Lu zzi Nicu La Rocca
A Racalmuto di 'sti tempi sta riesplodendo un becero moralismo, naturalmente contro il proprio prossimo invero nemico amico e persino parente. Ovvio che verso se stessi forse per una oscurata memoria si è non tolleranti ma persino autoesaltanti delle loro ruberie, nonché malefici usure dileggi persino del padre e della madre.
Io per mestiere (entrare nel sancta sanctorum di una banca è accedere ai tantissimi cadaveri negli armadi di tanti sedicenti galantuomini) e per tignose ricerche storiche credo di sapere tutto di tutti sino alla loro decima generazione in quel di Racalmuto.
Finché non mi provocano, lascio correre. Un tempo ebbe a provocarmi la cosiddetta Regalpetra Libera di tal Sergio Scimè. Provvide a cancellare ma mai mi ha voluto dire chi fu il mittente di quell'infama contro di me e anche dell'estraneo mio fratello.
Una omertà quella del Sergio Scimé che credo glela vado petulantemente rinfacciando ad ogni pie' sospinto.
Dunque nella notte dal 5 al 6 giugno del 1937 veniva trucidato nella sua dimora nei pressi all'attuale Spiazzo di lu Priatoriu don Federico Giancani, scapolo con tanti figli.
Siamo in pieno fascismo e crimini così efferati non erano permessi. Si scatenò la locale caserma dei carabinieri e persino galantuomini si fecero anni di galera. Ma poi venne un giudice paesano e per scagionare un suo eccellente parente riuscì a suon di botte e legnate a far trovare i veri colpevoli.
Frattanto fioccarono provvedimenti di polizia e il confino a Lampedusa colpì molti "spirtazzi di paisi". Ne fece le spese anche un ricco novello in sospetto di malandrineria per l'abigeato che ad onta di quel che dice Eugenio Napoleone Messana mi ostino a dire che faceva capo o che aveva cupola in due grandi galantuomini racalmutesi che Mussolini giustamente commissariò.
Ma non è di questo che intendo parlare. Trovo tra le carte piuttosto voluminose di un fascicolo di polizia che si trova all'Archivio Centrale di Stato qui a Roma all'EUR questo bell'atto notorio rogato dinanzi al celebre don Peppi Matina al secolo "prof, Giuseppe Mattina Commissario Prefettizio del predetto Comune (Racalmuto).
Quello che colpisce la ma curiosità è un teste che senza tema di smentita afferma qualmente un indiziato "ha spiegato la sua principale attività nell'agricoltura- Che mercé il suo lavoro continuo e indefesso, ha acquistato 18 ettari di terreno collocando e mantenendo decorosamente ben sette figli".
Tre dei quattro testi erano figure note e rispettate in paese e cioè Scimé Calogero, Caponcello Giuseppe e Buscarino Pietro. Ma è il quarto che a me fa gola: LA ROCCA NICOLO'.
Personaggio eccelso della mia famiglia e soprattutto di quella dell'ex sindaco Gigi Restivo. Nicolò La Rocca era suo bisnonno. Ed era pure il fratello di mia nonna gnura Cuncittina La Rocca vedova di mastru Jacumu Saccumannu.
Si tratta di lu zzi Nicu, il 'diriggibbili" della mia famiglia. Mio padre che appartenendo a famiglia di ex contadini non poteva competere con quella di mai madre poté sposarla perché vi fu il placet di lu uzzi Nicu,, che diradò le perplessità di mia nonna: “Cuncittì, chissu è carusu spertu; si farà avanti. Rusineddra bbona starà.”
Lu zzi Nicu, campiere bipolare (in una stanza i briganti latitanti e nell'altra ignari carabinieri alla cerca e tutti che mangiavano bene ed abbondantemente) era un elegantone: me lo ricordo quando faceva visita a mia nonna ni lu dammusu allatu a san Gniseppi, con quegli stivaletti lucidi di cuoio legati sapientemente e i pantaloni di lindo velluto. Portava il gilet sotto una giacca preziosa sia pure di foggia contadinesca- Si faceva notare e ammirare. E tante donne ammirarono quell'elegante vestire di lu zzi Nicu che di femmine non se ne fece mancare. Morì durante la guerra de '43. Mi ci portarono a vedere questo morto sul letto tra candele tra le tante sorelle che quali prefiche ne strillavano i grandi meriti. Forse i primo morto che ebbi a vedere prima di venire rinchiuso ni lu tabbutu.
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