lunedì 6 luglio 2015

Accertamento con adesione per la Madonna del Monte

Trovo tra i miei sconfinati appunti questa pagina:


Era persino sorto un clima messianico per cui era potuta allignare la saga della Madonna del Monte. Sciascia è caustico:  «correva l’anno 1503, ed era signore di Regalpetra Ercole del Carretto ... C’è poi da dire che la statua è della scuola dei Gagini, e appare molto improbabile sia finita in Africa; ma di più di ogni altra è inquietante la considerazione sulla scelta della Madonna tra il Gioeni e il del Carretto, tra i castronovesi e i regalpetresi; inquietante come l’apparizione dell’immagine di Cristo su una parete al professor Pende, perché proprio al professore, perché al del Carretto,  perché tra i regalpetresi la Madonna ha voluto fermarsi, la popolazione di Castronovo essendo in egual misura fatta di uomini onesti e di delinquenti, di intelligenti e di imbecilli.» ([1]) Ma è proprio lui che poi negli Amici della Noce se la prende con l’incolpevole padre Morreale, reo a suoi occhi di avere cercato un po’ di luce (storica) su questa saga cui tutti i racalmutesi siamo legati.
Ma neppure, a ben vedere, riusciamo a concordare del tutto con il valente padre gesuita sui motivi che avrebbero spinto gli odiati Requisenz ad inventarsi la leggenda della Madonna del Monte «per fare apparire i Conti del passato, ma intenzionalmente quelli del presente, quali grandi benefattori del paese: così il barone Ercole del Carretto, e con lui tutta la sua famiglia, cominciò ad essere presentato nella leggenda come insigne benefattore del culto della Vergine del Monte, costruttore della sua prima chiesa nel 1503.» ([2]) Osta se non altro il fatto che i Requisenz si appropriano di Racalmuto il 28 gennaio 1771  ed a quella data la saga era ben salda nei cuori e nella fede dei racalmutesi, come dimostra l’ex voto che si ammira al Monte. Precedente era anche lo scritto di Francesco Vinci (pubblicato secondo lo stesso padre Morreale, pag. 35) nel 1760 e forse anche quello di Nicolò Salvo. Ma soprattutto appare dirimente il fatto che già nel 1686 la curia vescovile di Agrigento considerava “miracolosissima imago” (immagine molto miracolosa) quella che si venerava nella chiesa di S. Maria del Monte di Racalmuto. ([3])  Il nostro spirito laico ci è d’intralcio nel chiarire questioni come questa, che coinvolgono aspetti di sì rilevante delicatezza religiosa. Ci limitiamo a pensare che Ercole del Carretto ebbe davvero a costruire la prima chiesa del Monte (di una precedente chiesetta intestata a S. Lucia, non abbiamo alcun documento probante) ed ebbe a corredarla facendo venire da Palermo una statua di marmo. Fu evento memorabile: quella Vergine marmorea, così somigliante alle giovani madri di Racalmuto, brevilinee e rotondette, dovette impressionare e sbalordire gli ingenui occhi dei contadini locali. Legarvi il senso del portento, del miracolo, fu semplice e coinvolgente. Già nel 1608, in una visita pastorale, quel simulacro era maestosamente eretto sull’altare maggiore della Chiesa del Monte: il vescovo - recita il testo episcopale - “Visitavit altare maius super quo est imago marmorea S.maeVirginis, ornata et admodum deaurata”.





[1]) Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra  - Morte dell’Inquisitore - Laterza Bari 1982 pag. 82 e pag. 83.


[2])  Girolamo M. Morreale, S.J. - Maria SS. del Monte di Racalmuto - Racalmuto 1986, pag. 35.


[3] ) Archivio Vescovile di Agrigento - Registro Vescovi 1686 - f. 785.

Aggiungo adesso.

Molto giusto: ma di più di ogni altra è inquietante la considerazione sulla scelta della Madonna tra il Gioeni e il del Carretto, tra i castronovesi e i regalpetresi; inquietante come l’apparizione dell’immagine di Cristo su una parete al professor Pende, perché proprio al professore, perché al del Carretto,  perché tra i regalpetresi la Madonna ha voluto fermarsi, la popolazione di Castronovo essendo in egual misura fatta di uomini onesti e di delinquenti, di intelligenti e di imbecilli.»

Francamente la Madonna non aveva alcun motivo per preferire Racalmuto a Castronovo. Se un briciolo di verità vi è in tutta questa Saga, così noi la congetturiamo.Quello fu un periodo in cui scese in Palermo un buon scultore a nome Massa. E di Madonne ne scolpì tante. Simili alla nostra Beddra Matri di lu Munti, tante ne ho individuate nelle mie ricerche. Da questa specie di emporio palermitano molte pesanti Madonne partirono commissionate dai vari signorotti di Sicilia, principi, marchesi, conti e baroni, per tacitare nei loro feudi le vessate loro popolazioni. Una di queste Madonne è certo che venne a Racalmuto ed è proprio quella che nel '38 hanno voluto monarchicamente incoronare a Racalmuto. E' fin troppo palese che la nostra "imago miracolosissima" che nel 1608 il Vescovo di Agrigento in corso di visita pastorale trova "ornata et admodum deaurata" nulla poteva avere a che fare con il Gagini morto oltre un secolo prima né con la sua scuola che ammesso che vi sia stata non credo che perdurasse e peggio che fosse tanto naif. Già la nostra Madonna molto avvenente non è, specie dalla cintola in giù, con gambe tozze come se fosse una nostra mal nutrita e poco sprucchiata contadinotta.
Sciascia allora scrisse che la "statua è della scuola del Gagini": ci è permesso contestarlo? Del resto scrisse questo nel 1956 ed a quel tempo non aveva ancora acquisito quella valentia critica che ad esempio mi ha ammaliato in sue critiche su Guttuso o su ora ignorata pittura di Emilio Greco. Non si nasce imparati: orsù via! Allora era  tutto preso dal suo latinorum sapidamente "rondista". A noi pare che lui stesso è reo confesso quando - a sua malcelata difesa contro il pungente Pasolini - scrive: "debbo confessare che proprio sugli scrittori 'rondisti' ho imparato a scrivere. E per quanto i miei intendimenti siano maturati in tutt'altra direzione, anche intimamente restano in me tracce di un tale esercizio" . E guardate qui come interrompe l'immaturo racconto del Tinebra, sempre a proposito della venuta della Madonna a Racalmuto, "tornando a Castronovo il Gioeni si portava dietro la statua, adagiata su una barozza trainata da buoi."  Il termine BAROZZA ci è risultato ostico assai. A Racalmuto non si dice; noi sempre abbiamo saputo che la nostra Madonna era stata sballottata da "un carro trainato da buoi, quattro, otto, sedici: non c'è limite pur di commisurare l'eccezionalità del miracolo. Non so a Castronovo, ma non credo. Il medievale attrezzo di locomozione penso che sia un toscanismo. Il Traina ha solo BAROZZU che vorrebbe significare : stupido, barlacchio. Ma di 'sti tempi nulla è impossibile, basta consultare Wikipedia e così abbiamo senso vero e persino raffigurazioni precise. Appunto per questo però Sciascia appare pretenziosetto, "rondista". Ecco usa un termine "desueto e antiquato". Il caro Racalmutese Fiero il rimbrotto linguistico oltre che a me lo rivolga pure a Sciascia e lo diffidi dall'inquinare addirittura la intangibile saga della Venuta di la Beddra Matri di lu Munti [segue]
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Certo Sciascia non è cortese con i Castranovesi facendone un popolo, sia pure similmente a Racalmuto, fatto di "uomini onesti e di delinquenti, di intelligenti e di imbecilli". 

Ma per quanto imbecilli e delinquenti - in  quei tempi Sciascia non era tenero manco con  noi suoi conterranei, a suo dire, molto "lontani dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione"  che in termini meno letterari ciò significa che saremmo dei servi,dei delinquenti, in una parola dei folli. A tanto non sono arrivato neppure io che spesso indulgo a sferzate stigmatizzanti sui, alla fine, miei diletti compatrioti. 

 L'insolenza sciasciana contro i castronovesi  cadde comunque nel vuoto. Scrive perspicuamente il nostro Piero Carbone che "da parte castronovese è avvenuta una sorta di collettiva rimozione psicologica del fatto: nessuno sa, nessuno ricorda.  [...] Ma non è solo il popolo a non ricordare: il silenzio o quasi, è anche dei libri." Da quelli del Tirrito, a quelli del Traina  "che fa un fugace riferimento (non fidandosi) alla 'tradizione popolare', ai 'si dice'. E cita il racalmutese Tinebra Martorana, che è parte in causa per essere un teste disinteressato e credibile" e si può dire anche a quelli del Vitus Mastrangelo, che "capostipite degli storici castrononesi, non ci sovviene nella nostra ricostriuzione".

Dunque? nessuno ricorda quello che non è mai avvenuto. E visto che ora tanto ci si agita per far prendere atto ai castronovesi che loro furono beffati persino dalla Madonna nel 1503, mica in tempi antidiluviani, ma addirittura più di un decennio dopo la fine del Medioevo e l'inizio dell'epoca moderna quando tutto viene minuziosamente registrato persino con minuscole "poteche" notarili , allora vorrà dire che quel brutto ceffo di Ercole del Carretto, barone o aspirante conte che fosse, ha commesso un atto di pirateria. Ha commesso una rapina in un "passo" (almeno che ci fosse tra Racalmuto e Castronovo, cosa che noi neghiamo) e quindi per "giustizia", proprio per quella giustizia che Sciascia non riconosce essere mai stata il forte dei racalmutesi, restituiscano i de cuius la statua ai legittimi proprietari, cioè ai de cuius di cui parla il frate di San Giuliano Catalanotto nel 1764 (e qui mi riferisco al ritrovamento dell'ing. Taverna nella soffitta di una casa del celebrato canonico Mantione). 
Una istanza in tal senso mi pare di averla letta nel luglio di due  anni fa. E francamente io concorderei. E se gemellaggio a tutti i costi si vuol fare, si faccia una transazione, un accertamento con adesione alla Guagliano: sei mesi la Madonna resta qua, sei mesi va là a Castronovo: tanto la Madonna è madre di tutti, racalmutesi e castronovesi, siano onesti e intelligenti, siano delinquenti ed imbecilli, con buona pace di Sciascia.  

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