GIOVANNI I DEL CARRETTO
Nato nella
seconda metà del Trecento, muore attorno al 1420: eredita dal padre la baronia
di Racalmuto quando ancora irrisolti erano certi inceppi giuridici che la corte
frapponeva, e riesce a definirli. Con lui non vi sono più dubbi che Racalmuto è
feudo dei del Carretto: manca però un tassello; non è certo se spetti a questi
trapiantati liguri il sovrano diritto del mero e misto impero. La questione si
riproporra a fine ’500. Apparentemente risolta a favore dei del Carretto,
saranno preti irriducibili quale il Figliola e l’arciprete Campanella che la
revocheranno in dubbio nella seconda metà del ’Settecento e l’avranno vinta,
forse perché allora spirava l’aria illuminista del viceré Caracciolo.
Nel
processo d’investitura del successore di Giovanni, Federico del Carretto,
abbiamo dati alquanto biografici di questo barone di Racalmuto. Vi si legge tra
l’altro:
magnificus dominus Mattheus di lu Garrettu fuit et
erat verus dominus et baro dictorum casalis et castri Rayalmuti percipiendo
fructus reditus et proventus paficice et quiete et de hoc fuit et est vox notoria et fama publica et ..
dictus quondam magnificus dominus Mattheus de Garrecto et quondam magnifica
domina Alionora fuerunt et erant ligitimi maritus et uxor ex quibus iugalibus
natus et procreatus fuit magnificus quondam dominus Joannis de Garrecto qui
subcessit in dicto casali et castro Rayalmuti tamquam filius legitimus et
naturalis percipiendo fructus reditus et proventus usque ad eius mortem et de
hoc fuit vox notoria et fama publica et ..
ex dicto magnifico domino Johanne et magnifica
domina Elsa jugalibus natus et procreatus fuit dominus magnificus dominus
Federicus de Garrecto ad presens baro dictae baronie Rayalmuti et qui tamquam
filius legitimus et naturalis subcessit in baronia predicta percipiendo fructus
reditus et proventus et de hoc fuit et est vox notoria et fama publica etc. ..
Giovanni
del Carretto nasce dunque da Matteo ed Eleonora del Carretto; da una certa Elsa
procrea quello che sarà il erede nella baronia Federico del Carretto.
Fu un
legittimo matrimonio? La formula del processo non lascia adito a dubbi (filius
legitimus et naturalis) ma un vallo di tempo troppo lungo (dalla presunta morte
di Giovanni I attorno al 1420 alla data del processo d’investitura di Federico
caduta nel 1452 passano ben 32 anni) lascia adito a dubbi, specie se si dà
credito allo Bresc che vuole la nostra baronia passata di mano agli Isfar, sia
pure per una inverosimile dissipazione dei beni da un Giovanni I del Carretto,
inopinatamente divenuto sperperatore delle proprie fortune.
Dagli
archivi di Stato di Palermo emerge il ruolo di Giovanni I del Carretto nella
gestione della baronia racalmutese: in data 17 agosto 1401 giungeva una lettera
([1]) da
Catania per la sistemazione delle pendenze fiscali.
Martino
segnalava che era stata fatta un’inchiesta tributaria relativa ai riveli ed
alle decime per il tramite di Mariano de Benedictis. Questa la situazione del
giovane barone di Racalmuto: v’era la
successione della baronia da Matteo al medesimo Giovanni I; al contempo si
erano accumulate due annualità scadute, quella relativa alla settima indizione
(1399) e l’altra riguardante l’ottava (1400), nonché quella in corso (1401); ne
conseguiva un carico di 40 once d’oro. Il diploma che ha il sapore di una
quietanza attesta che la posizione è stata sistemata come segue: 30 once in contanti e dieci a compensazione di un mutuo a suo tempo approntato da Matteo
del Carretto alla curia regale.
Nella
«Storia di Sicilia» vol. III, Napoli 1980, pag. 503-543 Henri Bresc scrive (sia
pure in una traduzione dal francese rinnegata) : «Il basso costo della terra - che si segue sulla curva dei prezzi medi
dei feudi venduti dalla nobiltà - obbliga ad un indebitamento sempre più
pesante ed ad una gestione molto rigorosa del patrimonio residuo. E ci si avvia
all’intervento della monarchia e della classe feudale nell’amministrazione dei
domini fondiari e delle signorie: Giovanni del Carretto è così privato nel 1422
della sua baronia di Racalmuto, affidata in curatela a suo genero Gispert
Isfar, già padrone di Siculiana». Non viene però citata la fonte, per cui
la notizia va presa con le molle.
Nella nuova opera, invece, “Un monde etc” altrove
citata, vi è qualcosa in più: viene precisata la fonte.
Racalmuto
viene menzionato a pag: 64; 798; 803; 880; 893. La sua baronia a pag: 417 e
872. L’argomento che qui interessa è trattato a pag. 880. La parte narrativa
non mi pare fraintesa dal traduttore del 1980. In francese, recita: «La baisse du prix de la terre - que l’on
suit sur la courbe des prix moyens des fief vendus par la noblesse - oblige à
un endettement toujours plus grave et à une gestion très rigoureuse du
patrimoine résiduel. Et l’on s’achemine vers l’intervention de la monarchie et
de la classe féodale dans l’administration des domaines fonciers et des
seigneuries: Giovanni Del Carretto est ainsi dépouillé en 1422 de sa baronnie
de Racalmuto, confiée en curatelle à son gendre Gispert d’Isfar, déjà maître de
Siculiana.» E qui la nota che non trovasi nel testo del 1980: «ACA Canc. 2808, f. 54: le bon baron vivait
joyeusement, et mangeait son blé en herbe, ce qui passe, aux yeux de l’avide
catalan, pour “simplicitat ... fora de enteniment rahonable”». [Per
ACA Canc. s’intende: “Archivio de la
Corona de Aragòn, Barcellona - Cancileria. Il fondo 2808 riguarda: Comune Siciliae, n.° 2801 à 2880 (1416-1458) op. cit. pag. 29].
Sarebbe da rintracciare quel foglio 54 al fine di ben ricostruire questa
vicenda della curatela della baronia di Racalmuto affidata a Gispert d’Isfar.
Una
quadratura del cerchio noi la tentiamo pur sapendo che è molto sdrucciolevole:
forse attorno al 1420 Giovanni I del Carretto cessò di vivere lasciando
piuttosto imberbe il suo primogenito Federico. Gispert Isfar, l’intraprendente
genero brigò facendo apparir miseria là dove non c’era per sottrarre l’eredità
e la successione baronale di Racalmuto alle pesanti tassazioni spagnole (donde
gli incerti diplomi appena abbozzati dal Bresc). Resta anche saliente il fatto
che il caricatoio di Siculiana, antico retaggio dei del Carretto, passa di mano
e finisce in preda degli Isfar (una dote della figlia di Giovanni del Carretto
o un’usurpazione avallata da Barcellona?).
FEDERICO DEL CARRETTO
Singolare
quel nome che come quello di Ercole figura una sola volta nella genealogia dei
baroni del Carretto di Racalmuto. Di Federico del Carretto abbondano però le
cronache agrigentine, ma trattasi di figure dei vari rami cadetti.
Non
possiamo revocare in dubbio che sia il figlio legittimo e naturale di Giovanni
I del Carretto. Con Federico si iniziano i processi palermitani
dell’investitura del titolo feudale di Racalmuto e lì - in diplomi a ridosso
degli eventi - la sequenza genealogica è indubitabile (come abbiamo visto dai
passi in latino sopra riferiti).
“Filius
legitimus et naturalis” di Elsa e Giovanni I del Carretto è, invero, dichiarato
ma non si accenna neppure larvatamente al requisito (indispensabile nel diritto
feudale dell’epoca) della primogenitura ([2]). Giovan Luca Barberi - quanto pignolo Dio solo
sa - non ha però dubbi ed avalla l’investitura nei seguenti termini:
«E morto Giovanni, successe Federico del
Carretto, suo figlio primogenito, legittimo e naturale, il quale Federico ottenne
dal condam Simone arcivescovo palermitano l’investitura della detta terra per
sé ed i suoi eredi sotto vincolo del consueto servizio militare e con riserva
dei diritti della regia curia e delle costituzioni del signor Re Giacomo e
degli altri predecessori regali edite sui beni demaniali, come risulta nel
libro grande dell’anno 1453 nelle carte 565. » ([3])
Nel 1410 la
Sicilia visse la svolta del vuoto di potere determinatosi per il decesso senza
eredi legittimi dei due Martino e subì i traumi dell’interstizio determinato
dalla contrastata reggenze della regina Bianca. Con il 1416 si apre la lunga
gestione di Alfonso d’Aragona che dura ben 42 anni. Ed è verso la fine del
regno alfonsino che Federico del Carretto s’induce a sborsare i quattrini per
avere il riconoscimento della baronia di Racalmuto. Alfonso d’Aragona gli
accorda quella investitura ma a queste condizioni:
n presti il
cosiddetto servizio militare e cioè corrisponda 20 once ogni anno;
n renda
l’omaggio nelle forme solenni del tempo;
n restino
salvi i diritti di legnatico dei cittadini racalmutesi;
n e del pari
restino riservate alla Corona le
miniere, le saline, le foreste e le antiche difese;
n resti
salvaguardata la libertà di pascolo nel casale e nell’annesso feudo per gli
equipaggiamenti regi.
Per il
resto possesso assoluto sino al mare.
Una cosa è
certa; Federico del Carretto era saldamente insediato nella baronia di
Racalmuto ben prima che avesse l'investitura da Alfonso d'Aragona l'11 febbraio
1453. Reperibile presso l'archivio di Stato di Palermo il contratto che lo
vedeva associato nel 1451 con Mariano Agliata per uno scambio di grano delle
annate del 1449 e 1450 contro quello di Girardo Lomellino consegnabile a luglio
E il Bresc [op. cit. pag. 884] commenta: «ce qui permet une fructueuse spéculation
de soudure». In termini moderni si parlerebbe di forward in grano. La domiciliazione sarebbe stata pattuita presso
il "Caricatore" di Siculiana. Fonte citata: ASP ND G.Comito;
18.1.1451, cioè Archivio di Stato di Palermo - Notai Defunti - Giacomo Comito
(1427-1460) - n.° 843 a 850
Sempre il
Bresc fornisce nella citata opera un'altra interessante notizia. Secondo quello
che appare nella tavola n.° 200 di pag. 893, Federico del Carretto sarebbe
stato coinvolto in una rivolta antifeudale estesasi anche a Racalmuto. Questa
volta la fonte citata è un libro: «Luigi Genuardi, Il
Comune nel Medio Evo in Sicilia, Palermo, 1921».
GIOVANNI II DEL
CARRETTO
La rivolta
a Racalmuto del 1454 di cui parla il Genuardi dovette essere cosa seria se da
quel momento sino al 1519 i processi d’investitura tacciono.
Dalla
ficcante indagine del Barberi sappiamo - e non c’è motivo per dubitarne - che a
Federico successe Giovanni II del Carretto. Non sappiamo quando e come. Il
Baronio, lo storico di famiglia del Carretto del 1630, ne sa ben poco: «Ioannes
natus maior, cum familiam rebus praeclare gestis aeternitati commendasset.
Herculem, ac Paulum habuit sibi, nec maioribus dissimilem suis. In unoquoque
semper avitae nobilitatis fulgor eluxit.» Parole di circostanza per colmare
evidenti carenze di notizie. Quali siano quelle gesta che affidarono la
famiglia alla memoria dei tempi futuri, non ci dice e noi non ne abbiamo
nessuna ... memoria. Accontentiamoci del
fatto che fosse il figlio maggiore
[natus maior] e che avesse partorito il successore Ercole, il celebre
falso conte della venuta della Madonna del Monte, e Paolo di cui gli archivi
vescovili di Agrigento ci hanno tramandato qualche dato sulla sua litigiosità
con i sindaci di Racalmuto ([4]).
Apprendiamo
dalla valida ricerca del Sorge su Mussomeli ([5]) che «lu fegu di Rabiuni lu teni lo Mag.co Baruni
di Regalmuto per anni ... vinduto per lo Mag.co Signuri Pietro lo Campo unzi
trentacincho, uno vitellazzo, una quartara di burru, uno cantaro di formaggio.»
Quando sia
avvenuta quella vendita non sappiamo; il rendiconto è del 1486 e come si è
visto, non è neppure detto a quali precedenti anni si riferisse la vicenda di
cui alla posta contabile. Da quel che si legge nel Sorge (op. cit. pag. 209 e
segg.) potrebbe trattarsi degli anni attorno all’11 ottobre 1467 (data in cui
“venne stipulato il contratto col quale il procuratore di Ventimiglia
rivendette a Pietro Del Campo la baronia di Mussomeli, col suo castello ...”).
Le nostre successive indagini presso gli Archivi di Palermo (in particolare
“Archivio Campofranco, Fatto delle cose
notabili etc.” e “Conservatoria, Privilegia,
confiscationes bonorum et investiturae, 1459 e 1489, foglio 536”, di cui in
Sorge) non ci hanno sinora consentito di chiarire alcunché quanto ai del Carretto
e specificatamente a chi si riferisse l’atto di vendita del feudo Rabiuni di
Mussomeli. Azzardiamo il nome di Federico del Carretto. Sembra dunque appurato
che dal 1459 al 1489 la famiglia del Carretto di Racalmuto si sia bene ripresa
dalla crisi del 1454 ed abbia avuto fondi sufficienti per acquistare il costoso
feudo Rabiuni di Mussomeli e mantenerlo anche se notevolmente oneroso. Del
resto, in quel tempo, Racalmuto dovette divenire un centro di abbienti: nello
stesso “conto del segreto Bonfante del 1486” (di cui in Sorge pag. 386) si
accenna al possesso feudale di un altro racalmutese. «Lu fegu di Santu Blasi - vi si annota - lu teni Mazzullo di Alongi di la terra di Regalmuto per anni 3
videlicet quinte Ind. 6 Ind. E 7 Ind. Et pri unzi quattordichi quolibet anno
uno crastatu, uno cantaro di formaggio, et una quartara di burru quolibet anno
da pagarsi la mitati a menzu Septembru et la mitati a la fera di Santu Juliano
intentendosi quindici anni primi poi di Pasqua.» ([6])
Il Barberi,
che l’inchiesta - piuttosto acidula contro i del Carretto - la fa a ridosso degli anni della baronia di
Giovanni II, ha questi appunti critici:
«E morto il cennato
Federico, gli successe Giovanni del Carretto, suo figlio, il quale, come appare
dall’ufficio della regia cancelleria, non prese giammai l’investitura della
detta terra.»
ERCOLE DEL
CARRETTO
E subito dopo abbiamo Ercole del Carretto, quello che le saghe
sulla venuta della Madonna del Monte chiamano “Conte”. Il Barberi annota su di
lui:
«Morto il detto Giovanni, gli
successe Ercole del Carretto figlio legittimo e naturale e maggiore del detto
Giovanni, del quale del pari non risulta investitura alcuna ed al presente si
possiede quella terra per lo stesso Ercole del Carretto, con un reddito annuo
superiore ad once 700.»
Il
Baronio, come si è visto, quasi non lo cita: un accenno trasversale, come si
fosse trattato di un riflesso sbiadito del gran fulgore che era stato il padre.
Il Barberi ebbe a conoscerlo
giacché è proprio sotto Ercole del Carretto che visita Racalmuto come lascia
intravedere il passaggio : al presente si possiede quella terra per lo stesso Ercole
del Carretto, con un reddito annuo superiore ad once 700.
Settecento once di reddito - a meno che non
trattisi di esagerazioni fiscali alla stregua delle mirabolanti cifre dei
moderni accertamenti degli agenti tributari - sono un’enormità. Sia quel che
sia, Racalmuto dunque in esordio del ‘500 - e proprio sotto Ercole del Carretto
- ha un salto quantitativo, un empito verso il grande centro. Nostri precedenti
studi ([7]) hanno
messo in evidenza questo significativo passaggio demografico e sociale. Dal
rivelo del 1505 (un paio d’anni dopo la venuta della Madonna) emerge una
popolazione aggirabile sui 1600 abitanti: un secolo prima (nel 1404) erano poco
più di 750. Certo, la baronia dei del Carretto non era stata molto felice e
varie strozzature demografiche e sociali si erano verificate. Le abbiamo notato
in quello studio, ma tutto sommato si poteva essere abbastanza soddisfatti. Era
persino sorto un clima messianico per cui era potuta allignare la saga della
Madonna del Monte. Sciascia è caustico:
«correva l’anno 1503, ed era
signore di Regalpetra Ercole del Carretto ... C’è poi da dire che la statua è
della scuola dei Gagini, e appare molto improbabile sia finita in Africa; ma di
più di ogni altra è inquietante la considerazione sulla scelta della Madonna
tra il Gioeni e il del Carretto, tra i castronovesi e i regalpetresi;
inquietante come l’apparizione dell’immagine di Cristo su una parete al
professor Pende, perché proprio al professore, perché al del Carretto, perché tra i regalpetresi la Madonna ha
voluto fermarsi, la popolazione di Castronovo essendo in egual misura fatta di
uomini onesti e di delinquenti, di intelligenti e di imbecilli.» ([8])
Ma è proprio lui che poi negli Amici
della Noce se la prende con l’incolpevole padre Morreale, reo a suoi occhi
di avere cercato un po’ di luce (storica) su questa saga cui tutti i
racalmutesi siamo legati.
Neppure,
a ben vedere, riusciamo a concordare del tutto con il valente padre gesuita sui
motivi che avrebbero spinto gli odiati Requisenz ad inventarsi la leggenda
della Madonna del Monte «per fare apparire i Conti del passato, ma
intenzionalmente quelli del presente, quali grandi benefattori del paese: così
il barone Ercole Del Carretto, e con lui tutta la sua famiglia, cominciò ad
essere presentato nella leggenda come insigne benefattore del culto della
Vergine del Monte, costruttore della sua prima chiesa nel 1503.» ([9])
Osta se non altro il fatto che i Requisenz si appropriano di Racalmuto il 28
gennaio 1771 ([10])
ed a quella data la saga era ben salda nei cuori e nella fede dei racalmutesi,
come dimostra l’ex voto che si ammira al Monte. Precedente era anche lo scritto
di Francesco Vinci (pubblicato secondo lo stesso padre Morreale, pag. 35) nel
1760 e forse anche quello di Nicolò Salvo. Ma soprattutto appare dirimente il
fatto che già nel 1686 la curia vescovile di Agrigento considerava
“miracolosissima imago” (imagime molto miracolosa) quella che si venerava nella
chiesa di S. Maria del Monte di Racalmuto. ([11]) Il nostro spirito laico ci è d’intralcio nel
chiarire questioni come questa, che coinvolgono aspetti di sì rilevante
complessità religiosa. Umilmente riteniamo che Ercole del Carretto ebbe davvero
a costruire la prima chiesa del Monte (di una precedente chiesetta intestata a
S. Lucia, non abbiamo alcun documento probante) ed ebbe a corredarla facendo
venire da Palermo una statua di marmo. Fu evento memorabile: quella Vergine
marmorea, così somigliante alle giovani madri di Racalmuto, brevilinee e
rotondette, dovette impressionare e sbalordire gli ingenui occhi dei contadini
locali. Legarvi il senso del portento, del miracolo, fu semplice e
coinvolgente. Già nel 1608, in una visita pastorale, quel simulacro era
maestosamente eretto sull’altare maggiore della Chiesa del Monte: il vescovo -
recita il testo episcopale - “Visitavit altare maius super quo est imago
marmorea S.mi Virginis, ornata et admodum deaurata”.
Scarne
sono le notizie che abbiamo su Ercole del Carretto. Non
sappiamo quando nasce: la morte cade invece nel gennaio del 1517. Sposò tal
Marchisa di cui ignoriamo il casato.
Dal
processo d’investitura del figlio Giovanni III possiamo abbozzare questi altri
dati: fu “signore e barone della terra di Racalmuto e tenne e possedette quella
terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio, nonché con tutti i suoi
diritti e pertinenze”. “Vi cambiò tutti gli ufficiali tutte le volte che gli
piacque”. “Ebbe a percepire o far percepire frutti, redditi e proventi della
baronia di Racalmuto quale vero signore e padrone”. “Tenne il figlio Giovanni
come figlio primogenito, legittimo e naturale e per tale lo trattava e come
tale lo reputava così come veniva ritenuto, trattato e reputato dagli altri.”.
“In qualità di signore e padrone della predetta terra e padre del signor
Giovanni, piacendo a Dio morì e fu seppellito nel castello della terra di
Racalmuto nel mese di Gennaio VI indizione del 1517, dopo avere redatto solenne
testamento per mano del notaio Giovanni Antonio Quaglia della città di
Agrigento il 16 del predetto mese di gennaio, ove ebbe ad istituire suo erede
universale il detto magnifico signore Giovanni”.
Nel
suo processo d’investitura si legge che:
a «Johanni de Carrectis» successe «quondam magnificus Hercules, unicus
filius legitimus et naturalis.» ([12])
Crediamo
che il noto giurista operante a Racalmuto Artale de Tudisco fosse già al
servizio di Ercole del Carretto. Altro notabile del suo entourage
fu il nobile Alonso de Calderone che così testimonia: «stando ipsu testimonio como uno degli domestichi di lo quondam
magnifico Herculi lu Garretto baruni di Rayalmuto, vidia dicto magnifico regiri
et governari la dicta terra et in quella permutari li officiali et rescotirisi
et fachendosi rescotirj li renditi et proventi di dicta terra comu veru signuri
et patruni et canuxi lo dicto don Joanni de Carrectis esseri figlo primogenito et unico di dicto quondam signuri
Erculi lu Garrecto a lu quali lo dicto quondam magnifico Herculi tenia et
reputava per figlio unico et primo genito et da tucti accussi era tenuto,
trattato et reputato; lu quali dicto quondam magnifico Herculi baruni fu mortu
in lo castello di dicta terra et lo presenti lo vitti sepelliri et secondo
intisi dicto magnifico Herculi innanti sua morti fichi testamento.»
Testimoniò
anche certo Francesco Maganero come intimo del defunto barone, così come il
“nobile” Andrea de Milazzo. Personaggi egualmente di risalto furono i “nobili”
Antonino Palumbo, Alfonso de Silvestro e Gaspare Sabia.
Il
cennato processo include anche uno stralcio del testamento di Ercole del
Carretto che qui riportiamo in una nostra traduzione dal latino (il testo
dell’originale è pubblicato altrove):
«E’ da sapere come fra gli altri capitoli del
testamento del quondam spettabile Ercole del Carretto, barone della terra di
Racalmuto, vi è l’infrascritto capitolo.
«Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, amen.
Nell’anno dall’incarnazione 1517, nel mese di gennaio, il giorno 27, VII^
indizione, in Racalmuto e nel castello del magnifico e spettabile signor Ercole
del Carretto [si raccolgono le ultime volontà testamentarie], accese tre
candele verso la quinta ora della notte.
«E poiché capo e principio di ogni testamento fu ed
è l’istituzione dell’erede universale, così il detto magnifico e spettabile
signor Ercole, testatore, istituì, fece ed ordinò suo erede universale il
magnifico e spettabile signor D. Giovanni del Carretto, suo figlio legittimo e
naturale, nato e procreato da lui e dalla quondam magnifica e spettabile donna
Marchisa del Carretto, un tempo prima moglie dell’illustre e spettabile
testatore sopraddetto.
«E tale eredità si estende sopra tutti i beni suoi,
mobili e stabili, presenti e futuri, amovibili ed inamovibili, nonché in ordine
a tutti i debitori ovunque esistenti e meglio individuabili e designati, e
principalmente nella baronia, nei feudi e nei territori di Racalmuto, con tutti
i suoi diritti, redditi, emolumenti, proventi, onori ed oneri della detta
baronia a giusto titolo spettanti e pertinenti,
secondo la serie ed il tenore dei suoi privilegi e dei suoi indulti e
concessioni, in una con l’amministrazione della giustizia giusta la forma dei
suoi privilegi.
«Dagli atti miei, notaio Antonino Quaglia
agrigentino.
«26 marzo - VI^ Ind. - 1518.»
Il
testamento ci svela come Ercole del Carretto abbia sposato in prime nozze la
citata Marchisa madre del primogenito Giovanni III. Ercole contrasse
sicuramente altre nozze ma non ne sappiamo nulla. Di quale madre fosse, ad esempio il terribile
Paolo del Carretto, non è dato sapere. Abbiamo un inghippo che non è facile
districare. Alcuni testi dichiarano Giovanni III del Carretto figlio unico di
Ercole (vedi testimonianza del Tudisco così come del Calderone), ma nel
testamento del Quaglia questo aspetto viene glissato. Supposizioni se ne
possono fare tante, ma il dubbio resta. Ed allora va creduta la rutilante
storia che il Di Giovanni ci fornisce, oltre un secolo dopo, nella rinomata Palermo restaurata? Siamo propensi per
l’ipotesi affermativa. Va qui allora ricordato che nel 1630 circa quello strano
personaggio che fu il cavaliere Di Giovanni
scrisse per sé secentesche memorie che oggi sono una miniera di notizie.
Discendente per via laterale dai del Carretto e addirittura da Ercole del
Carretto - almeno a suo dire - confezionò un racconto truculento in cui non è
facile distinguere il loglio dal grano. Investe la Racalmuto dei primi del
‘Cinquecento e noi non possiamo esimerci dal reiterare quel racconto, quanto
bizzarro ed inventato Dio solo sa.
«Nel
tempo che fu Lotrecco [Lautrec] a Napoli successe in Sicilia lo caso di
Barresi, il qual si nota dopo quel di Sciacca. E fu il predetto caso, che
essendo nella città di Castronovo D. Paolo Carretto, mio avo paterno, uomo di
gran valore, e avendo differenza con uno di casa Barresi, gli diede il Carretto
uno schiaffo; onde ne successe fra loro gravissima inimicizia, in modo che la
città si ridusse a parte.
Un giorno volle
il Carretto andar a visitare suo fratello D. Ercole, signor di Racalmuto, e vi
andò con 25 cavalli. Ma saputo ciò per le spie da’ nemici, lo assaltâro alla
piana di santo Pietro. Vide egli da lungi venire i nemici; e potendosi salvare
nella chiesa di santo Pietro, gli parve viltà, e si risolse piuttosto morire,
che far gesto di sé indegno. Si venne tra loro alle mani; ché animosamente il
Carretto investì, e ne morsero dall’una e dall’altra parte.
Ma il Carretto,
investendo il suo nemico, era con un pugnale a levargli la vita, avendolo preso
per il petto, quando uno de’ compagni con una saetta lo percosse in fronte e lo
mandò morto a terra.
Satisfatti
perciò i nemici, attesero a salvarsi, e se ne andâro alle guerre del Trecco
[Lautrec] a servire Sua Maestà, perché erano due fratelli; e gli successe in
una giornata di adoperarsi valorosamente sotto la condotta del conte Borrello,
figlio del viceré, perché mantennero un ponte tutti e due, tanto quanto gli
arrivasse il soccorso; dal che si evitò gran danno, che poteva succedere
agl’Imperiali.
Del che
fattosene relazione a Sua Maestà, spedita la guerra, fûro i predetti due
fratelli indultati in vita, e fûro fatti capitani d’armi per il regno.
Sentì gravemente
il successo D. Giovanni Carretto, nepote del predetto D. Paolo; e più per
vedersi i nemici, in quel momento favoriti, stargli innante gli occhi, e perché
era di gran valore e chimera, procurò quello, che non avea procurato il padre
D. Ercole.
In quel tempo
era nella città di Naro Enrico Giacchetto, uomo valorosissimo e potente,
consobrino di mia ava paterna, il quale, per avere inimicizia con il barone di
Camastra, anco della città di Naro, manteneva a sue spese cento cavalli,
ordinariamente di gente scelta e valorosa, con li quali faceva allo spesso gesti eroici e singolari. Di costui ne
temeva tutto il regno.
D. Giovanni del
Carretto, figlio del predetto D. Ercole, si fé chiamare il predetto Enrico, che
gli era amicissimo, a cui conferì il suo pensiero, e lo richiese che si volesse
adoperare per lui in satisfarlo di quell’oltraggio.
Gli promise
buona opera Enrico; e perché si sentiva che i Barresi si volevano levar le
mogli e le case da Castronovo, e portarsele alla città di Termine, li appostò
Enrico con quaranta cavalli, e, venendo quelli a passare per il fundaco delle
Fiaccate, per quel cammino assaltò i predetti fratelli con molta compagnia. I
quali non prima si videro Enrico addosso, che sbigottiti si posero a fuggire, e
furono finalmente giunti, presi ed uccisi.
E se ne presero
le teste, che furono portate al predetto D. Giovanni, il quale, benché
prevedesse gran travagli di giustizia, ne fu pure assai satisfatto e contento;
tanto si estimava l’onore in quei tempi.
N’ebbe al fine
gran travagli: ma col tempo ne riuscì con vittoria, grandissimo onore e
reputazione.»
“Più solidità e più stabilità” Eugenio Napoleone Messana (op. cit.
pag. 95) pensa che possa avere il suo congetturare sulla genisi della saga
della Madonna del Monte, quale trasfigurazione dei fatti sopra narrati.
Francamente non ce la sentiamo di seguirlo. Non siamo neppure certi, come si è
visto, che Paolo del Carretto fosse racalmutese e fosse davvero figlio del
barone Ercole.
Probabile invece che una
volta conosciuta la tresca di Paolo, Ercole e Giovanni del Carretto, nelle
prime decadi del Seicento, abbia preso corpo a Racalmuto la sublimazione della
vetusta e pia memoria della “venuta” di
quella adoratissima immagine marmorea della Madonna del Monte.
Il
canto popolare che la prof.ssa Isabella Martorana ha saputo recuperare dalla
viva voce delle locali vecchiette non è coevo certo alla venuta della Madonna
del Monte, ma ha insiti spunti storici che sia pure postumi meglio rispecchiano
la genesi della saga. Venuta da Trapani - più verosimile che si fosse parlato
di Punta Piccola - , “intranno a Racarmuto pi la via/ vonzi ristari cca la gran
Signura”, sono scisti con qualche valenza storica. Ma visto che “a lu conti cci
arrivà mmasciata”, il riferimento è decisamente postumo, databile dopo il
declinare del XVI secolo. Il carme dialettale, bello esteticamente, lascia
nelle brume anch’esso l’origine della pia tradizione del miracoloso evento della
Madonna del Monte che sceglie la sua dimora nel nostro paese, in cima alla
panoramica altura della omonima chiesa.
[1]
) ARCHIVIO DI STATO - PALERMO - RICHIEDENTE NALBONE
GIUSEPPE - REAL CANCELLERIA - BUSTA N. 39 - (Anni 1401-1402) pag. 232
recto.
[2]
) Invero nella conferma della baronia del 1453, il maggiorascato sembra certo
se crediamo al seguente passo di un documento facente parte del fondo
Palagonia:
« Quo Joanne mortuo, dictus
Fridericus tamquam eius filius legitimus et naturalis, ac mayor natu de eius
patre in dicto Casali, et bonis aliter feudalibus successerit, et succedere
voluerit, et vult, et ab eo tunc tenuerit,
et possiderit, et de praesenti tenet, et possidet fructus, redditus, et
proventus percipiendo et percepi faciendo,
[viene posta istanza] ut dignaremur dicto Friderico, et suis heredibus, et
successoribus dictum Casalem, et alia bona feudalia quae dictum eius praesente
posessa confirmare, eiusque supplicationi benignius inclinati nec non considerantes
servitia tam praedecessores eiusque Friderici serv. Dominis Petro principibus
divae recordationis quam quod ipsum
Fridericum Domino Regi praestita, queque prestat ad praesens, et in antea
speramus volente Domino meliora Et quia nobis de possessione, filiatione,
successione et morte, ac mayornatu praedictis constitit quod testes numero
competenti super hoc seré productos eidem Friderico et suis heredibus, et
successoribus cum debito tamen consueto militari servitio, .. videlicet unciae
viginti pro qualibet equo armato juxta usum et consuetudinem dicti Regni
secundum annuos redditus et proventus/ quod servitium dicto Friderico in vim
praesentia constitutus se et heredes, et successores suos curiae dicti Regni
Siciliae sponte obtulit praestiturum ? Praestans pro inde fidelitatis debitum
juramentum faciensque homagium manibus, et ore comendata juxta sacrarum
constitutionum dicti Regni Siciliae continentiam, et tenorem Casale praedictum
Racalmuti, et alia bona feudalia superius expressata juxta formam praeinserti
privilegij confirmamus, itaque ipse Fridericus et heres sui Casale, et feuda praedicta in capite à
Regia Curia teneant, et cognoscant, et ipsi Curiae et Militari servitio
teneantur Vivantque jure francorum, videlicet quod mayor natu minoribus
fratribus, et coheredibus suis, ac masculus foemenis praeferatur, temptis tamen
et reservatis, que à praesente confirmatione omnino exstendimus juribus
lignaminum seque sint in pertinentijs dictorum casalis et feudorum, que Curie
debentur, nec non minerijs, salinis, solatis forestis, et defensis antiquis,
que sunt de regio Demanio, et dominio et ... ... ex antiquo ispsi demanio
spectantia eisdem Demanio, et dominio volumus reservari, si vero in
pertinentijs dictorum casalis, et feudorum
sint aliqui barones, et feudatarij, qui pro baronis et feudis eorum
servire in capite Regiae Curiae teneantur eidem Curiae serviant, et tenentur,
quodque illi quibus in pertinentijs dictorum Casalis et feudorum habent aliqua
jura possessionis et bona que Petro regis divi recordij aut dominum Regem
concessa fuerint in dicta pertinentia dictorum casalis et feudorum, vel aliquis
ipsorum pretenderent usque ad mare jus, dominium, et proprietas, locis
littoris, et maritime pertinentiarum ipsarum in quantum à mari intra terram per
factum ipse pertinentia praetendaretur, tamquam ex antiquo ad regiam dignitatem
spectantiam eisdem demanio, et dominio volumus reservari, et quod ad ea omnia,
et singula occasione praesentis confirmationis ipse Fridericus, et heredes sui
non extendant aliquatenus manus suas, et quod animalia omnia et equitature
arariarum, massariarum, et marescallarum regiarum in pertinentijs dictorum
casalis et feudorum libere sumere valeant pascum, et quod ipse Fridericus, et
heredes et successores sui sint .. Regni
Siciliae et sub regia fidelitate, et dominio habitent, et morentur d. domini
nostri Regis heredum et successorum suorum, nec non constitutionibus, et
capitulis serenissimi Domini [12] Regis
.., olim Aragonum, et Siciliae Regis, dum eidem Regno prefuit editis, aliorumque
Retroregum, et domini nostri Regis ... militari servitio, juribus Curiae, et
cuiuslibet alterius semper salvis in cuius rej testimonium paresens privilegium
fieri jussimus Regio magno Sigillo impendenti munitum.»
(Datum
in Urbe Felici Panormi: Die XI mensis februarij V^ ind. 1453. Simon
Archiepiscopus Panormitanus Dominus Praesidens mandavit mihi Gerardo Alliata
Procuratori et vidit illud Joannes Chominus Adnotatus Fisci.
Ex Cancelleria Regni Siciliae extratta est.- Coll. Salva.
Franciscus Grassus Panormitanus Not.)
[3])
vedi anche ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - PROTONOTARO REGNO - SERIE INVESTITURE
N. 1482 - PROC. 21 - ANNO 1452.
[4]
) Archivio Vescovile di Agrigento - Libro dei Vescovi 1512-20 - f. 284v 285r
Documento datato 17 maggio 1512 -
XV^ Ind., riguardante la consegna di cedole della Curia Vescovile ai sindaci di
Racalmuto Vito de Grachio, Francesco de Bona, Jacobo de Mulé, Philippo Fanara,
Salvatore Casuchia, Grabiele La Licata, Orlando de Messana, presbitero Franesco
La Licata e Stephano de Santa Lucia, a seguito di istanze avanzate alla Gran
Regia Curia. L'incarico promana dal
Vicario Generale Luca Amantea ed è rivolto al Vicario di Racalmuto. Emerge
l'interessamento del magnifico chierico
Paolo del Carretto. Di risalto il rito della consegna delle singole copie degli
atti vescovili ai sindaci racalmutesi.
[5]
) Giuseppe Sorge - Mussomeli,
dall’origine all’abolizione della feudalità, edizioni ristampe siciliane
Palermo 1982 - vol I - pag. 386 e segg.
[6]
) Il conto enne presentato in Palermo il 18 maggio 1502. “Presentete Pan. 18:
Maij 1502 in M: R: C: de m.to D. Salv.ris Aberta p.te per Vincenzu Pitacco
Post.m.”
[7]
) Giuseppe Nalbone e Calogero Taverna, Racalmuto
in Microsoft - dattiloscritto 1995 c/o Biblioteca Comunale di Racalmuto.
[8])
Leonardo Sciascia, Le parrocchie di regalpetra
- Morte dell’Inquisitore - Laterza Bari 1982 pag. 82 e pag. 83.
[9]) Girolamo M. Morreale, S.J. - Maria SS. del Monte di Racalmuto -
Racalmuto 1986, pag. 35.
[10])
Cfr. lo Spucches: Giuseppe Antonio
REQUISENZ di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771,
della Terra, Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza
pronunziata a suo favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per
voto segreto, contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già
c.ssa di Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765.
[11]
) Archivio Vescovile di Agrigento - Registro Vescovi 1686 - f. 785. Il vescovo
Rini accorda la facoltà il 17 giugno 1686 di amministrare l’Eucaristia “in predicta venerabili Ecclesia
miracolosissimae Imaginis S.ae Mariae Montis”. Il p. Morreale ebbe presente
il passo di cui ne dà la traduzione a pag. 44 dell’o.cit. ma sembra non avere
voluto coglierne la testimonianza sull’affermato culto dei Racalmutesi alla sua
Madonna del Monte sin dalla fine del XVII secolo.
[12])
Archivio di Stato di Palermo - Protonotaro Regno - Investiture - busta 1487
processo n.° 1175 - anno 1518-21 (Foto 13/b del retro infra pubblicata).
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