IL TEATRO CHE PASSIONE
e la Masi in un vezzoso avanspettacolo d'altri tempi riesce ad infondere storia ed evasioni, eros e redenzioni, bagliori felliniani e memorie maliarde.
Qui ci incapsula in una sua gabbia di alta sintesi letteraria ed espressiva, Sciabolate, inviti, sollazzi e rimpianti.
Sì, è lo spettacolo che l'altra sera ci siamo goduti nel caveau dell'Orologio, a Roma
Artisti di consumata polvere di palcoscenico e signore intramontabili che fanno parti sconvenevoli di classiche signorine arrendevoli.
In un periodo, in un quinquennio, dal '40 al '45.-
Ricordo. Certo in Sicilia fu altra cosa che a Roma. Fame a Racalmuto non ce ne fu. Forse gli sfollati. Ma al teatro Margherita che Sciascia amava non vennero più le subrettine che infestavano di scolo i galantuomini, per fortuna loro curabili al Circolo della Concordia dai tanti medici amici. Spettacolini inneggianti al fascio al re e soprattutto al Duce li ricordo ancora. Mi piacevano. Per noi la guerra però ebbe a finire nel luglio del '43 e i giovani dorati del luogo e le procaci fanciulle in fiore della evanescente nobiltà di strapaese sotto la regia di un già allittrato Leonardo Sciascia eccoli a recitare i sogni finiscono all'alba di Ugo Betti [I Nostri Sogni]. Sciascia era già raffinato.
Ma dopo addirittura si poté recitare nel teatrino della grande sagrestia della Matrice, pronubo non si direbbe il più arcigno dei preti proprio l'arciprete Casuccio che è qui contornato dal giovanissimo cappellano e da qualche seminarista da seminario minore pronto a buttare la tonachella alle ortiche e da tutta l'intera filodrammatica, rigorosamente al maschile però.
Dopo venne anche a quel teatro Margherita una compagnia di rispetto, qualche nome mi torna ancora alla mente Renato Pinciroli e Lia Guazzelli, lui brutto tarchiato e compiacente, lei spettacolare aurea avvenentissima ma non fece carriera. Per fame vennero in Matrice a recitare, ovvio, la vita di Santa Rita.
Rimembravo questo ed altro mentre la Masi dardeggiava di voce mimica e di canto e persino di ballo, magistra summa nel calcare palcoscenici e nel gridare invettive da tragiche Erinni. Noi sbirciavano la Pennacchioni che invocava attenzioni e subiva sguardi lubrichi nel suo nero ardente, demoniacamente peccaminoso, e teatralmente infernale
Ed io appollaiato nel mezzo della compressa scalea pensavo e rimembravo e sospiravo per una vecchia passione tradita e svanita.
e la Masi in un vezzoso avanspettacolo d'altri tempi riesce ad infondere storia ed evasioni, eros e redenzioni, bagliori felliniani e memorie maliarde.
Qui ci incapsula in una sua gabbia di alta sintesi letteraria ed espressiva, Sciabolate, inviti, sollazzi e rimpianti.
Sì, è lo spettacolo che l'altra sera ci siamo goduti nel caveau dell'Orologio, a Roma
Artisti di consumata polvere di palcoscenico e signore intramontabili che fanno parti sconvenevoli di classiche signorine arrendevoli.
In un periodo, in un quinquennio, dal '40 al '45.-
Ricordo. Certo in Sicilia fu altra cosa che a Roma. Fame a Racalmuto non ce ne fu. Forse gli sfollati. Ma al teatro Margherita che Sciascia amava non vennero più le subrettine che infestavano di scolo i galantuomini, per fortuna loro curabili al Circolo della Concordia dai tanti medici amici. Spettacolini inneggianti al fascio al re e soprattutto al Duce li ricordo ancora. Mi piacevano. Per noi la guerra però ebbe a finire nel luglio del '43 e i giovani dorati del luogo e le procaci fanciulle in fiore della evanescente nobiltà di strapaese sotto la regia di un già allittrato Leonardo Sciascia eccoli a recitare i sogni finiscono all'alba di Ugo Betti [I Nostri Sogni]. Sciascia era già raffinato.
Ma dopo addirittura si poté recitare nel teatrino della grande sagrestia della Matrice, pronubo non si direbbe il più arcigno dei preti proprio l'arciprete Casuccio che è qui contornato dal giovanissimo cappellano e da qualche seminarista da seminario minore pronto a buttare la tonachella alle ortiche e da tutta l'intera filodrammatica, rigorosamente al maschile però.
Dopo venne anche a quel teatro Margherita una compagnia di rispetto, qualche nome mi torna ancora alla mente Renato Pinciroli e Lia Guazzelli, lui brutto tarchiato e compiacente, lei spettacolare aurea avvenentissima ma non fece carriera. Per fame vennero in Matrice a recitare, ovvio, la vita di Santa Rita.
Rimembravo questo ed altro mentre la Masi dardeggiava di voce mimica e di canto e persino di ballo, magistra summa nel calcare palcoscenici e nel gridare invettive da tragiche Erinni. Noi sbirciavano la Pennacchioni che invocava attenzioni e subiva sguardi lubrichi nel suo nero ardente, demoniacamente peccaminoso, e teatralmente infernale
Ed io appollaiato nel mezzo della compressa scalea pensavo e rimembravo e sospiravo per una vecchia passione tradita e svanita.
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