[Articoletto n.° 15]
RACALMUTO: UNA PREISTORIA DURATA 3271 ANNI
di Calogero Taverna
Giunti a questo punto del nostro excursus, uno sguardo retroattivo, una
pausa di riflessione si rende indispensabile per fare il punto su ciò che fu la
società, la vita, la religione, gli usi, i costumi che in questa landa
dell’altipiano racalmutese, nel corso di circa 3271 anni, quanto dura la
preistoria di Racalmuto. Il documento angioino del 1271, sbarra finalmente le
porte alla storia, quella documentata, non inventata, più o meno
fantasiosamente.
Prima, affiorano solo cenni o spunti che soltanto in
via congetturale possono portare a questo centro dall’incerto nome arabo che è
la nostra terra di Racalmuto.
Sul nostro altipiano - che,
a ben vedere, altipiano non è - l’uomo ha lasciato, da quasi quattro millenni,
tracce del suo dimorarvi ora rado, ora intenso, qualche volta prospero, ma di
solito stentato. Un popolo preistorico, quello cosiddetto sicano, fu presente
per oltre sei secoli nel secondo millennio a. C. Ma a partire dal XIV sec.
a.C., mentre nella vicina Milena ebbe a prosperare una popolazione che, come
attestano le ancor visibili tombe a tholos, seppe avvalersi degli influssi
micenei, il territorio di Racalmuto pare divenuto del tutto inospitale e la
civiltà sicana scompare del tutto (o non fu in grado di lasciare testimonianze
che superassero l’onta del tempo).
Contraddistingue il popolo
sicano un sentimento religioso tanto profondo da spingerlo ad opere che
scavalcano l’obliterazione dei millenni per giungere sino a noi. Sono quelle
tombe sicane che si affacciano grandiose e
impressionanti dalla parete della grotta di Fra
Diego. Il culto dei morti - una costante racalmutese che diventa una mania
al di là di ogni temperanza, dai tempi remoti sino ai nostri giorni - affonda
le radici in quel sentimento religioso, nel senso dell’al di là che connota ed
ossessiona persino l’uomo preistorico racalmutese. Certo, a quel tempo è più il
terrore superstizioso della morte, che non una liberatrice fede
nell’immortalità dell’anima, ad avere il sopravvento. Ma è pur aspetto nobile e
qualificante di un popolo che se crede in una vita ultraterrena, crede anche
nell’esistenza di Dio. In tal senso anche il popolo sicano racalmutese è stato
il popolo di Dio.
Sparita quella civiltà
attorno al XIII secolo a.C., saranno i sicilioti greci di Akragas a
rifrequentare quelle plaghe. Continua il culto dei morti, sorge una religione
politeista, vi ispira sentimenti nuovi di pietà e di fede operosa. Dio continua
ad essere presente a Racalmuto. Così come avviene quando il territorio viene annesso dalla predace
Roma ed assoggettato a decime in natura ed in denaro. Una epigrafe sul timbro
apposto nell’interno del manico di una diota testimonia la tassazione romana
delle terre di Racalmuto al tempo di Cicerone. Reperti archeologici di tombe attestano riti e culti religiosi.
Con Sparita quella civiltà
attorno al XIII secolo a.C., saranno i sicilioti greci di Akragas a
rifrequentare quelle plaghe. Continua il culto dei morti, sorge una religione
politeista, vi ispira sentimenti nuovi di pietà e di fede operosa. Dio continua
ad essere presente a Racalmuto.
In Sicilia quindi subentrò il periodo delle
immigrazioni greche. Racalmuto appare completamente estraneo al processo
iniziale della colonizzazione: solo, quando si consolida l’egemonia greca di
Agrigento, qualche colono ebbe l’ardire di addentrarsi nelle parti più interne
dell’altipiano racalmutese. Di documentato, però, non abbia nulla e dobbiamo
accontentarci delle acritiche descrizioni di ritrovamenti archeologici che ci
fornisce Nicolò Tinebra Martorana nella sua «Racalmuto, memorie e tradizioni».
Non solo le contrade di Cometi e Culmitella ma anche quelle del Ferraro sarebbero state frequentate da
Sicilioti.
Nessun commento:
Posta un commento