GIROLAMO I
DEL CARRETTO
Il Baronio
diviene ora piuttosto loquace. Ecco come descrive quello che fu l’ultimo barone
ed il primo conte di Racalmuto (cfr. § 78 op. cit.):
«A Girolamo
primo, il maggiore dei figli maschi di Giovanni, dunque ritorniamo. Su di lui
ebbe a scrivere distesamente in lettere inviate a Filippo II re di Spagna,
Rodolfo Imperatore nobile figlio di Massimiliano che la famiglia del Carretto
stimò moltissimo. Il re, dato che gli antenati di Girolamo vantavano il titolo
di marchesi di Savona, volle che il nostro Girolamo fosse chiamato ed avesse in quel tempo il titolo di conte di
Racalmuto, lasciando intendere che in avvenire avrebbe amplificato la gloria di
tanta illustre famiglia con titoli di maggior risalto.
« Le
lettere del re, dove Girolamo è gratificato con il titolo di conte, sono da
riportare. Niente è più preclaro. Esse sono datate: 28 giugno 5 ind. 1577 e
recitano: “Filippo etc. A tutti quanti
etc. Avendo lo spettabile fedele ed a noi caro D. Girolamo Carretto dei
marchesi di Savona documentato l’insigne
virtù non disgiunta da grandi fortune della propria stirpe, abbiamo considerato
i tanti servizi che ai nostri predecessori, di felice memoria, sono stati dai
del Carretto prestati quando necessità l’ha richiesto; del pari abbiamo
considerato l’antica nobiltà e lo splendore della famiglia carrettesca, che non
soltanto in questo Regno ma in tante altre nostre province si è a diverso
titolo resa celebre e meritevole. E omettiamo di considerare gli altri celebri
uomini della medesima famiglia che meritevolmente sono assurti a preclare e
altissime dignità dello stato ecclesiastico. Volendo pertanto mostrarci grati
verso il lodato D. Girolamo Carretto etc.”
«Noto è per di più quanto l’imperatore Rodolfo
fu prodigo di lodi per iscritto quando riesumò la lettera del padre,
l’imperatore Massimiliano, per tornare sul fatto che si gratificasse Girolamo
con il promesso onore del marchesato. Ecco il testo della lettera:
«Rodolfo etc. Serenissimo etc. Premesso che
negli anni scorsi il fu imperatore Massimiliano, signore e genitore nostro
colendissimo di augusta memoria, ebbe ad inviare alla serenità vostra lettere
in favore del fedele al nostro Sacro Impero ed a noi caro Girolamo de Carretto
barone in Racalmuto dei marchesi di Savona, con le quali lettere benevolmente
si pregava la Serenità vostra affinché Girolamo del Carretto, i suoi figli ed i
suoi discendenti primogeniti successori nella baronia Rachalmutana, potessero
fregiarsi del titolo grado e dignità marchionale e volesse pertanto erigere la
detta baronia in marchesato; ne conseguì che la vostra Serenità decretò quella
baronia con il titolo di contea.
«Tuttavia il nostro divo genitore ingenerò in
D. Girolamo la speranza che in altro tempo gli potesse venire concesso il
titolo di marchese. Ed è per questo che il predetto Girolamo de Carretto conte
in Rachalmuto umilmente ci ha esposto che oggi ciò tanto desidera essendo noto
che egli discende dall’antica stirpe dei Marchesi di Savona, la quale ha
origini antichissime dal Duca di Sassonia.
«Ragion per
cui così alla fine egregiamente concluse l’Imperatore:
«Pertanto con fraterno amore preghiamo la
Serenità vostra affinché vengano restituite al predetto Girolamo le avite
prerogative, rinverdite dalle virtù dei suoi antenati; e così anche per la
nostra intercessione possa realizzarsi la sua antica speranza. Ciò, peraltro,
ci tornerebbe come cosa graditissima. Etc. Date in Praga il giorno 12 febbraio
1580.»
Siffatto
pasticcio epistolare non sortì effetto alcuno. La baronia “rachalmutana” di cui
si parlò nelle corti degli Asburgo ascese solo di un grado e divenne contea, ma
marchesato giammai. Diociotto anni dopo, nel 1598, i del Carretto tornarono
alla carica, ma invano. Il Baronio infatti prosegue:
«Esiste
un’altra missiva, molto ben fatta, del 1598. Fra l’altro vi si diceva: “Antica e regale è la famiglia dei del
Carretto che è stata fedele alla nostra Augusta Casa e che è stata bene accetta
ai nostri Antenati per molteplici meriti. Pertanto Girolamo del Carretto, conte
di Racalmuto, siciliano ed il suo figliolo Giovanni meritarono le grazie di
nostro padre Massimiliano Secondo. Anche noi li degniamo della nostra
benevolenza e volentieri ci adoperiamo perché sia loro concesso tutto ciò che
possa accrescere il loro prestigio; ne abbiamo ben ragione etc.”
«Da quanto
sopra è ben chiaro che Girolamo e la
famiglia del Carretto furono tenuti in gran conto dagli imperatori come le
citate missive, altri documenti che non ho citato ed autorevoli testimoni ampiamente comprovano.»
Le note del
Baronio rendono invece a noi chiaro che i del Carretto, giunti all’apice della
ricchezza con la baronia di Racalmuto, presero il largo e andarono a dimorare a
Palermo. Lì, la fatua e neghittosa nobiltà aveva solo l’angoscia delle
preminenze negli onori. Agli immigrati del Carretto, il titolo di barone
suonava stretto: si prodigarono in regalie, bussarono a varie porte regali,
impetrarono favori, ma non riuscirono a superare la soglia del titolo comitale.
Il Villabianca
lesse il Baronio e vi si ispira quando redige questo profilo sul nostro
Girolamo I del Carretto:
«GIROLAMO nel retaggio di questo Stato dopo la morte
di Giovanni suo genitore, lo ridusse egli all'onor di Contea per privilegio del
serenissimo Rè Filippo Secondo, dato
nell'Escuriale di S. Lorenzo a dì 27.Giugno 1576, [1] esecutoriato in Palermo a 28 Giugno 1577. [2] Fu pretore di Palermo nell'anno 1559 [3], e Don Vincenzo Di Giovanni nel suo PALERMO RISTORATO
lib. 2 f. 138. giustamente l'annovera fra 'l chiaro stuolo de' Padri della
Patria mercé il lodevolissimo governo, ch'egli fece, procacciato avendone
gloria, ed ornamento. Presiedette altresì la Compagnia della Carità di essa
Città di Palermo nel 1549., e adorno videsi di distintissimi elogi fattigli da
Rodolfo Imperatore con le sue Imperiali lettere al Rè Filippo II. negli anni
1580 e 1598., rapportate per extensum da BARONE
loc. cit. lib. 3. c. 11 De Majest. Panormit. - Da esso fu dato al mondo [p.
205] GIOVANNI del CARRETTO, quarto
di questo nome. il quale fu il secondo C. di RAGALMUTO, e Pretore di Palermo
nel 1600. [4] di non minor merito di quello del genitore come vuole
il citato DI GIOVANNI nell'istesso luogo notato di sopra, avvegnachè fu egli
dotato di tanta prudenza, valore, ed abilità, che nella onorevol carriera di
reggere gli affari pubblici avanzò tutti gli altri cavalieri suoi pari, e
magnati suoi contemporanei.»
Sciascia
dileggia questo nostro barone assurto al rango di conte. «Il primo Girolamo - riecheggia il grande racalmutese [5] - fu invece, ad opinione del Di Giovanni, uomo di
grandi meriti. Per lui Filippo II datava dall’Escuriale di San Lorenzo, il 27
giugno del 1576, un privilegio che elevava Regalpetra a contea. Ma sui meriti
di Girolamo primo non sappiamo molto: fu pretore a Palermo, e non credo dovuta
a “bizzarra opinione seu presunzione”, come invece afferma il Paruta, la
sollevazione dei palermitani contro la sua autorità. Né mi pare che sia da
ascrivere a sua gloria il fatto che per suo ordine, il giorno sedici del mese di
marzo dell’anno milleseicento, trentasette facchini abbiano subita la pena
della frusta: notizia che senza commento offre il già ricordato erudito
regalpetrese [alias il Tinebra, n.d.r.]».
Tutto bene, salvo il fatto che nel 1600 Girolamo primo del Carretto era già
morto da diciotto anni. L’abbaglio nasce da imprecise letture da parte del
Tinebra dell’opera del Villabianca.
Dai
processi ricaviamo questi dati biografici. Girolamo I del Carretto fu il
primogenito di Giovanni III, come si evince dal testamento redatto dal notaio
Jacopo Damiano il 2 gennaio del 1560. L’8 gennaio 1560 Girolamo s’insedia quale
barone di Racalmuto. Nel rito lo rappresenta il suo procuratore, il magnifico
Giovanni Antonio Piamontesi. La formula recita che il barone prese “l’attuale,
vera, naturale, corporale baronia del castello, dei feudi e del territorio di
Racalmuto con ogni diritto e pertinenza, con il mero e misto impero, con le
giurisdizioni civile e criminale su tutto lo stato, risultato integro giusta la
forma dei privilegi baronali”. Il procuratore rispetta il meticoloso ed
emblematico rituale: “esibisce la chiave del portone del castello; di propria
mano apre e chiude quella porta; entra ed esce; si reca presso i feudi; ne
prende alcune pietre in segno di libera disponibilità di quelle terre; revoca e
rinomina tutti gli ufficiali locali: il castellano nella persona del nobile
Scipione de Selvagio; il capitano nella persona di Giovanni Piamontesi; il
giudice nella persona del nobile Marco Promontori; i giurati nelle persone di Cesare
di Niglia, Leonardo La Licata e Giacomo Caravello; il maestro notaio nella
persona del nobile Innocenzo de Puma”. Viene redatto pubblico atto. I testi
sono: il nobil homo Maragliano, il nob. Antonino de Averna, l’onorabile
Antonuccio Morriali e l’onorabile Gerlando de Pitrozella. Il notaio è ancora il
povero Jacopo Damiano che però si dichiara agrigentino.
Girolamo I
del Carretto muore nel gennaio del 1582. Sono ancora i processi d’investitura a
dirci che esternò le sue ultime volontà dinanzi il notaio Giacomo Devanti di
Palermo il 14 gennaio del 1582, ma il testamento fu aperto un anno dopo, il 9
agosto del 1583. Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria di Gesù fuori le mura
in Palermo proprio sotto quella data. Ne fa fede l’atto parrocchiale della chiesa
di San Giacomo alla Marina del 14 luglio 1584.
Sposa di
Girolamo I del Carretto fu una Elisabetta di ignoto casato.
Ma come si
è visto, i del Carretto non stanno più a Racalmuto: quella lontana terra, quel
loro ‘stato’ serve solo per approvvigionare di fondi questi nobili accasatisi a
Palermo. Nel castello racalmutese siede e dispone un ‘governatore’. In Matrice
non abbiamo trovato neppure un atto che attesti la presenza del barone ora
conte di Racalmuto, magari come padrino in un qualche battesimo. Qualche membro
dei rami cadetti, sì, ma il conte giammai. Vi farà ritorno solo Girolamo II del
Carretto per venirvi trucidato (se ciò corrisponde al vero) nel 1622.
In altra
parte del presente lavoro pubblichiamo il privilegio di Filippo II che erige a
contea Racalmuto: è una sfilza di vacue formule da cui non riusciamo a cavare
alcun briciolo di microstoria locale.
Non abbiamo qui note in proposito da proporre.
Da questo
momento la vicenda familiare dei del Carretto è cosa che solo di striscio
colpisce Racalmuto. Vale di più per la storia della città di Palermo.
Ciò non
vuol dire che non vi furono riflessi tributari su Racalmuto a seguito della
concessione dell’onore di farne una contea da parte di Filippo II a tutto
vantaggio di Girolamo I del Carretto. Anzi. I riflessi ci furono e gravi. Una
ricerca del prof. Giuseppe Nalbone fra le carte del fondo Palagonia
dell’archivio di Stato di Palermo ha consentito di rinvenire documenti di quel
tempo, estremamente significativi per la riesumazione delle vicende vessatorie
cui sottostarono i nostri antenati racalmutesi del Cinquecento.
Il carteggio illumina sull’esoso fiscalismo spagnolo ai danni
dell’università feudale ed ha tratti inquietanti circa la disumanità viceregia.
Nel 1576 si era abbattuto su Racalmuto quella immane
pestilenza che colpì l’Italia intera.
Del pari sconvolgente dovette essere lo scenario racalmutese:
leggiamo nel carteggio che «per lo
contaggio del morbo che in quella s’ha ritrovato che sono stati morti da tre
mila persone [a Racalmuto] restano solamente ... due mila e quattrocento
delli quali la maggior parte sono fuggiti assentati e rovinati ...».
Nel precedente Rivelo del 1570 Racalmuto in effetti contava
5279 abitanti; ma in quello del 1583 scenderà ad appena 3823: una flessione che
sinora nessuno era riuscito a spiegarsi e che Sciascia scarica sui del Carretto
e sulle sue tasse enfiteutiche del terraggio e del terraggiolo [Morte
dell’Inquisitore, pag. 181].
Confesso che anch’io ero scettico su questo crollo
demografico di Racalmuto prima della consultazione dei documenti del Fondo
Palagonia. Ancor oggi non è che creda in pieno in questo tracollo: ci fu
un’opportunità per sgravi fiscali e si cercò di scontare la tragedia della
peste racalmutese del 1576 con qualche beneficio tributario.
Tuttavia, la flessione vi fu e forte. I nostri antichi
progenitori parlano di un dimezzamento della popolazione nel vano intento di
intenerire gli agenti delle tasse palermitani; ma per bocca del viceré don
Carlo d’Aragona e della sua corte Sucadello, De Bullis ed Aurello, costoro non
se ne diedero per intesi. Le “tande” - o più graziosamente “donativi” -
andavano pagate sino all’ultimo grano a Sua Maestà Cattolica il re di Spagna.
Ed andavano pagate anche le tasse arretrate, senza ulteriori indugi.
V’è agli atti una secca e perentoria negativa alla seguente
perorazione dei Giurati racalmutesi:
«Ill.mo et Ecc.mo
Signore, li Giurati della terra di Racalmuto exponino à vostra Eccellenza,
dovendosi per l’Università di quella Terra molta quantità e somma di denari
alla Regia Corte cossì per donativi ordinarij, et extraordinarij et altri
orationi [per oblationi ?] fatti per il Regno à Sua Maestà, come per le tande della Macina, non havendo
quelli possuto satisfare per lo contaggio del morbo che in quella s’hanno
ritrovato ... , à vostra Eccellenza l’esponenti hanno
supplicato che se li concedesse à pagare quel tanto che detta università deve
alcuna dilattione competente [e che ] à detta Università fossero devenute
[condonate] li tandi maxime quella della macina che si doveva pagare ..»
La burocratica risposta palermitana è spietata: la decisione
(provista) di Sua Eccellenza si
compendia in un “non convenit” “non conviene”. La tragedia racalmutese agli
occhi palermitani si traduce in una gretta questione di convenienza. L’abbuono
di tasse non è ammesso, non conviene alle esigenze del bilancio dello stato.
Una storia dunque che si ripete; un localismo, il nostro, quello di
Racalmuto, che ha valenza oltre il
tempo, oltre la landa municipale. Altro che isola nell’isola ..
Remissivamente i giurati di Racalmuto nel 1577 accettano il
loro fato e fatalisticamente annotano:
[Ma tale petizione non ha avuto esito] “per lo chi attendo [attesa] la diminutione delle persone morti è stato
per vostra Eccellenza provisto quod non convenit quo ad dilactionem [ f. 228] e poiche l’esponenti per li
Commissarij che alla giornata si destinano contro loro, e detta città per
l’officio del spettabile percettore s’assentano, e non ponno ritrovare modo
alcuno di satisfare à detta Regia Corte e se li causano eccessivi danni, et
interessi supplicano Vostra Eccellenza resta servita concederli potestà di
poter fare eligere persona facultosa,
poiche pochi vi sono in detta Terra di poter vedere augumentare, e
raddoppiare alcune delle gabelle di detta università, e fare quel tanto che per
consiglio si concluderà, acciò potersi
sodisfare nullo preiudicio generato
ad essa università circa detta
diminuttione, e difalcatione che hanno supplicato doversi fare à detta Terra
per detta mortalità, e mancamento di persone, e resti servita Vostra Eccellenza sia quello mezzo che si concluderà quello che
di sopra si è detto per detto consiglio
concederli dilattione almeno di mesi due, altrimente stando assentati non
potriano effettuare cosa alcuna e detta Regia Corte non verria ad esser
sodisfatta ne tenendo detta università modo alcuno di sodisfare, ne tener altro
patrimonio ut Altissimus. ..”»
La messa in mora della
locale amministrazione per ritardo nel versamento delle tande sulla macina
scatena dunque la cupidigia di commissari palermitani sguinzagliati nel
malcapitato paese moroso ad esigere, oltre alle imposte, pingui “giornate” (le
attuali diarie per missioni) e ad aggravare le esauste finanze locali «con
eccessivi danni ed interessi».
Si accordino - si chiede da Racalmuto - due mesi di dilazione per
trovare un sistema di reperimento dei fondi ed assolvere il cumulo tributario.
Questa seconda istanza viene accolta. Ma l’invadente autorità
viceregia detta una serie di disposizioni sui modi, tempi e luogo delle
procedure per un nuovo sovraccarico fiscale sulla cittadinanza racalmutese.
Il carteggio qui va attentamente studiato raffigurando
istituti, costumi, organizzazioni pubbliche e territoriali del primo secolo
dell’epoca moderna. Hanno una originalità che non mi pare sia stata debitamente
messa in luce dalla cultura storica degli accademici.
Viene fuori uno spaccato dell’organizzazione statuale che non
può ridursi al mero dato tributario (la gabella per assolvere gli oneri
fiscali) ma che fa trasparire una vocazione democratica impensata. Per
sopperire alle necessità tributarie, Racalmuto assurge al ruolo di Comune
libero, democraticamente organato, con una sua assise plebiscitaria, avente
poteri decisionali.
L’ordine, certo, arriva da Palermo, dall’autorità centrale,
ma è ordine volto ad attivare le istituzioni democratiche comunali. Con
aperture sociali che gli attuali consigli comunali sono ben lungi dall’avere, è
il popolo che viene chiamato a raccolta, è il popolo che decide sui propri
ineludibili gravami tributari, ovviamente sotto la guida e la direzione di
quella che oggi chiameremmo la giunta comunale: la giurazia.
Affascinano questi passaggi delle carte palermitane:
vi diciamo, et ordiniamo che
debbiate in giorno di festa e sono di campana come è di costume congregare il
vostro solito consiglio sopra le cose contenute nel preinserto memoriale, e
quello che per detto conseglio seù maggior parte di quello sarà concluso, et
accordato, e sigillato lo trasmitterete nel Tribunale del real Patrimonio acciò
di quello fattone relatione possiamo provedere come conviene. - data Panormi
11. Martij 5^ ind. 1577. Don Carlo d’ Aragona - Petrus Augustinus
Sucadellus ... conservatore [f. 229]
Marianus Magister Rationalis, de Bullis Magister Rationalis, Franciscus de
Aurello Magister Notarius, ..»
Il
Consiglio comunale si svolge nella chiesa dell’Annunziata - che anche allora,
molto prima che nascesse don Santo d’Agrò, era bene operante a Racalmuto - ed abbiamo anche il verbale consiliare che mi
pare opportuno rileggere, almeno nelle sue parti essenziali:
Racalmuti die 25. Aprilis 5^ Ind.
1577.
Die festivo Supradicti Martij in
Ecclesia Sanctae Mariae Annuntiatae dictae Civitatis existens in platea
publica.=
[Consilium detentum die predicto in Ecclesia predicta ad sonum campanae
more solito in qua magnifici Jurati iuxta formam literarum Secretarum
Eccellentiae Suae et Tribunalis Regij Patrimonij eis directarum datarum Panormi die 11. Martij
prox: pret: 5^ ind. instantis 1577. iuxta formam propositionum, et hoc ad
informandum predictam Eccellentiam Suam et Tribunal predictum Regij Patrimonij
super infrascriptis. ]
Perche ritrovandosi l’università di
questa Terra di Racalmuto debitrice in molta somma cossì alla Regia Corte
per donativi ordinarij,
et altri oblationi fatti per il Regno à Sua Maestà, et alcuni tandi imposti
sopra la Macina, come ancora per alcuni debiti correnti non havendo possuto in
tutto satisfare per la tanta mortalità successa in quella del contagio, e tanta
diminutione di persone,
è stato supplicato da parte di
detta Università per li Giurati di quella à Sua Eccellenza che per li detti
debiti se li concedesse dilatione competente per potersi ritrovare il modo di
quelle sodisfare, et in quanto à quelli della macina poiche avendosi fatto
offerta à Sua Maestà, et ordinatosi quella dovere pagare per poche di persone
di tutte città, e terre del Regno à raggione di denari novi per ogni tummino
[f. 230] che per il ripartimento e numero di persone che allora vi erano in
detta terra tocca à detta Università pagare in due tande once 24.5.11.2.
che allora concesse Sua Eccellenza potestà alli Giurati, che volendo et
apportandosi per consiglio li cittadini pagare tali tande di Macina alli Minuti
del sopradetto modo à raggione di denari novi per tummino, o veramente per tali
pagamenti volessero imponere alcune gabelle dummodo che quelli se imponessero
sopra cose comestibili, e potabili stasse in loro arbitrio, e volontà, e per
tale causa sono imposte per la sodisfatione di dette tande di macina alcune
gabelle, li quali per la diminutione, e mortalità di persone sono mancanti in
tal modo che non possono assuplire, ma in poche parti alla sodisfatione
predetta che restasse Sua Eccellenza servita difalcare detta Università per
tale diminutione non si potendo per tali tandi di Macina tassare ne ritrovare
il modo di pagarsi, fù provisto quod non convenit quo ad dilationem, e tuttavia
alla giornata si causano à detta Università mille danni di spese, et interesse
di giornate di Commissarij, che nel spesso si destinano, et in tal forma che
appena si può esigere quello che per giornate di Commissarij si paga,
e vedendosi che tuttavia detta
Università non si vederà libera à tal debito supplicano detti Giurati un’altra
volta à Sua Eccellenza che resti servita concederli potestà di poter eligere
persone facultose, ò vendere et augumentare, e raddoppiare alcune delli gabelle
di detta Università, e fare quel tanto che si potesse per consiglio concludere
acciò si potesse detta Università liberare di tal debito et interesse nullo
prejudicio generato à detta Università sopra la diminutione, e difalcatione che
se li deve fare per detta Regia Corte stante le raggioni predette come si
contiene per memoriale alli quali s’abbia in tutto relatione [f. 231] et
essendo stato provisto per la prefata Eccellenza Sua e Tribunale del Real
Patrimonio che si congregasse sopra le cose contente in detto memoriale
consiglio, e quello si trasmettesse per poter provvedere come convenisse, per
ciò s’ha devenuto alla congregatione del presente consiglio come intesa la
presente proposta habbiano sopra le cose prenominate ogn’uno possi liberamente
dire il suo voto, e parere.
Il Magnifico Vincenzo d’Randazzo
uno delli Magnifici Giurati di detta Terra, e locotenente del Magnifico
Capitano di quella, è di voto, e parere che s’aggiongano onze quaranta di
rendita da pagarsi quolibet anno come meglio e per manco interesse di detta
Università si potrà accordare con quelle persone che vorranno attendere à tal
compra di rendita,
[e per l’altri
pagamenti cosi di donativi ordinarij, et extraordinarij come per quelli detti
debiti correnti per ritrovarsi li genti che sono remasti in detta Terra tutti
quasi rovinati che s’habbiano di raddoppiare tutte le infrascritte gabelle
accioche per futuro il provento di quelle vengono à convertirsi in
sodisfattione di quello che annualmente si deve à detta Regia Corte, li quali
denari che si perciperanno di detta suggiogatione s’habbiano à convertere in
sodisfattione di quello si deve per detta Università a detta Regia Corte o per li
debiti correnti ut supra alli quali suggiugatarij che compriranno detta rendita
se l’haveranno d’hypotecare expresse quello che avanzerà d’augumento, et
accriscimento che si raddopierà et imponerà danno sopra le infrascritte
gabelle, lo quale novo imposto habbia da servire per corpo e capitale di tal
rendita, della quale vendittione s’haverà à fare atto publico con obligarsi li
Giurati nomine Universitatis, et Juratorio nomine modo con quelle debite
clausole justi cauteli, e patti che sopra ciò si [f. 232] ricercano, e come meglio si potrà accordare
con li compratori, con questo che detta rendita s’habbia à pagare in tre terzi,
cioè lo primo, al primo di Gennaro, il Secondo al primo di maggio, e l’Ultimo
al’ultimo del mese d’Agosto ogn’anno con la rata del tempo che vi entrerà nel
giorno che si farà tal atto di vendittione, e per facilitare l’effetto di tal
negotio per liberare detta Università di tal debito et interesse che alla
giornata che ci causano, quanto prima s’habbia da mandare à persona seria, à
suplicare à Sua Eccellenza, e Real Patrimonio sopra le cose preservate, e
principalmente sopra la difalcazione che si deve fare à detta Università, cossi
delle tande della Macina come di quelli altri donativi ordinarij et
extraordinarij, e novi pagamenti per la tanta Mortalità e mancamento di persone
come ancora per quel tanto che occorse farsi intorno conversione che si ha da
fare della venditione di detta rendita, et altro che succedesse tentarsi in
beneficio di detta Università
E
pertanto
le gabelle ... averanno da
raddoppiare, et accrescere
sopra le quali s’haverà d’imponere
il novo imposto il quale sarà per il corpo, e capitale della detta rendita
che s’haverà d’obligare et hypotecare expresse alli suggiugatarij e
s’intenderà per superato, e segregato dalle gabelle obligate alla Regia Corte
in parte per le predette tande saranno le unfrascritte.
E prima sopra la gabella del vino
siccome il
passato s’ha pagato à raggione di tarì uno per botte di Musto, e vino, da
pagarsi per li venditori et al minuto à raggione di tarì uno per botte
s’intende de futuro à detta gabella
novamente imposta altro tarì uno per botte, et al minuto altro tarì uno per
botte.
[f. 233] Sopra
la gabella dello Pani, fogli, fiori, e frutti virdi, e sicchi,
sicome pagava
sopra quelle delli Pani à raggione di tarì uno, e grana dieci per onza,
s’intende de futuro di novo imposto sopra quella, altro tarì uno, e sicome
quella delli fogli, fiori, e frutti si pagava à raggione di tarì uno per onza
s’intendono sopra quelle de futuro imposti di nuovo altri tarì uno e grana
dieci per onza alla quale gabella, s’intendda sottoposta la venditione di
qualsivoglia sorte di legumi che si vendirà à minuto da pagarsi per lo
venditore à raggione di tarì tre per salma, e tarì tre per ogni salma d’orgio
si vendirà a minuto.
Sopra la
gabella delli panni, arbascie, cannavazzi, e cordi
si come prima
si pagava à raggione di tarì uno per onza s’intendano sopra quella de
futuro di nuova imposta altri tarì due
per ogn’onza da pagarsi per li venditori.
Sopra la
gabella dello pilo di qualsivoglia animale sicome prima si pagava à raggione di
grani dieci per onza, cioè prima cinque per lo venditore, e grana cinque per lo
compratore, e permutazione d’animali grossi si paga à raggione di tarì uno per
ogn’uno delli permutanti, e per l’animali sumerini à raggione di grana dieci
per ogn’uno similmente di detti permutanti de futuro s’intendano sopra detta
gabella novamente imposta altri tarì uno per uno nella permutazione si debbia
pagare de futuro tarì due da qualsivoglia che permuterà animali grossi, et
sumerini à raggione di tarì uno per ogn’uno che similmente permuterà.
Sopra la
gabella dello linu cànnavu (canapo), ferro, e ramo rustico, e lavorato, e
legname d’ogni sorte rustica, e lavorata
che viene di fora,
e legnami di cittadini, ò qualsivoglia persona siccome prima si pagava di tt.
uno per onza s’intenda de futuro sopra quella di nuovo imposta [f. 234] e si
debba di nuovo pagare à raggione d’altro tarì uno per onza da pagarsi per li
venditori.
Sopra la
gabella delli Pisci, e Salsizzi,
siccome prima
si pagava à raggione di tarì sei per ogni carico di pisci de futuro si debbiano
pagare à tarì novi per ogni carici, e siccome si pagava per ogni porco che si
macellava per farsi salsizzi alla raggione di tarì tre per ogni porco, de
cetero s’intenda altro tarì uno di novo imposto per ogni porco.
Sopra la
gabella delli Pani, formaggi, cascavalli, Meli, e cera
si come prima si pagava à
raggione di tarì uno per onza s’intenda de futuro sopra quella devono imposta
altro tarì uno per onza, e cosi in tutto à raggione di tarì due per onza
d’esigersi in vendita del venditore, e la metà del compratore.
Per le quali gabelle, e loro
pagamenti s’haveranno da fare li capitoli per li Magnifici Jurati, e con
l’impositione delle pene solite come sono l’altri capitoli.
Il Magnifico Jacobo Piamontese
Giurato è del sopra parere.
Il Magnifico Jacobo Sciurtino ut
supra.
Il Magnifico Signor Giovanni Artale
Tudisco ut supra.
Il Magnifico Giuseppe d’Ugo ut
supra.
Petro Barberi ut supra.
Martino Rizzo ut supra.
Magistro Antonio Vulpi ut supra.
Il Mastro Notaro Giovan Vito
d’Amella è di parere come di sopra, et si, et quatenus lo raddoppiamento
raccrescimento che si farà alli gabelli predette non bastassero per la
sodisfatione di quello che si deve alla Regia Corte quolibet anno, e per la
soggiugatione che si farà quod utique dette gabelle s’habbiano da aggumentare,
e raddoppiare, et accrescere, tante volte, quante sarà f. 235] di bisogno in modo che si complisca il pagamento
predetto, e che s’habbiano d’imporre altre gabelle essendo di bisogno in modo
che detta Università non venghi a pagare al minuto, e per tassa, e che si
debbia fare thesaureri persona sicura, d’eligersi per li giurati quolibet
anno per li pagamenti predetti e suoi
spisi, con salario d’onze vinti l’anno il quale s’habbia d’obligare nomine
proprio et à fare li pagamenti predetti con li debiti cauteli per atto publico
come à detti Giurati parerà.
1. Giovanni Curto ut supra.
2. Martino Curto ut supra.
3. Mastro Valerio Faccipinta ut
supra.
4.
Petro Murriali ut supra.
5.
Angelo La Ficarra ut supra.
6.
Antonio Mulé di Palermo ut supra.
7.
Simone di Geraci ut supra.
8.
Mastro Antonio Malifera ut supra.
9.
Giovanni Romano ut supra.
10.Mastro Petro Lo Nobili ut supra.
11.Cola Capobianco ut supra.
12.Antonuccio Rizzo ut supra.
13.Antonio La Porta ut supra.
14.Vincenzo Romano ut supra.
15.Jacobo di Lintini ut supra
16.Mastro Francesco Erbicella ut supra.
17.Mastro Lisi Macaluso ut supra.
18.Vincenzo di Spina ut supra.
19.Cola di Migliuri ut supra.
20.Francesco La Serra ut supra.
21.Geronimo La Scalia ut supra.
22.Jacobo La Licata ut supra.
23.Petro La Sthorana ut supra.
24.Santo La Matina ut supra.
25.Giuseppi Juliana ut supra.
26.Geronimo Castronovo ut supra.
27.Francesco Martorana ut supra.
28.Carlo Sicili ut supra.
29.Giovanne di Randazzo ut supra.
30.Mastro Gioseppe Cacciatore ut supra.
31.Antonino Ferlazza ut supra.
32.Petro Lo Jodici ut supra.
33.Petro di Regula ut supra.
34.Gerlando La Licata ut supra.
35.[f.236] Marco d’Alaymo ut
supra.
36.Philippo di Poma ut supra
37.Notaio Gaspare Monteleone ut
supra
38.Jacobo Macaluso [di
Palermo?] ut supra
39.Mastro Giacomo di Milia ut
supra
40.Francesco Giaccuni ut supra
41.Jacobo Picuni ut supra
42.Geronimo d’Alaymo ut supra
43.Antonino Gagliano ut supra
44.Petro d’Antonio Curto ut
supra
45.Mastro Giulio di Racusa [rectius:
di Ragusa, n.d.r.] ut supra
46.Orlando Borsellino ut supra
47.Antonino Murriali ut supra
48.Vincenzo Collura ut supra
49.Fabio di Palermo ut supra
50.Mastro Petro Facciponti ut
supra
51.Notaro Bartolomeo Curto ut
supra
52.Mariano di Palermo ut supra
53.Jacobo La Matina ut supra
54.Francesco Macaluso ut supra
55.Philippo l’Avarello ut supra
56.Gerlando d’Averna ut supra
57.Giuliano Picuni ut supra
58.Antoni d’Amella ut supra
59.Antoni l’Amorella ut supra
60.Jacobo Macaluso ut supra
61.Jacobo di Benedetto ut supra
62.Francesco di Montura (?)ut
supra
63.Battista Palumbo ut supra
64.Giovanni Fiderico ut supra
65.Enrico di Marco ut supra
66.Vito Lo Sardo ut supra
67.Geronimo Sciandra ut supra
68.Paulo di Gueli ut supra
69.Gerardo Predilicaro ut supra
70.Mundo Taibbi ut supra
71.Alfio di Giraci ut supra
72.Cola Curto ut supra
73.Leonardo La Matina ut supra
74.Antonino Sfirlazza ut supra
75.Petro La Matina ut supra
76.Mastro Antonino d’Alaymo ut
supra
77.Antonino Nalbuna ut supra
78.Roggerio di Jassio (?)ut
supra.
*
* *
Per
inciso, richiamiamo l’attenzione sul menzionato giurato racalmutese del 1577
Vincenzo Randazzo che sembra farla da presidente della giurazia. Viene indicato
con il titolo di Magnifico, ma è plebeo, forse appartenente alla piccola
borghesia agricola, un “burgisi” come si direbbe oggi. La madre di Diego La
Matina era una Randazzo, famiglia questa genuinamente racalmutese. Il padre di
Diego La Matina, Vincenzo era invece figlio di un oriundo da Pietraperzia.
Ritornando al nostro tema del carteggio del 1577,
resta evidente che vi si trova uno spaccato della vita pubblica comunale, dal
taglio democratico, con istituzioni pubbliche che esulano dal diritto romano e
da quello del sorgere dello stato moderno; affiora qualche dato che fa pensare
alla tipica organizzazione greca della Polis, con la sua Ecclesìa, e con il ricorso al voto cittadino espresso in una
solenne adunanza tenuta nell’Ecclesiastérion.
Al suono della campana della Ecclesia
dell’Annunziata, sita nel centro della grande piazza di Racalmuto che dal
vecchio Santissimo si allargava nello spiazzo ove ora sorgono le torri
campanarie della Matrice e si riversava nell’attuale Piazza Castello per
risalire nel largo ove ora sorgono i palazzotti degli invadenti Matrona [la vaniddruzza di Matrona].
Nel confrontare l’attuale assetto urbanistico
con quello che l’ex voto del Monte ci fa
intravedere, c’è da esecrare la mania piccolo borghese degli arricchiti di
Racalmuto dello scorso secolo di piazzarsi con i loro casamenti sopraelevati
sulle case terrane (o al massimo solerate) nel bel mezzo della storica piazza
dell’Università di Racalmuto. E dire che riuscirono a farsi credere anche dalle
menti più elette del nostro paese come
dei benemeriti filantropi!
Certo marginale appare il ruolo dei del Carretto
in questa vicenda fiscale. Quel che rileva è il ricorso pubblico al prestito,
quello cioè che oggi avviene tra i Comuni e la Cassa Depositi e Prestiti. Solo
che allora per Racalmuto siffatta Cassa DD.PP. era nient’altro che uno
strozzino di Agrigento, tal Caputo, superriverito ed adulato dal pubblico
notaio.
Sembra opportuno tracciare il grafico della
popolazione di Racalmuto che tenga conto dei dati del carteggio del 1577.
La curva dell’andamento demografico della
Racalmuto del ’500 si avvalla vistosamente, come è ovvio, nell’anno della peste
del 1576, e così si dispiega:
[1]
) (a) [Pirri, Sic. Sacr. Agrig. f. 758, c. 1]
[2] ) (b) [R. Cancell. ann. 1577. f. 476]
[3]
) (a) [DI GIOVANNI, Palermo Ristor. lib.
4. f. 242 retr.]
[4]
) (a) [Lapidi Senatorie che si veggono a
porta di VICARI, e porta di MACQUEDA]
[5]
) Leonardo Sciascia, Le parrocchie di
Regalpetra - Morte dell’Inquisitore, Bari 1982, pag. 17
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