venerdì 27 marzo 2015
Processo di Viterbo
Queste sono due deposizioni ci pare alquanto reticenti di due sottoufficiali dei carabinieri al processo di Viterbo. Da porre comunque attenzione ad alcuni passi del secondo testimone. Traspare una solerzia di Messana nlle indagini scattate subito dopo l'efferato massacro. Altro che connivenza!. Ma quei fugaci accenni ad armi e divise militari americani dovevano far molto pensare. Andavano riesumate le preccupate denunce del Messana circa la contiguità tra ufficiali americani e banditismo siciliano molto prima della strage di Portella.
In tale direzione andava anche indirizzato l'ardore di tanti storici di Sinistra e andrebbe ancora indirizzato vista la miniera di dati e documenti ora disponibili dopo l'apertura degli Archivi NARA.
Continuare a fare di Messana un capro espiatorio per provare una presunta connivenza democristiana con il banditismo siciliano è infamante oltreché indegno.
Altro che capo del Banditismo Politico siciliano il MESSANA: prendiamocela con gli invasori americani!
***********************************************************************per l'eccidio do Portella delle Ginestre. D. R. «Verso le ore 11 del primo maggio 1947, fui avvertito dal capitano Del Giudice di quanto a
lui aveva comunicato il sottotenente Ragusa e che era avvenuto a Portella della Ginestra. Dopo gli
accordi presi col comandante di Legione mi recai con una compagnia di militari a Piana degli
Albanesi; ove trovai lo stesso sottotenente Ragusa, che aveva già inviato a Portella della Ginestra
alcuni uomini, mentre egli si era fermato a Piana per provvedere alla prima assistenza sanitaria ai
feriti che cominciavano ad arrivare. Una parte della compagnia inviai da un lato del Pelavet mentre
l’altra parte al mio comando seguì la zona della strada che congiunge Piana a S. Giuseppe Jato. Fu
fatto un rastrellamento e furono fermate delle persone sospette. Ci fu indicata la strada battuta da
coloro che si erano trovati sulla Pizzuta, ma non fu possibile raggiungere alcuno. Intanto, su
indicazione di ragazzi, fermai Troia, Grigoli, Marino ed Elia, che immediatamente interrogai. Da
quanto essi dissero, dalle deposizioni dei testi, che avevano indicati come alibi, mi convinsi che
erano estranei al fatto. Poiché da qualcuno era stato indicato il modo di vestire all’americana di
coloro che erano stati sulla Pizzuta, ebbi la convinzione che il delitto doveva attribuirsi alla banda
Giuliano i cui componenti vestivano l’abito all’americana. Furono fermate circa 200 persone delle
quali la gran parte fu liberata nulla risultando a loro carico, ne furono trattenuti una decina fra cui un
tale che riferì di essere stato avvicinato in quell’occasione da quattro persone armate. Attraverso
indagini si accertò che le quattro persone erano dei cacciatori, che, identificati, furono da me e
Guarino interrogati a Palermo e le loro dichiarazioni furono trasmesse all’Autorità giudiziaria. Ai
quattro cacciatori furono fatte vedere delle fotografie di alcuni appartenenti alla banda Giuliano ed
essi non ne riconobbero alcuno poiché le fotografie ritraevano i predetti quando erano ancora ragazzi
e data la lunga permanenza in montagna avevano subito delle modificazioni fisionomiche.
Riconobbero solo una persona a cavallo che essi dicevano facesse da capo. Era precisamente
Giuliano».
D. R. «L’Ispettorato generale di P. S.
esplicò sin dal primo momento la sua attività facendo affluire
a Portella alcuni nuclei mobili di carabinieri che da esso dipendevano. Non so se e quale altra attività
sia stata esplicata dallo Ispettorato a Palermo, posso dire però che i quattro (Troia e compagni)
furono fermati dall’Ispettorato e passati a me per competenza, poiché io dirigevo le indagini».
D. R. «Restai per più di un mese a Piana degli Albanesi insieme con Guarino e dopo andai in
licenza».
D. R. «La sera stessa del primo maggio quando giunsi a Portella seppi da alcuni carabinieri dei
nuclei, che erano stati rinvenuti dei bossoli quasi alle falde della Pizzuta. Poiché mi risultava che era
stato fatto uso anche di armi automatiche ordinai al sottotenente Ragusa di esplorare la zona e di
accertare le postazioni esistenti. Quella sera stessa il Ragusa accertò due postazioni. Sopravvenuta la
notte, l’operazione fu rinviata all’indomani ed il 2 maggio il Ragusa stesso accertò altre quattro
postazioni di cui una per fucile mitragliatore».
D. R. «Non potetti di persona ispezionare le zone per accertare le postazioni; accertai le due più
basse perché quelle più alte erano accessibili solo a ragazzi ed infatti vi andarono i soldati ed il
sottotenente Ragusa».
D. R. «I bossoli che venivano da essi rinvenuti erano consegnati a me e posti tutti in un sacchetto,
furono inviati all’Autorità giudiziaria con un verbale descrittivo nel quale vi era indicata la qualità
dei proiettili essendovene anche di tipo americano».
D. R. «Credo di aver trasmesso all’Autorità giudiziaria più di 300 bossoli».
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