al regime nei tardi anni ‘20, quando si
renderà contodella sostanziale convenienza ad appoggiare il nuovo gruppo di
potere. La piccola borghesia cittadina darà il suo consenso agli inizi degli
anni ‘20 con uno spirito fortemente protestatario nei confronti di quello Stato
liberale che l’aveva schiacciata al basso al livello contadino. L’adesione al
nuovo regime della media borghesia e degli intellettuali, parecchi dei quali
avevano alle spalle una consistente tradizione autonomista, avvenne mediante
comportamenti incerti e talora contraddittori che si protrassero fino ai primi
anni ‘30».
La provincia di Agrigento (allora Girgenti) rispecchia grosso modo
siffatta diversa datazione del consenso al fascismo, anche se è difficile
rinvenire intellettuali di spicco che tardino nel concedere il loro
accondiscendimento al nuovo regime. Luigi Pirandello aderisce tempestivamente
al fascismo; Enrico La Loggia se ne mantenne sempre fuori; ed anche Giovanni
Guarino Amella. Francesco Renda vuole come nemico del fascismo padre Michele
Sclafani «che diede filo da torcere ai fascisti dell’Agrigentino [..] seppure
anche lui non fu alieno dal cercare l’intesa e la collaborazione con essi e ddirittura dal proporre soluzioni
impossibili, come la costituzione di un grande partito siciliano
clerico-fascista». ([42]) Per
non parlare dei socialisti rimasti coerenti, è difficile inquadrare figure come
i fratelli Ambrosini di Favara, o l’avv. Cesare Sessa, o l’avv. Bonfiglio.
Fortemente caratterizzata in termini di pronta adesione al fascismo è la figura
dell’on. Abisso, che alla fine, però, si guarda bene dall’aderire alla
Repubblica sociale di Salò. Analogo discorso potrebbe farsi per il narese on.
Riolo.
Francesco Renda ha ben ragione quando dichiara che le origini dei fasci
di comattimento di Girgenti (e di quei radi della provincia nel periodo
1919-20) sono «avvolte nella nebbia». ([43])
Nell’agrigentino, il fascismo ebbe davvero, dai suoi esordi sino al
consolidamento del Regime, “natura ricettiva, e non radiante.”
Quando nel 1942, in piena guerra, vari autori - spesso maldestri, o
ingenui o disinformati - redassero i «Panorami
di realizzazioni del Fascimo» che dovevan essere una ricerca delle
primissime origini del fascismo delle varie province, non avevano molta carne
al fuoco, per quanto riguarda il Meridione e la Sicilia. L’autore agrigentino -
tal Vincenzo Agozzino - deve proprio arrmpicarsi sugli specchi per reperire
esaltanti «cronache della vigilia
rivoluzionaria fascista nella provincia di Agrigento» ([44])
«Agrigento sempre più bella e
suggestiva», aveva detto Mussolini al popolo di Agrigento il 15 agosto
1937. E’ frase lapidaria che l’Agozzino
invoca in premessa. Ci racconta poi del fascio di Agrigento nel 1919. «..La
Camera del lavoro di Agrigento, - narra - aderente al Partito Socialista
Ufficiale, con rapida azione agganciò le masse delle zone industriali prima e
poi delle zone minerarie ed agricole, creando una forte organizzazione che
presto si mosse alla conquista delle amministrazioni comunali. Così in
Canicattì, Ravanusa e Palma Montechiaro si ebbero maggioranze socialiste e
quasi ovunque le minoranze furono rosse. [..] In questi ambienti [..] solo un
manipolo di giovanissimi intese il richiamo dei valori spirituali della stirpe
fondando nel maggio del 1919 il primo Fascio dell’agrigentino. La riunione
avvene in una stanza dell’Albergo Centrale dove si costituisce un nucleo di
azione contro il sovversivismo locale di vario colore, dal rosso, al nero e al
verde, che assume il nome di Fascio Futurista di Azione [..]
«1920- 21 - 22
«Si forma poi il Fascio di Combattimento che in un secondo tempo viene
intitolato al Caduto Pierino Del Piano. Solo il 20 novembre 1920 avviene il
riconoscimento ufficiale del Fascio di Combattimento di Agrigento. Viene anche
ad Agrigento la propagandista rossa Maria Giudice. Migliaia e migliaia di
persone sono adunate all’Arena Bonsignore [..] La propagandista non doveva
parlare e non parlò. Aveva appena pronunciato la parola ‘Compagni’ che ebbe
inizio una fitta sassaiola [da parte di piccoli bene appostati sulla terrazza
di villa Garibaldi]. [Ne seguì] un fuffi
fuggi generale, mentre la stessa oratrice veniva colpita al viso. Legnate da
orbi furono distribuiti agli uscenti dalla arena, mentre la lotta si
spezzettava in singoli episodi dai quali però risultava la coraggiosa fuga dei
rossi e il primo assalto alla Camera del lavoro [..] [Si trattava] di pochi
squadristi, circa quaranta, che [cominciarono a] sgominare le forse rosse, nere
e verdi.
«[Altra aggressione.] La Camera del lavoro viene assalita e devastata,
mentre mobilio e carte son dati alle fiamme fra il canto di Giovinezza. Successivamente dopo un comizio tenuto dai combattenti, vien
dato un nuovo assalto alla Camera del lavoro con la completa distruzione del
mobilio, delle carte e di una bandiera rossa che è poi bruciata in piazza Gallo.
La stessa sera avviene un conflitto con un gruppo di guardie regie, risoltosi
con una brillante fuga degli agenti di Cagoia [Nitti, n.d.r.]. [..] Altre azioni repressive, di ritorsione e di
propaganda vennero eseguite in tutta la provincia: vengono impediti alcuni
comizi; venne incendiato il circolo ferroviario; [talora] vengono a dar loro
man forte i camerati dei fasci di Porto Empedocle, Canicattì, Palma Montechiaro
e Sciacca. Il 24 aprile del 1921 una squadra agrigentina partecipò alle azioni
di rappresaglia in Caltanissetta in occasione dell’uccisione di Gigino Gattuso.
Alla Marcia di Roma [..] partecipò una squadra, mentre le altre rimasero
mobilitate in sede.
«In provincia agirono in periodo ante marcia i fasci di Canicattì,
Licata, Palma Montechiaro, Porto Empedocle, Ravanusa, Raffadali, Naro, Sambuca,
Grotte, Bivona. Il fascio di Canicattì venne riconosciuto il 4 dicembre 1920;
il Fascio di Licata, il 1° febbraio 1921; quello di Montechiaro fu fondato il
1° marzo 1921; quello di Porto Empedocle fu riconosciuto nel marzo 1921; quello
di Ravanusa, il 15 ottobre 1920. Altri fasci venero fondati nella seconda metà
del 1922 e fra questi Raffadali, Sambuca di Sicilia, Naro, Grotte e Bivona.
Naro soprattutto, fondatosi il fascio nel luglio del 1922 e riconosciuto il 18
ottobre successivo, si segnalò in vivaci interventi locali contro i sovversivi,
che culminarono con la devastazione della sezione socialista.»
Il volume dei “Panorami” riporta a questo punto un’altro squarcio del
discorso che Mussolini pronunciò “dalla terrazza del Palazzo Reale di Palermo -
5 maggio 1924”: “C’è forse una pietra del
Carso, pietra di quelle doline dove non abbiano sofferto e dove il popolo è
diventato grande, c’è forse zolla di tutto l’arco di trincee che andava dallo
Stelvio al mare che non sia stata bagnata da stille di purissimo sangue
siciliano?»
Prima della marcia su Roma, il quadro del fascismo agrigentino è rado e
sfilacciato. Iprefetti del luogo non vedevano di buon occchio il nuovo
movimento politico; lo tolleravano appena e se potevano lo disperdevano.
Rivelatrice è questa missiva al Ministero degli Interni del sostituto del
prefetto Vergara del 20 giugno 1922 ([45]):
«Significo che al 31 maggio 1922 esistevano in questa provincia le seguenti
sezioni del Fascio di combattimento: Girgenti con 50 aderenti; Canicattì 20;
Ravanusa 80; Sciacca 80. A Palma Montechiaro la sezione è stata sciolta, ma
esistono tuttavia una diecina di simpatizzanti del partito fascista. La sezione
di Naro, segnalata con mia nota dell’11 maggio 1921 n. 225, è composta da ex-combattenti
e non fascisti. Anche la sezione di Porto Empedocle è stata sciolta».
Con la
marcia su Roma, l’atteggiamento dei prefetti ovviamente cambia, anche perché
giungono prefetti di evidente ispirazione fascista. Più che con il Ministro
dell’Interno Benito Mussolini, i rapporti (improntantati alla più deferente
fiducia) sono con il sottosegretario Finzi (almeno sino alla caduta di costui
per il delitto Matteotti). In questa congiuntura fu prefetto di Agrigento il
dott. Ernesto Reale. Già vice prefetto, fu nominato nella carica il 16 marzo
1923 ed il 22 ottobre 1924 lasciò Agrigento per la prefettura di Potenza. Era
nato a Sassari il 30 giugno 1875 (morirà a Roma il 30/12/1947). Era dunque un
uomo di 58 anni, ma evidentemente aveva
fiutato il nuovo corso e vi si era prontamente adattato. Non è da credergli
quanfo afferma: «Escludo nel modo più formale che io abbia imposto la
costituzione di Fasci nei comuni dove non esistono sotto minaccia diretta o
indiretta di scioglimento dei Consigli Comunali o pressioni di qualsiasi altro
genere.» ([46]) Era una
risposta ad un perentorio telegramma dell’11 luglio 1923, a firma Mussolini,
che reclamava seccamente una giustificazione. « S.E. Cesarò - diceva il testo -
comunicami che V.S. avrebbe invitato costituire fasci dove non esistono sotto
minaccia scioglimento consiglio comunale. Voglia V.S. notiziarmi in propoisto.»
La
puntualizzazione del prefetto è abile come emerge dal seguente “rapporto
dimostrativo”:
«Dal marzo, quando
assunsi in questa provincia le funzioni di Prefetto, ad oggi furono istituiti
cinque nuove sezioni del P.N.F. nei seguenti comuni:
1. Castrofilippo - dove l’Amministrazione
comunale era già sciolta ed il Comune retto da un R.Commissario;
2. S. Giovanni Gemini - Amministrazione
Comunale Popolare;
3. Alessandria della Rocca - Amministrazione
Comunale Riformista;
4. Raffadali - Amministrazione Comunale
Socialista;
5. Montaperto - Frazione di Girgenti -
Amministrazione Comunale Popolare.
Per la costituzione di Tali Sezioni non ci
fu affatto bisogno di intimidazioni o minaccie né da parte mia né da parte
della Federazione Provinciale. Fu l’effetto di una attiva propaganda Fascista.
Faccio osservare a V.E. che fra i Comuni
sudetti non ve n’è alcuno amministrato da Democratici-Sociali. Sto esaminando
personalmente la posizione del Comune di Raffadali dove àavvi il feudo di S.E.
il Ministro Colonna Duca di Cesarò, il quale intende porre la Sua candidatura
in quel Mandamento, e mi riservo fare le proposte del caso.
Restano tuttora da costituirsi le sezioni
del P.N.F. nei comuni seguenti:
Aragona
|
Montallegro
|
Villafranca
|
Comitini
|
S. Angelo Muxaro
|
Calamonaci
|
Favara
|
Cianciana
|
Burgio
|
Lampedusa
|
Lucca Sicula
|
Ad eccezione degli ultimi due, dove
l’Amministrazione Comunale è Riformista e Popolare, e di Lampedusa, lontana,
sperduta nel mare Africano, tutti gli altri comuni sono amministrati da scritti
alla Democrazia Sociale. E per questi, non solo non fu fatta da me alcuna
pressione per la costituzione di Sezioni del P.N.F., ma dovetti mostrarmi a ciò
risolutamente contrario almeno per ora. Invero quei Comuni - specialmente i
maggiori - Favara e Aragona - sono talmente infestati dalla mafia, che è
necessario procedere ad un’accurata chiarificazione e selezione, per evitare
che nelle costituende Sezioni Fasciste venga ad annidarsi la forma più subdola
della delinquenza Isolana.
Nei detti Comuni pertanto, che come ho
detto, sono amministrati da Demo-Sociali, nonché esercitare pressioni, è stato
invece necessario a me ed al Fiduciario Provinciale resistere alle vive e ripetute
pressioni che ci vennero fatte per la costituzione di Sezioni Fasciste da
elementi di altri partiti troppo interessati e troppo malfidi.
Si addiverrà certamente a costituire anche
lì Sezioni Fasciste, ma solo quando il lavoro - delicatissimo - di selezione
sarà ultimato. E le Sezioni dovranno essere formate da elementi puri e sicuri.
E senza bisogno di minaccie di scioglimenti di Consigli Comunali.
A proposito dei quali debbo fare presente
alla E.V. che gli scioglimenti da me proposti furono sempre effettuati per
ragioni di ordine pubblico o per disordini amministrativi e riguardano i
seguenti Comuni:
Canicattì - Palma Montechiaro - Ravanusa -
già amministrati da socialisti ufficiali;
Sambuca Zabut - Campobello di Licata - S.
Margherita Belice (quest’ultimo in corso), già amministrati da riformisti (La
Loggiani).
Faccio osservare che nessuno di questi
comuni è amministrato da democratici Sociali.
Concludendo:
Nessuno dei Consigli Comunali sciolti dal
marzo in poi era amministrato da Democratici Sociali.
Non solo non ho fatto minaccie per la
costituzione di Sezioni Fasciste nei Comuni dove mancano (quasi tutti
amministrati da Demo-Sociali) ma ho dovuto e devo tuttora resistere, per le
ragioni suesposte, a pressioni che vengono fatte, anche da elementi
Demo-Sociali, per la costituzione di talune Sezioni stesse».
Nel successivo luglio il prefetto Reale sembra più un federale fascista
che un dipendente del Ministero degli Interni. Ecco quanto scrive il 10 luglio
1923:
«Alla vigilia della riunione della Giunta
Esecutiva del P.N.F. credo doveroso inoltrare il seguente rapporto riassuntivo
sull’andamento del Fascismo in questa Provincia.
Dal Marzo in poi si è verificato un
considerevole sviluppo ed una notevole chiarificazione.
Sviluppo: in quanto sono
numericamente cresciuti gli iscritti alle Sezioni dei Fasci (4568) e dei
Sindacati (4382). L’entrata nel Fascismo dell’on. Abisso ed una parziale
fusione, da me caldamente patrocinata, delle forze migliori degli
ex-combattenti, hanno contribuito a tale sviluppo. Occorrerà lavorare ancora
per assorbire nei Fasci almeno un altro migliaio di ex-combattenti che ora sono
fuori perché non possono e non credono di distaccarsi da altri partiti.
Chiarificazione: in quanto, dopo mie
vive insistenze, si è proceduto alla epurazione di talune sezioni, mediante
eliminazione di elementi indegni.
In proposito debbo rilevare di avere dovuto
superare non poche resistenze da parte del Fiduciario Provinciale e della
Federazione Provinciale che non vedevano con eccessiva simpatia l’ingerenza del
Prefetto in questo campo.
Questo processo di epurazione si è
accentuato maggiormente nei riguardi della M.V. i cui iscritti avevano
raggiunto il numero di 1800, mentre ora sono ridotti a poco meno di 1500. Ma è
un bene.
Attualmente la situazione, tenuto conto
delle difficoltà ambientali, e dei personalismi da superare, e specialmente dei
numerosi elementi malfidi infiltratisi nelle sezioni, e che debbono man mano
eliminarsi, può dirsi abbastanza soddisfacente.
Però la mia opera assidua di sgretolamento
delle camarille locali, dei vecchi ed agguerriti partiti, e specialmente del
partito riformista (La Loggia), di quelle Social-Comunista e popolare - opera
che ha portato allo scioglimento di sette Amministrazioni comunali, e che intendo
continuare - dovrebbe essere più attivamente fiancheggiata dalle Autorità
Fasciste di questa Provincia. Dovrebbe soprattutto essere ripresa l’azione di
propaganda fascista che ora languisce in una stasi apatica.
E’ d’uopo riconoscere che il Fiduciario
Provinciale attuale Ing. Narciso Dima, se pure non eccessivamente energico, ha
finora fatto il possibile per lo sviluppo del Fascismo, sacrificandosi anche
finanziariamente, contribuendo del proprio, trascurando la sua professione. Le
sezioni Fasciste non gli dànno che un aiuto finanziario scarsissimo.
Occorre, è anzi urgente, che l’On. Giunta
Esecutiva stabilisca un congruo aiuto finanziario.
Nessuna preparazione ha potuto fare la
Federazione per le lezioni Provinciali appunto per mancanza assoluta di
propaganda. Occorrerebbe istituire nuove sezioni nei Comuni dove ancora mancano
(18 su 41)), ma occorrono mezzi sopraluoghi locali ecc., mezzi che mancano.
Se si dovessero fare le elezioni provinciali
ora, alla scadenza dei poteri della Commissione Reale, sarebbe una débacle dal punto di vista fascista. Mentre gli
altri partiti, soprattutto i Democratici sociali e i popolari, si vanno
organizzando e preparando alla lotta, che ritengono imminente, e dispongono di
mezzi finanziari cospicui, i Fasci poco o niente hanno potuto fare. Occorre,
ripeto, finanziarli.
Ho detto débacle se i fasci dovessero lottare da soli, chiudendosi nella più
assoluta intransigenza nei riguardi degli altri partiti.
Ma occorre esaminare la situazione nei
riguardi della Democrazia Sociale: situazione che in questa Provincia è
estremamente delicata.
La Democrazia Sociale si mantiene qui in
piede di guerra pronta ad una lotta, come pronta ad un accordo coi Fasci, per
una eventuale collaborazione.
Senonché qui si presenta una difficoltà.
I Deputati Demo-Sociali sono gli On. Pancamo
e Guarino-Amella; binomio indissolubile. L’On. Pancamo è elemento puro,
inattacabile. L’ideale sarebbe poter scindere il binomio, e accordare i Fasci
cogli elementi migliori della Democrazia Sociale che fanno capo all’On.
Pancamo. Ma questo è impossibile.
Non poca parte degli elementi che fanno
parte all’On. Guarino-Amella - che ha largo seguito - sono bacati dalla mafia
che sino a poco tempo addietro ha imperato in questa provincia, e che ora è
smontata, disorientata. Effetto dei provvedimenti energici di P.S.- Accordarsi
cogli elementi demosociali che fanno capo all’On. Guarino Amella, vorrebbe dire
accordarsi anche in certo modo con la mafia. E allora si ricadrebbe nel vizio
delle elezioni precedenti che si facevano appunto con l’aiuto della mafia.
D’altra parte il partito Guarino Amella vuol
dire S.E. Di Cesarò, del quale il primo è il più fido e autorevole luogotenente
in questa Provincia.
I fasci risentono di questa situazione.
Il Fiduciario Provinciale Ing. Dima, sembra
contrario a qualsiasi accordo coi Democratici Sociali. I suoi avversari - e ne
ha anche in seno ai Fasci - dicono che ciò dipende dalla sua origine La
Loggiana.
Comunque questa situazione non può
risolversi se non si conoscono in modo preciso e in tempo utile le direttive
del Governo al riguardo.
Concludo:
Occorre finanziare la Federazione Provinciale
perché eserciti una più attiva azione di propaganda;
Occorre procedere alla nomina del Fiduciario
Provinciale. L’attuale Ing. Dima, in conseguenza della ritardata conferma ha
perduto un po’ di autorità e prestigio. Urge quindi o confermarlo o nominarne
uno nuovo, che possa esplicare con autorità e energia l’azione Fascista, e
fiancheggiare la mia azione politica e amministrativa.»
Il prefetto di Agrigento è, peraltro, quello che è in grado di fornire
ragguagli precisi e dettagliati sulla “situazione del Fascismo in Provincia di
Girgenti al 27 ottobre 1923”. Val la pena di riportare integralmente la sua
relazione al ministero:
«In mancanza di fascismo puro, limitato a
pochissimi elementi, i Fasci della Provincia di Girgenti sono costituiti
necessariamente da elementi tratti da altri partiti politici.
Il partito politico finora predominante in
questa Provincia era il partito Demosociale, imperniato sui Deputati Grarino
Amella e Pancamo, (agli ordini di S.E. Di Cesarò) e Abisso. Col passaggio di
quest’ultimo al Fascismo, avenuto nell’Aprile, questo partito cominciò a
sgretolarsi. Gli elementi migliori passarono anch’essi, in buon numero al
Fascismo. E se è vero che il partito personale Abisso si va sempre più
rafforzando, è pur vero che il Fascismo sta prendendo uno sviluppo sempre più
grande e più saldo - anche perché questi elementi ex-demosociali sono assai più
sinceri degli altri.
In sostanza non deve credersi che sia il
partito Abisso che si faccia sgabello del Fascismo per rafforzarsi, ma è il
Fascismo che acquista realmente forza e compattezza dai numerosissimi elementi
che staccatisi come ho detto dalla Democrazia Sociale facente capo all’On.
Guarino, Pancamo e Di Cesarò, si sono appoggiati all’on. Abisso.
Al Ministero è noto come io abbia visto con
una certa diffidenza il passaggio dell’On. Abisso al Fascismo.
E’ per me doveroso ora dopo diversi mesi di
vigile esperienza porre in rilievo la disciplina e l’ossequio non solo
apparente, ma effettivo alle Direttive del Duce, dell’On. Abisso verso il quale
ora convergono le forze migliori della Provincia, forze che Egli dirige e
orienta risolutamente verso il Fascismo.
Il Fiduciario Provinciale, d’intesa con lui
ha potuto sistemare la posizione prima equivoca, ora chiara di parecchie
sezioni Fasciste, ha potuto costituirne delle nuove, e rafforzarne delle altre.
Non è quindi vero che il Fascismo non abbia
presa in Provincia di Girgenti. Questo forse poteva dirsi alcuni mesi addietro,
quando si verificò una stasi - da me segnalata - che avrebbe dovuto preludere
ad una grave crisi, dovuta sopratutto all’azione allora scarsamente efficace
del Fiduciario Provinciale, il quale era rimasto per oltre due mesi quasi privo
di autorità. Causa il ritardo della sua conferma. Ma la crisi fu superata e la
minaccia di essa, in certo modo, fu anche benefica. L’attività del P.F. fu da
me e dall’On. Abisso galvanizzata; molte opposizioni più o meno interessate
furono smontate. Il susseguirsi di importanti avvenimenti patriottici, che
riunivano in un solo patriottico sentimento importanti forze Fasciste, valsero
a guadagnare anche le simpatie della grande massa della popolazione la quale prima diffidente, segue ora con
vivissima simpatia, gli spettacoli sempre bellissimi di giovinezza di forza di
disciplina che le adunate Fasciste hanno dato modo di apprestare. A questo
aggiungasi la continua, dirò quasi sistematica, valorizzazione dei veri
combattenti, mutilati e decorati di Guerra, ai quali spesso per mio personale
intervento si sono aperti i Fasci, portandovi una cospicua forza morale.
Concludendo la situazione nei riguardi del
Fascismo è molto migliorata in confronto al passato, e non credo di peccare di
soverchio ottimismo, se affermo che essa migliorerà ancora di più e più si
chiarificherà.
Personalità cospicue di cui non si può
mettere in dubbio l’alto patriottismo e che hanno sempre combattuto palesemente
il sovversivismo mascherato da riformismo e da popolarismo, come l’On. La Lumia
ex Deputato assai molto stimato nella importante zona di Licata, e l’On.
Parlapiano Vella, altro ex Deputato, nella zona di Ribera e Bivona, hanno
sinceramente aderito al Fascismo.
Degli altri partiti anche in conseguenza
dell’azione da me svolta; il Socialista è ormai morto; il Riformista è ridotto
ai minimi termini, il popolare è in continua dissoluzione.
Gravi incidenti tra Fascisti, per l’urto di
tendenze diverse, in questa Provincia non sono mai avvenuti. Incidenti non
gravi, sono stati risolti tempestivamente, anche pel mio intervento diretto,
senza strascichi di ire e di odi.
La situazione, quindi, può dirsi veramente
buona, specie se si raffronta con quella di altre Provincie Siciliane. E
diventerà migliore se si potrà continuare nell’attuale indirizzo, se questo non
verrà modificato per l’intervento, per ora non necessario, di elementi che, per
quanto autorevolissimi, non sarebbero forse in grado di valutare, per la scarsa
conoscenza di questo ambiente, le condizioni specialissime di esso in rapporto
ai partiti ed alle persone. Unisco un prospetto riguardante i sindoli Comuni
della Provincia.»
La relazione - un vero e proprio resoconto di un propagandista del
fascismo - è comunque perspicua per chiarezza, esaustività, penetrazione
dell’ambiente socio-politico. Il Reale doveva avere entrature preferenziali a
Roma - anche in ambito della direzione del P.F. - se può accennare, in
conclusione, alla eventualità - che poi si verificherà appieno - della venuta
ad Agrigento di “elementi autorevolissimi”. E saranno costoro a cambiare il
volto del fascismo agrigentino.
Frattanto, valga il prospetto del prefetto Reale, ai nostri fini molto
significativo perché stranamento vi è omesso totalmente il paese di Racalmuto
che in questa ricerca è il nostro oggetto di studio.
«Provincia
di Girgenti
1°) - Comuni nei quali i Fasci hanno una posizione dominante: (su un
totale di 41)
Casteltermini -
Siculiana - Porto Empedocle - Sciacca - Caltabellotta - Santa Margherita -
Sambuca - Menfi - Montevago - Calamonaci - Campobello di Licata - Camastra -
Ribera - Licata - Naro - Canicattì (n.°
16)
2°) -Comuni nei quali esistono dei
Fasci, sui quali non è ancora possibile fare sicuro assegnamento, ma la cui
situazione migliora giornalmente:
Cammarata - S.
Giovanni Gemini - Castrofilippo - Grotte - Bivona - S. Stefano Quisquina -
Villafranca - Palma Montechiaro - Ravanusa - Realmonte - Montallegro -
Alessandria Rocca - Favara - Cattolica - S. Biagio Platani - Raffadali (n.° 17:
in effetti sono sedici: il dattilografo omise di battere forse Racalmuto
per mero errore. Se aggiungiamo questo paese torna il totale di n. 41 centri
dell’agrigentino, n. d.r.)
3°) - Comuni dove il Fascismo non
ha ancora presa, specialmente perché combattuto dalla mafia:
Comitini -
Burgio - Lucca Sicula - Cianciana - S. Angelo - Aragona A Lampedusa, data la
grande distanza, e la difficoltà delle comunicazioni marittime (una volta alla
settimana) nulla si è potuto ancora fare.
4°) - Girgenti -
Situazione non buona, ma discreta, a motivo della esistenza degli Stati
Maggiori - attivissimi - dei partiti Riformista (che fa capo all’On. La
Loggia), Popolare (che fa capo al prosindaco Gr. Uff. Sclafani e all’On.
Fronda), e dei residui del partito Demo-Sociale (On. Pancamo e Guarino). I
primi due, specialmente difendono ostinatamente le proprie posizioni.
Fra giorni si verificherà la crisi
nell’Amministrazione Comunale Popolare-Riformista.
Molto vi sarà da guadagnare pel
Fascismo se il R. Commissario che verrà prescelto saprà lavorare bene e
risanare moralmente e finaziariamente il Comune.»
Il prefetto Reale, alla fine dell’anno, diviene un vero e proprio
fiduciario del fascismo. Ecco, a dimostrazione, quanto scrive all’On. Avv.
Francesco Giunta - Segretario Generale del Partito Naz. Fascista - in data 11
dicembre 1923:
«Situazione
del Fascismo nella Provincia di Girgenti
Ottemperando allo incarico da V.S.
On. Affidatomi a Siracusa di vigilare e seguire da vicino il Fascismo in questa
Provincia, pregiomi riferire quanto segue:
E’ continuata più attiva che mai la
ingerenza del Grande Uff. Sacerdote
Sclafani, capo del Partito Popolare nell’organizzazione del fascismo
Provinciale.
Alla lettera originale a firma sac. Sclafani
in data 25 ottobre, da me mostratale a Siracusa, con cui egli offriva
l’incarico di costituire un Fascio in Comitini (dove non era stato possibile
finora la sua costituzione trattandosi di un comune infestato dalla mafia) ad
un tale Dr. Bongiorno, congiunto di un capo della mafia locale, si sono
aggiunti altri gravi elementi.
E’ infatti in mio potere una dichiarazione
del Maggiore Cav. Orestano R. Commissario di Palma, con cui attesta che il Sac.
Sclafani inviò una lettera analoga al Sac. Zimmili per richiedere “il nome di
persona fidata al P.P. da far passare subito al Fascismo e da incaricare della
ricostituzione di quel Fascio”.
E’ pure in mio potere un rapporto del
Colonnello Sindico, R. Commissario di Raffadali, col quale mi informa che a
costituire il fascio di Joppolo “fu incaricato certo Onorio Sacco, alter
ego del Sac. Camilleri, capo del P.P. che
egli dirige secondo gli intendimenti di Padre Sclafani”.
E non più tardi di ieri ho potuto constatare
de visu perché mi trovavo sul posto,
un abboccamento tra il Sac. Sclafani e il Sindaco di Porto Empedocle. Da
informazioni certe mi risulta che lo Sclafani d’accordo col detto Sindaco
intende di riorganizzare quella Sezione Fascista, per asservirla ai suoi fini.
E non posso passare sotto silenzio un
episodio che non conferì certo serietà all’azione del Fiduciario nella
riorganizzazione del Fascio di Sciacca.
Giova premettere che egli anziché seguire le
direttive opportunamente dategli da V.S. On., di “lasciare in disparte gli
elementi dei vecchi partiti” incaricò della costituzione del fascio di Sciacca,
fra gli altri l’avv. Giuseppe Imbornone di oltre 60 anni che mai era
stato Fascista, bensì era in quest’ultimo periodo, riformista tanto che
aveva nello scorso anno partecipato ad un banchetto in onore dell’On. La
Loggia.
A prescindere dal fatto che l’Imbornone era
stato candidato politico bocciato per due volte, la sua scelta era inopportuna
perché cognato e suocero rispettivamente di Corrado Turano e vella
Gaetano, l’uno detenuto nelle Carceri di Sciacca, come capo di una vasta
associazione a delinquere; l’altro espluso dal Fascismo perché affiliato alla
maffia consenziente il Fiduciario Provinciale.
L’Avv. Calogero Guarino, capitano degli
Arditi, decorato e ferito, essendosi
dimesso dalla Commissione di reggenza per protestare contro
l’infiltrazione popolare, voluta dagli altri due membri riceveva da Girgenti un telegramma a
firma Dima con cui si accettavano le sue dimissioni, e quasi simultaneamente ne
riceveva un altro da Roma, a firma dello stesso Ing. Dima che gli riconfermava
lo incarico.
Tali provvedimenti contraddittorii, oggetto
di salaci commenti, valsero a dimostrare che a Girgenti qualcuno sostituisce il
Dima, e dà importanti disposizioni senza neanche interpellarlo. Inutile
ripetere chi possa essere questo qualcuno.
E così a Sciacca in luogo della Sezione
sorta nel 1920 esiste ora un piccolo Fascio trucco composto prevalentemente di
popolari.
A Menfi, altro centro dove i combattenti e i
mutilati, organizzati sin dal 1919, si erano trasfusi nel Fascismo, fu
incaricato della reggenza, insieme ad altre figure insignificanti, il Gr. Uff.
Bivona, di 75 anni, il quale nelle elezioni del 1919 distribuì i voti di cui
disponeva fra la lista di Nitti e quella di Don Sturzo; nel 1921 li diede alla
lista Verderame, voti annullati dalla Giunta delle Elezioni per corruzione. Nel
1922, il Bivona fu successivamente riformista (La Loggiano) e popolare
(Sturziano). Ora è a capo del Fascismo di Menfi, dove fece nominare Segretario
Politico Berto Ravedà, intimo congiunto del Segretario Provinciale del P.P. Sturziano
Avv. Molinari.
A Licata il Fiduciario Provinciale dopo
avere tolto l’incarico al signor Ettore Sapio amico e parente dell’On.
Verderame lo affidò ad una Commissione di Reggenza alla quale pure lo tolse per
riaffidarlo al Sapio.
Ciò, nel giro di pochi giorni, ha arrecato
grave pregiudizio al partito anche perché è notorio che l’Ing. Dima aveva
chiesto al Generale Starace, l’espulsione del Sapio per indegnità.
La Sezione Fascista di Licata è ora una succursale del partito riformista,
che, è bene si sappia, in questa Provincia fa causa comune coi popolari.
Analoghe repentine metamorfosi si
verificarono a Bambuca di Sicilia.
In taluni Comuni della Provincia, refrattari
al Fascismo perché completamente asserviti alla maffia (Cianciana - Burgio -
Aragona - Comitini - Favara) non era stato possibile - anche perché io mi ero
opposto risolutamente - costituire dei Fasci. In queste ultime settimane,
all’unico scopo di procurarsi segretari politici disposti a votare per la sua
rielezione il Fiduciario fece sorgere per incanto delle sezioni Fasciste,
composte di elementi apertamente devoti all’On. La Loggia, o al partito
popolare.
Il Fiduciario Provinciale, sapendo della mia
opposizione ad un Fascismo così impuro ed equivoco, non mi avvertì neppure
della costituzione di questi Fasci.
Le elezioni compiute per la ricostituzione
dei direttorii, tranne che a Girgenti nella prima votazione durante la mia
assenza, sono procedute ordinate, senza dar luogo a incidenti o proteste.
Specialmente la seconda votazione a Girgenti si svolse calmissima.
I risultati finora furono i seguenti:
1°) A Girgenti riuscì la lista dei vecchi
fascisti con carattere di opposizione al Fiduciario Provinciale.
2°) A Canicattì riuscì una lista ostile al
Fiduciario Provinciale composta quasi tutta di ex Ufficiali combattenti e
decorati con a capo il valoroso Generale Gangitano più volte decorato al valore
e ferito.
3°) A Porto Empedocle riuscì una lista degli
elementi uscenti, fascisti di vecchia data, contrarii al Fiduciario.
Vi furono anche elezioni in comuni di minore
importanza: Casteltermini, Bivona, Siculiana e Palma con risultati varî.
In complesso però si è creata una situazione artificiosa specie in queste
ultime settimane per effetto della sovrapposizione degli elementi popolari, riformisti,
alla gerarchia Fascista.
I maggiorenti demosociali si mantengono per
lo più inattivi nella incertezza dell’atteggiamento da assumere di Fronte al
Governo Fascista. Una organizzazione veramente forte e seria del Fascismo, ne
potrebbe diminuire di molto l’efficienza. Le Sezioni di vecchia data, in gran
parte ostili al Fiduciario Prov. Intendono affermarsi sul nome del predetto
Generale Gangitano, come Segretario Politico Provinciale, il quale ha sempre
combattuto apertamente la Democrazia Sociale. Per evitare questo pericolo si
minacciano nuovi scioglimenti da parte della Federazione Provinciale.
Per conto mio, ho ritenuto conveniente
mantenermi del tutto estraneo al movimento fascista di quest’ultima fase. E ho
pur dato disposizioni affinché i funzionari dipendenti si astenessero da
qualsiasi ingerenza.
Tali direttive sono state rigorasamente
osservate.
Date le circostanze di fatto sopra riferite
e delle quali potrei occorrendo dare la documentazione, ritengo di dover
confermare la proposta che ebbi l’onore di farLe a Siracusa e cioé lo scioglimento della
Federazione Provinciale, con la nomina di una Commissione di Reggenza che
proceda ad una rigorosa revisione delle Sezioni ed il rinvio delle elezioni.
In linea subordinata ritengo che si debba
negare il riconoscimento alle Sezioni di Comitini, Favara, Cianciana, Burgio,
Bivona, Joppolo e Aragona.
Infine per la ricostituzione delel Sezioni
di Licata, Sciacca, Menfi e Sambuca, dove le condizioni sono favorevoli allo
sviluppo di un forte e sincero Fascismo, propongo che vengano rigorasamente
seguite le direttive opportunamente dalla S.V. On. Date coll’ordine del giorno
emesso a Siracisa, affidandone la riorganizzazione a elementi estranei
all’ambiente, e non asserviti ai vecchi partiti locali.»
La peculiarità di Agrigento di un fiduciario a capo della federazione
fascista provincila si trascinò sino al 26 gennaio 1924. Sotto tale data venne
incaricata di regge il fascismo agrigentino una Commissione Straordinaria, come
aveva proposto il prefetto Reale in via principale. Tale Commissione si resse
sino al 17 aprile 1924, quando venne eletto tal Girolamo Galatioto, che durò
sino al 4 aprile 1925. Dopo abbiamo un certo Paladino Raffaele, che a diverso
titolo, fu capo del fascismo agrigentino sino al 13 settembre 1925. Quindi è il
tempo del celeberrimo Achille Starace che fu commissario straordinario del
federazione di Agrigento dal 13 settembre 1925 al 17 maggio 1926. Il 17 maggio
1926 subentra l’On. Angelo Abisso: esso è il federale di Agrigento sino al 29
dicembre 1927.
Questi sono i suoi successori:
1. D’Andrea Calogero dal 29 dic. 1929 sino
al 14 gennaio 1931;
2. Basile Carlo Emanuele dal 14 genn. 1931
al 17 aprile 1931 (Commissario Straordinario);
3. Morello Vincenzo dal 17 aprile 1931 all’
11 giugno1932;
4. Puccetti Corrado dall’11 giugno 1932 al
6 febbraio 1933;
5. Gaetani Alfonso dal 6 febbraio 1933 al
1° aprile 1937;
6. Guggino Emerico dal 1° aprile 1937 al 4
aprile 1940;
7. Di Marsciano Ermanno dal 4 aprile 1940
al 3 maggio 1943;
Ufficialmente, la Federazione fu costituita il 15 novembre 1922. I
personaggi che si sono succeduti alla sua guida non sono tutti di grosso
risalto. Alcuni dati biografici aiutano a comprendere l’altalenare di personalità
a vario spessore che si registra nella direzione del fascismo agrigentino.
Dima Narciso
Laurea in ingegneria - assicuratore. Iscritto ai fasci sin dal 1919.
Fiduciario della Federazione dal 15 novembre 1922. Agente generale dell’INA per
Girgenti.
Galatioto Gerolamo
nato a Ravanusa (Ag.) il 10 agosto 1894. Partecipò alla guerra del
1915-18 con il grado di tenente di fanteria. Ebbe due medaglie di bronzo.
Paladino Raffaele
nato a Floridia (Sr) il 10 gennaio 1884. Laurea in lettere, insegnante.
Figlio di Esattore Comunale. Socialista rivoluzionario; interventista;
nazionalista. Iscritto al Fascio nel 1920. Espulso dal PNF nel marzo 1926
«quale elemento disgregatore», fu riammesso nel maggio successivo. Non aderì
alla RSI.
Starace Achille
«”Buttatelo giù per le scale”, fu l’urlo di
Mussolini che scacciava definitivamente Starace dal’anticamera della Sala del
Mappamondo a Palazzo Venezia. Il “duce” lo aveva privato di ogni carica e di
ogni onore in breve tempo. Nel ‘39 Starace dovette dimettersi da segretario del
partito fascista e nel ‘41 da capo di stato maggiore della milizia: la sua
stella era tramontata per sempre. Cominciarono per lui gli anni delle
umiliazioni e della misera che non ebbero più termine fino al giorno della sua
esecuzione in Piazzale Loreto a Milano, il 29 aprile 1945.» [48]
«La sua vicenda personale non si chiude in
se stessa, maè il riverbero di un costume che andava mutando, la sua biografia
è anche il racconto della vita esemplare d’un gerarca fascista assai potente,
di una sacra autorità del Ventennio. E’ uno specchio in cui si riflettevano gli
italiani del Littorio irreggimentati in una coreografia alienante di cui
Starace era regista discusso e irriso ma ubbidito.
«La condanna del fascismo è nelle cose di
tutti i giorni e negli eventi della storia. Rovesci e sciagure furono
addebitati al regista, come conseguenza d’un’apparente organizzazione del
partito che non poteva reggere alla prova del fuoco. Di lui si fece un capro
espiatorio. Misero tutto sul suo conto. Lo distrussero, e forse lo meritava.
Mussolini lo scacciò, e forse aveva buone ragioni per farlo. L’ingranaggio
ormai lo stritolava e nessuno poteva riabilitarlo. Cercò di risollevarsi da
solo, con una morte dignitosa davanti al plotone d’esecuzione.» ([49])
Nel “carteggio riservato” della Segreteria particolare del Duce,
custodito nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, ben tre voluminosi
fascicoli riservati ([50]) sono
destinati allo Starace. Vi è di tutto. Mussolini lo seguiva in tuttto. Dalle
cose pruriginose (pederastia, tradimenti tra fratelli, orge) a quelle
invereconde (le celebri avventure galanti) ai latrocinii, alle concussioni. La
parentesi agrigentina di Starace vi emerge per gli aspetti più inquietanti: la
sua amicizia con Abisso fu molto interessata. Non è provato, ma niente
smentisce la miserevole vicenda dei tanti soldi spillati all’on. La Lumia di
Licata dietro promessa di una resurrezione politica.
Un anonimo faceva al “duce” in data 28/5/1932 questa delazione ([51])
«A S.E. Benito Mussolini - Ministro degli Interni,
Roma - Dopo un lavoro faticoso e pericoloso di spionaggio, ho potuto appurare i
dati di fatto che vengo ad esporVi, nell’interesse generale del Fascismo e
particolare della Provincia di Agrigento.
«Da parecchi anni l’On.le La Lomia,
politicamente di Licata, corrisponde la somma di lire cincquantamila annue
all’On.le Starace.- Detti pagamenti, che ad oggi ammontano a £. 350.000 sono
stati fatti direttamente con vaglia bancari girati dallo stesso all’attuale
Segretario del Partito, oppure a mezzo del Senatore Abisso, difensore della
delinquenza siciliana. Per detta somma l’On. Starace, fin dalla sua gestione
commissariale nella provincia di Agrigento, si è impegnato di difendere
l’associazione Abisso-La Lomia fino alle estreme conseguenze. In conseguenza di
questo fatto l’On. Starace ha inviato come Questore di Agrigento il Comm. Papa,
che appena arrivato in sede si è premurato di chiamare al telefono il Comm. Lo
Dico, ex Preside della Provincia di Agrigento, al quale comunicava un discorso
cifrato, in seguito al quale, dopo pochi giorni, avveniva nei pressi di Porto
Empedocle .. nel villino campestre del
detto Lo Dico , una riunione segreta alla quale partecipavano, il Questore, Lo
Dico, il senatore Abisso, il dott. Di Leo Calogero sanitario del comune di
Sciacca e fratello del Segretario Federale Agrigentino in pectore, il
dottore Venezia medico chirurgo dentista di Sciacca, fervente propagandista repubblicano, l’nsegnante Castellana Alfonso di Lucca Sicula,
il cav. Liborio Friscia di Ribera, il Capo Manipolo Friscia Gaetano di Ribera,
il Marturana Salvatore di Agrigento, alcuni rappresentanti dell’On.le La Lomia
ed altri Abissiani della Provincia.
«Scopo della riunione fu di impartire
disposizioni perché fosse fatto molto rumore in Provincia per la promessa
dell’On. Starace del rovesciamento imminente della situazione politica
provinciale.
«In seguito a tale riunione infatti in vari
paesi della Provincia furono sguinzagliati degli agenti provocatori che
tentarono dappertutto di sollevare incidenti. A prova della veridicità della
promessa dell’On. Starace in quella riunione l’On.le Abisso riferì per
comunicazione avuta dall’On. Starace che il ritardo del provvedimento di
rovesciamento si doveva al fatto che presso la magistratura di Sciacca giaceva una
pratica per la riesumazione di un processo di associazione a delinquere per
stabilire se il padre del futuro Segretario Federale di Agrigento fosse stato a
suo tempo coinvolto in detta associazione. Al che il Questore Papa prese la
parola assicurando ‘in ogni caso la Segreteria Federale sarà data a persona che
pur sembrando neutrale tuttavia sarà al completo servizio del Senatore
Abisso’».
Nella permanenza ad Agrigento, l’On. Starace ebbe modo di incontrarsi con
due uomini politici: l’on. Abisso e l’on. Cucco; del primo ne consolidò la
fortuna, del secondo ne stabilì l’umiliante radiazione dai ranghi (almeno sino
al 1939). La lotta alla mafia non c’entra affatto. Diversamente la sorte dei
due politici siciliani doveva esse parallella, identica essendo la radice
mafiosa.
L’on. Abisso fu tanto camerata dell’On. Starace da seguirlo in scandalose
frequentazioni di donnine romane. Le spie di Mussolini riferivano. Ma senza
effetto.
Abisso Angelo
E’ figura centrale dell’agone politico agrigentino, almeno dal 1913 sino
al 1933 quando il nobile Gaetani diviene federale di Agrigento. Equilibrismi
polticici, repentine conversioni, tradimenti, trasformismo determinano un
effetto alone sul personaggio, che resta equicoco, indefinibile, moralmente
opaco. Ciò trascende l’angusta economia di questa ricerca per il doveroso
approfondimento.
Al nutrito partito di fiancheggiatori - sprezzantemente chiamati
abissisiani - si contrappone quello dei denigratori ad oltranza. Nelle carte di
archivio abbondano le denunzie, le calunnie, le insinuazioni. L’on. Abisso
finisce nell’osservatorio della Segreteria particolare del Duce che apre a suo
carico un folto fascicolo informativo. ([52]) Il
potente amico Starace riesce, in ogni caso, a parare i fulmini mussoliniani. La
stella politica di Abisso potè appannarsi alla fine, ma non si oscurò per tutta
la durata del fascismo.
D’Andrea Calogero
Nato a Campobello di Licata (Ag) il 30 maggio 1877, si laureò in
giurisprudenza. Fu avvocato ed insegnante. Partecipò alla guerra del 1915-18
col grado di capitano, poi maggiore di fanteria. Iscrittosi al fascio il 20
novembre 1922, fu preside dell’Istituto Tecnico di Agrigento. Rivestì anche la
carica di Vice Preside dell’Amministrazione Provinciale di Agrigento. Non aderì
alla R.S.I.
Basile Carlo Emanuele
nato a Milano il 21 ottobre 1885, morì a Stresa il 1° novembre 1972.
Barone plurilaureato (giurisprudenza e lettere), giornalista e scrittore, era
figlio di un prefetto. Fu nominato senatore. E’ autore di romazi e novelle.
Aderì alla R.S.I. e fu quindi prefetto di Genova dal 25 ottobre 1943 al 26
giugno 1944. Ebbe l’incarico di sottosegretario alle FF.AA dal 27 giugno 1944.
Venne ad Agrigento come commissario straordinario di questa federazione per
consentire una svolta in termini di affrancamento dalla influenza dell’On.
Abisso. Vi restò dal 14 gennaio 1931 fino al 17 aprile 1931. Passò le consegne
alla scialba figura di Vincenzo Morello di cui sappiamo che fu fascista fin dal
1920. L’11 giugno 1932 viene sostituito da Corrado Puccetti: da questo momento
la vicenda della federazione agrigentina esula dai limiti della presente
investigazione storica.
Quale giudizio può formularsi sul primo quindicennio del fascismo
agrigentino (1921-1926)? Ci pare illuminante, pur nel suo settarismo e nella
passionalità per il ribollire delle passioni del tempo, la sguente anonima
delazione che si rinviene nella carte ministeriali romane ([53]):
«La storia politica della provincia di
Girgenti, [Girgenti cambia denominazione in Agrigento durante il fascismo,
nel 1927, con il r.d. 16 giugno 1927, n.° 1143, n.d.r.] specie nell’ultimo quindicennio, rappresenta quanto di più
deplorevole possa esservi nella vita pubblica italiana. Sparitò l’on. Nicolò
Gallo, che dal 1884 ne fu quasi ininterrottamente il dominatore, il suo posto
venne assunto dall’on. Domenico De Michele. Costui, ch’era stato del Gallo il
luogotenente fedele non aveva di lui né l’ingegno né la dottrina né
l’ascendente, ma seppe mantenersi al potere col favore di S.E. Giolitti, del
quale fu seguace fedelissimo, e creando attorno a sé una rete di interessi e di
interessati. Contro questa oligarchia, bollata col nome di cosca,
insorsero le forze nuove della Provincia ch’ebbero come principale loro
esponente Giovanni Guarino Amella. Sono ancora ricordate le polemiche, spesso
virulente, dell’organo dell’opposizione “IL MOSCONE”, nel quale al De Michele
ed ai suoi seguaci si fecero le accuse più atroci e più infamanti.
«In tali consizioni di cose venne
l’allargamento del suffragio e vennero le elezioni del 1913, nelle quali le
forze dell’opposizione riuscirono vittoriose e furono eletti deputati Giovanni
Grarino Amella, Antonino Parlapiano Vella e Angelo Abisso. Costui, fino a pochi
mesi prima semplice segratario al Ministero dei LL. PP., aveva compreso
l’enorme capovolgimento che il suffragio universale avrebbe prodotto nelle
imminenti elezioni e , dimessosi, si era lanciato a capofitto nella lotta,
aggregandosi alle file dell’opposizione, ma proclamandosi “individualista e
simpatizzante per i socialisti (discorso politico del 1913 a casa Gerardi)”
«Ma l’opposizione, divenuta maggioranza ed
impadronitasi del potere politico ed amministrativo in provincia, non credette
di meglio che di .... seguire i metodi dei precedenti padroni, anzi di
perfezionare e incrementare tali metodi. Il nepotismo più sfacciato, il
favoritismo più aperto furono regola di vita per essa, e poichédopo pochissimo
tempo scoppiava la guerra, se ne trasse motivo per inaugurare in provincia il
più sconfinato dispotismo. Messo da parte l’on. Antonino Parlapiano, che per
temperamento e per tradizione non era adatto a seguire in tutto e per tutto i
metodi della nuova cricca, questa s’imperniò sul binomio Guarino-Abisso, i
quali durante la guerra furono i dominatori incontrastati di tutti gli organi
amministrativi, statali e parastatali della provincia. Non solo
l’amministrazione provinciale propriamente detta e quella dei varii comuni
passò nelle loro mani ed in quelle delle loro creature; non solo per avere più
incontrastato dominiol’on. Abisso ad es. Tenne a Sciacca, malgrado il Consiglio
comunale - pu da lui eletto - non fosse sciolto, un Commissario prefettizio di
sua scelta per ben 5 anni; ma Consorzio granario, Commissione esoneri,
Consiglio d’amministrazione del Banco di Sicilia etc. etc. Commissioni militari
di requisizione furono accentrati nelle loro mani direttamente o a mezzo di
persone parenti od amiche. Quello che fu fatto al Consorzio granario, gli
scandali delle varie Commissioni di requisizione, nelle quali era magna pars
il comm. Lo Dico odierno alter ego dell’on. Abisso in quel di Girgenti,
non hanno bisogno di illustrazione, perché ancora se ne occupano le cronache
dei tribunali con i varii processi, ancora non chiusi, di truffe, falsi e
malversazioni a carico dello Stato, commesse tutte sotto le grandi ali dei due
grandi patroni della provincia. E mentre i due facevano a Roma professione
d’interventismo, e l’on. Abisso indossava la divisa di tenente del genio ma,
sebbene appena trentenne, non andava al fronte pur facendosi bello dell’amicizia
di Valentino Coda (dove mai l’ebbe a conoscere resta sempre un mistero!); a
Girgenti e Palermo si cooperavani per imboscare il maggior numero di gente,
fratelli, cognati e cugini; per esonerare come agricoltori barbieri e
murifabbri, e per difendere avanti ai tribunali militari il maggior numero di
disertori o di falsificatori di esoneri. La cronaca del tribunale militare di
Palermo informi. Si cominciava così da parte dell’on. Abisso a creare quella
leggenda d’irresistibile avvocato penalista, che, stabilitosi pieno ed
intero il suo dominio politico, gli doveva assicurare il monopolio delle
Assisie di Sciacca e Girgenti e la fama di “detentore delle chiavi del
carcere”.
Appartiene a questo periodo la persecuzione
inflitta dall’on. Abisso, attraverso a tre inchieste tutte quante negative, ad
un capitano - Gravina - reo di aver preso in contravvenzione lo zio di lui
Friscia per vendita illecita di grano requisito; contravvenzione sfumata per il
tempestivo intervento del Commissario dei Consumi che svincolava “a posteriori”
il grano venduto. Ed appartengono a questo periodo i contorcimenti politici
dell’Abisso e la smargiassata della “messa in stato di accusa dell’on. Giolitti
per altro tradimento” da lui chiesta a S.E. Salandra e da questi qualificata
come una semplice “sciocchezza” del deputato di Sciacca. Ciò che però non
impediva, all’on. Abisso, al feroce interventista del ‘15, di divenire, appena
Giolitti tornò al potere, di divenire un giolittiano ferventissimo, anzi il
luogotenente generale dell’uomo di Dronero in quelle famigerate elezioni del
1921, e di chiedere e di ottenere da lui, alla vigilia dell’elezioni istesse,
la nomina a commendatore motu proprio, affissa poi subito alle cantonate di Sciacca e provincia
col relativo telegramma di S.E. Giolitti.
«Venne il dopoguerra e venne di moda il
bolscevismo. Ed allora Guarino ed Abisso, ma questi più del primo, entrambi
però sempre in combutta tra di loro, provvidero a dare alla provincia di
Girgenti il saggio migliore e maggiore del’opera bolscevica. Le occupazioni delle terre di Ribera e Menfi,
ma sopratutto quelle di Ribera, col tentato sequestro del Duca di Bivona e con
i vandalismi conseguenziali, furono opera diretta, ispirata, suggerita e
talvolta predisposta dall’on. Abisso. Il quale arrivò persino ad ottenere che
l’autorità politica impedisse l’esecuzione delle sentenze del magistrato (come
per il rilascio del feudo Scifitelli disposto con sentenza della Corte di
appello, ed impedito dal Prefetto di Girgenti!). Né si dica che ciò egli abbia
fatto per venire in soccorso ai combattenti, perché di tali occupazioni poco o
nulla si sono giovati gli autentici combattenti e le terre, quando non sono
state retrocesse ai proprietari per inadempienza delle pseude cooperative da
lui create, sono andate a finire in mano a gente che la guerra non vide neanche
da lontano. Esempio la lottizzazione dell’ex feudo Nadore in quel di Sciacca,
dell’ex feudo Fiore e Bertolino di Menfi; e, uno per tutti, l’esperienza
disastrosa della celebre Cesare Battisti di Ribera.
Intanto alla Camera il binomio, per
sorreggersi, seguiva una linea di condotta veramente meravigliosa. Data
l’instabilità dei governi, i due, per trovarsi a cavallo, non votavano assieme
se non quando l’esito della votazione era sicuro; ma quando si trattava di
votazione incerta i due demo-sociali (giacché Abisso aveva finito per
rinunciare al suo individualismo e seguire l’amico Guarino anche nel partito di
S.E. Di Cesarò) o si dividevano votando uno contra ed uno a favore, oppure,
mentre l’uno si squagliava, l’altro votava a favore. Così i due poterono
rimanere ministeriali con tutti i ministeri ed essere fautori e sostenitori di
quei Governi imbelli del passato, contro di cui così spesso e volentieri, con
riconoscenza ammirevole, ora si scaglia ogni tanto il fascista on.
Abisso. Il quale una sola volta dovette passare per oppositore, quando cioè
l’on. Nitti, accortosi ch’egli erasi prudentemente squagliato in una votazione
non volle accettare le congratulazioni che s’era affrettato a fargli dopo
conosciuto l’esito favorevole del voto! E ministeriali furono persino col
ministero Fatta [Facta, n.d.r.] del
quale uno dei due avrebbe volentieri fatto parte se i popolari non si fossero
opposti facendo a loro preferire il La Loggia.
«Intanto il movimento fascista andava
montando, e lo Abisso, sempre tempista e previdente, disponeva che nei varii
comuni della provincia sorgessero delle sezioni fasciste composte da persone a
sé fide, ma di seconda mano; gente di scarto e sfiduciata al doppio scopo
d’impedire che la gente per bene potesse accostarsi e far proprio il movimento
e di poterlo sconfessare, e buttare a mare gli esponenti stessi senza sua
compromissione, ove il movimento fosse fallito. Né appena avvenuta la marcia su
Roma egli permise che quelle sezioni s’ingrossassero sia con elementi proprii, sia permettendo
l’ingresso di altri elementi estranei alla cricca, non essendo sicuro che il
regime potesse consolidarsi. Ma quando capì che esso ormai durava, allora fece
il gran passo, si separò dal Guarino ed entrò nel fascismo con tutti i suoi
adepti.
«Da quel giorno è stata sua cura costante
non solo di sfruttare nel modo migliore, a vantaggio proprio dei parenti e dei
gregari, la sua posizione dominante; ma sopratutto quella di allontanare dal
fascismo tutti coloro che gli potessero dare ombra costringendo l’elemento
migliore della provincia o a fare del dissidentismo o a starsene a casa o a
passare addirittura all’antifascismo. Del resto non potrebbe essere
diversamente. Infatti in provincia il fascismo non esiste, come del resto non
esiste antifascismo: non c’è che dell’abissinismo e dell’antiabissinismo. Anche
coloro che odiano il fascio possono esservi ammessi purché passino sotto le
forche caudine dell’omaggio e dedizione ad Abisso ed ai suoi luogotenenti. Di
esempii se ne possono citare a migliaia, ma noi citeremo i più gravi ed
importanti.
«Sciolto il Consiglio comunale di S. Stefano
Quisquina, poiché i veri fascisti di colà non erano da lui benvisti, egli volle
che il Fascio fosse rappresentato dai sigg. Vincenzo Ippolito e Con
osservanza., cioè dagli autentici maffiosi del luogo. E costoro ebbero
l’amministrazione comunale e furono i padroni del paese finché, passati
sinceramente o no poco importa, al fascismo i socialisti del luogo e denunciato
in alto loco i precedenti degli amministratori scelti dallo Abisso, costui fu
costretto di abbandonarli al loro destino.
«Così in Alessandria della Rocca non ha
esitato a silurare i vecchi fascisti del luogo, rei di poca arrendevolezza a
lui, per accogliere e mettere al loro posto un suo ex-compagno demo-sociale
reduce dal comitato aventiniano-matteottiano di Girgenti.
«Né basta. Abbattuto il La Loggia egli non
ha esitato a fare rivolgere invito ai partigiani di quello perché passassero
nelle sue file, e bastò che il dott. Traina di S. Margherita, anifascista
nell’anima, si ponesse a sua personale discrezione, perché egli senz’altro gli
lasciasse il dominio del paese abbandonando i suoi vecchi compagni, che
rappresentano il minor numero.
«Quello però che dimostra viemmeglio quale
sia lo spirito che anima lo Abisso, è dimostrato dal suo accordo col’ora
defunto on. De Michele. Costui, dopo la caduta, era passato nelle file del La
Loggia di cui fu fino ad ieri il seguace più ostinato, anche perché i Baiamonte
suoi oppositori nel paese natìo di Burgio erano passati al fascismo.
«Caduto il La Loggia, il De Michele fece
degli approcci per passare al fascismo, e poiché i Baiamonte avevano mostrato
di avere delle preferenze per il prof. Noto Sardegna, inviso allo Abisso perché
a lui superiore per intelligenza, cultura e ... tutt’altro, questi non esitò a
dimenticare il passato e ad ammettere il De Michele nel direttorio provinciale
dietro promessa di appoggiare, contro Noto, certo Ciaccio un vero Carneade di
Sambuca, come possibile candidato del Collegio di Bivona. Ed i Baiamonte furono
cacciati in galera!
«Del resto che lo Abisso faccia del fascismo
a suo uso e consumo lo dimostra un fatto per quanto piccolo e materiale: a
Sciacca, sua cittadella, si sono spese dal Comune fior di quattrini per creare
un lussuoso circolo ANGELO ABISSO, che tutti i fascisti, sopratutto se
impiegati, debbono frequentare; mentre per la Sezione del Fascio esiste una
stanzetta angusta che sta quasi sempre serrata.
«Non parliamo poi dei criteri amministrativi
seguiti al Comune di Sciacca. Due Consigli comunali, sebbene da lui eletti e
composti tutti suoi gregari, si sono dovuti dimettere rei soltanto di aver
voluto qualche volta ribellarsi agli ordini dello zio Salvatore Friscia, un
ex-rappresentante che ha monopolizzato, durante la guerra attraverso al
monopolio dei permessi d’esportazione, ed oggi attraverso altri sistemi, il
commercio locale, e che crede il Comune essere cosa sua personale. Ed oggi si
propone come podestà un impiegato di prefettura, mentre non mancano nel partito
gente idonea alla carica, per il timore, confessato, che queste possano avere,
dopo nominate, delle velleità d’indipendenza agli ordini delll Abisso e del suo
luogotenente!
«Del resto lo stesso sistema si segue negli
altri comuni. A Menfi alter ego dell’Abisso, è certo Volpe, un contadino semi
analfabeta, ma esecutore fedelissimo degli ordini ch’egli gli dà e suo
rappresentante ... anche negli affari professionali; a Girgenti domina
incontrastato in suo nome il Comm. Lo Dico, reduce dei fasti delle Commissioni
di requisizione, e che pur essendo un semplice procuratore legale NON laureato,
divide con lo Abisso i maggiori trionfi in Corte d’Assisie.
«Perché poi la piaga maggiore che il dominio
di quest’uomo ha portato in provincia, è la difesa assunta della peggiore
delinquenza, l’esautoramento completo della giustizia. [...] [Anonimo del
14.10.1926, n.d.r.]»
Lo spaccato è senza dubbio tutto in negativo e va accettato per quel che
vale: ma qualche luce la riverbera sul quel periodo. Uno dei suoi limiti più
vistosi è quello di limitare lo sguardo critico alla sola parte occidentale di
Agrigento. Per la restante parte disponiamo di altre carte riservate, anonime
ma informate, che ben si prestano a fornirci altri spunti critici.
L’anonimo proviene da Naro ed è datato: 15 settembre 1931. Qui viene presa di mira la fazione dell’On.
Riolo.
«Eccellenza - esordisce ([54]) - In nome di sedicimila coscienze, ancora non
vendute né aggiogate al carro del banditismo locale, si ha l’onore di farVi
conoscere quanto segue:
«La Sezione del P.N.F. venne istituita in
Naro nel Novembre del 1922 da pochi giovani animosi, di pura fede nostra, i
quali per riuscire SOLAMENTE AD ACCAMPARSI tra le rive di questa mefitica
palude politica dovettero sfidare tutte le ire e scavalcare tutti gli ostacoli,
opposti al loro sano e santo entusiasmo dagli altri Partiti locali, in modo
specialissimo da quella vera associazione a delinquere che fu il così detto
partito della democrazia social massonica.
«L’avvento del Fascismo al potere avrebbe
dovuto segnare la scomparsa di quella più vera e maggiore piaga di Egitto, ma
le prepotenze, le intimidazioni, le corruzioni, l’intrigo fecero sì che la
“COSCA” provinciale (facente capo allora all’on. Abisso, capo riconosciuto di
tutta la mala vita urbana e rurale) si mantenesse a galla e così nella prima
elezione politica fascista (1924) l’avv. Salvatore Riolo Specchi venne
compreso, tra lo stupore e la indignazione di tutti, nella lista Nazionale.
«Conseguenze dirette della candidatura e
quindi della elezione di questo oscuro satellite abissino furono:
1°) = L’ingresso di tutti i demo social
massonici nella sezione del Partito Fascista di Naro;
2°) = La caduta del direttorio locale e la
sostituzione di tutti i membri di questo, per imposizione del Deputato, con
elementi di pura marca Riolana;
3°) = L’automatico allontanamento dalle
cariche e anche dalle fila del Partito dei fascisti della prima ora.
«Da quel giorno sino ad oggi tutto l’immenso
ritmo fecondo di idee e di opere del regime è stato costretto a vivacchiare, in
servitù sterile e semi-boccaccesca, tra una parete e l’altra dell’allegra
dimora della signora TITA RINALDI RIOLO la quale ha voluto dividere col marito,
assiduamente, l’onere e l’onore di governare le sorti e la storia nuove del
paese, ad esclusivo beneficio della sua famiglia naturale e politica. Da allora
sino ad oggi, senza uno scarto, senza rossori, con la medesima flemma vuota e
sorniona, tutte le cariche del Partito, distribuite patriotticamente in
famiglia sono sate occupate nel modo seguente:
AVV. COMM. SALVATORE RIOLO SPECCHI - Classe
1876
Deputato alla Camera. Capo, di nome se non
di fatto del P. Fascista locale. Ex imboscato e protettore di imboscati ed
autolesionisti. Presidente del Consorzio granario durante la guerra, a
Girgenti. Capo della massoneria paesana e gran fratello di quella provinciale.
Attualmente, si dice, è dormiente. Venne incluso nella lista Nazionale con
questa esilarante menzogna: “PER ESSERSI COSTANTEMENTE OCCUPATO DEI PROBLEMI
DELL’AGRICOLTURA” = mentre qui è notorio che egli di agricoltura non conosce
neppure l’ortica. Tipo vano e vuoto ma ambiziosissimo sarebbe capace, pur di
conservare la medaglietta, di accodarsi anche a Don Sturzo, com’ebbe un giorno
cinicamente a dichiarare nella farmacia Bellomo: per sincerarsi chiedere
informazioni a costui e ad un reverendo Polizzi, se questi due individui sono
disposti a servire la verità. Espertissimo nell’intrigo e nelle pastette sa
conciliare le opposte tendenze e le sfrenate ingordigie di parenti, di amici e
di protetti, da sette anni tutti patriotticamente a posto con stipendi da
generalissimi chi in Naro chi nel Capoluogo.
«Nel breve giro di tre anni fece regalare a
questo povero Municipio la bellezza di VENTIDUE Commissari.
«Nel 1919, 20 e 21, imperversando il terrore
rosso non mise mai il naso fuori né permise che l’avessero messo fuori i trenta
satelliti della sua fortuna, lietissimi di poterlo imitare in questa bisogna
col medesimo entusiasmo col quale lo avevano imitato e talvolta superato in
viltà durante la guerra.
«Nel 1922 tradì e strozzo l’amministrazione
comunale dei combattenti dei quali, fin dal 1925, perseguita con ogni mezzo,
compresa la maldicenza in pubblico, la locale sezione.
«Dal 1925 sino al dicembre 1930 assassinò
politicamente, moralmente, finanziariamente il Podestà Cammilleri Sillitti
prima e costrinse dopo a dimettersi da Commissario Prefettizio, successo ad un
povero Re Travicello, il proprio cugino Comm. Totò Riolo Tomasi, reo dinanzi al
pubblico d’essere un povero idiota, sebbene onesto e fattivo come il Cammilleri
Sillitti. Lui che sa appena leggere e scrivere, ha anche l’incarico di
Sovrintendente ai Monumenti di Naro, ma i rari illustri visitatori che capitano
qui sono costretti a chiedersi esterrefatti
se Naro è in Italia o non, tali e tante sono le prove materiali delle
rapine, delle manomissioni, della incuria che hanno sofferto e continuano a
soffrire tutti i monumenti e le reliquie del nostro splendore antico.
«E fianlmente, tanto per conchiudere alla
svelta si fa noto che non sapendo fare altro, da sette anni ha sfruttato tutto
il suo genio nel far conferire croci e commende ad individui i quali
rappresentano in Naro o fuori il fiore della feccia, della incapacità,
dell’strionismo, dell’antipatriottismo e segnatamente dell’ANTIFASCISMO, come
si verrà mano a mano dimostrando. [Si butta quindi fango sulle seguenti
persone: Avv. Ignazio Riolo, classe 1887; avv. Giuseppe Riolo, classe 189; avv.
Carlo Riolo, classe 1892; Comm. Salvatore Riolo Tomasi; Girolamo Rinaldi,
classe 1889; Ciro Rinaldi, classe 1887; Luigi Rinaldi, classe 1885; Rosario
Specchi-Rinaldi; Cav. Uff. Antonio Castelli, classe 1874; Cav. Antonio
Castelli; Antonio Gueli Alletti, classe 1873; Alfonso Borsellino, classe 1884;
Antonino Costa di anni 37; Cav. Onofrio
Nicolaci, commissario di P.S.- Il corrosivo astio e la vigliaccheria
dell’anonimato rendono quelle note ributtanti e - ai nostri fini - per nulla
significative. Ci asteniamo pertanto dal riportarle, n.d.r.] [...]
« Eccellenza
- Sono due anni giusti che noi meditiamo se valeva proprio la pena di
stendere le paginette di questa deplorevole storia locale, tutt’altro che
completa specialemnte nei riguardi dei maggiori esponenti del P.N.F. di qui i
quali, se hanno la tessera e tutti gli onori del Partito, assolutamente non ne
possiedono lo spirito e meno ne incarnano il dovere e la pericolosa e
miracolosa missione.
«A Naro, Eccellenza, il Fascismo è un mito e
il feudo è tutto. La conseguenza, disastrosa, è la seguente:
contro una banda di senzapatria, composta
tra ladroni e lacchè, da un centinaio d’individui c’è tutta intera una
cittadinanza la quale vuole da sette anni e spera indarno che la luce di
verità, la febbre di bene, la protezione augusta del regime, divengano una realtà
viva e feconda anche per essa; oggi, nel momento in cui scriviamo, è il
collasso generale con brevissime parentesi d’insurrezione spirituale sorda e
furiosa, di cui qualche cosa devono pur sapere nel capoluogo. Arriveranno
queste povere pagine fino al Tribunale dell’E.V.? E se arriveranno avrete Voi
il tempo e la bontà di degnarle di uno sguardo?
«Ecco degli interrogativi che spezzano
l’anima e, perché no?, anche l’entusiasmo.
«Ma se Voi non potete e non volete leggere
la storia del falso Fascismo riolano di naro, degnateVi almeno dedicare cinque
soli minuti a queste ultime pagine il cui contenuto dedichiamo alla Vostra
serena Giustizia.
1
«A Naro esiste una banca dal pomposo titolo
“BANCA COMMERCIALE INDUSTRIALE AGRICOLA”. Ne è Presidente il Comm. Benedetto
Gaetani, COGNATO DELL’ON. RIOLO, ex massone, falso fascista anch’egli, falso
patriotta e nullità assoluta sotto qualsiasi punto di vista. Gran parte dei
debitori di quella Banca sono tutti della banda Riolo parecchi dei quali sono
anche debitori morosi da anni. Da circa 20 anni questa Banca non fa bilancio e
non dà conto a nessuno dei suoi numerosi azionisti.
«Di questi non parla e non ricorre nessuno
perché sta sempre pronta per chi osa la
minaccia delle manette e del confino.
2
«A Naro esiste una Congregazione della
Carità. Anche questo Istituto, per quanto concerne la sua attività, sino al 30
maggio 1928, è un groviglio di infamie irregolarità e di ladrerie. L’ex
cassiere, un certo Costa Gaetano, padre del perito Comunale Antonino Costa (del
quale ci occuperemo all’ultimo) deve dare una grossa somma CIRCA LIRE
SEDICIMILA e non vuole sentirne. Per informazioni sottoporre ad inchiesta
l’attuale Presidente dott. Salvatore Aronica e se questi non vuole parlare
metterlo a confronto per esempio con qualche magistrato locale, con un Sac,
Polizzi, con un farmacista Ferracani ecc.
3
«A Camastra (ora frazione di Naro) tre anni
addietro veniva costruita la strada interna principale. Questa è costata
centinaia di migliaia di lire ma è divenuta praticamente impraticabile come la
famosa pedonale di Naro. C’è stata in questi ultimi tempi e proprio per la
strada una sollevazione dei cittadini di quella sventuratissima borgata, ben
presto domata con minacce di deportazione e di altro contro i più cospicui capi
di quel movimento, volutamente presentato come antifascista (il solito
argomento dei tirannelli che vogliono godere in pace il frutto delle pubbliche
rapine).
«Autore e direttore tecnico di quell’opera è
stato precisamente il perito comunale di Naro ing. Antonino Costa, Il collaudo
è avvenuto di sera e dopo il ritorno qui del deputato Riolo, tra motti e
sarcasmi del pubblico che assisteva, Quest’anno le autorità provinciali tanto
per offrire una offa di soddisfazione alla opinione pubblica nervosissima, hanno
fatto eseguire sul posto una inchiesta la quale ha avuto la fine di tutte le
inchieste della provincia feudo dei deputati Abisso, Riolo e Con osservanza.
«Il pubblico di Naro e di Camastra non ha
più fiducia né ad uomini né a promesse. E questo è forse il suo torto e il suo
debole, del quale profittano sfacciatamente gli altri, i cosidetti padroni per
continuare ...
4
«Il deputato Riolo dice di avere la
protezione di eminenti Gerarchi del Partito, vanta l’appoggio incondizionato
del sig. Prefetto Miglio, si dichiara invulnerabile da parte del Segretario
Provinciale Cav. Morello. TUTTO CIO’ IN PUBBLICO E SENZA RETICENZE.
5
«A Naro il gagliardetto è nome e cosa
sconosciutissima. Non si vede in nessuna ricorrenza. Così per volere espresso
di questo Segretario Politico il quale si scusa dicendo che non ha fascisti ai
quali affidarlo.
6
«A Naro il cav. Borsellino Alfonso,
individuo privo sin’anche di licenza elementare, veniva proposto ripetute volte alle Gerarchie provinciali, sino a 15 giorni addietro, come
podestà di Naro dal Deputato Riolo.
«Ultima fresca, gloriosa azione di lui è
stato lo stupro d’una povera servetta, costretta dalla miseria a lasciarsi
tacitare con poche centinaia di lire. La servetta è minorenne.
«Il pubblico sa e pensa, mastica e dice innominabili cose
contro l’eroe e i compagni che lo salvarono. Chi ci guadagna non è certo il
Fascismo.
7
«A Naro, dopo l’ecatombe di podestà e di
commissari voluta dal deputato Riolo, nel corso di quest’anno è venuto con
funzioni di Commissario Prefettizio il Cav. Steno Pelatti di Bologna, austera
figura di fascista e di amministratore. Così, per lui da quel mese abbiamo
finalmente visto, conosciuto e toccato la febbre, la forza, l’idea del regime.
Ma abbiamo ragione di ritenere che il Commissario Prefettizio non sia stato mai
e oggi meno di prima di gradimento dell’onesto deputato, che egli cominci ad
essere stufo e nauseato della persecuzione lenta, tenace, ipocrita di questo
becchino di Funzionari patriotti e puliti e che quanto prima se va via lui
(Pelatti) si debba annegare nella solita fradicia baraonda tanto cara a
fruttifera alla truppa del nostro illuminato onorevole.
«Soggiungeremo che il Pelatti in pochi mesi
di permanenza al Municipio è riuscito a cattivarsi talmente la stima e la simpatia
del pubblico (riuscendo così anche a mettere nella voluta luce il viso legale e
romano del Fascismo) che un grosso milionario, famoso per la sua tirchieria,
gli ha spontaneamente messo a disposizione una forte somma acciocché ne faccia
uso a suo gradimento senza darne conto a chicchessia!
8
«Da anni era stata raccolta una ingentissima
somma in America e qui per la erezione di un Monumento ai Caduti.
«La funzione di cassiere venne assunta,
manco a dirlo, dal solito
Cav. Dott. Antonio Gueli Alletti - V.
Segretario Politico.
«Il Monumento è lì che aspetta d’essere
inaugurato, tanta è stata la patriottica sollecitudine in merito del
generalissimo Riolo e consorti, Mai denari, nelle mani nette e pure di questo
caro oculista di vili, si sono come sempre patriotticamente squagliati e non è
possibile ottenere i conti. Lo stesso generalissimo Riolo convenne talvolta in
pubblico dicendo che effettivamente il costo di quell’opera e delle altre
sussidiarie risulta enorme. Noi diciamo che per molto meno parecchia gente di qui e di altrove è andata a gustare la
muffa e l’onta delle patrie galere.
«Pertanto denunziamo il cav. Antonio Gueli
Alletti, cugino del deputato Riolo, per furto continuato di fondi pubblici in
danno del Comitato Pro-Monumento e forse per disubbidienza agli ordini
superiori di presentare conti di gestione puliti e leggibili. Così facendo
riteniamo di aver messo posto la nostra
coscienza di cittadini e di fascisti, e sentiamo di avere servito la giusta esigenza
di un pubblico che ha dato quasi 200 mila lire e da anni non può sapere come
queste siano andate a finire.
«Soggiungiamo che su questo terreno non
scenderà mai il desideratissimo oblìo, unico scampo liberatore cui crede di
affidare la propria vita e l’nore questo fortunato frutto di carabiniere.
«Quindicimila cittadini vaglieranno sempre
sino a tanto che il ladro camuffato fascista renda ai nostri morti l’oro
versato con sangue e lacrime di tutti. Insistiamo: tutto qui sarà possibile, ma
giammai permetteremo che vampiri sfrontati come il Gueli Alletti e C/i,
attacchino le loro immondissime labbra anche sui ricordi dei nostri
DUECENTOQUARANTA EROI CADUTI PER LA PATRIA.
9
«Il 13 Settembre u.s. Domenica, in seguito
ad accordi presi tra tutte le Autorità a proposito della Festa dell’Uva, tutta
la cittadinanza volle manifestare apertamente la sua simpatia e la gioia verso
il regime incarnato nel Cav. Pelatti (Commissario Prefettizio) distribuendo ed
affissando manifesti di colore inneggianti al Duce al Prefetto, al Cav.
Morello, al Commissario Pelatti, al Fascismo. Per questa manifestazione,
descritta come un delitto presso la Prefettura di Agrigento, parecchi fascisti
della prima ora, rei di avervi preso parte col solito entusiasmo, furono
diffidati dalla Questura di Agrigento. Vi preghiamo in modo specialissimo di
fare indagare su questo fatto.
«Naro, 15 Settembre dell’anno IX° E.F.
I Cittadini»
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