Ecco come Ettore Messana sbriciola le fandonie di Piscotta. Il tribunale credette a Messana. I giornalisti del mio paese hanno voglia di credere a Casarrubea che non c'era. La storia del tesserino è oltretutto di scarso rilievo. La faccenda dei cinque mitra poteva essere oggetto di incriminazione. Il presidente se ne guardò bene.
- "Tu Pisciotta come fai a sapere che Messana fornì
i mita a Ferreri per sparare a Portella?
- "Me l'ha dettoFerreri!
[Già ma quello è morto e quindi non può confermare alcunché Allora i magistrati erano persone serie. Il Pisciotta viene rimandato in carcere. Il Messana creduto:
- 'non ce ne avevo per me e li dovevo dare a Ferreri per Giuliano? [invero c'erano gli americanca proivano. Tutti vestiti all'americana i briganti di Giuliano].
- ' Per quale ragione poi? Perché doveva ammazzare tutti i comunisti del mondo? Faccio presente signor presidente che seppi di un intento di Giuliano di far fuori Li Causi. Misi sotto protezione Li Causi. Li Causi per ringraziamento si è messo a calunniarmi'.
GROSS MODO. E i sedicenti storici del duemila stanno lì a credere a Pisciotta.. Solo che le carte NARA stanno facendo giustizia di tutte le calunnie contro il Messana. Ma Humus d Racamuto non se ne cura. Deve condannare Messana perché così scrisse in un libricino tantissimi ann fa il general manager della dannunziana sede di lu CHIANU STRAULI.
Dottore Calogero Taverna
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da una lettera a Gigi Restivo
disinnescato in miei post che mi pare hai letto (magari - scusami - molto superficialmente). Ad ogni buon conto sto reiterandoli.
Altre pagine di tre testi della Bompiani si ostinano a martellare per infamare indegnamente il Messana e cioè quelle che attengono alla faccenda di Riesi del 1919 e alla pretesa correità con fra Diavolo nell'ambito della tragica storia del bandito Giuliano; mi dicevi ieri che anche a te apparivano "cazzate". Non so se confermi o hai dei ripensamenti. Io resto maggiormente confermato in favore del Messana
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bandito Giuliano
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La strage di Portella della Ginestra/ Documenti sulla strage/Documento 13
VERBALE INTERROGATORIO DELL’ISPETTORE VITO MESSANA [rectius ETTORE]
Verbale di continuazione di dibattimento del 20 luglio 1951
[cartella 4, vol. V, n. 5]
D’ordine del Presidente, introdotto il testimone Messana Ettore fu Clemente di anni 66, nato a Racalmuto (Agrigento) e domiciliato in Roma, Ispettore di Ps. [Ettore Messana non nacque a Racalmuto, bens^ a Gela da Clemente Messana. Nato nel 1988, per avere 66 anni dobbiamo essere nel 1956, n.d.r.]
Interrogato in merito ai fatti della causa, risponde:
«Fui mandato in Sicilia a capo dell’Ispettorato Generale di P.S. per la Sicilia nel maggio 1945 e vi rimasi fino a tutto luglio 1947. Il decreto che istituì l’Ispettorato è dell’aprile 1945 e funzione di tale organo fu quella di integrare l’opera repressiva e preventiva nell’eliminazione del banditismo ed in genere della delinquenza associata in Sicilia».
D. R. «Io ebbi a mia disposizione 750 carabinieri, 350 agenti e 14 funzionari, che distribuii in tutte le province della Sicilia da Messina a Trapani. Fui io che istituii i nuclei di carabinieri e polizia nei centri dove a me sembrò che dovessero essere istituiti. Le mie prime operazioni feci nelle province di Agrigento e di Catania. Verso la fine del 1945 incominciò ad affiorare l’attività della banda Giuliano. Tale fatto fece aumentare la mia attività tanto più che la banda Giuliano e quella di Avila si erano poste al servizio dell’Evis».
D. R. «Ebbi notizia dei fatti di Portella nelle ore pomeridiane del 1° maggio 1947. Mi recai ad una riunione indetta dal prefetto Vittorelli, dove si stabilì una certa azione da svolgersi. L’indomani mi recai a Piana degli Albanesi ed a San Giuseppe Jato, ove già si era proceduto all’arresto di quattro persone ad opera di un nucleo dipendente dall’Ispettorato e dove si era proceduto a largo rastrellamento arrestando centinaia di persone sospette, le quali però furono quasi tutte rimesse in libertà. Non essendo emersa a loro carico alcuna responsabilità».
D. R. «Tutto ciò venne fatto ad opera della questura che si limitò poi a denunciare solo i quattro arrestati».
D. R. «In una riunione tenuta anche alla presenza dell’Ispettore Generale di P. S. Rosselli, inviato a Palermo dal Ministero, fu deciso da quest’ultimo che la direzione delle indagini dovesse essere affidata al questore Giammorcaro e fu così che io passai alle dipendenze di costui»
D. R. «Si venne frattanto a conoscenza che il 1° maggio era stato sequestrato, dopo la sparatoria, un campiere, certo Busellini, del quale non si seppe nulla per tanti giorni e che poi fu trovato ucciso in un fossato da un nucleo alle mie dipendenze».
D. R. «Non so se il ritrovamento del cadavere del Busellini avvenne a mezzo di cani poliziotti od a mezzo solo di ricerche».
D. R. «Mi sembra di ricordare che sul petto del cadavere del Busellini fu trovato un cartello con la scritta «questa è la fine dei traditori», la qualcosa ci convinse che il delitto era stato consumato dalla banda Giuliano. Tale convinzione ci facemmo anche per il delitto di Portella poiché ci convincemmo che colui che aveva ucciso Busellini era uno di quelli che aveva sparato a Portella».
D.R. «Noi dell’Ispettorato, fin dal primo momento, pensammo che la strage di Portella era da attribuirsi alla banda Giuliano, perché il fatto era avvenuto nella zona così detta d’imperio della banda stessa, mentre l’Angrisani ed il Guarino avevano orientamento diverso».
D. R. «Tale convincimento da parte dell’Ispettorato fu però rafforzato dal rinvenimento del cadavere del Busellini».
Contestatogli che nel verbale di rinvenimento del cadavere del Busellini non vi è traccia del cartello rinvenuto sul suo cadavere, risponde:
«Può darsi che io abbia un cattivo ricordo di tale fatto, ma pure mi sembra di ricordare così».
D. R. «Le indagini continuarono e solo nel giugno avvennero i primi fermi effettuati dal nucleo centrale comandato dal colonnello Paolantonio, il quale mi riferiva lo sviluppo di esse».
D. R. «Il rapporto n. 37 fu redatto quando io non ero più Ispettore Generale in Sicilia, essendo stato sostituito il 1.8.47 dal questore di Napoli Coglitori».
D. R. «Quasi tutti i fermi avvennero durante la mia permanenza in Sicilia ed io, giorno per giorno, venivo informato di quanto si riusciva a sapere dai fermati».
D. R. «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci ponevano in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».
D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti elementi di collegamento».
D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione di Portella; può darsi che qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un altro funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di Partinico e che fu ucciso a Borgetto in un agguato».
D. R. «Il nostro convincimento che l’azione di Portella era dovuta alla banda Giuliano fu maggiormente rafforzato dal riconoscimento effettuato da quattro cacciatori sequestrati in quella mattina del 1° maggio, i quali in una fotografia di persona a cavallo riconobbero proprio colui che ritenevano fosse il capo del gruppo che li aveva sequestrati».
D. R. «Il colonnello Paolantonio, fin quando io restai in Sicilia, non mi parlò mai del fermo di alcuno ritenuto partecipe della strage di Portella per confidenze avute dal Ferreri».
D. R. «Escludo di aver avuto mai rapporti con Pisciotta Gaspare, come escludo di avergli rilasciato un tesserino di riconoscimento sia al suo nome che a quello di Faraci Giuseppe».
Co0ntestatogli che il Pisciotta ha affermato invece di aver avuto rilasciato un tesserino proprio da lui che glielo fece recapitare tramite Ferreri, risponde:
«Escludo nel modo più reciso che ciò sia avvenuto».
Richiamato l’imputato Gaspare Pisciotta e contestatagli la dichiarazione resa dall’Ispettore Messana a proposito del tesserino, risponde:
«Il tesserino lo ebbi tramite Ferreri, portava la firma Messana, aveva i timbri dell’Ispettorato, fu strappato ed io spero che colui che lo ha strappato, se ha coscienza, lo dirà».
D. R. «Luca potrà dire qualcosa in merito, può darsi che il tesserino esista ancora, ma a me risulta che fu stracciato».
Il teste Messana:
D. R. «Io facevo da organo propulsore nell’attività dei miei funzionari; dissi loro di indagare anche sulla ragione per cui Giuliano fece l’azione di Portella ma nessuno di essi mi parlò mai su tale fatto».
D. R. «Andai via dalla Sicilia il 31.7.1947 e quindi non mi occupai più della cosa».
A domanda dell’Avv. Sotgiu, risponde:
«Non ricordo di aver rilasciato al Ferreri un tesserino di libera circolazione, ma non escludo che esso possa essere stato rilasciato da altri sotto il mio nome, essendo io il capo dell’Ispettorato. Devo dire per altro che la mia firma ufficiale è quasi inintellegibile come Messana, anzi ritengo che sia del tutto inintellegibile».
D.R. «Non rilasciai tesserini di libera circolazione ai confidenti, non so se ne furono rilasciati a mio nome dai miei dipendenti che nulla mi riferivano intorno al rilascio di essi poiché ognuno ha i propri confidenti ed intorno a noi si mantiene il più stretto riserbo anche con i superiori».
D.R. «Io fornivo il danaro che mi richiedevano per i confidenti ai miei dipendenti, i quali mi rilasciavano ricevuta sulla quale si limitavano a dire. -- per un confidente- senza indicarne le generalità».
D.R. «Certamente i rapporti col Ferreri iniziarono prima della strage di Portella. Ricordo di aver saputo, attraverso la fonte Ferreri, che Giuliano voleva attentare alla vita dei dirigenti del Partito Comunista di Palermo, fra i quali il Li Causi. Informai per la opportuna vigilanza il questore e fu il colonnello Paolantonio che avvisò direttamente il Li Causi».
D.R. «Al padre del Ferreri feci dare un porto d’armi, ma ciò rientrava nel progetto di venire all’arresto di Giuliano. Sentii parlare del rinvenimento del predetto porto d’armi sul cadavere del Ferreri, ma ciò non constatai personalmente».
D.R. «Escludo che il padre del Ferreri facesse parte della banda Giuliano».
D.R. «Non mi risulta che dopo l’amnistia dell’Evis Giuliano abbia mantenuto rapporti con persone insospettabili».
D.R. «Dopo di me all’Ispettorato ci fu Coglitore, poi Modica, poi Spanò, poi Verdiani»
D.R. «Non ricordo i nominativi dei componenti la banda Giuliano».
D.R. «Esiste un rapporto intorno alle bande armate dell’Evis ed all’attività da esse spiegate, rapporto redatto dal nucleo centrale alle mie dipendenze».
D.R. «Sono a conoscenza dei nomi in esso compresi, può darsi che l’elenco contenuto in detto rapporto non sia completo e non comprenda tutta la materia, essendo potuta qualcosa essere sfuggita e qualcosa sopraggiungere».
D.R. «Non ricordo il nome di Genovesi Giovanni tra i confidenti della polizia, né so se egli sia stato interrogato dal colonnello Denti».
A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:
«Per il fatto di Portella venne in Sicilia un Ispettore generale del Ministero, come di solito avviene quando succedono fatti di una certa rilevanza».
D.R. «Detto Ispettore riunì tutti gli organi di polizia in questura e poiché ogni organo comunicò i risultati delle indagini svolte, l’Ispettore volle che le varie attività fossero coordinate e quindi, senza esautorare e sostituire alcuno, dette la direzione al questore Giammorcaro al quale doveva essere comunicata ogni attività degli organi di polizia. Tutto ciò per quanto riguarda i fatti di Portella».
D.R. «Mi fu detto che il Ferreri fu operato di appendicite».
A domanda dell’avv. Sotgiu, risponde:
«Non mi risulta che al Ferreri sia stata rilasciata una tessera intestata a Salvo Rossi, autista del colonnello Paolantonio».
A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:
«Parlando di un rapporto Coglitore mi riferivo solo al rapporto firmato dal maresciallo Lo Bianco relativo ai fatti di Portella»
A domanda del Pisciotta Gaspare, risponde:
«Escludo di essere stato io a consegnare i mitra al Ferreri, né mi risulta che ciò sia stato fatto da qualcuno dell’Ispettorato. A quell’epoca avevamo penuria di armi».
Il Pisciotta aggiunge:
«I cinque mitra servirono per l’azione di Portella, secondo quanto mi disse Ferreri».
Dopo di che il Presidente rinvia la prosecuzione del dibattimento all’udienza del 23.7.1951 ore 9,30.
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