[articoletto n.° 20]
LA
(PRETESA) BARONIA DI RACALMUTO
di Calogero
TAVERNA
Caduta la favoletta di una
chiesetta eretta nel 1108 a Racalmuto, anche narrata dal grande Pirri, svanisce
anche la credenza di un dominio dei Malconvenant, così come è infondato ogni
possesso baronale del Barresi; ed è del pari infondato quello che si vorrebbe
attribuire agli Abrignano. Il Tinebra Martorana, che di queste signorie parla,
si appoggiò agli scritti del Villabianca sulla Sicilia Nobile; senonché il
settecentesco principe aveva in un caso interpretato liberamente una notizia
del Fazello e nell’altro concessa una qualche credibilità - sia pure con
espressa riserva - al Minutolo.
Un diploma angioino -
autentico ed illuminante - fa giustizia di tali attribuzioni baronali e, sovvertendo
tutte le congetture araldiche su Racalmuto prima della signoria dei Del
Carretto, ci informa che il primo signore di Racalmuto ( o per lo meno il primo
di cui si abbia notizia storica) fu tal Federico Musca, forse appartenente alla
grande famiglia dei Musca titolare della contea di Modica. Senonché Federico
Musca tradisce al tempo di Carlo d’Angiò e questi lo priva, nel 1271, del
dominio di Racalmuto, casale nelle pertinenze di Agrigento, per conferirlo a
Pietro Nigrello di Belmonte. I Vespri Siciliani ci mostrano un comune divenuto
demaniale. Sotto Pietro re di Sicilia e d’Aragona, il casale è costretto a
nominare dei Sindaci fra le persone più
cospicue, chiamati il 22 settembre 1282 a prestare il debito giuramento al
nuovo re in Randazzo. Il che equivale a sottoporsi a tassazione piuttosto
pesante. Il 20 gennaio 1283 Pietro incarica i suoi esattori di recarsi al di là
del Salso per riscuotere di persona le tasse gravanti sulle singole terre:
Racalmuto deve versare 15 once. Il Bresc ne desume una popolazione di 75 fuochi
pari a circa 300 abitanti. Il 26 gennaio 1283 ind. XI «scriptum est Bajulo
Judicibus et universis hominibus Rakalmuti pro archeriis sive aliis armigeris
peditibus quatuor», cioè Racalmuto viene tassato per 4 soldati a piedi ed ha
una struttura comunale con un baiulo e due giudici. Chi fossero costoro non
sappiamo: crediamo che si trattasse di latini. I saraceni non potevano avere
incarichi ufficiali. Ridotti probabilmente a pochi coloni, poterono forse
starsene in contrada Saracino, a
coltivare verdure con perizia di antica tradizione. Non erano più villani dato che il villanaggio - come
dimostra il Peri - era già tramontato.
I Saraceni dell’agrigentino
furono tumultuosi sotto Federici II. Nel 1235 essi furono in grado di prendere
prigioniero il vescovo Ursone e di trattenerlo nel castello di Guastanella fino
a quando non ebbe pagato un riscatto di 5000 tarì d’oro. Federico II ristabilì
l’ordine confinando a Lucera quei sudditi ribelli. Il risultato fu una
desolazione del territorio agrigentino che si ritrovò a corto di manodopera
contadina. Nel 1248 v’è dunque un atto riparatorio da parte di Federico II
verso la chiesa agrigentina che era stata spogliata dei villani saraceni,
deportati in Puglia per le loro turbolenze. I danni sulla chiesa agrigentina
per questa azione di polizia e per altri gravami imposti da Federico e dai suoi
ufficiali furono così pesanti da ridurre il vescovo e la sua chiesa in
condizioni tali da non avere più mezzi di sostentamento. Per risarcimento l’imperatore
avrebbe concesso i proventi sugli ebrei e quelli della tintoria di Agrigento.
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