Don Vincenzo D’Averna
Ci sembra
un parente dell’arciprete d. Gerlando D’Averna, ma non abbiamo prova alcuna ove
si eccettui una qualche singolare coincidenza. Sicuramente non era racalmutese.
E’ cappellano della matrice a partire dal luglio del 1571. I salti della
documentazione parrocchiale ci impediscono di sapere sino a quando operò
assiduamente. Comunque, stando agli atti di battesimo disponibili, nel
successivo periodo che decorre dal 6.11.1575 sino al 21.5.1576 è il sacerdote
officiante in n.° 76 funzioni battesimali. Dopo quella data non lo s’incontra
più, ma vanno tenute presenti le interruzioni che si riscontrano per quel periodo
nell’archivio della matrice. Don Vincenzo D’Averna non appare nel “liber” della
parrocchia: ovviamente già nel 1636 si era perso il ricordo di quel cappellano.
Don Giuseppe D’Averna
Appare per la prima volta in un atto notarile
della confraternita di S. Maria Inferiore del 31 agosto 1578:
Terrae Racalmuti Die xxxi° augusti vj ind. 1578. -
Notum facimus et testamur quod Reverendus pater Joseph d’Averna cappellanus,
Antoninus de Acquista; Jo Grillo et Vincentius Macalusio rectores
venerabilis ecclesiae Sanctae Mariae
Inferioris ...
Nel 1580 fa
da padrino di battesimo a Vincenza Stincuni:
14 2 1580
Vincentia di Gerlando Stincuni e
Angela; lo q. don Joseph di Averna la q.
Betta la Carretta'.
E’ poi
assiduo come cappellano sino alla data della sua morte che il ‘Liber’ segna
sotto la data del 26 ottobre del 1600 (Liber in quo adnotata .. cit. col. 1.
n.° 13). Una malcerta annotazione sembra
indicarlo come Vicario Foraneo, ma è indizio troppo dubbio per essere certi che
abbia ricoperto tale importante carica. Comunque è presente nei battesimi dei
figli degli ottimati locali come quello di
3 7 1598 Margarita donna di Geronimo don Russo
e di donna Elisabetta Del Carretto, per don Gioseppe d'Averna; patrini Vinc.
Piamontese et soro Gioanna Piamontese
Elisabetta
del Carretto era figlia di Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto e di donna
Caterina de Silvestro. Ella fu legittimata il 12 novembre del 1587, come emerge
dall’esordio del seguente atto regio:
(1587, 12 novembre)
Philippus etc.
Vicerex et gen:lis Capitaneus in h:
S: R: D: D: Elisabeth del Carretto fid: reg: D.S.
Solitum est Principis et illius
vicem gerentis gratiam et favorem legitimationis suis ... subditis
cum itaque vos predicta d: Elisabetha nata et procreata estis ex Ill.re
d: Joanne del Carretto comite Regalmuti uti coniuncto cum nobili d: Catharina
de Silvestro et sic illicito toro egeatis, propterea huiusmodi legitimationis
beneficio et gratia munificentia gratiose decorari atque investiri
supplicationi dicti ill. genitoris vestri benigne inclinati, considerantes
dignum esse et rationi consone et quae parentum culpa et naturalium defectum
impediuntur, per principem ligitimationis beneficio reparentur; et super eo
favor regius largiatur, providimus ad relationem Sp: Reg: Conservatoris Jo:
Francisci Rao J.P. die 20 Julij XV: Ind. 1587. Concedatur circa
prejudicium monentium ab intestato, tenore igitur presentium de certa nostra
scientia, motu proprio deliberato et consulto et de gratia speciali regiaque
auctoritate qua fungimur in hac parte et regiae postestatis plenitudinem legibus absolutam qua uti
colimus, ac si motu proprio inducemur, vos predicta d: Elisabetham ex inonesto
et illicito coito legitimamus et ipsius legitimationis beneficio et privilegio
decoramus et insignimus, etiam habilitamus ad omnia et singula legitima
successione hereditatis et ad omnes onores omnesque dignitates si ex legitimo
toro nata et procreata esses, et succedatis et succedere possitis, et valeatis
pleno jure omnibus et quibuscumque juribus de bonis paternis et maternis,
mobilibus et stabilibua, sese moventibus allodialibus quibscumque etiam
nominibus debitorum acquisitis et acquirendis de praesenti, praeterito et
futuro in testamento, sive ab intestato, seu aliquoquocumque jure, tutulo,
ratione, actione, seu causa et successione et dictis vestris parentibus, ac
etiam admitti possitis et valeatis ad quamcumque aliam successionem omnium et
quorumcumque aliorum superiorum et inferiorum ascendentium et descendentium, ac
transversalium, fratruum, consobrinorum et aliorum quorumcumque tuorum ex
testamento et ab intestato et ad quamlibet aliam ultimam voluntatem etiam ea
donatione et quacumque alia ratione, sive successione, titulo, jure sive causa,
directe vel indirecte tamquam legitima et legitimata.
Giovanni
del Carretto, fa sposare la figlia, attorno al 1590, con il nobile Girolamo
Russo. Costui figura come governatore del castello di Racalmuto nell’ultimo
scorcio del secolo. Un’eco affiora in certo carteggio scambiato tra il vescovo
di Agrigento Horozco Covarruvias e la Santa Sede, come si è visto nello
stralcio di un documento vaticano sopra riportato.
Clerico Blasi Averna
Tra il 1579
ed il 1581fa capolino negli atti parrocchiali tal Clerico Blasi Averna. Di lui
non fa menzione il “Liber”: era dunque sparito persino dal ricordo nel 1636.
Nel rivelo del 1593 figura tal Blasi Averna, ma è un ragazzo di 22 anni che
vive con la madre Vincenza nel quartiere di S. Giuliano: non ha dunque nulla a
che vedere con il chierico in questione. Costui sposerà nel gennaio del 1601
Agata Mastrosimone, come da seguente trascrizione della Matrice:
7 1 1601 Averna
Blasi di Antonino q.am e di Vicenza q.am con Mastro Simuni Gatuzza di Nicolao
q.am e di Francesca; testi: Muntiliuni cl. Jac. e Gulpi Antonino: Benedice il
sac.Macaluso Jo:
Don Monserrato d’Agrò.
Compare come cappellano della Matrice attorno al 1579,
agli esordi dell’arcipretura Romano, e la sua missione sacerdotale, in
subordine all’arciprete, dura sino al 1594. Sotto la data del 30 aprile 1595 lo
incontriamo negli atti della chiesa di S. Maria di Gesù, di cui è divenuto
cappellano. Nel coevo atto di assegnazione di un’onza di reddito da parte dei
fratelli Vincenzo e Giacomo d’Agrò per avere in cambio la concessione di
sepoltura nella medesima chiesa, don Monserrato d’Agrò fornisce il suo
benestare nella cennata veste di cappellano:
Praesente
ad haec omnia et singula praesbyter Monserrato de Agrò, mihi etiam notario
cognito et stipulante pro dicta ecclesia uti eius cappellano et se contentante
de praesente attu et omnibus in eo contractis et declaratis et non aliter.
Ma negli ultimi
giorni di agosto dell’anno successivo è già infermo e si accinge a fare
testamento. Il suo attaccamento alla chiesa di S. Maria di Gesù è tale da
presceglierla quale luogo della sua tumulazione. A tal fine assegna una rendita
annua di un’onza e 3 tarì.
In un atto della chiesa del 12 settembre 1596 viene
formalizzato il contratto di concessione in termini che sono uno spaccato del
vivere civile e religioso dei racalmutesi dell’epoca. Per questo lo
riportiamo pressoché integralmente in
appendice.[i]
Sappiamo dal rivelo del 1593 che a quel tempo il
sacerdote aveva 45 anni. Era nato dunque attorno al 1548. Muore giovane,
all’età di 48 anni. Abitava, apparentemente da solo, nel quartiere della
Fontana come da questa nota del rivelo del 1593:
3 149 AGRO' (DI) PRESTI MONSERRATO [Sac:]
CAPO DI CASA DI ANNI 45
La cappella desiderata da don Monserrato sorse nella
chiesa di S. Maria vicino a quella di S. Maria dell’Itria e di fronte all’altra
ove era raffigurata l’immagine di S. Francesco di Paola (intus dictam ecclesiam Sanctae Mariae Majoris prope Cappellam Sanctae Mariae Itriae in
frontispicio cappellae Imaginis Sancti Francisci de Paula...). Risulta che
questa fu dedicata a S. Michele Arcangelo ( nell’atto del 1604 si parla,
infatti della dote Cappellae Sancti
Michaelis Arcangeli condam presbiteri Monserrati de Agrò).
Per quel che ci dice il Rollo della confraternita di
S. Maria di Gesù, don Monserrato aveva almeno quattro nipoti di cui si ricorda
nel testamento:
Est
sciendum quod inter alia capitula donationis causa mortis facta per condam don
Monserrato de Agrò Paulino, Natali, Joseph et Joannelle de Agrò eius nepotibus
est infrascriptum capitulum tenoris ....
[ii]
Il nipote Paolino d’Agrò risulta figlio di quel Simone
d’Agrò che approvò la transazione feudale con il conte Girolamo del Carretto
nel 1581 (è il 229° dei presenti nella chiesa maggiore di Racalmuto che diedero
l’assenso il giorno 15 gennaio 1581). Don Monserrato si limiterà ad apporre la
sua firma come teste. [iii]
I primi cappellani:
1. don Vincenzo Colichia;
2. don Antonino La Matina;
3. don Dionisi Lombardo;
4. don Antonio Castagna.
Il più
antico quinterno di atti battesimali della Matrice è composto di n.° 26
colonne. In alcune parti è indicata la data del 1554 (ad esempio 24 di augusto
1554 o die Xbris 1554) in altre 1563
(adi 9 januarii 1563) ed in altre ancora 1564 (junii VII ind. 1564). Non
è facile districarvisi. A noi comunque sembra che le date sia apocrife,
aggiunte successivamente. In effetti il fascicolo dovrebbe essere datato
1563-64, settima indizione anticipata.
Vi vengono
segnati i sacerdoti che celebrano il battesimo. Sono costoro i cappellani della
Matrice (operante nella chiesa di S. Antonio). Non riscontriamo mai la presenza
dell’arciprete (né don Gerlando d’Averna, né quello che si considera il suo
predecessore, don Tommaso Sciarrabba
(“Arciprete e canonico della cattedrale di Girgenti anno 1553”, annota il Liber
citato, c. 1 n.° 2).
I
cappellani officianti risultano:
1. don Vincenzo Colichia;
2. don Antonino La Matina;
3. don Dionisi Lombardo;
4. don Antonio Castagna.
La maggior
frequenza si registra per don Vincenzo Colichia e per don Dionisi Lombardo.
Entrambi vengono segnati con il titolo di “presti” (prete). Di nessuno di loro si fa il più vago cenno
nel “Liber”. Nella successiva documentazione del 1570/71, riappare soltanto il
cappellano don Antonino La Matina.
I cappellani del periodo successivo (1570/1571):
1. Don Vincenzo d’Averna;
2. Don Jo Cacciatore;
3. Don Antonino D’Auria;
4. Don Giuseppe Garambula;
5. Don Antonino La Matina;
6. Don Filippo Macina.
E’ il
periodo centrale dell’arcipretura di don Gerlando D’Averna che spesso presiede
alla funzione battesimale. Su don Vincenzo d’Averna ci siamo già
abbondantemente soffermati. Abbiamo pure accennato a don Antonino La Matina,
presente negli atti del periodo precedente del 1564 (o giù di lì). Sul D’Auria,
Cacciatore e Garambula non disponiamo di altri dati. Fra tutti questi
cappellani, il solo ricordato dal Liber è don Filippo Macina (c. 1 n.° 8). Stando ai cognomi, il D’Auria, il La Matina e
Jo Cacciatore possono essere stati benissimo indigeni. Il Macina ed il
Garambula appaiono oriundi.
I cappellani del periodo 1575/76
1. Don Vincenzo d’Averna;
2. don Lisi Provenzano.
I salti
della documentazione disponibile ci portano a questa quarta indizione
anticipata (1575/76). I battesimi vengono ora suddivisi solo tra il d’Averna ed
il Provenzano. Su entrambi ci siamo dilungati in precedenza. Arciprete di
Racalmuto è ancora don Gerlando d’Averna
I cappellani del periodo 1579/1582:
1. Don Michele Abate;
2. Don Monserrato d’Agrò;
3. Don Lisi Provenzano;
4. Don Giuseppe d’Averna.
Nei
fascicoli dei battesimi del 1579 appare segnato come arciprete Don Michele
Romano, dottore in sacra teologia (S.T.D.). Nel Liber vengono citati Abbate
(n.° 24), Monserrato d’Agrò (n.° 7) , Giuseppe d’Averna (n.° 13) e naturalmente
l’arc. Romano ( n.° 4). Il Provenzano è segnato come diacono (n.° 18) non si sa
se per errore o perché c’era veramente un diacono Luigi Provenzano morto il 20
luglio 1600.
I cappellani del periodo 1583/84:
1. Don Monserrato d’Agrò;
2. Don Francesco Nicastro;
3. Don Paolino Paladino;
4. Don Lisi Provenzano.
Arciprete
del tempo è don Michele Romano che appare in qualche battesimo. Rispetto al
precedente periodo appaiono per la prima volta don Francesco Nicastro e don
Paolino Paladino: entrambi sono annotati nel Liber, ma senza alcun altro dato
all’infuori del nome e cognome.
I cappellani del periodo 1584/1594:
1. Don Monserrato d’Agrò;
2. Don Vito Alongi;
3. Don Giuseppe d’Averna;
4. Don Leonardo Castellano;
5. Don Angelo Dardo;
6. Don Filippo Macina;
7. Don Francesco Nicastro;
8. Don Paolino Paladino;
9. Don Leonardo Spalletta.
Don Filippo
Macina fa una breve apparizione fra il maggio e l’agosto del 1591. Don Leonardo
Spalletta appare per la prima volta il 18.6.1592. Ritorna sporadicamente d.
Giuseppe d’Averna nel 1585 e nel 1593.
Dal 20 giugno 1593 comincia la sua missione sacerdotale come cappellano della
matrice don Leonardo Castellano, appena consacrato prete (3 Aprile 1593). Don Angelo Dardo inizia il 3.8.1590 il suo
compito di cappellano della matrice. D. Francesco Nicastro è assiduo
nell’intero decennio. Dal 1° settembre 1586 sino alla conclusione del periodo
sotto esame, il cappellano maggiormente presente nei battesimi è don Paolino
Paladino.
I cappellani a fine secolo:
1. Don Vito Alongi;
2. Don Giuseppe d’Averna;
3. Don Giovanni Macaluso;
4. Don Leonardo Spalletta.
A ridosso
del secolo troviamo altri cappellani come don Baldassare Farrauto, di cui non
sappiamo però nulla a far tempo dal 18.8.1596 e don Francesco Nicastro di cui
abbiamo notizie sino al 1597. L’arc. Michele Romano era nel frattempo morto (28
luglio 1597). L’arcipretura di d. Alessandro Capoccio dura pochissimo: dal 16
luglio 1598 a parecchi mesi prima del 7 merzo 1600, data dell’insediamento del
suo successore don Andrea d’Argomento.
I cappellani all’inizio del 1600
1. Don Vito Alongi,
2. Don Giuseppe d’Averna;
3. Don Giovanni Macaluso;
4. Don Leonardo Spalletta.
Il 7 marzo
1600 s’insedia il nuovo arciprete don Andrea d’Argumento e sappiamo con certezza
che già il 15 ottobre 1600 è presente in Racalmuto (cfr. atti di battesimo).
Tutti i cappellani d’inizio secolo sono ovviamente gli stessi che operavano
alla fine del ‘500. Il più anziano fra
loro è don Giuseppe d’Averna che sappiamo essere deceduto il 26 ottobre
1600.
Gli altri sacerdoti del ‘500
Il citato
“Liber in quo sunt adnotata ...” elenca sacerdoti del ‘Cinquecento di cui non
sappiamo null’altro all’infuori di quanto segnalato nel 1636 dal sac. Paolino
Falletta. Ne trascriviamo i dati:
Cognome e nome
|
note
|
col.
|
n.°
|
Alberto (d’)
Giovanni
|
Arciprete di
Raffadali
|
1
|
22
|
Alberto (d’)
Giuseppe
|
Arciprete
|
1
|
15
|
Amodeo
Leonardo
|
|
1
|
9
|
Bertuccio
Leonardo
|
|
1
|
12
|
Calcèra
Geronimo
|
|
1
|
14
|
La Mattina
Stefano
|
|
1
|
6
|
Alla fine
del XVI secolo ed all’inizio del successivo appare spesso un chierico Giuseppe
o Simuni d’Alberto che forse è da identificare con quello del Liber, sempre che
sia stata fatta qui una qualche confusione tra il chierico e l’arciprete di
Raffadali.
Don Giuseppe Romano
Annotato
nel Liber (c. 1 n.° 17) si riscontra solamente in questa nota a margine del
libro parrocchiale delle trascrizioni dei matrimoni 1582-1600:
Die 24 ottobris Xa ind.s 1597, mi detti lu
cunto don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia don Joseppi Romano come
procuraturi di mons.r ill.mo.
L’arc.
don Michele Romano era morto solo da poco tempo (28 luglio 1597). Che vi sia un
qualche vincolo di parentela, è congetturabile.
Arciprete Michele Romano
Ha tutta
l’aria di essere il primo arciprete d’origine racalmutese. Insediatosi attorno
al 1579, succede a don Gerlando d’Averna. Muore il 28 luglio 1597, prossimo al suo ventennio di
arcipretura. Ebbe forse ad acquisire un discreto patrimonio, fatto sta che il
vescovo Horozco intenta una lite al conte del Carretto per rivendicare i beni
successori del defunto arciprete Romano. Il Vescovo ne fa cenno in una sua
difesa inviata al Vaticano, ove fra l’altro si legge:
« [.....]Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la
spoglia[1] del arciprete morto di detta sua terra facendoci far
certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta
spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte
debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli
di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non
pagare ne lassar quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal
termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato
seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente
della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con
intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo
regitor di detto Regno. »
A
distanza di secoli non è facile sapere chi avesse ragione. Di certo, il Romano
durante la sua vita non si mostra contrario ai Del Carretto. Sul punto di morte
è persino propenso a favorire il conte facendogli - a dire del vescovo - «certi testamenti et atti fittizij,
falsi e litigiosi».
L’arciprete
Romano deve vedersela con il primo conte di Racalmuto, Girolamo del Carretto -
divenuto tale nel 1576 - e, dopo il 9 agosto 1583, con il successore,
l’avventuroso Giovanni Del Carretto, che finirà trucidato a Palermo il 5 maggio
1608. Entrambi furono però signori di Racalmuto che amarono starsene a Palermo.
L’arciprete Romano ebbe a che fare più con gli amministratori comitali, quali
Cesare Del Carretto e Girolamo Russo, che non con gli altezzosi titolari. E
l’intesa sembra essere stata buona, anche quando si trattò di stabilire, nel
1581, oneri e tributi di vassallaggio.
Quando
scende a Racalmuto un parente dei Del Carretto per battezzare il figlio di un
personaggio eccellente, in quel tempo operante nella contea, l’arc. Romano è
ovviamente presente:
“Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593 Diego
figlio del s.or Gioseppi e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano
archipr.te - il Compare fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Conbare
l'Ill'S.ora Donna Maria del Carretto''
In
ogni caso, nei raduni del popolo, chiamato ad avallare gravami tributari,
l’arciprete si mantiene, almeno formalmente, al di sopra delle parti e non
appare neppure come teste.
Arciprete Alessandro Capoccio
Il
Vescovo Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il
Capoccio aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non
aveva tempo di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi
rappresentanti, muniti di formalissimi
atti notarili. Presso la Matrice può leggersi questa nota apposta al
margine di un atto matrimoniale:
«DIE 16
Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don
Antonino d'AMATO (?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di
Racalmuto come appare per atto plubico''.» (cfr. Atti della Matrice:
STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I - 1582-1600 )
Tre
anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del
Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di
Agrigento al Papa[2].
Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene
indicato come "Sacrae theologie
professor eiusque [del vescovo] Secretarius”.
In
Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio
Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento)
- ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per
niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando
e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone
il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e
residente per il momento in questa
corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y
Covarruvias di vista e solo da due mesi, poco più poco meno, e di
non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
Salta quindi ben dodici domande che attenevano
alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi
molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui
conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni,
poco più poco meno’.
Per quanto
tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che
subentrò l'Argumento, nominato nel marzo del 1600.[3] Quel che
appare sicuro è che l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto di
battesimo o nella celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia
racalmutese di cui per un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze
pastorali fu di certo don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti
parrocchiali testimoniano zelo ed assidua presenza.
LA FINANZA LOCALE A CHIUSURA DEL XVI SECOLO.
E le tasse comunali? Una
testimonianza preziosa e piuttosto completa ce la fornisce proprio il Rivelo
del 1593. Recita il documento: [4]
« [f. n.° 807] Praesentant Ragalmuti die XI Julij V ind. 1593 [...]
Rivelo Ragalmuto
.. presentato allo spettabile Natalitio Buscello in virtù di bando promulgato
d’ordine di detto spettabile delegato.
Stabili
In primis la gabella dello pane et foglie: lo pilo,
vino, formaggio, panno, la ligname,
pesci e sono affittate questo anno onze quattrocento sesanta che a
ragione de dieci per cento sono onze quattromilia e seicento........................................................................................................................................-/
4.600
stabili onze quattromilia sei cento
..............................................................................................
-/ 4.600
Gravezze
Nota: Paga
ognie anno alli Sindicaturi onze quindici; il capitale sono onze
centocinquanta: a dieci per
cento..........................................................................................................................................
-/ 150
Paga ognie anno per salario dello orloggio, oglio et conci onze dodici:
il capitale
sono
centovinte.........................................................................................................
-/ 120
e anno per salario dello mastro notaro et carta per le ocurentie onze
dieci: il capitale son onze cento
.........................................................................................................................................
-/ 100
Paga ognie anno per spese de bagaglie de cumpagnia
onze trenta:
il capitale son
onze
tricento.........................................................................................................-/ 300
Paga ognie anno per salario di procuratori per
occorentia apresso la Corte onze dudici:
il capitale sono cento vinte
.........................................................................................................
-/ 120
Paga ognie anno alla Regia Corte onze
tricentosettantaquattro, tarì tridici e grana quattro a dieci per cento sono
onze tremila setticento quaranta quattro
.................................................................... -/ 3.744
Paga ognie anno onze sei per lo pagamento della Regia
Corte in tre tande onze sei; il capitale sono onze sesanta
........................................................................................................................................
-/ 60
Paga ognie anno a don Loise Mastro-Antonio di Palermo onze vinteotto e
tarì dicidotto a ragione de dieci per cento: il capitale sono onze duecentoottantasei
............................................................. -/ 286
GRAVEZZE QUATTROMILIA OTTO CENTO OTTANTA
................................................... -/ 4.880
INTROITO ONZE QUATTROCENTO SESANTA
.................................................................. -/ 460
ESITO ONZE QUATTROCENTO OTTANTA OTTO TARI' UNO E GRANA
QUATTRO... -/ 488.1.4
RESTA DI GRAVEZZE OGNIE ANNO ONZE VINTE OTTO TARI' UNO
E GRANA QUATTRO.... ................................................................................................................................................-/ 280.1.4
che a dieci per cento dette onze vinte otto tarì uno e
grana quattro a dieci per cento sono il
capitale onze duecento ottanta tarì undici
.............................................................................
-/ 280.11.0
------------
+ cola
macaluso. J[uratus]
+ joseppi
cachaturi. [Juratus]
+ antonino
vilardo J:[uratus]
+ notar
giseppi sauro e grillo __ J[uratus].
Gli ottimati di Racalmuto nel rivelo del 1593.
I giurati di Racalmuto allo
spirare del secolo XVI sono dunque:
1. Nicolò
Macaluso: ha 45 anni; abita nel centro del paese, al 159° fuoco del quartiere
di S. Giuliano; la moglie si chiama Francesca ed è coadiuvata nei servizi di
casa da Dora una “citella di casa”; non ha figli che coabitano con lui;
2. Giuseppe
Cacciatore: ha 42 anni e viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al
quartiere Fontana al 226° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con
lui quattro figli: Giuseppe di anni 11 e le femminucce Caterina, Franceschella
e Contessella;
3. Giuseppe
Vilardo: ha 30 anni ed anche lui viene fregiato con il titolo di “magnifico”;
abita al quartiere Fontana al 76° fuoco; la moglie si chiama Giovannella:
convivono con lui sei figli: Giuseppe di anni 9 e le femminucce Franceschella, Costanza, Innocenza,
Angela e
Fania [Epifania];
4. il notaio
Giuseppe Sauro e Grillo: ha solo 25 anni ed è sposato con Antonella: non ha
figli; professionalmente si affermerà molto; frattanto abita al quartiere di S.
Giuliano al 167° fuoco; si era sposato a
Racalmuto il 20 settembre 1592 appunto con
Antonella Magaluso e le nozze erano state benedette da don Francesco
Nicastro: compari, il sac. don Paolino Paladino e il maggiorente Giovan
Francesco d’Amella. Abbiamo l’impressione che il Sauro e Grillo non fosse
racalmutese: il matrimonio con una locale gli poteva consentire di installarsi
nel feudo dei Del Carretto per una esplosiva carriera ed una fortunata
professione notarile.
Sono chiamati a fungere da
delegati per il Rivelo conformemente ai criteri che abbiamo in esordio
illustrati:
per il principale e più popoloso quartiere di Santa Margaritella:
· Martino di
Messina: ha 35 anni circa; abita al quartiere Fontana al 29° fuoco; la moglie
si chiama Catherinella ed ha un figlio di otto anni;
· Vincenzo di
Amella Pridicaturi: ha 40 anni; abita al quartiere Santa Margaritella al 369°
fuoco; la moglie si chiama Biatricella; ha tre figli maschi: Giuliano di anni
9, Giuseppe di 6 e Diego di un anno, ed una femminuccia, Jurla [Gerlanda];
per il quartiere di San Giuliano:
· Giovanni
Antonio Sferrazza: secondo noi risiedeva al quartiere Monte di cui, come detto,
non abbiamo il quinterno di dati demografici;
e per il quartiere della Fontana:
· Giovan Cola
Capoblanco;
· Natale
Castrogiovanni;
· Pietro
Bellomo.
Di questi tre personaggi non
abbiamo notizie certe: dovrebbero tutti e tre abitare al quartiere Monte.
Chiese, quartieri e facoltà nel rivelo del 1593.
I ponderosi volumi del
rivelo del 1593 non possono essere tutti minuziosamente setacciati, se non da
una squadra di studiosi e con rilevanti mezzi economici. Dobbiamo quindi
accontentarci di alcuni sommari cenni.
A quell’epoca la terra di
Racalmuto era idealmente segnata da un sistema di assi cartesiani in cui
l’ascissa era una linea ideale che dalla Guardia andava al Padre Eterno e
l’ordinata (che all’atto pratico era una sequela di strade tortuose) partiva
dal Carmine per giungere alla Fontana. Nel mezzo vi era di sicuro la chiesa di
Santa Rosalia (sicuramente in prossimità dell’attuale Collegio, ma a quale
punto non sembra che si possa individuare con certezza). In tale sistema la
parte sud-ovest costituiva il popoloso quartiere di S. Margaritella; quella di
sud-est il quartiere di S. Giuliano; l’altra di nord-est era la Fontana ed
infine il quartiere del Monte occupava la sezione di nord-ovest.
All’interno vi erano
località di spicco che negli atti ufficiali servivano per l’individuazione di
case e beni: faceva spicco il rione di Santa Rosalia che in effetti risultava
inglobato prevalentemente nel quartiere di San Giuliano ma una minima parte debordava
in quello di S. Margaritella. Santa Rosalia - che talora veniva chiamata S.
Rosana o S. Rosanna o S. Rosaria, non si capisce bene se per errata trascrizione
o per omonimia popolare o per la presenza nella chiesa di qualche altra
immagine della celeberrima Vergine Sinibaldi - ospitava tanti personaggi
cospicui. Esclusivo appare anche il rione di S. Agata. Anche per dare un saggio
di come venivano censiti i patrimoni delle famiglie (fuochi), vogliamo qui
dilungarci un po' fornendo la successiva
tavola[5]:
n.°
|
anno
|
quartiere
|
rivelante
|
composizione familiare
|
descrizione
|
confini
|
note
|
riferimenti
|
1
|
1593
|
Fontana
|
Lo
Nobili Orazio a. 36
|
Filippella
m.; Marco a. 12; Francesco a. 4; Betta
|
casa
|
|
Fontana
(quartiere)
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
2
|
1593
|
S.
Agata
|
Agrò
(d') Giuseppe a. 33
|
Maria
m.; Giovanni mesi 4
|
Ugo
signor Giuseppe; Chiesa di S. Agata e via pubblica
|
casa
confinante con la chiesa di S. Agata
|
fasc.
597 1593
|
|
3
|
1593
|
S.
Agata
|
Agrò
Pietro a. 70
|
Catarina
m.
|
|
|
|
fasc.
597 1593
|
4
|
1593
|
S.
Agata
|
Gueli
Antonino a. 43
|
Margarita
m.; Marco a. 13; Juannella; Jacopa; Betta sogira
|
La
Licata Nardo e Sanguineo Masi
|
fasc.
597 1593
|
||
5
|
1593
|
S.
Agata
|
Randazzo
Antonino
|
Juannella
m.; Geronimo a. 12; Margarita; Bartula; Santa
|
Ugo
Giuseppe
|
fasc.
598 1593
|
||
6
|
1593
|
S.
Agata
|
Sanguineo
Masi a. 48
|
Beatrice
m.; Jacopo a. 20; Gaspare a. 13
|
2
corpi e cortiglio
|
Gueli
e via
|
|
fasc.
597 1593
|
7
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Alajmo
Pietro dott. Medico a. 40
|
Francesco
a. 9; Giuseppe a. 5; Marco Antonio a. 2; Caterina
|
1
tenimento di casi in diversi corpi
|
Lo
Brutto Antonino
|
onze
30
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
8
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Arrigo
(d') Geronimo a. 56
|
Angela
m.; Vito figlio a. 8
|
1
casa terrana
|
Macaluso
Pietro
|
Vol.
598 1593 Inv. 83
|
|
9
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Barberi
Joanni a. 45
|
Antonina
moglie
|
|
Noto
(di) Marino
|
Vol.
598 1593 Inv. 83
|
|
10
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Collura
(la) soro Antonina
|
Antonella
sua nipote
|
2
casi
|
Di
Lio Francesco
|
Vol.
598 1593 Inv. 83
|
|
11
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Fanara
Francesco a. 28
|
Antona
moglie
|
casa
terrana
|
Afflitto
(d') Carlo
|
Vol.
598 1593 Inv. 83
|
|
12
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Formusa
Gio: Antoni a. 24
|
Margarita
moglie; Lauria figlia
|
casa
terrana
|
Blundo
Gregorio e Morriali Giuseppe
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
|
13
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Giordano
Paulino a. 40
|
Antonina
moglie; Battista a. 13; Maria; Anna
|
casa
terrana
|
D'Anna
Pietro e ? (Maltisi ?) Antonino
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
|
14
|
1593
|
S.
Rosalia
|
La
Licata Caterinella
|
ved.
di Santo - Andria f. a. 16
|
una
casa terrana
|
Asaro
Gi.
|
|
Vol.
598 1593 Inv. 83
|
n.°
|
anno
|
quartiere
|
rivelante
|
composizione familiare
|
descrizione
|
confini
|
note
|
riferimenti
|
16
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Lo
Re Paulo a. 45
|
Antonella
moglie; Cosimo a. 14; Antonino a. 8; Paulino a. 8; Petro a. 3; Filippa;
Francesca
|
casa
terrana
|
Macaluso
..
|
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
17
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Macaluso
Giuseppe a. 30
|
Giovannella
moglie; Vincenzo a. 11; Girolamo a. 6; Angelo a. 1
|
casa
|
Lo
Brutto Antonino
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
|
18
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Maligno
( Pro^geco ?) Filippo a. 50
|
Norella
moglie
|
casa
terrana
|
Lo
Re Paulo
|
|
Vol.
598 1593 Inv. 83
|
19
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Modica
(di) Leonardo
|
Antonia
moglie; Francesco a. 3; Vincenzo a. 1
|
casa
terrana
|
Macaluso
Pietro
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
|
20
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Sanguineo
soro Joannella
|
casa
terrana
|
Brucculeri
Filippo
|
Vol.
598 1593 Inv. 83
|
||
21
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Taibi
Alissandro a. 40
|
Juanna
moglie; Vincenzo a. 14; Vincenza
|
una
casa in più corpi
|
confina con la chiesa (S. Rosalia)
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
|
22
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Taibi
Salvatore a. 20
|
Vincenza
moglie
|
casa
terrana
|
La
Lumia Simuni e via
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
|
23
|
1593
|
S.
Rosalia
|
Valentino
Jacopo a. 40
|
Paulina
moglie
|
casa
terrana
|
Macaluso
Pietro e via
|
Vol.
597 1593 Inv. 83
|
Dettagli del Rivelo del 1593.
Sembra fuor di dubbio che il
monaco benedettino Vito Maria Amico[6] ebbe tra
le mani, verso il 1750 il materiale del rivelo di Racalmuto del 1593. Nel suo
Dizionario topografico (la parte riguardante Racalmuto è riportata in appendice
al libro di Tinebra Martorana) l’Amico infatti annota: «Contaronsi nel tempo di
Carlo V 890 case, e 4447 cittadini nell’anno 1595», (secondo la traduzione del
Di Marzo). Una particolarità ci sorprende: del censimento sotto Carlo V (che
crediamo essere quello del 1548) l’A. ci fornisce il numero delle case (890) e
non quello degli abitanti, per quello del 1595 (per noi 1593) fa l’inverso
dandoci invece solo il numero degli abitanti. E dire che se l’Amico ebbe i due
volumi dell’Archivio di Stato di Palermo (il n.° 597 ed il n.° 598) sarebbe arrivato presto a quel
conteggio: bastava sommare il numero finale del primo volume delle numerazioni
dei fuochi con quello del secondo per avere l’esatto (o quasi) ammontare dei
fuochi di Racalmuto.
Il numero degli abitanti che
ci fornisce il d’Amico è di complessa quantificazione se ha proceduto ad un
analitico conteggio dei componenti dei nuclei familiari: se, invece, come
crediamo, disponeva del quinterno del quartiere Monte, in calce del quale è da
presumere esistesse già quel calcolo di sintesi, la fatica del benedettino fu
di poco conto.
Presso il Tribunale del Real
Patrimonio dell’Archivio di Stato di Palermo, all’apposito fondo dei Riveli,
possiamo rintracciare tre distinti gruppi di documenti che riguardano appunto
quello del 1593 fatto nella ‘terra’ di Racalmuto:
1. alle pagine
807r - 807v del vol. n.°
596 abbiamo lo spaccato della finanza locale sopra riportato;
2. allegati al
volume stanno i quinterni delle rilevazioni fatte dagli appositi deputati,
disgraziatamente limitati a solo tre dei quattro quartieri (visto che è stato
trafugato quello del Monte). A parte ci
diamo carico di farne la trascrizione;
3. in due
grossi volumi (n.° 597 e n.° 598) sono annotate le dichiarazioni che i
racalmutesi erano tenuti a fare dinanzi al “Delegato”, reiterando quanto già
direttamente (o tramite un loro familiare) avevano segnalato ai ‘deputati’ ed
aggiungendo dati sommari sulle loro possidenze. Va notato che ancora nel 1593
la ‘dichiarazione dei redditi’ non aveva la completezza che avrà poi nel XVII
secolo.[7]
Località e Rioni.
La suddivisione
amministrativa tra i deputati era in quattro quartieri: S. Margaritella, S.
Giuliano, Fontana e Monte. Nelle dichiarazione dei privati (rivelanti) e negli
atti notarili si faceva invece ricorso ad una ripartizione topografica alquanto
diversa che faceva sostanzialmente capo alle varie chiese e qualche volta alle
particolarità di alcuni luoghi. Non si trattava di veri e propri rioni, ma il
concetto vi rassomiglia molto. Abbiamo, così:
· il Carmine;
· S.
Margaritella;
· S.
Giuliano;
· S.
Leonardo;
· la Fontana;
· il Castello
(o Castrum);
· S.
Francesco;
· S. Nicola;
· la Cava;
· Santa
Maria;
· li Fossi;
· San
Gregorio;
· S.Antonio;
· la
Nunciata;
· il Monte
(lu Munti);
· lu Spitali
o S. Sebastiano o S. Bastianu;
· la Piazza
(o Platea);
· Santa
Rosalia;
· Sant’Agata;
· li
Bottighelle;
· Zagarano..
Molte di queste località si
estendevano in due e forse, come nel caso di Santa Rosalia, in tutti e quattro
i quartieri.
Centro topografico del paese
era Santa Rosalia - difficilmente collocabile con estrema decisione, ma
certamente - come detto - non lontano
dall’asse Itria-Collegio - che era quartiere ove stavano botteghe e le abitazioni
di alcuni ottimati locali (il padre di Marc’Antonio Alaimo, il dott. Pietro; i
Macaluso; i Taibi; i Lo Brutto; i Sanguineo; gli Afflitto, i Monteleone; i
Cacciatore; i Catalano e via dicendo). Ma il rione più esclusivo sembra quello
di S.Agata (gravitante sull’attuale via Rapisardi): vi abitavano i potenti
Piamontesi ed i nobili Ugo.
Molti militari stavano
invece al Monte. Non molte erano le case ‘solerate’ - quelle dei benestanti -
ma non rare: in cortili a grosso affollamento si ammassavano attorno le case
terrane (di norma un solo locale) ove
dimoravano i poveri.
Le maestranze riuscivano a
farsi soggiogare dalle potenti confraternite di appartenenza delle discrete
abitazioni. Le botteghe (c.d. Apoteghe)
erano in mano alle stesse confraternite
e venivano affittate con magniloquenti atti notarili ai propri confratelli.
Il castello - rimesso a
nuovo a metà del XV secolo dai Del Carretto, come abbiamo sopra visto - era in
piena efficienza: non vi stavano più i conti, ma vi erano alcuni loro stretti
parenti che gestivano la cosa pubblica come avvenne sotto i Russo il marito
della figlia spuria di Giovanni del Carretto.
Il Carmine era piuttosto
deserto: del tutto fuori dell’abitato si ergeva il Convento sotto l’egida dei
Del Carretto e con un valido priore padre Paolo Fanara. C’era anche un altro
carmelitano sacerdote: padre Roberto Costa. Ben sei coadiutori semplici frati
rendevano fertile la tenuta annessa. Costoro si chiamavano (e dal cognome
sembre che fossero tutti racalmutesi): Fra Salvatore Riccio; Fra Francesco
Sferrazza; fra Angelo Casuccio; fra Geremia Russo; fra Giuseppe Ragusa e fra
Zaccaria Riccio. Le rade case intorno erano ripartite tra il quartiere di S.
Margaritella e quello del Monte.
Rientravano totalmente nel
quartiere Monte i rioni dello Spitali (l’attuale S. Giovanni di Dio), di S.
Antonio, Zagarano e quello strettamente confinante con la chiesa. Vi
confluivano parzialmente quelli di S. Rosalia, della Nunciata e di San
Gregorio.
Erano annessi amministrativamente al quartiere della
Fontana le località di S. Agata, della Fontana vera e proprio, del Castello, di
San Francesco, di S. Nicola, di Santa Maria, delle Fosse e qualche frangia di
Santa Rosalia. Qualche abitante di San Gregorio viene incluso alla
Fontana.
Il nome della Nunciata
appare a cavallo tra Monte e Fontana.
Se nel 1540 quella
dell’Annunciata era una ‘ecclesiola’ e Sant’Antonio la chiesa principale; dopo
mezzo secolo le parti sembrano invertite. L’Annunciata non ha la grandezza
dell’attuale Matrice (che conseguirà nella seconda metà del Seicento) ma è già
abbastanza capiente con una ‘cupolona’, come recita un atto notarile del tempo.
Fino al 1608 S. Antonio era
ancora operante ma il suo ruolo era di molto scemato. Persisteva comunque il
toponimo che, come abbiamo detto, indicava una zona gravitante sul quartiere
del Monte.
Lo Spitale era operante nel
1593 quando ancora non era stato affidato ai Fatebenefratelli. Tale affidamento
avvenne un secolo dopo nel 1693[8] per opera
dell’ultimo Girolamo del Carretto. Ma godeva già di rendite. Tale Giovanna
Vigni aveva soggiogato all’Ospedale due case per tarì sei annui con atto del
notaio Gio: Vito d’Amella del 10 settembre 1585[9].
Giuseppe Gulpi gli aveva costituito
un’onza e 15 tarì di rendita sopra 9 salme di terra con vigne, stanze ed alberi nel fego della
Menta con due atti soggiogatori: uno del notaio Gacomo Damiano di Racalmuto in
data 24 ottobre 1551 e l’altro a rogito del notaio Nicolò Monteleone in data 29
dicembre 1582. [10]
Un altro atto di dotazione
dello Ospedale risale al 10 gennaio 1558, sempre a gli atti del notaio Giacomo Damiano. Risultavano incisi quasi due
secoli dopo “Santo Cristofalo, Vincenzo
e Marc’Antonio di Giglia e Isidoro Mulé Paruzzo”.
Nel 1693 ecco com’era
descritto il vetusto ospedale:
«Nella terra di Racalmuto vi
è un Spedale sotto titolo di S: Sebastiano che dall’antichità di esso non si ha
certezza della fondazione e perciò li Prelati ... [ed i Del Carretto] have dato
la cura ed amministrazione di detto Spedale, e sue rendite alli Deputati di
tutte le Chiese di detta terra, li quali, benché s’havessero impiegato à tutto
potere all’augumento di Esso, e suo servizio, per le molte occupazioni, e per
la poco prattica con esse somiglianti, l’Ammalati patiscono della loro salute
in tanto detrimento del publico di essa terra.»[11]
L’ospedale era peraltro
munito di “chiesa con giogali ed arnesi”.
Qualche immigrato di spicco.
Capitava che dalle vicinanze
venisse qualche persona di spicco per trovare moglie a Racalmuto. Ebbero così
inizio famiglie oggi fra le più significative del paese. Dal libro dei
matrimoni della Matrici estraiamo qualche esempio:
SAVATTERI (provenienza: Mussomeli)
“7 7bris XIIIe Ind.nis 1586 - Vincenzo figlio
di Vito et Angila Carlino cum
Margaritella figlio di Paulino et Belladonna SAVATERI dilla terra di
Mussumeli, servatis servandis et facti
li tri denunciatione inter missarum solenia
et observato l'ordine sinodali et consilio tredentino, non si trovando
inpedimento alcuno, contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie et foro beneditti nella missa
celebrata per me presti Francesco
Nicastro, presenti li magnifici notari Cola et Gasparo Montiliuni et notaro
Jo:Vito D'Amella et di multa quantità di personj”.
BUSCEMI (provenienza: Agrigento)
“Die 6 di Jongno 1593 - Petro BUXEMI di la gitati di Jorgenti cum Margaritella figlia di Jacubo di Graci,
servatis servandis .... contraessiro
matrimonio pp.ce e foro benediti per me don
Paolino Paladino, presento presbiter Francesco di Nicastro, don Michele
Romano e multa quantità di agenti”.
SCHILLACI (provenienza: Cerami)
“Die 9 februarij 1591 - Vincenzo SCHILLACI di la terra di Cirami cum
Angila figlia di Calogiaro Savuso, servatis servandis ...., contrassiso
matrimonio pp.ce e foro beneditti per
don Paolino Paladino, presenti Paulino Buscarino et Antonino di Mole' et multa
quantità di genti”.
SCHILLACI (provenienza: Sutera)
“Die 21 di Jongno 1593 - Scipiuni Jngrao di li Grutti cum Joanedda
SCYLACHI di la terra di Sutera, servatis servandis e fatte le tri denunciationi
inter missarum solemnia, non si trovando
inpedimento alcono, contra essiro matrimonio pp.ce e foro beneditti per me don
Paolino Paladino, presenti clerico Jacubo di Avedda e multa quantità d'agenti”.
RIZZO (provenienza: Scicli)
“Die 30
Januarii 1600 - Antonino RICZO di la terra di Xicli cum Diana figlia di lu q.dam Minicu et
Margarita Muraturi, servatis servandis et facti li tri denunciationi inter
missarum solemniarum et observato l'ordini sinodali seu concilio tridentino,
non si trovando impedimento alcuno, contrassiro matrimonio publice et in facie
ecclesie foro benedicti per don Leonardo Spalletta, p.nti Filippo di Graci e
Francesco Furesta”.
BONGIORNO (provenienza: Gangi)
“Die 6 di ferbaro 1583 - Vicenso BONJORNO di Ganci con Contissa figlia
di Petro e Joannella di Antonuczo Caldararo di
Agro', a litre (lettera) di monsignore illustrissimo e reverendissimo di Jurgenti, servatis
servandis e facte li tre denunciaczioni, la prima a li 9 la 2a a li 16 e la
tercza a li 20 di Jnaro inter missarum
solemnia, non si trovando inpedimento
alcono contraessiro matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foru benediti jn la
missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti lu magnifico Jacubo
Piyamontisi, lu magnifico Cola
Montiliuni, lu magnifico Marino Catalano e multa quantitati di agenti”
PIAZZA (provenienza: Mussomeli)
“Die 8 Januarii 1594 - Minico di
CHIACZA di la terra di Musumeli con Josepa di Vinciguerra, servatis servandis
..., contra essiro matrimonio pp.ce et foro benediti per me don Paulino Paladino, p.nti Mastro Francesco
Sachineo, clerico Jacubo d'Aveda e multa quantità di agenti”.
LO JACONO (provenienza: Aidone)
“Die XVo
Julii Xe ind.is 1589 - Mastro Masi La Iacono della terra di Daiduni cum
Lucretia figlia di Antonj et Hiaronima di Guarino, servatis servandis ....
contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foro beneditti per presbiter
Leonardo Spalletta, p.nti Ioanni di
Vigna et Hieronimo Piruchio et multa
quantità di genti”.
Uomini e cose da segnalare.
A Racalmuto sono stanziati
come soldati di professione:
1. Salvo
(de) Mg. Ruggero, soldato anni 45, che abita al Monte;
2. Morriali
Antonino di Federico, soldato di cavallo, di anni 75, pure del quartiere Monte;
3. Buxemi
Currau anni 35, soldato, abitante anche lui al Monte;
4. Barberi
Petro anni 50; soldato cavallo, sempre del quartiere Monte;
5. Matina
(la) Gio, soldato di anni 70, residente nello stesso quartiere;
6. Morriali
Federico anni 40; soldato, vicino di casa;
7. Sferrazza
Mariano soldato di anni 22, che abita nel quartiere di S. Antonio.
In paese non è del tutto
ignota la schiavitù a fine del secolo XVI.
Il magnifico Giacomo Piamontisi di anni 44 e sua moglie Beatricella
tengono una “scava” nella loro abitazione di S. Agata.
La loro vicina Antonella La
Licata - un personaggio di grande risalto - ne emula il singolare rapporto di
schiavitù e tiene “Cristina sua serva seu scava” a tenerle compagnia nella sua
vedovanza del quondam Leonardo La Licata, ricchissimo per i suoi tempi.
Del resto a quei tempi anche
l’altezzosa donna Aldonza del Carretto teneva una schiava addirittura dentro il
convento che l’ospitava.
Sono invece ben 17 le
famiglie che possono permettersi una “citella”, una serva:
1.
AFFLITTO (D') CARLO MAGNIFICO
2.
AGRO'(DI) PETRO
3.
ALAIMO (DI) LU M.co
PETRO
4.
BALDUNI M.co FRANCESCO
5.
CATHALANO MICHELI
6.
CHICCARANO ANTONINO
7.
GUELI (DI) JOSEPPI
8.
GUELI (DE) GIUSEPPE DI
JORLANDO DI ANNI 29
9.
LA LOMIA JOSEPPI
10.
MACALUSO NICOLAO
11.
MACALUSO PETRO
12.
MONTILIUNI Not. Mco
COLA
13.
PAXUTA (LA) MATTHEO
14.
PROMONTORO BALDASSARE
LO S.r
15.
SALERNO JO:
16.
TODISCO Sp. ARTALI
17.TODISCO
Sra SALVAGIA
Sul finire del secolo
piuttosto diffuse sono le maestranze: abbiamo contato 52 mastri (il 4,11% dei fuochi). Non sono
tantissimi ma rappresentano sempre una discreta forza sociale, anche se “li
jurnatara” e li “burgisi” (per la gran parte contadini poveri) costituiscono la
massa della popolazione, a sfondo quindi proletaria e spesso miserabile. I
cinquantadue “mastri” sono:
1.
ALAIMO (DI) M.°
ANTONINO
2.
ALLIGRIZZA M° CARLO
3.
AMICO (D') MASTRO
PAOLO
4.
ARRIGO M° HYERONIMO
5.
BARBERI M° JOSEPPI
6.
BARUNI M° FRANCESCO
7.
BLUNDO MASTRO GRIGOLI
8.
BOCCULERI M° FILIPPO
9.
BONOANNO HYRONIMO M°
10. BUFALINO M.° BENEDITTO
11. CACHIATURI M.° FRANC.
12. CACHIATURI M° PAULO
13. CANSUNERI M° GERLANDO
14. CAPOBLANCO NICOLO M°
15. CATHALANO M° FRANCESCO
16. DAIDUNI M° PETRO
17. DI NOLFO M° HYERONIMO
18. DILIBRICI MASTRO GIUSEPPE
19. FACHIPONTI M° PAOLO
20. GENTILE M.° LUCIANO
21. GIGLIA (DI) M.° PIETRO
22. GIGLIA (DI) MASTRO ANTONINO
23. GIGLIA M.° ANTONINO
24. GIGLIA (DE) M.° MARCO
25. GISULFO M° SILVESTRO
26. GUELI (di) M° ANT.no
27. GULPI ANTONINO MASTRO
28. JACONA (LA) M° MASI
29. LA SCALIA M° ROGERI
30. LO PILATO M° BARTHULO
31. MANGIA M° JOANNI
32. MANGIAMELI Mastro
HETTARO
33. MEDIORA ? M° ANGILO
34. MILACZO (DI) M° MATTEO
35. MONASTERI M° BASTIANO
36. MONTANA (DI) M° XANDRO
37. MORREALI M° MARIANO
38. NOBILI (LO) M° FRANC.°
39. NOBILI (LO) M° GIULIO
40. NOBILI (LO) M° HORATIO
41. NOBILI (LO) M° MASI
42. NOBILI (LU) M.° PETRO
43. PUMA (DI) M° FILIPPO
44. PUMA (DI) M° LISI
45. RAGUSA (DI) M° JULIO
46. RIZZO M° FRANCESCO
47. SALVO (DI) M° PETRO
48. SANGUINEO M° MASI
49. SPATAFORA M° PETRO
50. TAIBI M° FRANCESCO
51. VILARDO ANTONI M.°
52. XANDRA M° HYERONIMO
Ma dagli atti della Matrice
risulta un ben più nutrito numero di mastri (n.° 149 pari al 11,83% dei nuclei familiari):
Anno Cognome Nome
1594 Acquista Petro m.o
1591 Agnello Filippo m.o
1588 Aiduni Petro mastro
1594 Alaimo Petro m.o
1593 Alexi Josepi m. o
1593 Alfano Antonino m.o
1595 Allegrizzi Carlo m.o
1589 Amico Paulo m.o
1581 Apicella Jo:Leonardo m.ro
1587 Argento Maciotta m.o
1571 Arnone Antonuzzu m.o
1571 Arrigo Gerlando m.
1580 Arrigo
mastro Hieronimo
1598 Baieri Petro m.o
1592 Baldoni Francesco m.o
1596 Barberi Antonino m.o
1593 Barberi Joseppi m.
1592 Baruni Francesco mastro
1584 Baruni Baldassaro m.ro
1589 Bellomo Petro m.o
1599 Blundo Jacupo m.o
1590 Blundo Grigoli m.o
1593 Blundo Joseppi m.o
1598 Bonanno Geronimo m.o
1596 Bonsignori
Francesco m.o
1576 Borsellino m.Giacomo
1590 Bufalino Benedicto m.o
1593 Buxemi Currao m.o
1591 Buxemi Francesco m. o
1591 Cacciatore Paulino mastro
1591 Cachiaturi Joseppi m.o
1587 Cachiaturi Francesco m.o
1593 Cannella Benedicto m. o
1595 Capizzi Cola mastro
1588 Caramuzza Benedetto m.o
1580 Carlino Jo: mastro
1595 Carmeni Filippo m.o
1584 Castagna Caloiro m.o
1593 Chianetta Antonino m.o
1599 Cimino Mariano m.o
1576 Cipolla m. Paolo
1593 Conti Paulino m.o
1593 Costa Paulino m.o
1591 Curto Josephu m.o notaro
1589 Damuni Filippo m.o
1594 Di
Etaro Etaro m.o
1591 Di
Liberto Gerlando m.o
1586 Di
Marco Jeronimo m.o
1586 Di
Noto Marco m.o
1586 Docturi Paulo m.o
1594 Facciponti Petro m. o
1587 Fachiponti Carlo m.o
1593 Falletta Jacobo m.o
1587 Fantino Giseppi m.o
1576 Favaraci
(di) m.o Angilo
1594 Ferranti Matteo mastro
1580 Fontana Antonino m.o
1581 Foresi Antonino mastro
1599 Gentili Luciano m.o
1584 Giandardone Narcisi m.ri
1591 Giglia Marco m.o
1593 Giglia Antonino m.o
1584 Ginolfi Luciano M.o
1570 Girardo
(di) Pietro m.o
1592 Gisulfo Silvestro m.o
1589 Guaglardo Nardo m.o
1597 Gualteri Nuncio m.o
1590 Gueli Antonino m.o
1594 Gulpi Simuni m. o
1582 Guttadiauro Antoni m.o
1585 Herbicella Francesco m.o
1582 Infantino Joseppi m.o
1571 Jacupunello Antonino m.o
1584 La
Matina Josephi m.o
1586 La
Ramogna Caloiaro m.o
1595 La
Scalia Rogieri mastro
1590 Lansaloca Rugieri m.o
1582 Latragna Calojaro m.o
1593 Laurenzi Petro m.
1598 Liuni Francesco m.o
1593 Lo Re Paulo m.
1588 Lu
Patatari Antoni m.o
1588 Lumbardo Joanni m.o
1595 Macaluso Andria mastro
1581 Magina Jo: m.ro
1597 Mangiameli Hettore mastro
1591 Mangiameli Gaetano m.o
1588 Mangiameli Prospiro m.o
1594 Manso Giseppi m. o
1594 Marturana Petro mastro
1598 Mediona Angelo m.o
1588 Menso
Pani Paulo m.o
1594 Migliuri Vincenzo m.o
1592 Milazzo Matteo m.o
1581 Ministeri Antonino mastro
1586 Mole' Mariano m.
1587 Montana Antoni m.o
1591 Monteliuni Gasparo m.
1593 Morriale Mariano m.o
1584 Naduri
(di) Pietro m.o
1588 Nicastro Paulino m.o
1595 Nobile Masi mastro
1599 Nobile Gioseppe m.o
1590 Nobili Francesco m.o
1593 Nobili Petro m.o
1593 Nobili Razio m.o
1593 Nobili Jolio m.o
1591 Noto Marco m.o
1584 Noto
(di) Nardo m.o
1595 Pansera Vincenzo m.o
1588 Pecuni Jacubo m.o
1589 Perna Joseppi m.o
1588 Pilato Jolio m.o
1584 Pino'
(di) Giseppi m.o
1597 Pititta Cola m.o
1571 Pitricella Francesco m.o
1596 Puma Paulo m.o
1596 Puma Lisi m.o
1580 Puma Filippo m.o
1589 Ragusa Julio m.o
1591 Raineri Antonuzzo m.o
1594 Randazzo Jeronimo m.o
1594 Rizzo Francesco mastro
1593 Rizzo Mariano Mastro
1571 Romano Jambattista m.
1597 Salvo Roggiero m.o
1586 Salvu Giorgio m.o
1571 San
Mariano Gireri m.
1597 Sanguineo Francesco m.o
1587 Sanguineo Masi m.o
1590 Sanguineo Francesco m.o
1589 Scaturro Filippo m.o
1594 Silvestri Agustino mastro
1575 Spina Nardo (m.o)
1571 Tabuni Antonino m.tru
1587 Taibi Francesco m.o
1592 Todaro Vincenzo m.o
1591 Todaro Vito M.o
1585 Travali Antonuccio m.o
1589 Valanca Paulo m.o
1587 Vinchiguerra Nardo m.o
1599 Virdiramo Pascquali m.o
1599 Viscuso Francesco m.o
1590 Vriczi Carlo m.o
1598 Xortino Masi m.o
1598 Yhano Paulo m.o
1598 Yharrubba Nardo m.o
1587 Zimbili Ieronimo m.o
1586 Zuczarello Santoro m.o
Al Monte abita lo “speziale”
del paese, ma con aromateria in piazza. Si chiama Francesco Baldoni ed è sessantenne.
E’ sposatO con tale Alfonsina ed ha in casa due figli maschi (di 15 e 10 anni)
e tre figlie femmine.
Anche l’anziano notaio,
Giovan Vito d’Amella, abita al Monte. Ha 58 anni, moglie ed una figlia. Medico
del paese è invece, come abbiamo detto, il padre di Marc’Antonio Alaimo.
Il futuro grande medico
abita ancora a Racalmuto: ha appena due anni secondo il censimento dei deputati
fatto nel 1593:
2
|
232
|
ALAIMO
(DI) M.co PETRO
|
CAPO DI CASA DI ANNI
44 - MARUZA SUA MUGLERI - FRANCESCO SUO FIGLIO DI ANNI 9 - JOSEPPI SUO FIGLIO
DI ANNI 5 - MARCO ANTONI DI ANNI 2 SUO
FIGLIO CATHERINA SUA FIGLIA - UNA
CITELLA DI CASA
|
Viene censito al quartiere
di S. Giuliano, ma il suo rione è quello di S. Rosalia
.
* * *
Giovanni IV del Carretto fu
trucidato in Palermo nel 1608: tanti diaristi annotarono quel fosco delitto.
La cronaca,
fra l’altro, la troviamo nei Diari della Città di Palermo, pubblicati nel 1869
da Gioacchino di Marzo (Vol. II - Aggiunte al Diario di Filippo Paruta e di
Niccolò Palmarino, da un manoscritto miscellaneo seg. Qq C 48 - pag. 24-25
dell’edizione del 1869). Eccola:
«A 5 di
maggio 1608, Lunedì sera, a ora una di notte. In questa città di
Palermo, nella strada Macheda, alla calata a mano dritta dove si va alli
Ferrari, successi uno orrendo caso, che venendo in cocchio lu ill.e conte di
Racalmuto, chiamato D. Ioanni del Carretto, insemi con un altro gentilomo
nominato D. Ioanni Bonaiuto (quali sempre era solito di andare con lui), come
fu alla detta strata, ci accostorno dui omini, li quali non si conoscêro, allo palafango [parafango]di detto; e ci tirarono
dui scopettonate nel petto a detto conti, chi a mala pena potti invocare il
nome di Jesù, con gran spavento di quello che era con detto conti, e con gran
maraviglia di tutti li agenti; e finìo.
« A 7 detto, mercori, ad uri 22. Si gittao un bando
arduissimo della morti del ditto conti di Racalmuto: chi cui sapissi o
rivilassi cui avissi occiso a detto conti, S.E. li donava scuti cincocento,
dudici spatati, quattro testi, sei destinati [nota del di Marzo: .. non è
agevole intendere il significato di spatati e testi, che davansi
in premio a chi rivelasse.
«De’ sei destinati però (qual voce in siciliano
vale esuli, relegati) intendo facilmente, che accordavasi facoltà
al denunziante di ottenere per sei di loro la grazia del ritorno], purché non
sia lu principali ci avissi fatto detto
delitto, et anco la grazia di S. M.».
Ci dispiace
per il nostro Tinebra Martorana: è del tutto destituita di fondamento la
notizia che riporta a pag. 123 e cioè: «..il conte di Racalmuto tornava al suo
castello, seguendo con la sua carrozza la via che attraversa la contrada
Ferraro, sita nel nostro territorio ed a quattro chilometri dal Comune.»
Nello
stesso Diario, pubblicato dal di Marzo (pag. 30-31), leggesi che successivamente:
«A 20
ottobre 1608. Fu martoriato il sig. Baruni dello Summatino. Lo primo iorno
happi quattro tratti di corda, e lo secundo tre, ed il terzo dui, e li sùccari
[Sùccari in sic. canape o fune, con cui si collava, ed era proprio per
uso della tortura. Colla ] soliti; e tinni [intendi che tenne forte
a non confessare]: avendo stato carcerato del mese di agusto passato.
«E fu perché il giorno che sindi andâli galeri di Franza, andando Scagliuni a vidiri cui
era supra detti galeri, trovao uno calabrisi quali era di Paula, e travovauci
certi faldetti che avia arrubati allo Casali.
«E pigliandolo, ci disse, che non ci facissero nenti,
ché isso volìa mettiri in chiaro uno grandissimo caso.
«E cussì Scagliuni ci lo promisi; et isso dissi, che
isso con il sig. D. Petro Migliazzo aviano tirato li scupittunati al conti di
Racalmuto, essendoci ancora in loro compagnia
alli cantoneri il sig. D. Petro e il sig. D. Vincenzo Settimo; e che il
detto di Migliazzo avia tirato il primo; e che il baroni del Summatino ci avea
promesso onzi cento per fari detto caso. E chiamao ancora diversi personi».
In
una pubblicazione dell’ARCHIVIO STATO PALERMO: L'ARCHIVIO DEI VISITATORI GENERALI DI SICILIA - ROMA 1977 pp.. 191
vengono fornite notizie sulla dovizia di documenti relativi al processo del
presunto mandante dell’omicidio del conte Giovanni del Carretto.
Sono
documenti che si trovano nell’ «Archivo
General» di Simancas e precisamente:
- nel legajo n.° 254 è contenuta la copia del "PROCESSO CAUSADO EN LA GRAN CORTE SOB RE
LA MUERTE DEL CONTE DE RECALMUTO" CC. 123
- ANNO 1608 - VISITAS DE ITALIA 1) SICILIA.
Riportiamo
integralmente quanto si legge nella pubblicazione dell’A.S.P.:
«Si
tratta degli accertamenti disposti dal visitatore ad istanza di don BLASCO
ISFAR e CRUILLAS, barone di Siculiana, e don GASPARE LO PORTO, barone di
SOMMATINO, suo nipote, nel processo subito da quest'ultimo, come presunto
mandante dell'assassinio di Giovanni DEL CARRETTO, conte di Racalmuto. I due
baroni sostengono che il processo fu messo su in base a false testimonianze dal
procuratore fiscale della Corte capitanale di Palermo, GIACOMO SCAGLIONE, con
la complicità del Presidente della Gran Corte RAO.
Il successivo Leg. 255.1. 1579-1611 contiene i discarichi di
Giacomo Scaglione e vi sono le difese del funzionario in ordine alle accuse
mossegli a proposito del processo contro i presunti mandanti dell'omicidio del
conte Giovanni del Carretto.»
In
quei “legajo” di Simancas v’è dunque il seguito della storia. Sembrerebbe un
delitto in famiglia: gli Isfar sono poi gli eredi di quel genero di Giovanni I
del Carretto che a dire del Bresc lo avrebbe depredato dei feudi racalmutesi; a
distanza di due secoli un altro Isfar avrebbe trucidato Giovanni IV del
Carretto, evidentemente per interessi.
Ma
è storia di famiglia che a noi non importa gran che. E’ in definitiva storia
della nobiltà palermitana, verso cui nutriamo altrettanta indifferenza.
La comunità
ecclesiale di Racalmuto nei primi anni del Seicento.
Il nuovo
secolo, il XVII, si apre a Racalmuto con un vuoto: non c’è ancora il nuovo
arciprete. Questi viene solo dopo alcuni mesi e si tratta di Andrea d’Argomento.
Questo
nuovo arciprete di Racalmuto è comunque esaminatore sinodale ad Agrigento, ed è
dottore in utroque iure; giunge nel
marzo del 1600, il giorno della festività di San Tommaso dottore della chiesa,
prende possesso della chiesa arcipretale di S. Antonio, anche se forse anche
lui preferisce la più centrale chiesa suffraganea della Nunziata. Questo pozzo
di scienza immigra a Racalmuto, oriundo da non si sa quale parte della Sicilia.
Forestiero, di sicuro, ma almeno in paese ci viene e rispetta le novelle
costituzioni tridentine. Non muore però come arciprete del paese; si
trasferisce o viene mandato altrove. Ma per l’intero triennio 1600-2 lo
ritroviamo annotato qua e là nei registri parrocchiali. In quelli dei morti del
1601 rimangono rivelatrici annotazioni come “detti fra Paulo [pensiamo a fra Paulo Fanara] la palora a l’arciprete;
all’arciprete; palora al s. arcipreti”. Il senso è evidente; non può che
trattarsi del regolamento dei conti della cd. quarta dei “festuarii”; in altri
termini la quota di spettanza per i funerali (che costavano per le spese di
chiesa, 5 tarì e 10 grani per gli adulti ed un tarì e dieci grani per le
“glorie”, i bambini). Negli esempi che qui sotto riportiamo, le sepolture
avvengono “a lo Carmino” (ed ecco il riferimento al celebre priore fra Paulo
Fanara, di cui abbiamo fornito cenni biografici), a Santa Maria (di Giesu) - e vi viene tumulato un
pargoletto della racalmutesissima famiglia Mulé, ed a S. Giuliano (accompagnata
da tutto il clero vi è sepolta una tale Angela Turano, ceppo poi emigrato da
Racalmuto). Sia però chiaro che non abbiamo elementi di sorta per sospettare di
questo arciprete dottore in utroque.
Crediamo, anzi, che sia stato bene accetto e rispettato: un “signore
arciprete”, dice il chiosatore dell’archivio parrocchiale.
Dopo il
1602 sino al 10 gennaio 1606, l’Horozco ha traversie giudiziarie, contese con
Roma, deve vedersela con il conterraneo - ma non per questo meno ostile -
vescovo di Palermo, Didacus de Avedo (Haëdo). Perseguitato dai nobili, è
costretto a fuggire in un convento amico di Palermo. Artefice di obbrobri
giudiziari per il tramite del suo manutengolo, don Francesco Zanghi, canonico
percettore della prebenda di S. Maria dei Greci, soccombe presso la Sacra
Congregazione dei Religiosi e dei vescovi nella persecuzione contro i canonici
cammaratesi don Francesco Navarra, titolare della prebenda di Sutera, e don
Raimondo Vitali: il primo era accusato di pederastia; il secondo di relazione
peccaminosa con la vecchia madre del primo.
La diocesi
sbanda e così Racalmuto. Certe carenze d’archivio parrocchiale ne sono un
indice. Il nuovo vescovo Vincenzo Bonincontro, che si insedia il 25 giugno 1607
e durerà a lungo sino al 27 maggio 1622, dovette mettersi di buzzo buono per
riordinare la sua turbolenta e disastrata diocesi.
Il 18
giugno del 1608, il novello vescovo da Canicattì si porta a Racalmuto per la
sua visita pastorale. Ne tramanderà una relazione minuziosa, ricca di
riferimenti a persone, chiese, istituzioni, fatti e misfatti, tale da
rappresentare una preziosissima fonte per la storia di Racalmuto, e non solo
quella religiosa. Seguiamone alcuni passaggi:
Ill.mus Rev.nus noster de Bonincontro summo mane recedens cum tota sua familia de
predicta terra Cannicatti, Deo
adiuvante, pervenit ad terram Racalmuti distantem circiter
miliaria octo et pariter a civitate Agrigenti alia mialiaria duodecim.
In qua sunt domus seu fochi mille et quingenti et anime circiter septemmillia
et cum ad eam pervenisset hora quasi duodecima statim contulit se ad ecclesiam
maiorem dicte terre sub titulo S.ti Juliani martiris ubi facta absolutione
fidelium defunctorum et visitazione S.mi Sacramaneti ac fontis Bapt.malis et
sacro oleo...
mandavit.
che il deposito del Ss.mo Sacramaneto non si tenghi
nella sfera come s'è tenuto insino al presente ma si facci una custodia a questo effetto. (non è fatto,
annotazione successiva, n.d.r.)
che si facci una cucchiara d'argento con suo manico
d'argento quale capa almeno una libra d'acqua et con quella si debba
battezzare. (non è fatto, annotazione successiva, n.d.r.)
che nel fonte del battesimo si facci un'altro catinazzello
che serri bene.
che si compri un vacilello seu cato di ramo per
l'Aspergere.
Un martirologio moderno
che si facci una cappella cioe cappa casubula et
torricelle di damasco verdi; et un paro di torricelle di damasco bianco. Le
quali cose predette tutti et singule li debba fare l'Arciprete a sue dispese
fra il termine di anno uno sotto pena di sospensione ipso fatto incurrendo
dello suo beneficio seu mansionariato di detta terra di Racalmuto.
Die 19 medesimi mensis Junii 1608
Prefatus Ill.mus et Rev.mus Dominus mane se contulit
ad predictam ecclesiam S. Juliani et ibi
ministravit solemne sacramentum confirmationis. Et clerum invigilavit ....
Item visitavit onfraternitatem S.cti Juliani et
mandavit che si comprino dui teli di calice di taffita uno bianco et l'altro
aurato. Due cingoli con suoi giummuli grossi et un missale grandi moderno. Et
revidit jugalia redditus et computa introitus...
die 20 eiusdem
Ill.mus Rev.mus d.nus iterum se contulit ad predictam
ecclesiam s.cti Juliani et iterum ministravit sacramentum confirmationis multis
fidelibus ....
visitavit ecclesiam et confraternitatem S.te Marie
Maioris, positam extra dictam terram, in qua die presentes sunt fratres, et
conventum S.te Marie di Jesu, quia ius visitandi pertinet ad Ordinarium, et
post visitationem dicti conventi et altaris S. Marie Maioris ac omnem jugalem
et paramenta confraternitatis sub eodem titulo S. Marie Maioris;
mandavit confratribus et rectoribus
che debbano
comprare un messale grande moderno. Un sopra calice di taffeta bianco. due
cingoli con suoi giumbi grossi, una tovaglia di damasco russo per lo
crocifisso; che si apparecchi un altarecto per la consacratione et che dentro
allo sgabello della imagine della beata vergine si cavi con scarpello una
finistrella dentro la quale si debba riporre il reliquario con sua porta e
serratura con chiave.
Item visitavit ecclesiam seu cappellam S.te Margarite
Virginis et martiris collateralem et coniunctam cum dicta ecclesia S.te Marie
Maioris. In qua est titulus canonicalis Don Joannes Bondì saccensis et fuit per
eundem de novo restaurata et reedificata atque ornata ...
S.te
Margarite valoris unciarum septem
et mandavit ...
che vi facci un
pallio d'altare di damasco. tre tovaglie. un paio di candeleri. una crocetta et
che inalbi detta cappella et si accomodi un fonticello per l'acqua benedetta.
Die 22 eiusdem mensis Junii vi indi. 1608
Ill.mus et Rev.mus D.nus inivigilavit die dominica
mane;
contulit ordinans minores et ipsemet visitavit
ecclesiam fratrum Sancti Francisci vulgo dicti di li zuccolanti ubi post
celebratam missam visitavit S.mum Sacramentum. Et sero fecit erectionem et
divisionem duorum parrochiarum videlicet: unam sub titulo Sancti Juliani
martiris et in eadem ecclesia S. Juliani; et alteram sub titulo et in ecclesia
Annuntiationis sub nomine Virginis Marie
... hac modo videlicet quod in parochia S.cti Juliani provvideatur de
rebus necessariis per ill.mum archipresbiterum
et confraternitatem S.mi Sacramenti prout hactenus permissum est quod
Archipresbiter non sit obligatus detinere in ea duos cappellanos prout hactenus
prout solitus fuerat detenere sed eorum tantum stante quod per dictam
divisionem remanet ei minus cura quem antea. Parochiae vero Annuntiationis
minori erectae provvideatur hoc modo. videlicet ipse d. Archipresbyter
contribuat uncias sex decim quolibet anno. et confraternitas S.mi Sacramenti
provvideat ...... unciis 24
Et interim d. V.or accessit ad locum et divisionem
fecit dictarum parochiarum de ordine et .. dicti ill.mi ...
et sic fuit completa visitatio terre Racalmuti.
(f- 250)
In Dei nomine
amen
Die 22 Junii VI Ind.is 1608
in discursu visitationis terre Racalmuti factae per
Ill.mum et Reve.mum de Bonincontro
Divisio Parocchiarum erectarum in dicta terra VD. unius sub titulo Sancti
Juliani Mart. et alterius sub titulo Annunciationis Gloriosisimae Virginis
Mariae.
Incipit Parocchia sancti Juliani ab ecclesia seu
conventu fratrum Carmelitarum sito et posito a parte meridiei dictae terrae et
in loco inhabitato distante ab abitatione dictae terrae per iactum lapidis et
prosequitur usque ad fontem seu ut vulgo dictam alla fontana seu biviratura
sita et posita a parte aquilonis coniuncta cum habitatione dictae terrae.
Racalmut - Accessit de mane, una cum coa/...
(Coadiutore?), associante parte Cleri, ad Eclesiam santi Juliani quae est
matrix eclesia, cuius cura spectat ad Archipresbiterum dictae terrae, qui est
Dr Vincentius del Carretto, habens a dicta terra et cura multis ab hinc
mensibus, Ubi audita reverenter missa, facta profunda riverentia Santiss.mo
Sacramento Eucaristie, et illo incensato D. Visitavit dictum Santissimum
Sacramentum dicto himmo, et oratione
Et mandavit
che il deposito che se tiene nella sfera, non vi si
tenghi, ma si faccia una custodia di argento a questo effetto, come fu ordinato
l'anno passato nella visita di Mons. Ill. Vescovo, et questa fra termine di tre
mesi, sotto la pena di XX onze di applicarsi ad opere pie, non assolvendo
l'Arciprete predetto dalle pene, et censure incorse, anzi reservando in ciò la
provista ... alle dette pene et censure.
Deinde visitavit Santissimum Baptismalem, qui est
lapideus, rotundus, coopertus tabula lignea, et panno rubeo, clausus et bene
detinens.
che si eseguiva onninamente tra spatio di 3 mesi,
quanto fu ordinato l'anno passato, sotto pena predetta con la detta reserva.
che il sacrario si levi di dove è hoggi, et si metta
a' costo al muro, et si tengha chiuso con chiave.
revisit olea sacra; et omnia iugalia. et fecit
absolutionem pro animabus defunctorum. cum solitis ceremonijs.
Visitavit altare maius, in quo est ... confraternitas
sub altari S. Juliani, et confratres sunt quasi numero 400. induunt saccos
albos cum muzzetta rubei coloris, et servatur inter hanc confraternitatem et
confratres S. Mariae alternativa in processionibus.
Ex parte dextra d. altaris maioris est altare
defuntorum, cum quadro depicto in tela, in quo est societas pro suffragiis
defunctorum, quae habet incias quatuor redditus, et cum elemosinis dicuntur
multae missae pro animabus existentibus in purgatorio. Mandavit
che l'esactori di ditte elemosine porti il conto
che vi si faccia una Croce di ottone ...ove sonno i
candelieri.
Ex altera parte sinistra est Cappella S. Marci
Ordinavit
che quanto prima s'imbianchi, e vi si faccino doi
candelieri, et una Croci di ligno dorato.
Sequitur altare S.me Virginis de Gratia super quo est
eius imago confecta de stucho, manet n quodam tabernaculo ligneo, et est valde
pulcrum decoratam et decentem ornatam.
Ordinavit
che si incosti l'Alraretto, di modo che non si possa
levare
che si compri una Croce conforme alli candelieri
Fuerunt inventae quaedam reliquiae in quodam vasculo
argenteo, quae sunt .... et quia bene quia bene detineatur nil fuit ordinatus
Sequitur Cappella transfigurationis S.mi Dni Nostri
Iesu Xristi, quae fuit constructa a Don Francisco Sferrazza propriis expensis.
et adhuc non est completa.
Altare d.e Cappellae est decenter ornatum super quo
est Scena trasfigurationis praedictae cum multis imaginibus aliorum sanctorum,
est bene depicta et pulchra, est dotata uncias duas redditus relictus a q.
Antonino praedicti de Sferrazza pro celebratione unius missae qualibet
hebdomada quae celebratur a Cappellano Ecclesiae
Habet etiam dicta Cappella incias X pro maritaggio
inius orfanae consanguineae, pariter relictus iure legati a d.o Antonino
Sferrazza.
Sequitur altare S. Michaelis Arcangeli, quod est
decens, et ornatus et habet uncias ... pro celebranda missa.
che si comprino 2 candelabri et Croci .. di ligno
dorato.
Ab altera parte est altare S.ti Philippi et Iacobi,
che il padrone Vito Volpe lo doti almeno di quattro
scudi di rendita per celebratione di una missa la settimana.
che si faccia una Croci conforme alli Candelieri, et
tutto questa fra termine di 4 mesi, sotto pena ad arb. di Mons. Ill.mo Vescovo.
Visitavit deinde Sacristiam, revidendo (?) iugalia. et
mandavit ut supra, cioè, che si mandi in executione l'ordini della Visita
passata..
et che si faccia un'libro dove si notino il nome, et
cognome delli defunti, quali libro sia conforme a quello, dovi si scrivano li
battezzati tra termine di un mese, sotto pena al Cappellano di Carcere ..
Die 19
eiusdem
Fuit factus
edictus, et affixus ad valvas Ecclesiae maioris pro revelandis beneficiis tam
curatis quam non curatis seu pro examinandis confessoribus.
Praevio examine fuerunt approbati infrascripti
sacerdotes pro administratione sacramento penitentiae
Videlicet
Don Gerlandus Monreale usque aliam Visit.
Don Giuseppe Sanfilippo cum ad alia Sacramenta uti
cappellanus
Don Angelus Dardo
Don Mario Curto
Don Santo d'Agrò
Frater Angelus de Bivona ord. min. osserv.
Frater Nicola de ... ord. min. oss.
Frater Marianus de Caltanaxetta eiusd. ord.
Frater
Salvator Riccius Carmelitanus ad sex menses
Frater
Sebastianus et Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses
Die 20
eiusdem
Visitavit
Cappellam S. Marie .. sitam in ecclesia
S. Mariae de Iesu, in qua ad presens commorantur fratres S.ti Francisci minoris oss. detti li
Zoccolanti, et ordinarius habet ius visitandi Cappellam praedictam quae est
confraternitas sub dicto Xenobio (?), et confratres induunt saccis albis cum
mozzetta cerulei coloris, sunt numero
500. Inservit d.e Cappelle pro
Cappellano qui est amovibilis ad nutum rectoris Sanctus de Agro' cum salario
seu mercede onze undecim cum onere celebrandi quotidie missam.
Super altari est imago B.M.V. lignea, decorata de
vesta et decenter ornata, quae in die eius festivitatis defertur
solemniter per totam terram.
Mandavit
che si metta in esecutione quanto fu ordinato nella
visita passata sotto pena alli ... di XX onze per applicarsi a lochi pii.
Di più si ordina che si faccia una tabella ove siano
scritti il nome et cognome che tutti li fraticelli .... assenti Volendo che
quelli confrati che mancarono per due volti m di andari alli solite
processioni, et solennità , se morranno in quell'anno non siano essenti dalla
sepoltura, come sono quando servino,et assistono alle solemni.
Visitavit deinde altare S.mi Rosarii cuius curam
habent dicti confratres, illud paramentis ornando, super quo cum icona in tila
cum multis missionariis (?) SS. Rosarii.
Ordinavit
che li confrati ci comprino quanto prima una Croce, et
le tovaglie se mutino più spisso tenendosi nette et pulite.
Eodem
Continuando visitationem praedictam visitavit
Ecclesiam S. Margaritae Virginis, et martiris coniunctam cum dicta ecclesia S.
Mariae de Jesu quae eae titulus canonicalis Don Joannis Bondì a' Sacca, quae
est noviter constructa
Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae
S. Margaritae depictum in tila manu
pictoris Monoculi Racalmutensis.
Mandavit
che il Canon.
Bondì faccia quello che le fu ordinato
nella visita passata et ... se vede la sua negligenza si ordina che
il Vic.io foraneo di ordine seguenti 6 salme di formento, potersi
effettuarsi detto ordine.
Eodem
Visitavit ecclesias Sanctae Mariae Montis, ubi prius
conservabatur Sacramentum Eucharestiae, et erat ecclesia Archipresbitalis. Modo
inservit d.e ecclesiae pro Cappellano D. Joannis Macaluso, qui tenetur
celebrare tres missas in hobdomada et omnes dies festos, habet pro eius mercede
uncias sex, quae solvitur a confratribus confraternitatis ibi fundatis sub
titulo dictae ecclesia, induunt saccis albis sine mozzettis.
Visitavit altare maius super quo est imago marmorea
S.mi Virginis, ornata et admodum deaurata.
che per dicto altare si compri una croce saltim di
legno
Ex parte sinistra altaris maioris est altare S.
Luciae, in quo est imago dictae Sanctae de stuccho. Deaurata.
che l'altare si faccia più lungo, e vi si compri una
Croce.
Fuerunt inventae quaedam reliquiae S.cti Crispini et
Crispiani . Videlicet parvum frustum ossis, quod habet autenticum documentum in
quadam capsula lignea. Mandavit
che si faccia un'reliquario di argento dove si mettano
dette reliquie.
che nell'altare di S. Margarita non vi si celebri
mentri che non si accomada , facendosi più grande.
che per l'altare di S. Francesco si compri una Croci,
et 2 candelabri.
Die 20 Julii 1609
Visitavit ecclesias Annuntiationis B. M. Virginis, quae
est Confraternitas sub dicto nomine, et usque hunc non habet saccos.
Visitavit altare maius et ... alia altaria. Mandavit
che per l'altari maggiori si comprino dui candeleri,
una Croci, et una carta di gloria.
che l'altari dell'Assunta si faccia più lungo, che sia
almeno di 7 palmi, et largo proporzionatamente, facendovisi il suo scabello, et
interim non vi si celebri.
che l'altare di S. Giuseppe si faccia più lungo, et lo
scabello si faccia lungo come sarà l'Altare.
che per l'altari di S. Pietro e Paolo si comprino due
Candelieri, et una Croci di legno dorato.
Inservit dictae ecclesiae pro Cappellano Don Paulinus
di Asaro cum onere celebrandi 4 missas hebdomoda, et habet pro mercede untias .
7.
Fuerunt revisa computa intoitus et exitus.
Con
riferimento al 5 giugno 1609, al foglio 244, viene redatto un elenco di
sacerdoti, cui segue una sorta di inventario:
L'arciprete -
Rev. Gioseppi Samphilippo V. Sub (?)
P. Gio Macaluso - P. Angelo Dardo - P. Leonardo
Castellano - P. Gerlando Merli - P. Santo d'Agro' - P. Mariano Curto - P.
Giuseppe Thodaro (?) - P. Francesco Sferrazza - P. Paolino d'Asaro - D. Gio.
Piamontese - P. Angelo Casuchia .
--------
Diaconi et Subdiaconi
--------
Diacono Petro Curto - Diacono Micheli Barberi -
Subdiacono Geronimo Borzellino.
----------
Clerici
Cle. Marcantonio di Alaimo - Cle. Jacomo Amella - Cle.
Gasparo Lo Brutto - Cle. Gioseppi Lo Brutto - Cle. Bartolo lo Ciciro - Cle.
Francesco Fimia - Cle. Francesco Lattuca - Cle. Antoni Baruni (?) - Cle.
Francesco Lauricella - Cle. Gerlando di Gueli - Cle. Francesco di Alessi - Cle.
Zaccaria Rizo - Cle. Domenico di Salvo - Angelo di Alfano - Francesco Lo Sardo
- Francesco Savatteri - Vincenzo Macaluso - Antonino di Salvo - Vincenzo di
Gueli - Vincenzo Bellomo - Vincenzo Ragusa - Mariano Sferrazza - Francesco
Buffalino (?) - Francesco Sciangula - Giseppi d'Ugo - Grispino Capilli -
Bastiano Macaluso - Antonio Capobianco.
NOTAMENTO
DI TUTTE LE CHIESE
Quelli che si visitano
Confraternita di S.ta Maria di Jesu
Santo Giuliano
la nunziata
Santa Maria del monte
Santo Antonio
Santa Agata
l'Hospitale
Santo Nicola
Santa Rosana
------------------------------------
La compagnia del Santissimo Sacramanto - La compagnia
del Taù.
------------------------------------
F. 245
S. Vincenzo del Carretto Arciprete
D. Giuseppe San Filippo Vic.o Subiecto - an. 28
consacratus ad Sacerd. die 3 Aprilis 1604 ...
D. Jo. Macaluso. an: 5o cons. ad sacerd. die 18
decembris 1583 ..
D. Leonardo Castellana an. 40 consacratus ad sacerd.
die 3 Aprilis 1593 ...
D. Angelo D'Ardo. An. 50 Non ostendit .. sed semper fuit habilitatus pro Sacerdot.
et alius fuit ... in civitate Nari
D. Paulino d'Asaro an. 27 consacratus ad sacerdot. die
17 Xbris 1605 ...
D. Gerlando Morreali an. 31 cons. ad Sacerd. die 16
Junii 1601 Agusti vis. ..
D. Santo d'Agro' an. 29 cons. ad Sacer. die 24 maij
1603 in civ. S.ti Joannis ..
D. Jo.
Piamontese an. 27 consac. ad sacerdot. die xj martii 1606 Siracusis
D. Franciscus Sferrazza an. 27 cons. ad sacerd. die 17
decembris 1605 Panorm ... quas dixit amisisse
Diacono Micheli Barberi an. 26 consacr. ad diaconat.
die 9 junii 1607.
mammane
Nora La missina - experta et approbata.
Cle. D.
Giuseppe Lo Brutto an. 22 cons. ad 4 min.es ord.es die 19 maij 1606
Cl. d. Geronimo Burcellino an. 24 cons. ad
sudiaconatum die xi martii 1606
Cl. d.
Bartolomeo Lo Ciciro an. 18 cons. ad 4 min.ord. die 24 7bris 1606
Cl. Marco Antonio d'Alaimo an. 17 cons. ad p.am ton.re
Hostarian. die 15 martii 1603 Agrigenti
cl.
Franciscus Lauricella an. 17 cons. ad p. t. et Host. die 15 martii 1606
cl:
Franciscus Fimia an. 21 cons. ad p. t. et host. die xi martii 1606
cl: Girlando di Gueli an. 16 cons. ad p. tons. die 14
martii 1603
cl:
Franciscus d'Alessi an. 16 cons. ad p.
tons.et Host.
cl: Franciscus Lattuca an. 21 cons. ad p. t. et duos
p.os ord. die 15 martii 1603 Agrigenti
Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23
martii 1602 ... S. Francisci
cl: Antonino Barone an. 21 cons. ad p. t. et tres ord.
die 15 martii 1603 Agrigenti
cl: Zaccaria Rizzo an. 25 cons. ad p. t. die 19
decembris 1597 alias vocatus Leonardus
cl: Gasparo Brutto an: 20 cons. ad duos p. min. ord.
die 19 maij 1606 Panormi
---
F. 246
Notamento di confessori
L'Arciprete - P. Gioseppi Sanfilippo V. Subsidiario -
P. Paolino di Asaro - P. Angelo Dardo - P. Gio. Macaluso - D. Leonardo
Castellano - P. Gerlando Morreali - D. Santo di Agro' - P. Gioseppi Thodaro -
D. Gio: Piamontese - P. Angelo Casuchia -
----------
Padre Guardiano di Santa Maria di Gesù - fr. Mariano
di Naro - fra Paolo di Girgenti.
-------
del Carmine
fra Paulo di Racalmuto - Fra Salvatori di Racalmuto
----
di S.to Francisci
il p.re guardiano - fra. Antonio di Amato.
Il
Bonincontro trova a Racalmuto una situazione che doveva essere anomala sotto il
profilo del codice canonico del tempo. Il figlio legittimato - era stato
concepito fuori dal talamo coniugale dall’irrequieto Giovanni IV del Carretto -
don Vincenzo del Carretto si era insediato nella chiesa di S. Giuliano,
elevandola a sede parrocchiale. Dove e quando e se fosse stato consacrato
sacerdote, l’Ordinario diocesano non sa ma si guarda bene dall’indagare. Il
potente e collerico figlio del prepotente Giovanni IV non consente insolenze
del genere. Neppure il titolo arcipretale e l’appropriazione di San Giuliano
hanno i crismi della legalità canonica. Il Bonincontro sorvola: ratifica il
fatto compiuto. Solo, divide la terra in due parti approssimativamente uguali:
la bisettrice parte dal Carmino ed
arriva a la Funtana lungo un percosso
che per quante ricerche abbiamo fatte non siamo riusciti a tratteggiare con
sicurezza. Non passava di certo per la discesa Pietro d’Asaro, al tempo un vadduni pressoché impraticabile, ma
lungo un dedalo di viuzze a sud-ovest. Lambiva la chiesa di Santa Rosalia,
posta al centro del paese, ma dalla parte di S. Giuliano, per irrompere nella
parte terminale della vecchia via Fontana.
La parte a
sud-est viene lasciata a questo strano arciprete; quella a nord-ovest, in
mancanza di anziani ed autorevoli sacerdoti, viene assegnata al giovane - è
appena ventisettenne - fratello del pittore Pietro d’Asaro, don Paolino
d’Asaro. Di sfuggita annotiamo che il pittore nel 1609 è già affermato ed una
sua tela - oggi purtroppo irrimediabilmente perduta - viene apprezzata, come
abbiamo visto, in occasione della visita a Santa Margherita, la chiesa
congiunta e collegata con quella di Santa Maria (Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae S.
Margaritae depictum in tila manu
pictoris Monoculi Racalmutensis, annota il segretario del vescovo).
Giovanni IV
del Carretto, familiare del Santo Ufficio, ma per interessi e per sottrarsi a
tribunali laici molto meno accomodanti, non dovette essere molto religioso.
Quel figlio legittimato che faceva il prete nel suo lontano feudo di Racalmuto
doveva apparirgli come un povero diavolo che si arrabattava per superare le
umiliazioni del suo essere stato concepito in toro non benedetto. Gli echi
della vita religiosa della sede della sua contea gli saranno pervenuti, ma
molto affievoliti, lasciandolo nella totale indifferenza. Non vi è documento
che comprovi la sua presenza, anche saltuaria, a Racalmuto. Ma appena
seppellito quel truculento conte, il figlioletto deve raggiungere la lontana
dimora di Racalmuto, così diversa dai fasti di Palermo.
GIROLAMO II DEL CARRETTO
«Nella
chiesa del Carmine c’è un massiccio sarcofago di granito, due pantere
rincagnate che lo sorreggono. Vi riposa “l’ill.mo don Girolamo del Carretto,
conte di questa terra di Regalpetra, che morì ucciso da un servo a casa sua, il
6 maggio 1622.» Così esordisce Sciascia nelle sue “parrocchie di Regalpetra”.
Con tali ricordi inizia la folgorante carriera letteraria del più grande figlio
di Racalmuto
A
Leonardo Sciascia, Girolamo II del Carretto portò dunque fortuna, lui che nella
vita ne ebbe ben poca; lui che da morto resta ancora vituperato, e non proprio
a ragione.
Il
famigerato padre, dopo una moglie sterile di Cerami, dopo un’amante prolifica,
ebbe a sposare, di là negli anni, la nobile Margherita Tagliavia-Aragona
attorno al 1596. Un solo figlio da questo matrimonio, appunto Girolamo II,
battezzato in Palermo il 28 ottobre 1597.
Giovanni IV
Del Carretto lasciò il figlioletto
(l’unico legittimo) di appena nove anni. Il ragazzino non riuscirà mai più a
togliersi di dosso l’anatema e l’ingiuria (cocu)
di Sciascia. Girolamo II del Carretto viene raccolto fanciulletto a Palermo e
portato nel suo castello di Racalmuto, affidato alle cure (chissà se
affettuosi) del fratellastro, il neo arciprete di Racalmuto don Vincenzo del
Carretto.
Non
resistiamo neppure alla tentazione di spettegolare con Sciascia (op. cit. pag.
16): «Il conte [Girolamo II del Carretto] stava affacciato al balcone alto tra
le due torri guardando le povere case ammucchiate [invero non poteva, perché da
lì le case non si vedono, n.d.r.] ai piedi del castello quando il servo Antonio
di Vita “facendoglisi da presso, l’assassinò con un colpo d’armi da fuoco”. Era
un sicario, un servo che si vendicava: o il suo gesto scaturiva da una più
segreta e sospettata vicenda? Donna Beatrice, vedova del conte, perdonò al
servo Di Vita, e lo nascose, affermando con più che cristiano buonsenso che “la
morte del servo non ritorna in vita il padrone”. Comunque la sera di quel 6
maggio 1622, i regalpetresi certo
mangiarono con la salvietta, come i contadini dicono per esprimere solenne
soddisfazione; appunto in casi come questi lo dicono, quando violenta morte
rovescia il loro nemico, o l’usuraio, o l’uomo investito di ingiusta autorità.»
E nella Morte dell’Inquisitore (pag. 180): «Che
un fondo di verità sia in questa tradizione, riteniamo confermato dall’epilogo
stesso del racconto popolare, che dice il servo di Vita averla fatta franca
grazie a donna Beatrice, ventitreenne vedova del conte: la quale non solo
perdonò al di Vita, fermamente dicendo a chi voleva fare vendetta che la morte del servo non ritorna in vita
il padrone, ma lo liberò e lo nascose. Ora chiaramente traluce ed arride,
in questo epilogo, l’allusione a un conte del Carretto cornuto e scoppettato...».
Purtroppo
ci divertiamo meno, quando sacrilegamente lo scrittore prosegue: «ma questa
viene ad essere una specie di causa secondaria della sua fine, principale
restando quella del priore. Insomma: se non ci fossero stati elementi reali a
indicare il priore degli agostiniani come mandante, volentieri il popolo
avrebbe mosso il racconto dalle corna del conte. Il priore non era certamente
uno stinco di santo: ma quel colpo di scoppetta il conte lo riceveva consacrato
da un paese intero. Una memoria della fine del ’600 (oggi introvabile, [ma ora
trovata dal Nalbone, n.d.r.], autore di una buona storia del paese) dice della
vessatoria pressione fiscale esercitata dal del Carretto, e da don Girolamo II
in modo particolarmente crudele e brigantesco. Il terraggio ed il terraggiolo,
che erano canoni e tasse enfiteutiche, venivano applicati con pesantezza ed
arbitrio...»
Non è nuova
la nostra contrarietà a simile modo di rievocare la microstoria: « Le carte della matrice di Racalmuto -
abbiamo scritto altrove - sono un po' stregate: appaiono vendicatrici.
Basta che uno storico locale si sbilanci in ricostruzioni storiche che
prescindano dalla loro consultazione per scattare la vendetta: esse stanno lì
per sbugiardare il malcapitato paesano. Esigono rispetto, deferenza,
assidua frequentazione e meticolosa
attenzione.
Quando il giovane studente in medicina - il Tinebra
Martorana - si mise a scrivere
improvvisandosi storico locale, nella totale ignoranza dei libri parrocchiali,
questi lo hanno beffato smentendolo impietosamente specie nelle fantasiose
saghe dei del Carretto, della vaga vedova di Girolamo, nello scambio di sesso
del figlio Doroteo (che invece era una Dorotea longeva e per nulla uccisa dalla
cornata di una capra: voce popolare questa raccolta dal Tinebra). Dispiace che
il grande Leonardo Sciasciasi si sia fatto travolgere dal suo fidato storico e
sia incappato in spiacevoli topiche, specie nell’anticlericale attribuzione di
un nefando crimine al frate Evodio Poliziense - che davvero era un pio monaco e
che a Racalmuto, se vi mise mai piede,
ciò fece poche volte e per compiti istituzionali e conventuali,
limitandosi solo ad edificanti incontri con i suoi confratelli di S. Giuliano.
In ogni caso Frate Evodio Poliziense poté frequentare Racalmuto quando Girolamo
del Carretto - che secondo Sciascia fu fatto trucidare dal monaco - era poco
più che tredicenne.
Non fu, poi, questo Girolamo del Carretto ad essere
tiranno di Racalmuto in modo “grifagno ed assetato” secondo il lessico del
Tinebra, né fu lui ad accordarsi con i maggiorenti di Racalmuto per una promessa
di affrancamento in cambio di 34.000 scudi (vedi sempre il Tinebra); né egli è
colpevole del “terraggio” e del “terraggiolo” e di tutte quelle altre
nefandezze che sono l’humus
storico-culturale delle Parrocchie di Regalpetra o di Morte dell’Inquisitore.
Quando il conte morì non aveva ancora raggiunto l’età di venticinque anni e da
oltre un anno con atto di donazione tra vivi si era liberato di tutti i suoi
beni in favore dei due figli Giovanni - quello giustiziato poi a Palermo nel
1650 - e Dorotea ( e non Doroteo); egli, inoltre, aveva nominato
amministratrice e tutrice la giovanissima moglie Beatrice di cui, peraltro, si
conosce bene il cognome. Era, costei,
una Ventimiglia.
(E tanto grazie alle recenti scoperte d’archivio del
prof. Nalbone. Siffatte carte ci forniscono anche notizie su Dorotea del
Carretto, divenuta marchesa di Geraci che risulta defunta da poco nel 1654 [pro
comitatu Racalmuti et Baronia Gibellini, filii filiaeque donnae Dorotheae
Carrecto Marchionissae defunctae Hieratij et praefati d.ni Joannis Comitis
Rahalmuti sororis - f. 267 v.]. Il 1654 è l’anno della restituzione da parte
del Re di Spagna a Girolamo del Carretto dei suoi domini racalmutesi con
diploma emesso nel Cenobio di S. Lorenzo
il 28 ottobre 1654).
E’ ora
disponibile una documentazione - quella del Fondo Palagonia - che restituisce alla verità la faccenda del terraggio e del terraggiolo pretesi dai del Carretto. Crediamo che queste non siano
tasse enfiteutiche o che sia inesatto definirle così. Erano diritti feudali spettanti
al baronaggio siciliano e legati al semplice fatto che contadini abitassero
nella terra del barone: dovevano al
feudatario (di solito al suo arrendatario o esattore delle imposte cui queste
venivano concesse in soggiogazione) una certa misura di frumento per ogni salma
di terra coltivata nel feudo (terraggio)
ed un’altra (di solito doppia) per quella coltivata fuori dal feudo (terraggiolo). A preti e conventi
racalmutesi codesti gravami feudali non andavano giù ed essi fecero cause
memorabile (e secolari) per sottrarsi e sottrarre agli odiati terraggio e terraggiolo. La spuntarono,
come si disse, solo il 27 settembre 1787.
Invero il
Tinebra Martorana ebbe tra le mani le carte feudali del terraggio e del terraggiolo:
gliele misero a disposizione i suoi protettori i Tulumello, già baroni e
maggiorenti del paese. Quel che il giovane vi capì è riportato fideisticamente
da Sciascia e cioè:
«Oltre alle
numerose tasse e donativi e imposizioni
feudali, che gravavano sui poveri vassalli di Regalpetra, i suoi signori erano
soliti esigere, sin dal secolo XV, due tasse dette del terraggio e del terraggiolo
dagli abitanti delle campagne e dai borgesi. Questi balzelli i del Carretto
solevano esigere non solo da coloro che seminavano terre nel loro stato, benché
le possedessero come enfiteuti, e ne pagassero l'annuale censo, ma anche da
coloro che coltivassero terre non appartenenti alla contea, ma che avessero
loro abitazioni in Regalpetra. Ne avveniva dunque, che questi ultimi ne
dovevano pagare il censo, il terraggio e il terraggiolo a quel signore a cui
s'appartenevano le terre, ed inoltre il terraggio e il terraggiolo ai signori
del nostro comune... Già i borgesi di Regalpetra, forti nei loro diritti,
avevano intentata una lite contro quel signore feudale per ottenere
l'abolizione delle tasse arbitrarie. Il conte si adoperò presso alcuni di essi,
e finalmente si venne all'accordo, che i vassalli di Regalpetra dovevano
pagargli scudi trentaquattromila, e sarebbero stati in perpetuo liberi da quei
balzelli. Per autorizzazione del regio Tribunale, si riunirono allora in
consiglio i borgesi di Regalpetra, con facoltà di imporre al paese tutte le
tasse necessarie alla prelevazione di
quella ingente somma. Le tasse furono imposte, e ogni cosa andava per la buona
via. Ma, allorché i regalpetresi credevano redenta, pretio sanguinis, la loro libertà, ecco don Girolamo del Carretto
getta nella bilancia la spada di Brenno
... e trasgredendo ogni accordo, calpestando ogni promessa e giuramento,
continua ad esigere il terraggio e il
terraggiolo, e s'impadronisce inoltre di quelle nuove tasse».
Sciascia
commenta: «Il documento riassunto dal Tinebra dice che appunto durante la
signoria di Girolamo II i borgesi di
Racalmuto, che già avevano mosso ricorso per l'abolizione delle tasse
arbitrarie, subirono gravissimo inganno: ché il conte simulò condiscendenza, si
disse disposto ad abolire quei balzelli per sempre; ma dietro versamento di una
grossa somma, esattamente trentaquattromila scudi. L'entità della somma, però,
a noi fa pensare che non si trattasse di un riscatto da certe tasse, ma del
definitivo riscatto del comune dal dominio baronale; del passaggio da terra
baronale a terra demaniale, reale.
«Per
mettere insieme una tal somma, il Regio Tribunale autorizzò una straordinaria
autoimposizione di tasse: ma appena le nuove e straordinarie tasse furono
applicate, don Girolamo del Carretto dichiarò che le considerava ordinarie e
non in funzione del riscatto. I borgesi,
naturalmente, ricorsero: ma la dolorosa questione fu in un certo modo risolta a
loro favore solo nel 1784, durante il viceregno del Caracciolo.
«Il priore
degli agostiniani e il loro servo di Vita fecero dunque vendetta per tutto un
paese, quale che sia stato il pasticciaccio
di cui, insieme al defunto e a donna Beatrice, furono protagonisti. (Curiosa è
la dicitura di una pergamena posta, quasi certamente un anno dopo, nel
sarcofago di granito in cui fu trasferita la salma del conte: dà l'età di donna
Beatrice, ventiquattro anni, e tace su quella del conte. Vero è che non
disponiamo dell'originale, ma di una copia del 1705; ma non abbiamo ragione di
dubitare della fedeltà della trascrizione, dovuta al priore dei carmelitani
Giuseppe Poma: e l'originale era stata stilata dal suo predecessore Giovanni
Ricci, che forse si permise di tramandare allusivamente una piccola malignità.)
[...]
«Dall'anno
1622, in cui fra Diego nacque, al 1658, in cui salì al rogo, i conti del
Carretto passarono in rapida successione: Girolamo II, Giovanni V, Girolamo
III, Girolamo IV. I del Carretto non avevano vita lunga. E se il secondo
Girolamo era morto per mano di un sicario (come del resto anche il padre), il
terzo moriva per mano del boia: colpevole di una congiura che tendeva
all'indipendenza della Sicilia. E non è da credere che si fosse invischiato
nella congiura per ragioni ideali: cognato del conte di Mazzarino per averne
sposato la sorella (anche questa di nome Beatrice), vagheggiava di avere in
famiglia il re di Sicilia. Ma l'Inquisizione vegliava, vegliavano i gesuiti; e,
a congiura scoperta, il conte ebbe l'ingenuità di restarsene in Sicilia,
fidando forse in amicizie e protezioni a corte e nel Regno. Una congiura contro
la corona di Spagna era però cosa ben più grave dei delittuosi puntigli, delle
inflessibili vendette cui i del Carretto erano dediti. Giovanni IV, per
esempio, aveva fatto ammazzare un certo Gaspare La Cannita che, appunto,
temendo del conte, era venuto da Napoli a Palermo sulla parola del duca d'Alba,
viceré, che gli dava guarentigia. E' facile immaginare l'ira del viceré contro
il del Carretto: ma si infranse contro la protezione che il Sant'Uffizio
accordò al conte, suo familiare. (Questo stesso Giovanni IV troviamo nella
cronaca dello scoppio della polveriera del Castello a mare, 19 agosto 1593:
stava a colazione con l'inquisitore Paramo, ché allora il Sant'Uffizio aveva
sede nel Castello a mare, quando avvenne lo scoppio. Ne uscirono salvi, anche
se il Paramo [Ludovico Paramo o de Paramo è l'autore di quel libro che Voltaire
infilza, alla voce Inquisizione, nel Dizionario filosofico.] «Luigi [Ludovico] di Paramo, uno dei
più rispettabili scrittori e dei più vivi splendori del Sant'Uffizio... Questo
Paramo era un uomo semplice, esattissimo nelle date, che non ometteva nessun
fatto interessante, e calcolava col massimo scrupolo, il numero delle vittime
umane che il Sant'Uffizio aveva immolato in tutti i paesi.»] gravemente offeso.
Vi perirono invece Antonio Veneziano e Argisto Giuffredi, due dei più grandi
ingegni del cinquecento siciliano, che si trovavano in prigione.)
«Della familiarità dei del Carreto col
Sant'Uffizio abbiamo altri esempi. Ma qui ci basta notare che a Racalmuto,
contro l'eretica pravità e a
strumento dei potenti, l'Inquisizione non doveva essere inattiva. [...]
«L'ordine
degli agostiniani di sant'Adriano fu fondato nel 1579 da Andrea Guasto da
Castrogiovanni: il quale, stabilita coi primi compagni la professione della
regola nella chiesa catanese di Sant'Agostino, si trasferì in Centuripe, in
luogo quasi allora deserto, e fabbricate
anguste celle, pose i rudimenti di vita eremitica, e propagolla in progresso
per la Sicilia: notizia che dobbiamo a Vito Amico [Dizionario topografico della Sicilia di VITO AMICO, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1859.], e non trova
riscontro nelle enciclopedie cattoliche ed ecclesiastiche che abbiamo
consultato. Lo stesso Vito Amico dice che il convento di Racalmuto fu dal pio monaco Evodio Poliziense promosso e
dal conte Girolamo del Carretto dotato nel 1628. Evidente errore: ché nel 1628
il conte Girolamo era morto da sei anni. Più esatto è il Pirro: S. Iuliani Agustiniani Reformati de S.
Adriano ab. an. 1614, rem promovente Hieronymo Comite, opera F. Fuodij
Polistensis [R. Pirro, Sicilia Sacra, libro terzo, Palermo
1641].
«In quanto
al pio monaco Evodio Poliziense o
Fuodio Polistense, si tratta senza dubbio alcuno di quel priore cui dalla
leggenda popolare è attribuito il mandato per l'assassinio del conte Girolamo.
Infatti il Tinebra Martorana, che non si era preoccupato di consultare in
proposito i testi del Pirro e dell'Amico, cade in equivoco quando dice che al priore di questo convento la tradizione
serba il nome di frate Odio, riferendosi con ogni probabilità all'azione da lui
commessa. Era semplicemente il nome, piuttosto peregrino, di Evodio o
Fuodio che nel corso del tempo si era mutato in Odio.»
La
ricostruzione sciasciana non ci convince molto. Un fatto singolare si
verificava frattanto a Racalmuto. Era diventato arciprete un illegittimo, sia
pure figlio di Giovanni IV del Carretto. Era quel don Vincenzo del Carretto su
cui si è già avuto modo di fornire
taluni ragguagli. Anche lui venne colpito dalla violenta morte del padre (5
di maggio 1608) e così aveva raccolto il
fratellastro novenne Girolamo II che per diritto ereditario era divenuto
novello conte di Racalmuto (la legge contemplava il maggiorascato, e sarebbe
toccato quindi a don Vincenzo essere Conte, ma escludeva i figli illegittimi.
Non sappiamo come abbia accolta quell’infamante esclusione. quello scorno a la faccia di lu munnu).
Don
Vincenzo diviene comunque il tutore del conte minorenne: nel 1609 pasticcia
quell’infame accordo sul terraggio e terraggiolo che Tinebra Martorana e
Sciascia affibbiano al “vorace e brigantesco don Girolamo II Del Carretto”,
all’epoca uno smarrito bambino. Lo desumiamo da un diploma:
Sotto le quali convenzioni ed accordio detta
università ed il conte di detto stato hanno campato ed osservato per insino
all’anno settima indizione prox: pass: 1609, nel qual tempo detta università, e
per essa li suoi deputati eletti per publico consiglio a quest’effetto, ed il
dottor Don Vincenzo del Carretto Balio e Tutore di detto Don Geronimo, moderno
conte allora pupillo, con intervento e consenso del reverendissimo don Giovanni
de Torres Osorio, giudice della Regia Monarchia protettore sopraintendente di
detto pupillo e con la sua promissione di rato, devennero à novo accordio e
transazione in virtù di nuovo consiglio confirmato per il signor Vicerè e Regio
Patrimonio, per il quale promisero detti deputati à nome di detta università
pagare al detto conte don Geronimo scuti trentaquattromila infra quattro mesi, e quelli depositarli nella
tavola di Palermo per comprarne feghi ò rendite tuti e sicuri, con l’intervento
e consenso di detta Università, con diversi patti e condizioni in cambio per
l’integra soluzione e satisfazione di detti terraggi e terraggioli dentro e
fuora di detta terra e suo territorio, e per contra detto tutore cessi lite
alla detta exazione di detti terraggi, quali ci relasciò e renunciò, essendoli
prima pagata detta somma di scuti trentaquattromila, promettendo non molestare
più detti cittadini ed abitatori di detta università di detti terraggi e
terraggioli come più diffusamente appare per detto contratto all’atti di notar
Geronimo Liozzi [a.v.: Liezi] à 17 luglio settima indizione 1609., confirmato
per Sua Eccellenza e Regio Patrimonio
A porre una
qualche attenzione alle date, abbiamo che Die
22 Junii VI Ind.is 1608 Don Vincenzo viene riconosciuto Arciprete (sia pure
a metà con quella specie di mitateri
quale appare il vassallo don Paulino
d’Asaro); il successivo 17 luglio si sbilancia nella gestione delle
sopraffazioni feudatarie.
Investigando
i processi d’investitura emerge che don Vincenzo del Carretto esercita questa
funzione tutoria sino al luglio del 1610. Ma da questa data, quando il
bambinello Girolamo II viene d’autorità - pare - fidanzato - a Beatrice figlia
bambina del Ventimiglia), il tutore diviene il futuro suocero del conte, come
si evince dallo stralcio qui riportato:
Reg.tus Panormi die 3 julij viii ind. 1610
Testes ricepti et examinati per ill.m Regni Siciliae
Protonatorum ad instantiam d: Jo: de Viginti Milijs, Marchionis Hieracij,
Principis Castriboni, balej et tutoris ill. d. Hieronimi del Carretto Comitis
Racalmuti ad verificandam infrascriptam pro investituram capiendam ditti
comitatus.
Il Tinebra
Martorana (pag. 125) vorrebbe Girolamo II sposato ad una ”certa Beatrice, di
cui s’ignora il cognome”. Niente di più falso: di donna Beatrice sappiamo
tanto. Non crediamo che finché si protrasse il breve legame matrimoniale si sia
indotta all’adulterio, come maliziosamente insinua lo Sciascia. Da vedova,
qualche leggerezza può averla commessa (ma noi non lo diremo dinanzi a voi stelle pudiche.) Negli
atti vescovili troviamo questa singolare “littera monitoria” ([13]):
«Die 3
septembris VII ind. 1622 - Rev. Acr: terrae Racalmuti. Semo stati significati
da parti di donna Beatrice Del Carretto e Ventimiglia, contissa di detta Terra,
nec non da parti di don Vincenzo lo Carretto, tuturi et tutrici di li figli et heredi
del quondam don Geronimo lo Carretto, olim conti di detta Terra qualmenti li
sonno stati robbati, occupati et defraudati molte quantità di oro, argento,
ramo, stagni et metalli, robbi bianchi, tila, lana, lina, sita, capi lavorati,
come senza, et occupati, scritturi publici et privati, denegati debiti, et nome
di debitori; rubato vino di li dispensi, animali grossi, stigli con arnesi,
cosi di casa .... In suo grave danno, prejuditio, et ... In forma comuni etc.»
Sembra,
dunque, che dopo la morte del conte avvenuta il primo ( e non il 6) maggio 1622, una rivolta popolare sia
esplosa a Racalmuto: vi sarebbe stato l’assalto al munito castello ed il
popolino rivoltoso abbia fatto man bassa di tutto. La giustizia - che pure era
mera espressione dei del Carretto - non fu in grado di far nulla e così alla
giovane vedova ed a suo cognato, tutore, non rimase nient’altro da fare che
chiedere la comminatoria delle canoniche sanzioni da parte della sede vacante
del vescovado di Agrigento. Ne avesse avuto sentore Leonardo Sciascia, crediamo
che avrebbe più succulentamente imbandita la tavola della “mangiata cu la salvietta” dei racalmutesi nell’estate del 1622.
Poi, con
gli anni, il terrore della morte ebbe a sorprenderlo: si costruì una chiesetta
(Itria) tutta per lui e la dotò. I suoi eredi - nobili - dovettero
corrispondere le rendite al cappellano di quella chiesetta perlomeno sino 1902:
il prof. Giuseppe Nalbone ha potuto stilare questo quadro sinottico:
1609
|
VINCENZO
|
DEL CARRETTO
|
FONDATORE DELLA
CHIESA DELL'ITRIA
|
1632
|
SANTO
|
D ' AGRO'
|
BENEFICIALE DELL '
ITRIA
|
1677
|
STEFANO
|
SAIJA
|
BENEFICIALE S.MARIA
DELL'ITRIA
|
1731
|
PIETRO
|
SIGNORINO
|
BENEFICIALE S.MARIA
DELL'ITRIA
|
1736
|
PIETRO
|
SIGNORINO
|
CAPPEL. ITRIA
|
1782
|
NICOLO'
|
AMELLA
|
BENEFIC.S MARIA
DELL'ITRIA
|
1830
|
CALOGERO
|
PICONE
|
ER.SIGNORINO,CONF,UTR.CH.
ITRIA
|
1902
|
GIOVANNI
|
PARISI FU VINCENZO
|
MARIA SS. DELL' ITRIA
|
GLI ARCIPRETI DI RACALMUTO SOTTO GIROLAMO II DEL CARRETTO
Don
Vincenzo del Carretto, arciprete di Racalmuto lo fu (o volle essere) per poco
tempo. Ancora vivo, l’arcipretura risulta passata a tale Pietro Cinquemani ,
originario, forse, di Mussomeli. ([14]) Secondo
il prof. Giuseppe Nalbone, costui sarebbe stato prima rettore e poi arciprete
del nostro paese:
1613 PIETRO CINQUEMANI RETTORE e
poi nel 1614 ARCIPRETE
Viene
annotato, nel Liber in quo a f. 1,
n°. 11 come «D. Pietro Cinquemani - Arciprete 1614. » Gli atti della Matrice ce
lo confermano ancora tale nel 1615, ma l’anno successivo arciprete è don
Filippo Sconduto. Il 7 gennaio 1616 benedice, ad esempio le nozze di Silvestre Curto di Pietro con Giovanna
Bucculeri del fu Francesco (vedi atti di matrimonio del 1616).
Don Filippo
Sconduto regge a lungo la nostra arcipretura, fino alla morte avvenuta il 6
novembre 1631. (Cfr. Liber in quo
adnotata .. f. 2 n.° 42). Sotto il suo arcipretato avvengono fatti
memorabili a Racalmuto, tristi, lieti e rissosi: la famigerata peste è appunto
del 1624; la vedova del Carretto, vuole reliquie di S. Rosalia e manda 80
cavalieri a Palermo a prenderle, in una con
una bolla che si conserva in Matrice; torna a nuovo splendore la
chiesetta dedicata alla santa eremitica nel centro del paese.
* * *
Ma
ritorniamo indietro, agli esordi del comitato dell’infelice Girolamo II del
Carretto. Arriva, frastornato, a Racalmuto nel 1608, subito dopo la morte
violenta e scioccante del padre. Ha quasi nove anni; finisce sotto le grinfie
del fratellastro Vincenzo del Carretto che, per eccessiva benevolenza del
vescovo Bonincontro, diviene frattanto arciprete della importante comunità ecclesiale di Racalmuto.
Non ci sembra un prete molto degno. Non finirà la sua vita da arciprete, ma
come balio di Giovanni V del Carretto, dopo esserlo stato del padre Girolamo
II. Conclude la sua esistenza in stretta intimità con la nuora donna Beatrice
del Carretto e Ventimiglia, almeno giuridica ed economica. Per il resto,
chissà. Quel volersi salvare l’anima, alla fine dei suoi giorni, con l’erezione
della minuscola chiesetta dell’Itria, può far sospettare ancor di più come può
farlo assolvere: dipende dai punti di vista.
Vincenzo
del Carretto, arciprete, ma soprattutto “balio e tutore” dell’illustre conte,
vede vedersela con le procedure della successione comitale, e non è agevole.
Soprattutto sono esborsi cospicui da approntare. Vincenzo del Carretto, non ne
ha voglia o possibilità. Tergiversa. I processi di investitura che qui
pubblichiamo mostrano una sfilza di rinvii a richiesta appunto di codesto
strano arciprete. Una proroga è del 2 maggio 1609; un’altra del 2 giugno;
un’altra del 26 giugno; un’altra del 28 luglio; un’altra del 2 settembre 1609.
Ma a questo punto subentra l’abile e potente Giovanni di Ventimiglia marchese
di Gerace e principe di Castelbuono. Il vecchio patrizio risiede - come la
migliore nobiltà - a Palermo vigile sulla corte viceregia. Ha potere e lo
dispiega per altre proroghe del suo nuovo protetto, il nostro Girolamo II del
Carretto.
Un passo
della investitura della contea di racalmuto in capo a don Girolamo II del
Carretto è altamente esplicativo, ragion per cui si procede qui a
ritrascriverlo (aliunde, l’intera
struttura del processo).
«D. Franciscus Del Campo baro
Campifranchi c. pr. testes jurandus et juratus super infrascriptam dixit
qualiter sa esso testimonio del'ill. don Geronimo del Carretto fu et e figlio
legitimo e naturale del quondam ill. don Jo: del Carretto et donna Margarita
del Carretto et Aragona jugali et in tali e per tali s'ha tenuto trattato et
reputato et visto teniri trattari et reputari lo quali d. Jo: passò di questa
vita in questa città di Palermo per la cui morte esso d. Geronimo come figlio
unico et indubitato successore successi nello contato e feghi di Racalmuto et
altri ex pacto et providentia principis quale contato e feghi al presenti teni
et possedi don Gio: Ventimiglia Marchese di Hieraci come balio e tutore di
detto d. Geronimo percependoni di quelli li frutti come patrone e signore e
questo lo depone esso testimonio come pratico et intrinsico con detto ill. don
Gio: et stetti in casa sua alcuni anni
et sapi naxere a detto ill. don Geronimo in questa città. De causa scientia
loco et tempore ut supra.»
L’arcigno marchese di Geraci
era stato il padrino di battesimo del piccolo Girolamo. Abbiamo l’atto
battesimale della chiesa parrocchiale di San Giovanni dei Tartari in Palermo:
Die 28 octobris
XI ind. 1597
Ba: lo ill.ri
et molto Rev.do don Francisco Bisso v.g. lo figlio delli ill.mi SS.ri D.
Gioanne et donna Margarita del Carretto et Aragona conti et constissa di
Racalmuto jug: nomine Geronimo; lo compare lo ill.mo et excellentissimo don
Giovanni Vintimiglia, la commare la ill.ma et ex.ma donna Dorothea Vintimiglia
et Branciforti.
Il marchese
va oltre: fidanza la figlia Beatrice con il suo pupillo. Sono due bambini, ma
l’impegno matrimoniale è inderogabile. In un atto del 7 luglio 1610 il
fidanzamento appare ufficializzato:
Ill.mo et Ex.mo Signore
Don Giovanne Vintimiglia Marchese di Hieraci come
Baleo e tutore di don Geronimo del Carretto Conte di Racalmuto suo genero dice che havendo
venuto a passare il termino a detto Conte di prender l'investitura di detto
stato e del feggho di Donnamaria, li fu detto termino per V.E. prorogato ad
alcuni mesi e dopo per non havere havuto detto Conte tutore li è stato per V.E.
detto termino prorogato ad alcuni altri mesi et ultimamente finisce alli 9 del
presente mese di luglio et poichè l'esponente è stato novamente creato balio e
tutore di detto conte et perciò non ha havuto ancora commodità di poter buscare
il denaro necessario per potere prender le dette investiture ad altri giorni
vinti ultimi et peremptorii fra li quali prenderà certo dette investiture per
li quali si stanno mettendo in ordine li scripturi necessarij. Ut Altissimus
etc.
Del Marchese di Hieraci - Pan. 7 julij 8 ind. 1610
Girolamo II
ha meno di tredici anni; la sua futura sposa ha appena dieci anni (nacque nel
1600 a credere ai dati anagrafici contenuti nel noto cartiglio del sarcofago
del Carmine). Il matrimonio avverrà comunque attorno al 1616, quando il giovane
conte era quasi ventenne e la splendida
Beatrice Ventimiglia sedicenne (nell’atto
di donazione di Girolamo II del 1621, la primogenita è appena di 4 anni -Dorothea aetatis annorum quatuor incirca).
Don
Vincenzo del Carretto ebbe comunque modo di interessarsi alla scottante
questione del terraggio e del terraggiolo. Se ne è parlato sopra: vi ritorniamo
per la rilevanza di quei gravami feudali. Nel 1609, l’arciprete pensa che una
trasformazione del tributo comitale da annuale e circoscritto ai coltivatori di
terre nello stato e fuori dello stato di Racalmuto in una rendita perpetua di
un capitale costituita da un’imposizione generalizzata su tutti gli abitanti,
possa finalmente dirimere e chiudere le annose controversie. Pensa ad
un’imposta straordinaria di 34.000 scudi che al saggio allora corrente del 7%
potevano fruttare 2.380 scudi,
sicuramente molto di più di quel che rendica l’invisa tassazione tradizionale.
Non
sappiamo se l’idea fosse buona o iniqua; sappiamo però che fu un fallimento.
Sembra che vi sia stata una fuga di vassalli (soprattutto mastri e gente che
non aveva terra da coltivare); gli abitati feudali vicini (Grotte, in testa)
furono ben lieti di raccogliere quei profughi
che non vollero essere tartassati. Anziché l’imposizione dell’intero
capitale, si tentò allora di ripartire i soli frutti pari a 2.380 scudi ma
annualmente. Anche questa via fallì. Nel 1613, il vigile tutore e futuro
suocero di Girolamo II pensò bene di ritornare all’antico, ai patti stipulati
nel 1580, di cui abbiamo già detto. Altro che frate Evodio o Odio che dir si
voglia; altro che insinuazioni sacrileghe alla Sciascia. Ci ripetiamo, ma è
pagina di storia, di microstoria se si vuole, che va riproposta con il debito
rispetto della verità, senza spumeggiamenti anticlericali.
In una
memoria del 1738 [15], quando lo
stato di Racalmuto era stato arraffato dai duchi di Valverde, i Caetani, la
vicenda del terraggio e del terraggiolo racalmutese ci pare molto bene
inquadrata.
Ancora nel
1738 i possessori dello stato di Racalmuto avevano il diritto di esigere dai
vassalli, che coltivavano terre fuori del territorio, il terraggiolo nella
misura di due salme per ogni salma di terra coltivata, sia che si trattasse di
secolari sia che si trattasse di ecclesiastici. Il diritto si originava dalla
transazione del 1580 intercorsa tra il conte ed il popolo. Era stata una
transazione che aveva dimezzato la misura del terraggiolo (da quattro a due
salme di frumento per ogni salma di terra coltivata).
Nel 1609
c’era stata la riforma che abbiamo prima specificata. Ma poiché fuggirono da
Racalmuto oltre 700 famiglie, nel 1613 si ritenne di tornare all’antico.
La
questione si risolleva nel 1716, quando D. Luigi Gaetano sanzionò la ridotta
misura di due salme per salma relativamente al terraggiolo.
Vi fu un
ricorso presso la Magna Curia datato 23 settembre 1716. Il fatto era che il
Monastero di San Martino pretendeva l’esonero dal terraggiolo per i racalmutesi
che andavano a coltivare i feudi benedettini di Milocca, Cimicìa e Aquilia. Ma
questa è faccenda che esula dai limiti di questo studio. In calce il documento
in latino per l’eventuale curioso.
Il 1613 è
dunque data importante per la storia del terraggiolo (e terraggio) di
Racalmuto; quasi contemporaneamente (nel 1614) il giovanissimo conte Girolamo
II concordava con l’agostiniano di S. Adriano, fra Evodio, la fondazione del
convento di San Giuliano. Due vicende distinte e separate: non
interrelazionabili. Una era di natura fiscale, un bene accolto ritorno
all’antico; l’altra aveva un profondo significato religioso, era un segno della
pia devozione del giovane conte, sorgeva un cenobio tanto a cuore dei
racalmutesi sino alla sua estinzione verso la fine del Settecento: gli
agostiniani furono confessori di fiducia di tanti peccatori incalliti che non
mancarono certo a Racalmuto.
Le note
sciasciane stridono con siffatte vicende che una sia pur superficiale lettura
dei documenti rende incontrovertibili.
Fra Diego La Matina (secondo noi).
Un anno
prima della morte di Girolamo II del Carretto, nasce fra Diego la Matina. Era
il 1621 (e non il 1622, come vorrebbe Sciascia e come disinvoltamente si
continua a scrivere).
Trattasi
del povero fraticello dell’ordine centerupino dei sedicenti riformati di S. Agostino. Ebbe la sventura di
finire in un convento che già nel 1667 ([16]) si
tentava di scardinare, almeno in quel di Racalmuto, per disposizione vescovile.
Visse da brigante ma finì sul rogo a S.Erasmo in Palermo per un atto incolsulto
di rabbia omicida. Morì con ignominia, ma da tre secoli e mezzo non trova più
pace, oggetto di mistificazioni, magari letterariamente sublimi, ma sempre
mistificazioni.
Lo si dice
di Racalmuto, sol perché di sfuggita tale lo indica il suo accusatore
inquisitoriale. Gli si attribuisce un atto di battesimo rinvenuto nei registri
dell’Archivio della locale Matrice, ma per una imperdonabile svista lo si fa
nascere un anno dopo: nel 1622 anziché nel 1621 (ovviamente per scarsa
consuetudine con le datazioni indizionarie, ché diversamente si sarebbe saputo
che la chiara indicazione della quarta indizione corrispondeva appunto al
1621). E dire che in tal modo tornava l’età di 35 anni assegnata al La Matina
dal Matranga per il tragico anno della fine raccapricciante del frate, avvenuta
nel 1656. Ma lungi da noi il sospetto che in tal modo Sciascia non avrebbe
potuto irridere ai vezzi astrologici del Padre Matranga ([17]).
Lo si vuole
ad ogni costo di ‘tenace concetto’ in materia di fede per farne un martire del
pensiero e si trascura quanto l’inquisitore Matranga dice circa i vagabondaggi
ed i ladronecci del monaco agostiniano: scrive da cane il frate della Santa
Inquisizione - si dice - ma se deve definire il valore dell’eretico frate
racalmutese “la penna gli si affina, gli si fa precisa ed efficace”. E così a
Racalmuto è ora ‘fino’ attribuire a qualcuno - a proposito e non - quella
locuzione matranghesca.
Si deve
credere all’Inquisitore quando si arrabatta nel retorico addebito al frate di
colpe dello spirito (bestemmiatore
ereticale, dispreggiatore delle Sagre Imagini, e de’ Sagramenti .. superstizioso ... empio ... sacrilego ..
eretico non solo, e Dommatista, ma di sfacciatissime innumerabili eresie
svirgognato, e perfido difensore). Non è invece più consentito dargli
ascolto quando accenna alle tendenze di fra Diego a vivere da ‘fuoriscito, e scorridore di campagna, in
abito secolaresco’ tanto da finire nella maglie della giustizia ‘laicale’. Ora il nostro grande Sciascia ama fare lo
‘sprovveduto’ e risponde di no al quesito: «se nell’anno 1644, in Sicilia, un
individuo pervenuto al secondo degli ordini maggiori ma dedito a scorrere le
campagne in abito secolaresco, dedito cioè ai furti e alle grassazioni, potesse
invocare, una volta catturato dalla giustizia ordinaria, il foro del
Sant’Uffizio; o dalla giustizia
ordinaria essere rimesso al Sant’Uffizio come a foro a lui competente; o dal
Sant’Uffizio, per uguale considerazione, essere sottratto alla giustizia
ordinaria.»
Di questi
tempi bazzichiamo l’archivio segreto del Vaticano alla ricerca delle notizie
sul vescovo spagnolo di Agrigento Horozco Cavarruvias y Leyva, finito
all’indice nel 1602 per avere scritto un’operetta in latino, ove
malaccortamente il presule si era
sbilanciato ai fogli dal 119 al 230 «in diverse figure et proposizioni»
risultate indigeste alla potente e prepotente famiglia dei Del Porto del capoluogo
agrigentino.([18]) Da un
contesto di canonici libertini e concubini, maneggioni e corrotti, affiora la
figura di un canonico cantore e dottore, imposto dalla curia papale per
l’esercizio della giustizia della lontana diocesi di Sicilia. Non è personaggio
gradevole, ma della giustizia del suo tempo - che è poi tanto prossimo a quello
messo sotto accusa da Sciascia - doveva pure intendersene. Dalle sue
ruffianesche relazioni alla Congregazione sopra i vescovi ci va di stralciare
questo illuminante passo: «Nella
Diocese, che è molto grande, vi sono molti chierici, e molti di essi si sono
ordenati per godere il foro ecclesiastico, già che alcuni hanno chi trenta e
chi quaranta anni e chi più, et hanno il modo ed habilità per ordenarsi, e
tutta volta non si ordinano, e quel che è peggio ogni dì ci fanno incontrare
con li superiori temporali e laici per defenderli delli errori che commettono e
disordini che fanno, vorrei sapere se conviene à costoro assegnarci un tempo
conveniente acciò si ordinino, e, non lo facendo, dechiararli non essere più del
foro ecclesiastico che sarebbe liberarsi da molti inconvenienti.» ([19]).
Alla luce
di queste considerazioni coeve, ci pare che al quesito posto da Leonardo
Sciascia si dovrebbe dare una risposta del tutto opposta a quella data dallo
scrittore.
Un contemporaneo
ebbe, pure, ad interessarsi di fra Diego, il dottor Auria di Palermo nei suoi
notissimi diari di Palermo. Sciascia lo segnala «come uomo talmente intrigato
al Sant’Uffizio, e così ben visto dagli inquisitori, che era riuscito a far
diventare eresia l’affermazione che il beato Agostino Novello fosse nato a
Termini». Quel dottore acquista, però, tutta intera la fiducia quando ci vuol
far credere che il frate di Racalmuto sia finito nel 1647 (a ventisei anni) tra
le grinfie dell’Inquisizione per avergli trovato nelle “sacchette” “un libro scritto di sua mano con molti
spropositi ereticali”. Ma di un tal crimine - veramente grave per
l’Inquisizione - l’accusatore Matranga tace. Per Sciascia, l’accorto
Inquisitore avrebbe taciuto «ché sarebbe apparso strano il fatto che un “ladro
di passo” avesse scritto un libro”. E dire che gli sarebbe tornato oltremodo
comodo e non doversi, inceve, abbarbicare in evidenti tortuosità per conclamare
la competenza del Sant’Ufficio.
Lo
scrittore di Racalmuto cercò quel libro per tutta la vita: non ebbe fortuna.
«Volentieri - scrisse con tocco blasfemo - [si sarebbe dato] al diavolo con una
polisa, avesse potuto avere quel libro che fra Diego scrisse di sua mano con mille spropositi ereticali,
ma senza discorso e pieno di mille ignoranze». Credette che «gli atti del
processo, e il libro scritto di sua mano agli atti alligato come corpus
delicti, si consumarono tra le fiamme, nel cortile interno dello Steri, il
Venerdì 27 giugno del 1783».
Molto più
semplicemente, invece, se un libro eretico fosse stato rinvenuto, sarebbe stato
bruciato con tanto d’intervento della Sacra Congregazione dell’Indice. Ma Diego
La Matina - erculeo, sanguigno, ‘ladro di passo’, appena ventiseienne - non
pare tipo da scrivere libri. Arriva al secondo degli ordini maggiori, il
diaconato: è quindi ad un passo dal sacerdozio che, tra messe e prebende, era
all’epoca anche un invidiabile traguardo economico. Non procede, però: si ferma
ed a ventitré anni si dà alla macchia da ‘fuoriuscito’ e diviene ‘scorridor di
campagna, in abito secolaresco’. Sembrerà un’amenità, ma non lo è: la fuga dal
convento di S. Giuliano per l’avventura palermitana sarà stata una fuga dallo
scarso cibo del convento (e dalla dura disciplina) con cui il gigantesco
giovanottone, tutto appetito (in ogni senso) e scarso cervello (non è in grado
di approdare al terzo ordine maggiore), non riesce a convivere. Per rendersene
conto, basta scorrere la rigida regola degli agostiniani del tempo.
Allora,
essere sorpresi a “scorridar campagne” non era una bazzecola. Sempre in
Vaticano, tra gli atti del processo di beatificazione del contemporaneo p.
Lanuza, gesuita, si rinviene la descrizione di un evento che si attaglia al
caso nostro.
Alcuni compagni di religione del padre La
Nuza, dagli altisonanti nomi aristocratici, battevano le campagne
dell’Alcantara, in Messina, per loro cosiddette Missioni che erano poi qualcosa
di molto simile alle nostre predicazioni del mese mariano. Si imbatterono in
briganti di passo, alla fin fine benevoli con loro, a riverbero della fama di
santità del celebre padre La Nuza. Presero, sì, qualcosa, ma i padri, in cambio
di una solenne promessa di non sporgere denuncia alcuna, ebbero salva la vita.
I gesuiti non mantennero la promessa. Appena incontrati i militari di
pattuglia, rivelarono la loro avventura. La caccia all’uomo fu immediata e
proficua. I ‘ladri di passo’ ebbero subito segnata la loro sorte: furono senza
indugio giustiziati sul posto. ([20])
Il
latrocinio di passo era crimine da condanna a morte. E tale rimase anche ai
primi dell’ottocento, sotto i Borboni, ad Inquisizione cessata, pur dopo lo
scioglimento del Sant’Uffizio da parte del conclamato Marchese Caracciolo.
Negli archivi della Matrice di Racalmuto leggesi un atto di morte di un
brigante datosi alla macchia (così ce lo accredita Eugenio Napoleone Messana)
che desta tuttora grande raccapriccio: era il 23 novembre 1811 ed il ‘miserandus’ - un uomo di 42 anni - «susceptis sacramentis penitentiae et
viatici, necato capite multatus a Tribunali nostrae regiae Curiae Criminalis,
animam in patibulo expiravit, in medio plateae et resecatis capite et manibus:
corpus per me D. Paulo Tirone sepultum [fuit] in ecclesia Matricis, in fovea
Communi», come a dire che il “povero
disgraziato, confessato e ricevuto il Viatico, dopo essere stato condannato
alla decapitazione dal Tribunale penale della nostra regia Curia, spirò sul
patibolo in mezzo alla piazza, avendo avuto tagliate testa e mani: il suo
corpo, con l’accompagnamento di me Sac. D. Paolo Tirone, fu seppellito in
Matrice, nella fossa comune.” ([21])
Il Matranga
sostiene che il frate di Racalmuto aprì i suoi conti con la giustizia, non
certo, per questioni ideali, per eresia o per le sue idee, ma solo perché
datosi al brigantaggio in abiti secolari, pur essendo già un diacono. A
prenderlo fu la Corte Laicale che ebbe a passarlo, per lo stato religioso del
monaco, al Tribunale del Santo Ufficio. Non abbiamo elementi per non credere al
Matranga. Anzi, la vicenda appare del tutto plausibile. Fu dunque una fortuna
per fra Diego La Matina potersi avvalere del Tribunale dell’Inquisizione,
diversamente i suoi giorni li avrebbe finiti subito, a 23 anni, nel 1644. I
crimini commessi sono per l’accusatore P. Girolamo Matranga fatti delittuosi
ascrivibili alla ‘crudeltà’ del frate agostiniano (giudizio che lo si rigiri
come meglio aggrada, resta sempre di
censura morale) e a ’libertà di coscienza’, locuzione oggi adoperata più per
esaltare che per condannare. E Sciascia vi si appiglia per la glorificazione di
quel tipo di reo. Nel linguaggio del tempo, quel modo di dire alludeva, però,
solo alla sfrenatezza dei costumi, a non avere coscienza morale, o ad averla
sfrenata, libertina.
«Siamo
convinti, - scrive Sciascia, nella “Morte dell’Inquisitore” op. cit. pag. 222 -
convintissimi, che nel giro di quattordici anni il Sant’Ufficio poteva ben
riuscire a fare di uomo religioso, che
dentro la religione in cui viveva mostrava qualche segno di libertà di
coscienza (l’espressione è del Matranga) un uomo assolutamente religioso,
radicalmente ateo». Lo snaturamento del pensiero del Matranga è purtroppo fin
troppo scoperto. L’intento polemico e l’idea preconcetta giocano un brutto
scherzo allo scrittore, peraltro sempre molto circospetto. Il Tribunale
dell’Inquisizione era non migliore degli altri organi di giustizia dell’epoca,
ma neppure peggiore se si faceva a gara nell’invocarne la competenza per
sfuggire alle corti laicali. Si leggano le pagine del Di Giovanni in “Palermo
Restaurato” così lapidarie nel descrivere le manfrine del conte di Racalmuto
Giovanni del Carretto per sottrarsi alle grinfie del Viceré, conte
d’Albadalista, e darsi in pasto
all’Inquisizione. La fece franca da un irridente assassinio. [22]
E la misera
storia di fra Diego si chiude con un omicidio: del suo aguzzino, si dirà, ma
sempre uccisione era. Una tragica legge del taglione venne applicata.
Stigmatizziamo pure quell’esecuzione capitale, ma parlare di martirio, è
blasfemo.
La mamma di
fra Diego non ebbe motivo di scagliarsi contro la chiesa. Era una terziaria
francescana, intrisa di tanta pietà cristiana. Morì, assistita dai frati
racalmutesi, con esemplare forza d’animo e tanto attaccamento al Cristo, senza
alcuna voglia di ribellismo eretico. Pianse, sì, il figlio, ma lo pianse come
un infelice peccatore, giammai come un eroico martire, dal “tenace concetto”.
L’archivio della Matrice è pieno di testimonianze al riguardo. Andava
opportunamente consultato. Ma era lettura ostica.
Riandando
indietro nel tempo, un antenato di fra Diego La Matina fu Vincenzo Randazzo, un
giurato racalmutese che ebbe parte di rilievo nelle tassazioni del 1577;
nell’adunata presso l’«ecclesiola della Nunziata» pare addirittura farla da
presidente del consiglio popolare. Viene indicato con il titolo di Magnifico,
ma è plebeo, forse appartenente alla piccola borghesia agricola, un “burgisi”
come si direbbe oggi. La madre di Diego La Matina era una Randazzo, famiglia
questa genuinamente racalmutese. Il padre di Diego La Matina, Vincenzo era
invece figlio di un oriundo da Pietraperzia.
Vin.o f. delli q.dam Gasparo
et Geronima La Matina della T.ra di PETRAPERTIA con Francesca f.a del q.am
Jac.o et Letitia di Randazzo servatis servandis contrassero matrim. pp.ce in
facie ecc.e foro benedetti per .....
29/9/1651 LA MATINA GIOSEPPE M.RO di
VICENZO Q.AM e di FRANCISCA SORO
con
SURRUSCA DI
CANDICATTI’ ANNA di ANTONINO e di ANTONIA:
si fecero le
denunciationi e la fede per tt. 3. 10.
Trattasi del
fratello di frate Diego LA MATINA. [n.d.r.]
Tralascio l’irrisolta questione della vera identità di fra Diego
La Matina. Non è per nulla poi certo che corrisponda al condannato a morte il
Diego La Matina battezzato da don Paolino d’Asaro il 15 marzo 1621 in base a
quest’atto che va correttamente letto:
Eodem
[nello stesso giorno del 15 marzo 1621 quarta indizione] DIECHO f.[figlio] di
Vinc.° [Vincenzo] et Fran.ca [Francesca] La matina di Gasparo giug.
[giugali o coniugati] fui ba—tto [battezzato] per il sud.^ [suddetto e cioè don
Paolino d’Asaro] p./ni [patrini]
iac.° [
illeggibile secondo Sciascia, ma in effetti Jacopo o Giacomo] Sferrazza et Giov.a [Giovanna]
di Ger.do [Gerlando] di
Gueli.
Sovverte ogni consolidata credenza sul frate dal tenace concetto la presenza a Racalmuto
nel 1664 (anno a cui risale la seconda delle numerazioni delle anime della
parrocchia della Matrice che ci sono state tramandate) - e cioè a sei anni di distanza
dell’esecuzione dell’agostiniano fra Diego -
di tal clerico Diego La Matina che ha tutta l’aria di essere lo stesso che
era stato battezzato nel 1621.
CENSIMENTO DEL
1664
974 LA
MATINA DIEGO CL(ERICO)
975 PIAMONTISI
ANTONI
976 BORZELLINO
GIUSEPPE DI FILIPPO DOMINICA M.C. - FRANCESCO
ANTONINO -
FILIPPO
977 ALAIMO
(D') ERASMO - PAULA
978 VINCIGUERRA
LEONARDO
In definitiva, la vicenda emblematica di Fra Diego La Matina
ci appare un fervido parto letterario del pur grande Leonardo Sciascia. Lo
scrittore diede enfasi alle dubbie affermazioni di un cronista secentesco e
prese alla lettera accuse palesemente rigonfiate. Un Fra Diego La Matina autore
di libelli eretici è ipotesi infondata e comunque non potuta documentare dallo
Sciascia. A noi risulta, invece, - come
si è detto - che un chierico di tal nome dimorasse nel 1660 e rigorosamente
assolvesse al precetto pasquale. Il dato della più antica ‘Numerazione delle
Anime’ che gli Archivi Parrocchiali della Matrice hanno tramandato sino a noi,
è sconcertante: va indagato. Forse non si riferisce al frate giustiziato a Palermo,
ma un ragionevole dubbio lo inculca. Per nulla al mondo stipuleremmo una polisa con il diavolo per risolvere un
tale rebus; porteremmo tanti ceri per convenire con Sciascia sulla nobile
eresia di fra Diego; temiamo purtroppo che Sciascia abbia irrimediabilmente
travisato i fatti della veridica storia del turbolento fraticello di Racalmuto.
*
* *
Assistito
dal notaio racalmutese Angelo Castrogiovanni, Girolamo II del Carretto si
produce in uno strano atto di donazione ai suoi figli della contea di Racalmuto
e di tutti gli altri beni che possiede. E’ il 4 luglio del 1621. Non ha ancora
raggiunto i ventiquattro anni. Nomina la moglie “governatrice”. Il fratellastro
don Vincenzo del Carretto ha un ruolo preminente come esecutore delle volontà
del conte, ma non appare beneficiario di alcunché. Cosa mai sarà successo?
Forse è stato un trucco per aggirare le imposte spagnole, sempre lì in agguato.
Forse sentiva alito di morte sulla nuca.
L’atto
viene nascosto dai gesuiti di Naro. Mistero, anche qui. Resta un fatto
provvidenziale: quando, l’anno successivo, un servo spara al giovane conte una
schioppettata - se concediamo fede totale alla trascrizione settecentesca del
cartiglio che si conserva (o si conservava?) nel sarcofago del Carmine -
quell’atto di donazione universale torna molto acconcio. Il figlioletto
Giovanni può assurgere a conte incontrastato come quinto con tal nome. La
sorella - Dorotea - ha beni sufficienti per aspirare ad un matrimonio altamente
prestigioso. I due fratellini, carucci e distinti, vengono ritratti dal pennello
di Pietro d’Asaro nel bel quadro della «Madonna della Catena» (le pretenziose
note [23] di coloro
che vi scorgono i ritratti di Maria Branciforti e di Girolamo III del Carretto,
quando sarebbero stati “promessi sposi”, sono davvero cervellotiche.)
Quel
sotterfugio della consegna dell’atto di donazione ai gesuiti di Naro - quale si
coglie nella varia documentazione disponibile - resta in ogni caso inspiegabile
visto che il 27 luglio del 1621 il rogito era stato insinuato nella
conservatoria notarile della Curia Giurazia di Racalmuto sotto tutela del
notaio Grillo. Un tocco di mistero in più.
Il 2 aprile
del 1619 era frattanto nato il primogenito destinato alla successione nella
contea. Ecco la fede di battesimo:
Ego Don Philippus Scondutus S.T.D. Archipresbiter
huius terrae Racalmuti fidem facio qualiter in uno librorum in quibus sunt
descripta nomina et cognomina baptizatotum parentum et patrinorum invenio notam
tenoris sequentis.
Die VI° Aprilis 2^ Ind. 1619
Don Giovanni Francisco Carlo Giuseppe figlio
dell’ill.mi Signori Don Geronimo et Donna Beatrice del Carretto iugali
battizato per me Don Giuseppi Sanfilippo - Patrini Leonardo Scibetta et
Giovanna La Conta.
Ad firmandam veritatem fuit per me fatta presens
propria manu scripta et subscripta ac sigillo quo in similibus utor firmata,
hodie 2° Augusti iiijæ ind. 1621.
Don Philippus Scondutus S.T.D. Archipresbiter
Nel
cartiglio del Carmine il conte Girolamo III è dato per ucciso da un servo sotto
la data del 6 maggio del 1622. Stranamente, alla Matrice, il suo atto di morte
suona così:
[Dal Libro
dei morti del 1614. Alla colonna n.° 83, n.° d’ordine 17 è annotato:]
Die 2 dicto (maggio 1622), il ill.mo d. Ger.mo del
Carretto fu morto et sepp.to in ecc.a S.ti Fra.sci per lo clero.
Ecco
un ulteriore elemento d’incertezza che si aggiunge al quadro tutt’altro che
chiaro delle vicende feudali racalmutesi di questo conte ucciso a soli
venticinque anni.
Don
Vincenzo del Carretto, ormai non più arciprete, che sembrava essersi eclissato
negli ultimi tempi della vita curtense racalmutese, eccolo ora riapparire
vigile ed intrigante accanto alla vedova Beatrice Ventimiglia. Costei frattanto
era divenuta principessa di Ventimiglia, come unica erede del genitore il
citato Marchese di Geraci. I documenti la chiamano principessa di Ventimiglia.
Sembra
donna energica. Dopo due anni dalla morte del marito, ne riesuma le spoglie
dalla tomba di famiglia di San Francesco e le tumula nel grifagno sarcofago
descritto da Sciascia al Carmine. I francescani non le dovevano essere
simpatici: i carmelitani riscuotono le sue preferenze.
Giovanni V
del Carretto non ha manco sei anni per avere un qualche peso: la contea è ora
davvero nelle mani della giovane ma volitiva vedova.
I tempi dell’interregno di Beatrice Del Carretto Ventimiglia.
Non erano
passati molti mesi dalla esecuzione del giovane conte Girolamo III che dei
ladri audaci si erano introdotti nel castello per compiere una vera e propria
razzia. L’ordine pubblico a Racalmuto era veramente precario: furti, abigeato,
rapine nelle campagne (fascine di lino, “vaxelli” di api, frumento, buoi
“formentini”) sono ricorrenti. La vedova Facciponti tutrice dei figli ed eredi
di Antonino Facciponti, disperata, non ha altro da fare che invocare le
sanzioni spirituali (una scomunica a tutti gli effetti) per gli incalliti
malviventi che la curia vescovile accorda di buon grado. [24] La curia
invia il provvedimento al rev.do arciprete. Vi leggiamo dati sul feudo di
Gibillini, su quello di Laicolia. Sappiamo di furti alla vedova di “molta
quantità di filato, robbi di lana, robbi bianchi .. denari et altre robbe,
stigli di casa et di massaria”. Se da un lato si ha il disappunto per siffatte
malandrinerie, dall’altro c’è la
piacevole sorpresa di venire a sapere che sussisteva uno stato di discreto
benessere in diffusi strati della popolazione
racalmutese del Seicento.
Ma la crisi
dell’ordine pubblico, qui, investe addirittura l’avvenente giovane vedova del
conte. Sempre gli archivi vescovili ci ragguagliano su un’altra scomunica,
stavolta comminata ai ladri del castello. Il 3 settembre 1622 [25] altra
missiva al locale arciprete (e qui è ribadito che non è più don Vincenzo del
Carretto, che peraltro è ancora vivo). “
Semo stati significati da parti di donna Beatrice del Carretto et
Ventimiglia - recita il diploma vescovile - contissa di detta terra nec non da
parti di don Vincenzo lo Carretto tutori et tutrici de li figli et heredi di
del quondam don Ger.mo lo Carretto olim conti di detta terra qualmenti li sonno
stati robbati occupati et defraudati molta quantità di oro, argento, ramo,
stagni et metallo, robbi bianchi, tila, lana, lino, sita, cosi lavorati come
senza, et occupati scritturi publici et privati, derubati debiti et nome di
debitori, rubato vino di li dispensi ... animali grossi et vari stigli con arnesi,
cosi di casa come di fori.” Un disastro dunque.
Don
Vincenzo del Carretto riemerge come tutore dei figli del fratellastro. Affianca
la cognata che in quanto donna, anche se contessa, non ha integra personalità
giuridica per l’ordinamento del tempo. Ella necessita di un “mundualdo”,
compito che ben volentieri l’ex arciprete si accolla. Ed in tale veste lo
ritroviamo nei processi d’investitura del piccolo Giovanni V del Carretto
risalenti al 1621 (vedansi gli esordi dell’investitura n. 4074 del 1621 sotto
la data del primo settembre 1621 [26] ). Ma non
è da pensare che la volitiva vedova concedesse troppo spazio al cognato anche
se prete. Nell’anno di vita del conte Girolamo III del Carretto seguente il
bizzarro (almeno per noi che scriviamo a distanza di quasi quattro secoli) atto
espoliativo di donazione universale, il potere di donna Beatrice Del
Carretto-Ventimiglia è già esclusivo. Figuriamoci dopo che l’ingombrante marito
si era fatto uccidere da un servo. La tradizione tutta racalmutese di corna, di
servi amanti, di perdoni adulterini etc. un qualche fondamento ce l’avrà pure.
Indulgervi, però, da parte nostra, sarebbe fuorviante.
La vedova
riaffiora dalle ombre del passato con contorni netti allorché, mietendo la
peste vittime desolatamente, si decide di postulare al potente cardinale Doria
una qualche reliquia di Santa Rosalia, atta a debellare il flagello a
Racalmuto.
Il
culto di Santa Rosalia è ben provato in Racalmuto, sin dal primo decennio del
1600, un quarto di secolo almeno anteriore alla discutibile invenzione delle
spoglie mortali in Monte Pellegrino da parte del cardinale Doria.
In
un appunto manoscritto del 15 ottobre del 1922 rinvenibile in Matrice, si
riferisce - credo dall'arciprete Genco - che Santa Rosalia sarebbe nata a
Racalmuto nel natale del 1120. Le prove documentali le avrebbe avute il
canonico Mantione ma le avrebbe distrutte per dispetto al vescovo riluttante a
finanziargli la pubblicazione di un suo libro. Tra l'altro, in quell’appunto
manoscritto leggesi che «fui il 13
ottobre 1921 nella Biblioteca Nazionale di Palermo ed ebbi il piacere di
leggerlo [un libro del Cascini] per summa capita. » In quel libro
si parla di antiche iscrizioni e di
chiese anche fuori Palermo. Viene inclusa
"quella di Rahalmuto,
della quale non appare altro millesimo. che questo M.CC. ed il muro è guasto"». Il testo riportato
dall’Arciprete Genco non comprova certo che il 1200 fosse la data di
costruzione di quell'antica chiesa, essendo sicuramente abrase le successive
lettere della data, appunto per quel 'muro guasto'.
II
mio spirito laico mi spinge ad essere alquanto scettico sull'attendibilità di
tante notizie contenute nel manoscritto: è certo, comunque, che di esse ebbe ad
avvantaggiarsi il padre gesuita Girolamo Morreale nel suo "Maria SS. del
Monte di Racalmuto" , stando a quel che si legge nelle pagine 23, 24, 69, 97, 98, 99 e 101.
Senza dubbio la fonte storica sulla Chiesa di
Santa Rosalia più antica ed accreditata è quella del PIRRI. (A pag. 697 abbiamo
un’esauriente notizia). Il passo, in latino, può venire così tradotto: «A
Racalmuto v'era una chiesetta [aedes] - antichissima - che risaliva all'anno
1400 circa. Fino al 1628 vi si poteva vedere dipinta un'immagine di santa
Rosalia in abito d'eremita e portante una croce ed un libro tra le mani.
Purtroppo, è andata distrutta per
incuria di alcuni, ormai tutti presi
dalla nuova chiesa dedicata alla medesima Vergine, di cui venerano alcune
reliquie, essendosi peraltro costituita una confraternita denominata delle
Anime del Purgatorio. La chiesa ha rendite per 70 once.» Non saprei se la nuova
chiesa di Santa Rosalia sia sorta in altro posto oppure sopra quella vecchia.
Quella vecchia, nel 1608, collocavasi nel mezzo della bisettrice
Carmine-Fontana. Sappiamo che travavasi dalla parte della parrocchia di S.
Giuliano.
Per il
prof. Giuseppe Nalbone non vi sono dubbi: “la chiesa di Santa Rosalia eretta
nell’omonimo rione fu sempre la medesima dal 1593, anno dal quale inizia la
documentazione consultabile, sino al 1793, anno di cessione dell’ “edificio” al
sac. Salvatore Maria Grillo.
Di recente,
ricercatrici universitarie hanno ritenuto un rudere (ampiamente
fotografato) nei pressi della Barona
essere l’antica chiesetta di S. Rosalia. E’ tesi che respingiamo: la Santa
Rosalia del 1608 doveva ubicarsi nella parte sud-est di via Marc’Antonio
Alaimo, qualche isolato a ridosso dell’attuale Corso Garibaldi. I documenti
vescovili sembrano non dare adito a dubbi. Certo, c’è da interpretare
l’aggettivo “nuova” usato dal Pirri. Per
“nuova” chiesa si deve intendere un edificio nuovo ubicato altrove o il
riadattamento del vecchio stabile? Un interrogativo, questo, che non ha ancora
soluzione certa. Non si sa neppure dov’era ubicato il rudere venduto al nobile
sacerdote Salvatore Maria Grillo, e dire che siamo nel recente 1793. L’abate
Acquista parla nel 1852 di ben quattro distinti luoghi di culto in vario modo
dedicati a Santa Rosalia. Il Prof. Nalbone trova, però, molte inesattezze
nell’opera dell’Acquista.
Don
Vincenzo del Carretto si fa rilasciare un nulla osta ecclesiastico dalla curia
vescovile agrigentina, costruisce la chiesetta della Modonna dell’Itria; la
dota piuttosto consistentemente. Non gli porta fortuna: tra il 1624 ed il 1625
scocca il suo ultimo giorno di vita terrena. Crediamo sia una delle vittime del
flagello endemico che in quel biennio si abbattè a Racalmuto. Il giovane medico
Marco Antonio Alaimo - trasferitosi a Palermo - dava preziosi consigli ai
fratelli rimasti in paese. Non potevano avere - e non avevano - grande
efficacia.
Donna
Beatrice del Carretto esce indenne dalla peste del 1624. La troviamo ancora
solerte e dispotica nel 1626. Ella ha deciso che le reliquie di Santa Rosalia,
portate a Racalmuto il 31 agosto 1625 vengano traslate da S. Francesco alla
nuova (o rimessa a nuovo) chiesetta di Santa Rosalia.
La vicenda
delle reliquie della santa eremita è stata così raccontata dal Cascini:
«Ne si mostrò poco divota
verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la quale come si è detto nel primo
libro, fin dal suo principio, nacque sotto la protettione di questa Santa e vi
dedicò la sua prima chiesa, havendola
hora rifatta di nuovo; è incredibile la divotione, con che viene visitata a piè
scalzo ogni sera non da pochi, ma d'una moltitudine grande. Però con molto
maggior mostra di pietà, e humiltà ciò fecero il giorno quando accompagnarono la sua Santa
reliquia, che fù l'ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla da Palermo,
ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si cantò prima la Messa
nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità solita; e si liberò
una spiritata; dopo il Vespro pur
solenne si fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa
d'apparato con tre archi trionfali, di
luminarie per tre giorni, di concerto di Musiche, e salve di schioppi,
nondimeno superava ogni cosa la devotione, che s'udia delle voci, e sospiri, e
pianti, e si vedea della moltitudine tutta a piè scalzo.
Accettò la Santa la pietà loro, e gli mostrò a
chiari segni, che la sua protettione l'havea liberati dalla pestilenza;
imperoché havendo la terra delle Grotte presso à due miglia molto mal menata da
quel morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che fosse
dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti fra loro e
haver molta communicatione, non si attaccò però male veruno; anzi entrandoci
dentro appestati diversi, si di questa terra, come d'altre, i medesimi che la
portavano poi in altri luoghi, quivi non vi lasciarono vestigio alcuno.»
La vedova ha a cuore anche Grotte: «Le Grotte - aggiunge infatti il cronista - patirono anche molto [al tempo della peste del 1624], alle quali
soccorse la Contessa di Rahalmuto, che l'era vicinissima, colla reliquia di S.
Rosalia; ma non hò distinta, e certa relatione di alcun benefitio ...»
Nella nuova chiesa di Santa Rosalia - che entra sotto la
tutela della locale Universitas - il culto della santa è intenso. Il comune si
fa carico di una lampada ad olio perennemente accesa. La delibera è adottata
dai giurati dell’epoca Francesco Fimia, Giacomo Montalto, Benedetto Troiano e
Francesco Lauricella. Ma non varrebbe nulla senza il benestare della potente
vedova. E’ il giorno 18 aprile 1626. “Ad effectum in dicta ecclesia Sancte
Rosalie detinendi lampadam accensam ante magnum altare ubi est collocata
Reliquia sancta dictae dive Rosalie pro sua devotione et elemosina et non
aliter nec alio modo”, sanziona un comma della decisione comunale. “Praesente
ad hec ill.me D. Beatrice del Carretto et Xxliis comitissa dictae terre
Racalmuti tutrice eius filiorum et affittatrice status eiusdem terre
Racalmuti”, soggiunge il documento. La contessa avalla ed autorizza l’impegno
giurazio: diversamente il tutto sarebbe stato senza effetto. Va invece bene
“quoniam predicta ipsa D. Comitissa sic voluit et vult et contenta fuit et
est”, giacché essa signora Contessa così volle e vuole, fu contenta ed è
contenta.
Per di più “la predetta signora Contessa per la devozione che
nutre verso la suddetta chiesa di Santa Rosalia e la sua santa reliquia,
graziosamente concedette e concede quale tutrice e balia dei predetti suoi
figli, alla venerabile chiesa di Santa Rosalia ed alla confraternita in essa
esistente che si possa celebrare la festività con fiera in luoghi congrui ed
opportunamente benedetti, da scegliersi dai signori Giurati. E siffatta
festività e fiera (festivitas et nundinae) volle e vuole, nonché ne diede
incarico e ne dà essa signora Donna Beatrice Contessa come sopra acciocché
siano franche, libere ed esenti dai diritti di gabella spettanti al signor
Conte della terra di Racalmuto. E l’esenzione vale per otto giorni cioè a dire
da quattro giorni dalla detta festa sino a quattro giorni dopo». Un editto
feudale con tutti i crismi come si vede. Ma è l’ultimo atto della chiacchierata
contessa Beatrice del Carretto Ventimiglia di cui siamo a conoscenza che
testimonia la sua presenza a Racalmuto.
Dopo, si sarà trasferita a Palermo. Il figlio resta sotto la sua tutela sino al
diciottesimo anno. Nell’archivio di Stato di Agrigento sono conservati i
documenti del convento del Carmelo di Racalmuto. Vi si rintraccia una nota
comprovante i diritti del convento a valere sulle doti di paragio di donna
Eumilia del Carretto (argomento in seguito sviluppato). Vi si legge fra
l’altro: «Don Joannes del Carretto comes Racalmuti et Princeps de XXlijs ...
concessit cum auctoritate donnae Beatricis del Carretto et XXlijs Comitissae
Racalmuti et Principissae XXlijs eius curatricis seu procuratricis» Era il 7
maggio 1636. [27]
GIOVANNI V DEL
CARRETTO
Giovanni V del Carretto non lascia traccia alcuna di sé a
Racalmuto. Vi nacque soltanto (6 aprile 1619); gli si danno quattro nomi:
Giovanni Francesco Carlo Giuseppe; i padrini non sono illustri: Leonardo
Scibetta e Giovanna La Conta; l’arciprete non reputa di somministrare il
battesimo, delega don Giuseppe Sanfilippo. Nell’agosto del 1621 Girolamo III
ritiene di abdicare a suo favore: è un bambino di quattro anni. L’anno dopo è
già orfano di padre. Qualche anno ancora a Racalmuto e subito dopo il 1626
emigra a Palermo, senza dubbio nella nuova residenza che il padre Girolamo,
mentre era vivo, ebbe a comprare dai Vernagallo .[28]
La giovinezza di Giovanni IV a Palermo dovette essere davvero
scapigliata; ricco, senza veri freni inibitori, con una madre che ormai non ha
peso alcuno, con consiglieri predaci e compiacenti, è proprio sulla via che lo
porterà alla forca allo Steri nel 1650, per una dubbia partecipazione ad un
colpo di stato, in cui veramente implicato era il cognato che furbamente se la
squaglia in tempo.
Sciascia sbaglia dati anagrafici ma non personaggio quando
scrive «il terzo [Girolamo, ma in effetti
era Giovanni V del Carretto] moriva per mano del boia: colpevole di una
congiura che tendeva all’indipendenza del regno di Sicilia. E non è da credere
si fosse invischiato nella congiura per ragioni ideali: cognato del conte di
Mazzarino per averne sposato la sorella (anche questa di nome Beatrice [errore anche qui: invero si chiamava Maria
Branciforte, n.d.r.]), vagheggiava di avere in famiglia il re di Sicilia.
Ma l’Inquisizione vegliava, vegliavano i gesuiti: e, a congiura scoperta, il
conte ebbe l’ingenuità di restarsene in Sicilia, fidando forse in amicizie e
protezioni a corte e nel Regno. Una congiura contro la corona era cosa ben più
grave dei delittuosi puntigli, delle inflessibili vendette cui i del Carretto
erano dediti.» [29]
Ma passando dalla letteratura alla storia, è bene attenersi a
quello che sul nostro conte scrisse Giovan Battista Caruso: [30]
«Rappresentava
il Giudice a costoro, che l'accennato conte del Mazzarino (il quale avea nome
D. Giuseppe Branciforte), essendo indubitato successore del principato di
Butera, che godeva la prerogativa di primo titolo del regno e di capo del braccio militare, potea con l'appoggio
de' suoi parenti e de' suoi amici aspirare ad essere riconosciuto per principe
di tutto il regno, e così li persuase facilmente a scuoter dal collo il giogo
straniero in tempo, che, mancata la legittima successione degli Austriaci di
Spagna, e minorata di forza e di autorità la monarchia spagnuola, poteano i Siciliani
ristabilire l'antica gloria della nazione, e godere come prima un re proprio ed
interessato al comune vantaggio.
Di tali
false lusinghe ingannati gli accennati nobili, e più di ogni altro il conte di
Mazzarino, si unirono al consiglio degli avvocati e pensarono davvero
all'elezione di un nuovo principe nazionale [tutto ciò per la falsa notizia
della morte di re Filippo IV]. Al contempo i due avvocati Giudice e Pesce
tramavano [p. 117] in favore del duca di Montalto, personaggio di maggiore
importanza e che con più simulazione
aspirava al principato. Seppe egli da D. Pietro Opezzinghi, suo
confidente, i dubbi promossi per la
successione al regno di Sicilia ... Introdottone dunque col mezzo dell'istesso
Opezzinghi il trattato co' due avvocati e con gli altri lor confidenti, e molto
cooperandosi a tal disegno il celebre D. Simone Rao e Requesens, cavaliere, che
alla nobiltà della nascita accoppiava una sopraffina politica e grandissima
destrezza nel maneggiare gli affari, avvalorossi una tal pratica a segno tale,
che si vide in breve accresciuto il numero de' congiurarti con persone di prima
qualità, fra le quali il conte di
RAGALMUTO, cognato di quel del Mazzarino, D. Giuseppe Ventimiglia, fratello
del principe di Geraci, l'abbate D. Giovanni Gaetani, fratello del principe del
Cassaro, D. Giuseppe Requesens, fratello del Principe del Cassaro, D. Giuseppe
Requesens, fratello del principe di Pantelleria. D. Ferdinando Afflitto, de'
principi di Belmonte, D. Pietro Filingeri, fratello del marchese di Lucca, e
molti altri.
[p.118]
Certo però si è, che, ito egli [il conte di Mazzarino] a trovare il padre
SPUCCES, uomo de' più stimati allora fra' Gesuiti, e confidatogli tutto il
trattato, lo richiese di consiglio e di aiuto. [...] Fu rispedito il MERELLI
[genovese e spia] in Palermo con un ordine [da parte del vicerè Don Giovanni]
al capitano di giustizia, che era allora don Mariano Leofante, ed al pretore
della città D. Vincenzo Landolina, di assicurarsi prima di ogni altro degli
avvocati. Il che riuscito ... servì ai congiurati di porsi in salvo [e cioè]
l'Opezzinghi, l'Afflitto, il Filingeri ed il Requesens ... prima che don
Giovanni d'Austria colà venisse; il che fu a' 12 di novembre dell'intero anno
1649. Uscì ancor fuori dell'isola il conte di Mazzarino per sua maggior
sicurezza.... e ben potea fare l'istesso il conte di RAGALMUTO suo cognato. Temendo però egli d'incolparsi
maggiormente con la fuga, lusingossi di non venir nominato come complice da'
due avvocati e dall'abbate Gaetano, caduti nelle mani de' regi. Mentre però il
Vicerè era ancora a Messina, confessarono il Gaetani ed il Giudice tutto ciò,
che sapevano dell'accennata consulta; ed ancorché il Pesce ed insieme il
procurator Potomia negassero costantemente avervi avuto parte, furono tutti
condannati alla morte. Allora il Giudice, che di tanto male si conosceva la
prima cagione, dettò in difesa de' compagni una sì eloquente orazione, che dal
Ronchiglio consultore del vicerè venne onorato l'infelice suo autore col titolo
di Tullio Siciliano.
Né meno
dell'eloquenza del Giudice fu ammirata l'intrepidezza e la costanza del Pesce, il quale pria di morire scrisse alla
madre una moralissima lettera. Giustiziati costoro, fu ancor maggiore la
discussione del processo del conte di
Ragalmuto, e nella corte la compassione. Corse anche voce, che fosse a lui
facilitata dal vicerè stesso la fuga, per non macchiarsi le mani nel sangue di
un sì nobile e principalissimo barone: ma non ostando a ciò il segretario
Leiva, gli fu concessa almeno la scelta della morte. Contentatosi intanto il
vicerè D. Giovanni del castigo di costoro, fu imposto silenzio alle accuse
contro gli altri, de' quali il numero era assai grande, e principalmente contro
il duca di Montalto, a cui la grandezza della casa, la quantità de' parenti, il
numero de' vassalli ed il pericolo di suscitare nuovi torbidi servirono, per
così dire, di scudo. »
La cronaca
dell’incarcerazione e dell’esecuzione di Giovanni V del Carretto l’abbiamo in
un diarista palermitano: quel Vincenzo Auria che Sciascia infilza
impietosamente forse perché non tenero con fra Diego La Matina .[31] Non credo
che si possa dubitarne l’attendibilità cronachistica. Seguiamolo, dunque:
«Martedì,
11 di detto [gennaio 1650]. Fu preso D. Giovanni del Carretto conte di
Ragalmuto, come uno dei capi principali della congiura. [v. pag. 359]
«A dì 14 di
detto [gennaio 1650]. - [...] Ma se è vero ciò che si diceva, egli [il Pesce]
aveva consigliato il conte di Mazarino, che in caso della morte del re poteva
farsi re di Sicilia, come primo signore del regno, e che il conte, posto a
cavallo con le genti del conte di Racalmuto la notte di Natale di nostro
Signore, doveva occupare il castello ed uccidere gli Spagnuoli. [v. pag. 364]
«Sabbato,
26 [febbraio 1650] di detto. Fu affogato privatamente dentro del castello D.
Giovanni del Carretto conte di Ragalmuto, e nell’istesso modo il dottor D.
Antonino lo Giudice. Il conte fu convinto da testimonii d’avergli sentito dire,
ch’egli rimproverava il conte del Mazarino della tardanza dei suo trattato, e
che gli aveva promesso molte genti a cavallo de’ suoi vassalli, per effettuare
quanto egli aveva machinato. Ebbe il conte di Ragalmuto molto tempo da fugire e
liberarsi del pericolo della vita; ma infatti, violentato dal suo avverso
destino, dimorava a Palermo e vi passeggiava, come non avesse mai avuto nessuna
parte ne’ disegni del conte del Mazarino. Onde fu stimata giustissima
disposizione di S.A. e suoi ministri, per non avergli perdonato la vita, usando
sopra tutti egualmente il meritato castigo.» [v. pag. 367][32]
Forse il
conte qualche parola pietosa la meritava, ma Sciascia - come si è visto - è
stato inflessibile. E dire che forse fra quei vassalli di cui Giovanni V
disponeva a Palermo, pronti ad un colpo di stato, c’era proprio fra Diego La
Matina, allora un giovanottone scappato dal convento ed abbagliato dalle
chiemere della capitale palermitano.
Ma a parte
questa storia di vassalli racalmutesi agli ordini di Giovanni V del Carretto,
non riusciamo a cogliere un qualche spunto che possa legare la vita terrena del
nostro conte con le faccende del nostro paese.
‘’’??????????
* * *
GENESI DELLA FANDONIA DEGLI ABRIGNANO SIGNORI DI
RACALMUTO
MEMORIE DEL
GRAN PRIORATO DI MESSINA - RACCOLTE DA FRA
DON ANDREA MINUTOLO
dei baroni
del Casale di Callari, e feudi di Boccarrato - Cavaliero Gerosolimitano 1699 -
dedicate all'illustrissimo Eccellentissimo Signo mio Padrone Colendissimo il
Signor
Fra D.
Giovanni Di Giovanni de Principi di Tre Castagni ; Gran Priore di Messina, e
già di Barletta, Capitan Generale della Squadra Gerosolimitana, e Condottiero
di quella di N.S. Innocenzo xij nel 1692-1693.
In Messina
- Nella stamperia camerale di Vincenzo d'Amico 1699 - Con licenza de'
Superiori.
[Richiesta di Taverna Calogero alla Biblioteca
Nazionale Centrale V.E. di Roma
Pos. 10.7.E.3 -]
Andrea
Minutolo . Memorie del Gran Priorato di Messina - 1699 - fogli con ristretti;
2-13; 19-39; 198; 210; 214; 253; 269; 273; 294; 296.
Roma
15/4/1993.
pag.
273
FARDELLA
................... BOSCO, O DEL BOSCO....................
ABRIGNANO............FARDELLA
---------------------------------
-----------------------------------
---------------------------------------------------------------------
HENRICO
ABRIGNANO DEI
----------------------------------------------------------------
SIGNORI DI RECALMUTO, NO-
...................................................................................
BILE DI TRAPANI, E REGIO GIU-
---------------------------------------------------------------------
ZIERO, E CAPITANO 1395.
I
Francesco, Senatore, e Regio
Giustiziere, 1419.
I
Cesare 1462
I
Antonino sposò Antonina Bosco 1507
I
Giuseppe barone della Salina 1528
I
Ottofredo, Barone Scammaria, e
Senatore Tommasa (Fardella)
di Trapani, 1635
Baronessa della Scammaria
Giovanni Fardella e Bosco, Barone Cointa Abrignano, e
Fardella, Baronessa
della Ripa, Regio Giustiziero,
nobile della
Ripa, nobile di Trapani
di Trapani, Padre Madre
-----------------------------------------------
I
Fra
D. Alberto Fardella di Trapani 1633.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
FRA
D. ALBERTO FARDELLA DI TRAPANI 1633 di Giovanni Fardella e Bosco, barone di
Ripa, regio giustiziero, nobile di Trapani, padre ....... Cointa Abrignano, e
Fardella Baronessa della Ripa, nobile di Trapani, Madre.
*******************************************************************
pag.
272
FARDELLA
..............FARDELLA........................ABRIGNANO......................................VICENZO
O DI VICENZO
Vedi foglio 270 Un castello di oro con
tre torri Non ho possuto
avere la disti-
e tre ponti, in campo rosso nta notizia delle armi di
così
fu molto nobile nei trascorsi secoli
questa stirpe Abrignano nella Italia
imperoché
molti passarono nella
nostra Sicilia, dove popolarono
questa famiglia, e con la propria
virtù e valore la resero molto distin-
ta nella Città di Trapani.
Enrico
Abrignano Nobile di Trapani
I
Francesco, Senatore, Regio Giustiziere,
e Capitano di Trapani nel 1428.
I
Cesare 1462
I
Antonino ebbe in moglie Antonina Bosco 1507
I
Giuseppe si
casò con Filippa Bondino 1528
I
Onofrio, Barone della Isola, ....
Giacoma (Vicenzo) baronessa
e Saline 1563 1563
D. Giacomo Fardella e Fardella
nobile D.
Geronima Abrignano, e Vicenzo
di Trapani, padre 1606
di Trapani, Madre 1606
-----------------------------------------------
I
Fra D. Martino
Fardella di Trapani 1629.
******************************************************
Fra
D. Martino Fardella di Trapani 1629 Fra D. Alberto
Fardella di Trapani 1633.
(nipote di Vito Fardella)
(Pronipote di Vito Fardella)
(nipote per parte di madre di
(nipote per parte di madre di
Giuseppe Abrignano 1528)
Giuseppe Abrignano 1528)
di
Giacomo Fardella e Fardella di Giovanni
Fardella e Bosco
e di
Geronima Abrignano e Vicenzo e di Cointa
Abrignano e Fardella
Giacomo
Fardella è figlio di
Giovanni Fardella è figlio di
Vito Fardella e Brigida Fardella
Michele Marino Fardella e Angela Bosco
Geronima
Abbrignano è figlia di Cointa
Abrignano è figlia di
Onofrio
Abrignano e Giacoma Vicenzo (?) Ottofredo Abrignano e
Tomasa Fardella (?)
Vito
Fardella è figlio di
Michele Marino Fardella è figlio di
Michele
Fardella
Vito Fardella
Vito Fardella è figlio di
Michele Fardella
Michele
Fardella è figlio di
Michele Fardella è figlio di
Giacomo
Fardella che sposò
Giacomo Fardella Senatore e
Capitano 1516
Bianca
Barlotta 1506
Giacomo
Fardella è figlio di
Giacomo Fardella è figlio di
Antonino
I c.tto emancipazione 1490 Antonio
Fardella Senatore e regio giustiziero 1490
--------------------------------------------
Onofrio
Abrignano è figlio di
Ottofredo Abrignano è figlio di
Giuseppe
Abrignano, si casò con
Giuseppe Abrignano Barone della Salina 1528
Filippa
Bonino 1528
Giuseppe
Abrignano è figlio di
Giuseppe Abrignano è figlio di
Antonino
Abrignano sposato con
Antonino, sposò Antonia Bosco 1507
Antonia
Bosco 1507
Antonino
Abrignano è figlio di
Antonino Abrignano è figlio di
Cesare
Abrignano 1462
Cesare Abrignano 1462
Cesare
Abrignano è figlio di
Cesare Abrignano è figlio di
Francesco
Abrignano regio giustiziero 1419 Francesco Abrignano
Senatore e regio Giustiziero 1419
Francesco
Abrignano è figlio di
Francesco Abrignano è figlio di
Enrico
Abrignano 'Nobile di Trapani' "Henrigo
Abrignano dei Signori di Recalmuto, Nobile
di
Trapani, Regio Giustiziero, e capitano, 1395."
*******************************************
Pag.
294
GIORGENTI.
CARRETTO
VALGUARNERA
LUCCHESE
SIRACUSA
Un
aquila con cinque sbarre
rosse
in campo
Ritrovo
molto illustre, ed antica questa
Famiglia,
nel Regno della nostra Sicilia,
e
per le dignità possedute, e per li Titoli,
e
preminenze che fino al presente numera,
con
non poco splendore di una delle più
cospicue
prosapie del nostro Regno.
Antonio
del Carretto, dei Signori di Savona,
piantò
la sua famiglia in Sciacca, e fece acquisto
della
terra di Recalmuto nel Val di Mazzara.
I
I
Giovanni,
Barone 1401
I
Federico,
Barone, 1453
I
Hercole,
Barone.
I
Giovanni
Barone di Recalmuto, 1519
I
Federico,
1558. Leonora,(Valguarnera)
1558.
D.
Baldassare del Carretto e Valguarnera, Barone D. Maria Lucchese, e Siracusa,
Baronessa
della
Sciabica, Nobile di Giorgenti, Padre della Sciabica, Nobile
di Giorgenti, Madre.
---------------------------------
I
Fra D. Alfonzo del Carretto, di
Giorgenti, 1617.
************************************************
TRASCRIZIONE SOMMARIA DEI DIPLOMI D’INVESTITURA DEI
DEL CARRETTO DI RACALMUTO
ARCHIVIO
DI STATO DI PALERMO
FOTOCOPIE
CHIESTE DAL PROF. GIUSEPPE NALBONE
PALERMO
20\11\1993
SALA
DI STUDIO CATENA . RIPR. N. 3253 - N.
259
COPIA
DEGLI ATTI RIGUARDANTI
1)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1482 PROC. 21 - ANNO 1452 - FACCIATE 7
2)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1487 PROC. 1175 - ANNO 1518-21 - FACCIATE 11
3)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1514 PROC. 2162 - ANNO 1558 - FACCIATE 5
4)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1517 PROC. 2354 - ANNO 1562 - FACCIATE 11
5)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1538 PROC. 2872 - ANNO 1584 - FACCIATE 30
6)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1555 PROC. 3542 - ANNO 1600 - FACCIATE 9
@@@@@@@@@
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO
RICHIEDENTE NALBONE GIUSEPPE
FONDO PROTONOTARO REGNO
SERIE INVESTITURE
N. 1482 - PROC. 21
ANNO 1452
PAGINE DA RIPRODURRE 7
DATA 29/11/1993
FIRMA GIUSEPPE NALBONE
[VEDI FOTO FUORI POSTO N. 2]
N.° 21
[foto 4/b del retro]
Garrecto/di/
Federicus
Casale et
castrum Rayalmuti
documenta
1) Memoriale
Federci di Garrecto
2) Depositio
testium
----------------
[foto 5/b del retro]
presentata
Panormi pro officio Protonotari iij augusti augusti p’me ind.
Memoriale magnifici Federici de Garrecto domini et
baronis terre casalis rt castri Rayalmuti quad dat et offerit coram magnifico
domino Gerardo Aglata Regni Siciliae prothonotario ad hoc deputato pro nova
investitura de novo obtinenda supra dicto casali et castro baroniae Rayalmuti.
In primis
Item quod
magnificus dominus Mattheus di lu Garrettu fuit et erat verus dominus et
baro dictae casalis et castri Rayalmuti percipiendo fructus reditus et
proventus paficice et quiete et de hoc
fuit et est vox notoria et fama publica et ..
Item
quod dictus quondam magnificus dominus
Mattheus
[foto
6/b del retro]
de
Garrecto et quondam magnifica domina Alionora fuerunt et erant ligitimi maritus
et uxor ex quibus Jugalibus natus et procreatus fuit magnificus quondam dominus
Joannis de Garrecto qui subcessit in dicto casali et castro Rayalmuti tamquam
filius legitimus et naturalis percipiendo fructus reditus et proventus usque ad
eius mortem et de hoc fuit vox notoria et fama publica et ..
Item
quod ex dicto magnifico domino Johanne et magnifica domina Elsa jugalibus natus
et procreatus fuit dominus magnificus dominus Federicus de Garrecto ad presens
baro dictae baronie Rayalmuti et qui tamquam filius legitimus et naturalis
subcessit in baroniae predictae percipiendo fructus reditus et proventus et de
hoc fuit et est vox notoria et fama publica
etc. ..
-------
[Foto 7/b del retro]
Repertus Panormi
iiij augusti primae ind.
Testimonium magnifici Federici de Garrecto baronis
casalis et castri Rachyalmuti [reperitis
supra memoriale?] pro officio magnifici domini prothonotarii.
Honorabilis Franciscus de Oruleva [rese
tesimonianza] quod quondam magnificus dominus Mattheus di lu Garrettu fuit et erat dominus et baro
casalis et castri Rachalbuti cum omnibus eius membris (?) pheudis fructis et
pertinenciis de causa ... ... ex forma
publica referentis in civitate Agrigenti
... ex jugalibus fuit natus dominus Johannes qui successit in dicta
baronia et pheudis omnibus ... et
possedi ea durante ius vita percipiendo
et percepi faciendo fructus redditus et proventus quae admodum solvere
sunt favore baronis ...
quod
dominus dominus Johannes et donna Elsa fuerunt legitmi maritus et uxor ex
quibus fuit procreatus prefatus ... quem
... retenerunt (?) filium ...
dominus Federicus ... successit in dicta baronia cum omnibus
membris suis et proventis suis quam tenuit et possedit ac tenet et possidet
.... tamquam dominus et baro .....
[Foto
8/b del retro]
Magnificus
Manfridus de Alagna .. dixit (?) quod quondam magnificus Mattheus di lu
Garrecto fuit dominus et baro casalis et
castri Rachalmuti cum omnibus pheudis juribus et pertinenciis ... ex forma sua publica ... restoratus ..
auctoritate regis Martini... de loco et tempore ... ..
dixit
quod prefatus quondam dominus Mattheus et domina Alionora fuerunt legitimi
maritus et uxor;
quae
domina Alionora fuit soror eiusque soror soceri
(?) eiusdem et dictum socer illud referebat ... quod domina Alionora fuit soror eiusdem
soceri .. et ex quibus jugalibus natus et procreatus .. prefatus quondam
dominus Johannes ... quem prefatus dominus Mattheus tenuit et tractavit in suum
filium legitimum et naturalem et ex
quo prefatus dominus Johannes ... domini
Matthei in suum herdem ..
quod
post mortem dicti quondam domini Matthei prefatus dominus Johannes successit in
dicto casali castro et pheudis, qui tenuit et possedit dicta bona cum iuribus
et pertinenciis eorum percipiendo et percepi faciendo jura reditus et proventus
...
quod prefatus dominus Johannes et quondam Elsa
fuerunt legitimi maritus et uxor de quibus natus fuit prefatus dominus
Federicus quem tenuerunt in eorum filium legitimum et naturalem (e lo elessero in loro erede] .. ex forma
publica ... prefatus dominus Federicus
successit in dicta baronia et iuribus suis universalibus ..
---
[Foto n. 9/b del retro ]
Magnificus dominus Antoninus de Castillis .. dixit quod quondam dominus Mattheus di lu
Garrecto ut publice dicebatur in
auctoritate quondam regis Martini erat
dominus et baro casalis et Castri Rachalmuti cum omnibus pheudis et membris
juribus et pertinenciis ex quibus ...
... et percipiebat et percepi faciebat fructus redditus et proventus tamquam dominus
et patronus ...
quod idem dominus Mattheus et domina Alionora
fuerunt legitimi maritus et et uxor qui sic se tenuerunt et tractaverunt ex
quibus natus et subsceptus ... quondam dominus Johannes di lu Garrecto quem
tenuerunt et tractaverunt in eorum filium legitimum et naturalem ex eo idem
filius [divenne erede] post mortem predictorum successit in dicto ...
casali di Rachalbuto quas tenuit et possedit .. ut ex forma ...
quod idem Johannes et domina Elsa fuerunt legitimi
maritus et uxor ex quibus natus fuit ut apparet prefatus infrascriptus
[Federicus?] qui ex forma possidet ..
Honorabilis ??? ???
dixit ut ..
[Foto n. 10/b del retro]
item quod dominus magnificus Federicus de Garrecto
ad presens baro tenet et possidet baroniam predictam in casali et castro bona
fide et justo titulo ex ea percepiendo fructus
reditus et proventus pacifice et
quiete sine condicione aliqua et de hoc fuit et est vox notoria et publica et
..
------
[Foto n. 11/b del retro]
Baronia Rayalbuti
terra Rayalmuti
___&___
Magnifico
Federico de Garrecto
primae
Inditionis 1453
@@@@@@@@@@
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO
FOTOCOPIE
CHIESTE DAL PROF. GIUSEPPE NALBONE
PALERMO
20\11\1993
SALA DI STUDIO
CATENA . RIPR. N. 3253 - N. 259
COPIA DEGLI
ATTI RIGUARDANTI
2) PROTONOTARO
REGNO INVESTITURE - BUSTA 1487 PROC.
1175 - ANNO 1518-21 - FACCIATE 11
[Foto n. 13/b del retro]
1175
... Panormi in officio Regni Siciliae Prothonotarii,
die
XXVIII Januarii
VII Ind. 1519
... prcuratore Regii Fisci
ut constitit
.......
Memoriale oblatum et presentatum in officio Regni
Siciliae Prothonotarii per magnificum Ill. Artalem de Tudisco procuratorem
magnifici domini Johannis de Carrectjs filii primo geniti legitimi et naturalis
unici atque heredis universalis quondam magnifici Herculis de Carrectis olim
domini et baronis terrae Rayhalmuti ac tenentis et possidentis dictam terram Rayhalmuti cum castro et
fortilitio ac juribus et pertinencijs suis ob mortem prefati quondam magnifici
Herculis patris sui ad capiendum investituram dictae baroniae cum juribus et
pertinencijs suis tam ob mortem domini nostri regis Ferdinandi gloriosae memoriae et .... successionem catholicarum majestatum
reinae Johannae et regis caroli dominorum nostrorum invictissimorum, quam etiam
propter mortem prefati quondam magnifici Herculis eius patris.
In primis est qualiter dictus quondam magnificus
Hercules de Carrectis pater dicti magnifici don Johannis, tempore suae vitae,
et usque ad eius mortem, tenuit et possedit terram cum eius castro seu
fortilitio Rayhalmuti cum juribus et pertinencijs suis et in dicta terra
permutando cunctos officiales totiens quotiens eidem quondam magnifico Herculi
baroni placuissete et de eis percipiendo
per percepi faciendo fructus redditus et proventus ut verus dominus et
patronus.
Item
ponit qualiter prefatus magnificus dominus Johannes de Carrectis fuit et est
filius promo genitus legitimus et naturalis dicti quondam magnifici Herculis et
in talem et pro tali eum tenebat
tractabat et reputabat et ab alijs tenebatur tractabatur et reputabatur.
_______________________
Item
ponit qualiter dictus quondam magnificus Hercules de Carrectis olim dominus et
baro dictae terrae et pater dicti magnifici domini Johannis Domino placuit
mortuus et defunctus fuit in castro terrae predictae Rahalmuti de mense
Januarii VI ind. 1517 superstite et succedente in dicta baronia dicto magnifico
quondam Johanne de Carrectis eiusdem quondam magnifici Herculis unoco filio
legitimo et naturali , condito pius per eum sollemni testamento manu notarii
Johannis Antoni Quagla de civitate Agrigenti
olim die XXVII predicti mensis Januarij in quo in quo instituit suum
universalem heredem dictum magnificum dominum Johannem.
_________________________
cuius tenorem sibi protestatur
Item
ponit qualiter martuo et defuncto dicto magnifico Hercule dictus magnificus don
Johannes de Garrectis tamquam filius legitimus et naturalis dicti quondam
magnifici Herculis et legitimi successoris de dicta baronia per eius
procuratorem habuit cepit et persequtuus est actualem
[Foto n. 14/b del retro]
realem et corporalem possessionem dictae terrae
Rayhalmuti cum eius castro seu fortilitio ac juribus et pertinencijs suis pro
ut despositione constat per actum publicum celebratum in castro et terra
predictis manu notarii Antoni Quaglia de
civitate Agrigenti olim die XVI mensis Januarii VI Ind. 1517
cuius tenorem
sibi protestatum
Item ponit qualiter in hoc regno Siciliae fuit et
est fama publica et vox notoria prefatum catholicum nostrum regem Ferdinandum
gloriosae memoriae obiisse diemque suum extremum clausisse de mense januarii
anni IIIJ Ind. proximae decursae cui successit in omnibus regnis et dominiis
suis Serenissima Regina domina Johanna eius filia legitima et naturalis nec non
catholicus et invictissimus Rex Carolus eiusdem Reginae Johannae filius primo
genitus legitimus et naturalis prout fuit et est veritas.
____________________
Item ponit qualiter debitum prestare juramentum et
homagium debitae fidelitatis et vassallagij ac obtinere investituram terrae
predictae et castri una cum juribus et pertinenciis suis tam ob mortem regis
Ferdinandi gloriosae memoriae quam patris sui constituit serie creavit et ordinavit procuratorem suum
magnificum illustrem Artalem de Tudisco sicuti de procuratione constat per
instrumentum publicum celebtatum manu egregi notarii Johannis de Malta olim die
XXVI° presentis mensis Januarij VII^ Ind. 1519.
cuius tenorem
sibi protestatur
____________________________
[Foto n. 15/b del retro]
[trattasi di un
doppione della foto n. 13/b del retro]
_________________________
[Foto n. 16/b del retro]
Testes recepti et examinati per officium Regni
Siciliae Prothonotarii ad petitionem et
et instantiam magnifici domini Johannis de Carrectis filii legitimi et
naturalis quondam magnifici Herculjs de Carrectis ad capiendum investituram
baroniae Rayhalmuti tam ob mortem regis Ferdinandi gloriosae memoriae quam
magnifici Herculjs de Carrectis eius patris olim baronis et dominus dictae
terrae.
Nobilis Alonsius de Caldarone ter.. ... ... supra capitulis probatoriis dixit se
scire qualiter stando ipsu testimonio como uno degli domestichidi lo quondam
magnifico Herculi lu Garretto baruni di Rayhalmuto vidia dicto magnifico regiri
et governari la dicta terra et in quella
permutari li officiali et
rescotirisi et fachendosi rescotirj li renditi et provendi di dicta terra comu
veru signuri et patruni et canuxi lo dicto don Joanni de Carrectis esseri figlo
primogenito et unicodi dicto quondam
signuri Erculi lu Garrecto a lo quali lo dicto quondam magnifico Herculi
tenia et reputava per figlo unico et primo genito et da tucti accussì era
tenuto trattato et reputato ; lo quali
dicto quondam magnifico Herculi baruni fu mortu in lo castello di dicta
terra et lo presenti testimonio lo vitti sepelliri et scondo intisi dicto
testimonio dicto magnifico Herculi innanti sua morti fichi testamento .... ....
... premissa scire per modum ut supra
dicta ... tamquam ille qui ut domesticus dicti magnifici interfuit vidit et
audivit de tempore a pluribus annis de loco in terra Rayhalmuti et alibi.
1 5 9
Franciscus Maganero .... supra capitolis probatoriis
dixit in omnibus et per omnia ut proximi deposuerunt de suis de loco et tempore
ut supra.
1 5 9
______________________
[Foto n. 17/b del retro]
Nobilis Andreas de Milatio dextera .... supra capitolis probatoriis dixit in
omnibus et per omnia ut proximi deposuerunt de suis de loco et tempore ut
supra.
1 5 9
Nobiles Antoninus Palumbo, Alonsus de Silvestro et
Gaspar Sabia .... supra ultimo capitulo probatorio dixerunt qualiter in hoc
regno Siciliae fuit et est fama publica et vox notoria prefatum catholicum
regem Ferdinandum divi recordii haviri passato de questa vita in sancta gloria
in lo misi di ginnaro anni IIIJ Ind. proximae decursae a lu quali successiru in
tutti soj reamjet segnurij la serenissima regina dopmna Johanna sua figla
legittima et naturali et lo catolico et invictissimo re Carlo eiusdem Johannae
filius promo genitus legitimo et naturali de causa successionis intra dixerunt
premissa scire per modum ut supra dicta
sicut de loco in urbe Panhormi et alibi de tempore ab annis tribus circiter.
1 / 5 / 9
[Foto n. 18/b del retro]
Est sciendum qualiter inter alia capitula testamenti
quondam spectabilis Herculis de Carrectis baronis terrae Raxalmuti est
capitulum infrascriptum ut infra.
In nomine Domini nostri Jesus Xristi, Amen. Anno ab
incarnatione eiusdem M° Cv decimo septimo mense Januarii die vero XXVII°
eiusdem mensis januarii VI (o VII?) Ind. in oppido Raxalmuti et in castello
magnifici et spectabilis domini Herculis de Carrectis tribus candelis accensis
ad quintas horas noctis incircum.
Et quia caput et principium cuiuslibet testamenti
fuit et est universalis institutio, ideo dictus magnificus et spectabilis
dominus Herculis testator instituit fecit et ordinavit suum heredem universalem
magnificum et spectabilem dominum donpmum Johannem de carrectis suum filium
legitimum et naturalem primogenitum natum et procreatum ex se et quondam
magnifica et spectabili donna Marchisa de Carrectis olim prima uxore illustris
et spectabilis dicti testatoris in omnibus bonis suis mobilibus et stabilibus
presentibus et futuris amobilibus et amobilibus et omnibus debitoribus
ubicumque existentibus et melius apprentibus et designatis et precipue in
baronia pheudis et territoriis barOniae Raxalmuti, cum juribis redditibus
emolumentis proventibus ac honoribus et oneribus dictae baroniae debite
spectantibus et pertinentibus
____________
[Foto n. 19/b del retro]
juxta seriem et tenorem suorum privilegiorum dictae
baroniae et suorum in ea indultorum et concessorum et cum administratione
justitiae juxta formam suorum privilegiorum.
Ex actis mei notarii Antonini Quagla agrigentini.
Collectione salva.
[Foto n. 20/b del retro]
XVI mensis martii VI^ Ind. 1517 (M.° Cv decimo septimo)
Universis et singulis presentis acti publici serie
inspecturis visuris lecturis pariter et audituris pateat avidenter et sit notum
quod nobis natotario et testibus infrascriptis ad hoc vocatis et rogatis
existentibus [?] in castello terra et baronia Raxalmuti in regno Siciliae [
videri inveniri ? not..? rest..?? que infrascriptorum ? qualiter constitutis ?
] magnificus dominus Caesar [? ] de Carrectis ad infrascripta omnia
interveniens veluti procurator magnifici et spectabilis domini don Johannis de
Carrectis domini et baronis predictae
terrae et baroniae Raxalmuti filii primo geniti legitimi et naturalis magnifici
et spectabilis quondam domini Herculis
de Carrectis in dicta terra et baronia nuper mortui et vita presenti cum omni qua convenit ad infrascriptos plenitudine [po.tis ? p/ti?]
et que admodum nobis plene costitit et contineri vidimus tenore et auctoritate cuiusdam
pubblici predicti ? instrumenti in forma autentica in carta membrana omni qua
solemniter expediti ? et roborati ? in civitate Neapolis die primo martii VI^
ind. 1518 manu nobilis et egregij Bartholis Carloni de eadem civitate Neapolis
publici ubilibet per totum regnum Neapolis notarii, cepit et apprehendidit et
manu tenuit ac cepit apprehendit et manu tenet
naturalem realem corporalem possessionem predictae terrae baroniae
Raxalmuti per tactum et palpationem clavis castelli ipsius terrae et baroniae
ac per
[Foto n. 21/b del retro]
portam et cantarum eiusdem castelli ipsamque portam
propriis manibus aperiendo et claudendo ac egrediendo et ingrediendo ex eo et
per eum ad libitum volentis [?] nemine contradicente indignum vere capte et apprehense
possessionis naturalis realis et corporalis terrae et baroniae predictae cum
omnibus et singulis suis juribus et omnibus pertinenciis et eius integrum
stetit ? ad ipsam terram et baroniam quominus dominumque et qualiter unquam
spectantibus et pertinentibus juxta formam seriem et continentiam privilegiorum
ipsius baroniae [continuando
?consentendo?] nobis cum notario et testibus infrascriptis terram predictam et
deambulando per eam nemine contradicente indignum vere captae et amprehensae
possessionis naturalis et corporalis baroniae et terrae predictae cum omnibus
suis suo integro statu quos (?) opus est et continuando eamdem possessionem ut
supra apprehensam et captam mutavit et deposuit in ipsa terra officiales et in ea hos creavit officiales videlicet in primis creavit et
fecit capitanum eiusdem Nardu lu Nobili, nob. Scipionem lu Carrecto eum
judiceme; item magnificum dominum Paulum de Mistrectis ut dicitur regium ?
militem (o militarem) judicem ordinarum ? dictae terrae et baroniae; Item
juratos ..ecum (Henricum?) lu Nobili, Petrum de Acquisto; Vitum Taybi et
Andream Gulpi; item castellamum in castello predicto magnificum dominum
Johannem Benignum de Tudisco; item segretum eiusdem magnificum Silvestrum de
Urso; item magistrum notarum ipsius terrae
magnificum Gilibertum de Tudisco unde de premissis indignum vere
[Foto n. 22/b del retro]
continuatae et apprehensae possessionis naturalis ad
cauthelam ? et requisitionem ipsius magnifici domini procuratoris procuratorio
nomine quo supra et cuius seu quorum
inter eum vel inter eos poterit in futurum pactum est presens ? actum publicum suis loco tempore et
valiturum
Testes
Magnificus Mattheus de Carrectis et magnificus Jo. Artalis Tudisco magnificus
... Torres et nobilis Jacobus de Allecto
Ex actis meis notarii Antonini Quagla agrigentini.
Collatione salva.
[Foto n. 23/b del retro]
Die
XXVI^ Januarii VII^ Ind. 1518
Magnificus
don Joannes de carrectis baro et dominus terrae Raxalmuti paesens coram nobis
sponte omni meliore modo via et forma quibus melius dici et fieri potest
constituit fecit creavit et sollemniter ordinavit in suum verum et indubitatum
procuratorem actorem nuncium specialem
ad ... magnificum Joannem Artalem
Tudisco presentem et onus infrascrittae procurationis in se voluntarie
suscipientem ad comparendum nomine et
pro parte dicti magnifici constituentis coram illustri domino pro rege et
capiendam investituram terrae cum castro cum toto integro statu et juris
ditionibus baroniae et terrae Rayhalmuti
tam ob mortem gloriosae memoriae regis Ferdinandi et successionem
invectissimarum catholicarum majestatum reginae Joannae et regis Caroli
dominorum nostrorum invictissimorum quam ob mortem quondam magnifici Herculis
de Carrecto eius patris et in manibus
illustris et potentis domini viceregis juramentum et homagium debitis
fidelitatis et vassallagii nomine et pro parte dicti magnifici constituentis
prestandum et ad omnia alia et singula faciendum que ad capiendam dictam
investituram necessarias fiant permittens dictus magnificus constitutiones sub
ypoteca et obligatione et etc. et
juravit et etc.
Testes
nobilis Petrus Pasta et magnificus Vitus Paladello
Ex
actis meis no. Joannis
de Malta ... extratta est praesens copia
mani aliena.
Collatione salva.
[Foto n. 24/b del retro]
Pro
Magnifici don Joannis de Carrectis baronis Rayhalmuti investitura
VII^ Ind. 1519
1518-19
februarii VII^ ind.
,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,,
fiat investitura ad impensis ...
--------------------------------------------
_____________________________
[Foto n. 25/ b del retro]
ARCHIVIO DI STATO - PALERMO
Richiedente: Giuseppe Nalbone
Fondo Archivistico : PROTONOTARO REGNO
Serie: Investiture
n.° 1514 PROC. 2162 anno 1558
microfilm facciate 5
-------------
[Foto n. 26/b del retro]
Mess.ae [Messina] die ultima februarii p.^ ind.
in officio protonotharii regni Siciliae
Joannes Gisulfus
...
Die ultimo januarii VII^ ind. 1519 apud urbem
felicem Panormi et in sacro regio hospitio magnificus Jo: Artalis Tudisco
procurator ut constitit procuratorio instrumento celebrato manu notarii Joannis
de Malta olim die XXVI januarii VII ind. ... ... magnifici don Joannis de
Carrectis filii primo geniti legitimi et naturalis quondam magnifici Herculis
de Carrectis olim baronis terrae Rayhalmuti
ac tenentis et possidentis terram predictam Racalmuti cum eius castro ob
mortem quondam predicti magnifici Herculis eidem predicti secuti de successione
primogeniturae atquae successionis
procuratione ? et aliis constituit per
testamentum celebratum predictum quondam .... eius patrem manu notarii Antonini
Quagla de circoscriptione Agrigenti olim die XXVII Januarii 1517 ...
possessionis celebrate in oppido Racalmuti die XVI martii VI^ ind. 1517 ... in
...eventi per offertam Regni Siciliae
prothonatario .. testamentum actum
possessionis ... ipsos una cum
procuratione predicta vidit et
recognovit pro ut cautela magnificus regius cancellarius dominus A... de
Biscardis u.j.d. et pro. f. p. constitutus atque procurator
ipsum procuratorio nomine quo supra ... in presentiaill. et potentis domini magnifici Hectoris Pignatello comitis
Montis Leonis huius Regni Siciliae Pro regis pro terra prodicta cum eius castro seu fortilitio jam ob mortem catholici et
invictissimi regis Ferdinandi gloriosa memoria et succssionem catholicorarum
Mjestatuum Reginae Joannae et regis
Caroli castella Aragonum utriusque Siciliae Regnum et Jerusalem et cetera
invictissimum heredum et successorum suorum in perpetuum quam ob mortem dicti
quondam magnifici Herculis legitimi et
homagium debitae fidelitatis et vassallagii in manibus et posse dicti
illustrissimi magnifici viceregis manibus et ore eorum dominorum in forma
debita et consueta
[1])
Ciò che alla morte del prelato ricade nel dominio del Governo durante la sede
vacante: spoglio.
[2]) Archivio Segreto Vaticano - Relationes ad Limina - 18A - f.
1.
In
spagnolo, il Covarruvias così presentava il Capocho alla Sacra Congregazione
competente:
«Quando no veniera negocios en esta Corte a
que embiar a Don Alexandro Capocho mi secretario, me diera contento embiarlo a
hacer riverencia a V.S.Ill.a y darle cuenta de las cosas de por aca, como lo
hara Don Alexandro ...el obispo de Girgento».
[3])
Cfr. Atti Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O
N I - 1582-1600. E’ ivi annotato: «Di la
maiori ecclesia di Racalmuto pigliao possisioni don Andria Argumento a li 7 di
marzo XIII ind.1600».
[4])
Archivio di Stato di Palermo - Tribunale Real Patrimonio - Riveli - Busta n.°
596 - anno 1593 - pag. 807-807v.
[5])
Archivio di Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio - Riveli (Gancia).
[6])
AMICO Vito Maria - storico e geografo (Catania 1697 - ivi 1762), monaco
benedettino, priore di vari conventi
del suo ordine, professore di
storia civile nell’università di Catania (1743), dal 1751 storiografo regio
sotto Carlo III di Spagna; è autore del “Lexicon topographicum Siculum”
1757-60) (tradotto da G. Di Marzo nel 1855 in “Dizionario topografico della
Sicilia” - 2 voll.).
[7])
Dalle Istruzioni date in Palermo il 20 aprile 1651 risulta che, tra l’altro, il
formulario del rivelo doveva dispiegarsi come segue:
Alfine di ogni rivelo si doverà fare il suo Ristretto in questa
seguente forma. cioè:
·
N.N. -
Nome e cognome del rivelante.
·
Maschi
d’età ...........................................N. 5
·
Maschi di
altra età ..................................N. 8
·
Femine di
ogni età ..................................N. 17
·
Somma delle
anime N. 30
·
Cavalli
................................................. N. 3
·
Giumente
............................................. N. 2
·
Bovi
................................... ................ N. 10
·
Vacche
lavoratorie ............................. N.
8
·
Beni
stabili 564
·
Beni
mobili 64.914 . . .
onze 1214
·
Gravezze
stabili 34.823
·
Gravezze
mobili 56.319 . . . onze 91412
·
Resta di liquido onze
290 20
N. N. sottoscrizione del
rivelante.
[Da Maggiore-Perni, op. cit.
pag. 129-130]
[8])
Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 532.
[9])
ibidem
[10])
ibidem
[11]) ibidem
[12])
ARCHIVIO VESCOVILE DI AGRIGENTO - REGISTRO VISITE 1608-1609 - MONSIGNOR Dn
VINCENZO BONINCONTRO - VESCOVO DI GIRGENTI (RACALMUTO PAG. 244 aggiunto: 203).
[13])
Archivio Vescovile Agrigento - Registri Vescovi 1622-1623 - f. 412v
[14])
Giuseppe Sorge - Mussomeli ... vol. II, pag. 95 vi rinviene una famiglia
Cinquemani “di cui le prime notizie rimontana al 1584.
[15]
) Archivio di Stato Palermo
Palagonia n.° 709 Anni 1613-1749
[n.° 3] Relationes Burgentium Terrae Racalmuti [f. 141-149]
J.M.J.
Possessores status Regalmuti, qui
aliunde ab omnibus gabellis exemptus existit, jus habent exigendi à Vassallis,
extra territorium serentibus, terraggiolum ad quantitatem salmarum duarum pro
qualibet salma terrae serendae, sive ista sit propria secularium, sive
Ecclesiasticorum.
Promanat jus hoc ex immemoriali
praescriptione, de qua habetur ratio in transactione anni 1580, inter Comitem
et Populum adstipulata, et ex eadem transactione ipsa, in qua nedum fatentur
contrahentes, huiusmodi juris titulum promanare ex contractu et sententia
compromissoria (licet instrumenta haec cum die et consule enunciata non
videantur) verum etiam terragiolum praedictum in quantitate salmarum quatuor
esse, ac semper fuisse solutum, et comitem transigentem in possessione actualis
exactionis tunc extitisse.
Profecto tamen transactioni
praedictae causam dedit judicium à vassalis
contra dominum in Magna Curia institutum super exemptione ab huiusmodi,
alijsque juribus praetensa, quod, cum per nonnullos annos agitatum fuisset,
denique perpertuum passum est silentium, media transactione facta cum
interventu jurisperiti a magna curia destinati et accedente totius populi
consensu, ex qua, ultra quam plures gratias à comite vassallis concessas,
reportarunt isti relaxactionem medietatis huiusmodi terraggioli, quod è
quantitate salmarum quatuor frumentorum pro qualibet terrarum salma, ad binas
redactum fuit.
Populus autem, postquam sub ista
transactionis lege usque ad annum 1609 steterat, cogitavit hoc terragioli onus
à se excutere, media soluctione scutorum triginta quatuormille, proprio domino
promissa per aliam transactionem eodem anno factam, in qua fructus ad rationem
de septem conventi fuere, donec solutio ipsa adimpleta non fuerit.
Pro soluptione summae promissae,
de permissu Magne Curiae Rationum, nonnullas sibi Populus gabellas imposuit;
earum tamen iugum ferre nequivit, quia omnis fere incola praemebatur quando
aliunde soli burgenses semina in agris emittentes terraggiolum domino
persolvere debuissent; qua de re, anno 1613 detempto novo consilio, praeviis
literis regij patrimonij, obtentis sub injunctione ad se opponendum comiti
facta, de nullitate transactionis anni 1609 dicere praetendebant, ad hoc ut ad
illam anni 1580 regredi cives potuissent, dum 700 familiae è terra
discesserant.
Porro Comes benignè annuens, per
novam transactionem anno praedicto 1613 adstipulatam, secundam delendo, ab ea
recessit, illamque una cum vassallis ratham habuit, quae de anno 1580 primo
conventa fuerat ac insuper fructus ei non soluta super capitali iam dicto
dimisit, et haec finalis conventio usque ad praesens exequuta videtur.
Pervento autem dicto statu de
anno 1716 in illustrem ducem D. Aloysium Gaetano, ipse, ut facilius vassalli
seminerijs operam darent, de permisso praesidis de Drago Judicis Deputati, ab
illis pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis exegit, alia vero
medietas duci, status praedicti semper gabelloto, ab eodem de Drago pro computo
gabellae compensata fuit.
Praemissorum verum prorsus
inscius noster cliens, ad Magnam Curiam die 23 Settembris nuper elapsi recursum
faciendo, exposuit, ex immemorabili praescriptione usque ad annum 1716
quemlibet ex vassallis extra statum serentem in feudis tam secularibus, quam
ecclesiasticis solvisse Domino, eiusque gabelloto terragiolum praedictum ad
dictam quantitatem salmarum duarum pro qualibet salma terrae satae, ipsumque de
permissu praedicto, ut ad seminerium illos provocaret, exigisse dimidium,
alterum vero eidem à judice deputato compensatum fuisse, pro ut ex documentis
compensantionum, et ex testibus possessionis extremum deponentibus apparebat;
proindeque petiit et obtinuit manutentionis posessionis literas in jure
exigendi dictum integrum terraggiolum, dummodo quod in eius facultate sit,
illud pro dimidia exigere, absque eo quod ex huiusmodi facultativo actu favor
vassallis quaetatur, vel domini jus praejudicatum remaneret, quae sane literae
de mense settembris in dicta terra presentatae, atquae exequutae fuerunt
eodemque modo die trigesimo octobris in Civitate Agrigenti.
Praemissorum etiam inscium
Monasterium Sancti Martini possessor feudorum Cimiciae et Aquiliae prope dictum
statum sitorum petiit die 9 octobris, per eius memoriale, exemptionem a
soluctione huiusmodi terraggioli favore civium Regalmutentium, qui dicta feuda
sererent, ea ratione quia ex vi eius privilegiorum à Pontificibus atque Regibus
concessorum atque ordinationum et determinationum contra dominos dicti status
obtentorum, et potissimum de anno 1711. 16 settembris a Magna Curia Episcopali
Agrigentina, cives praedicti dicta feuda serentes immunes ab immemorabili
fuere, unde literas obtinuit monasterium ut infra:
A detto manasterio l’habbiate e dobbiate eseguire, ed osservare,
inviolabilmente et ad unguem, li precitati privileggij ed ordini a suo favore
concessi sopra le dette immunità ed esenzioni, giusta la loro serie, continenza
e tenore dalla prima linea sino all’ultima e di parola in parola conforme
stanno, ed in vista delli moderni, costandovi delle sudette immunità ed
esenzioni, come sopra espressate, abbiate e debbiate in esse manutenere,
difendere e conservare à detto Venerabile Monastero e tutti gl’arbitrianti e
coltivanti le dette terre di detti feudi di Aquilìa e Cimicìa anche che fossero
terrazani ed abitanti di detto stato e terra di Regalmuto, come esenti ed
immuni di ogni dritto ed aggravio, ed in particolare di detto terraggiolo che
si pretende esigere. Et avertendovi sempre di deportarvi juris et rithus ordine
servato, senza dar motivo a niuna delle parti di contro voi reclamare nella
distribuzione della Giustizia, che in virtù delle presenti dovrete compartire.
Praedictarum literarum sigillatio
impedita Monasterio fuit à Cliente per emparam generalem sigillis appositam
proindeque die 11 octobris actus incitata parte expeditus apparet, quo
praefigitur:
Pro interinaria providentia incolae et vassalli dictae terrae Regalmuti
possint et valerant colere et arbitriare terras praedictorum feudorum di
Cimicìa et Aquilìa propriorum ipsius Monasterij et in hoc servetur pro ut
hactenus servatum fuit non obstantibus quibuscumque bannimentis, ordinationibus
et alijs emissis et datis et in posterum emictendis de ordine dominorum et
possessorum dictae terrae et status Regalmuti super pretenso jure exigendi
terraggiolum, pro cuius exactione vel exclusione sint et intelligantur
observata jura utrique parti in judiciis forsan proponendis.
Pro comparatione itaque de
proximo facienda, in qua Monasterium pro suarum literarum sigillatione
instabit, credimus, omni jure esse respondendum, obstare Monasterio clientis
literas manutentionis possessionis iam executas, nec aggi de possessorio
adipiscendae, proindeque teneri monasterium, si quid praetenderet,
principaliter agere in petitorio magis quod eidem obstant transactiones, de
quibus supra, quibus non rescissis, audiri non potest.
Propterea nec privilegia, nec
determinationes, quae Monasterium fortasse habet sub pacto de non revelando,
clienti obstare possent, dum extremum suae possessionis in hoc jure exigendi ab
immemorabili satis, superque probatum fuit testibus, quorum depositionis vigore
absque clausulis literas praedictas cliens impetravit, qui, licet vassalli
sint, favore tamen domini deposuisse non dicuntur, una semel quod contra
semetipsos deposuere. potissimum quia monasterium hoc extremum non probavit, et
ea de quibus se iactat in literis, non
habet, habere non potest, et si per possibile darentur, non officerent. Non
enim habet, quia si habuisset, illa enunciasset in literis; quem ad modum
enunciavit literas Magnae Curiae Episcopalis Agrigentinae de anno 1711 habere
non potest, quia si habuisset, eadem executioni demandasset, et status
Regalmuti possessores minimè per immemoriale hoc datium vassallorum exegissent
ab his, qui feuda monasterij severunt; denique etiam si haberent non
officerent, quia non executa fuere. Unde semper ad petitorium eidem Monasterio
recurrendum esset, in quo sane judicio, non vidimus, quo jure, quove medio
Monasterium cum aliena jactura obtinere possit, dum non solum contra idem
militant transactiones praelaudatae inter dominum et vassollos, tribunalibus
approbantibus, initae, contractus, sententia compromissoria et immemorilis
praescriptio in eisdem transactionibus enunciata, de quibus hodie cliens docere
non tenetur, quia defentiones, atque probationes sunt peremptae, et per
accordium sopitae, imo super eis impositum perpetuum silentium; verum etiam et
jura contra vassallos conclamant, dum isti etiam si ecclesiastica feuda
colerent, et inquilini dicerentur ecclesiasticorum feudorum, non gaudent de
jure illis immunitatibus et exemptionibus, quibus huiusmodi feudorum
possessores potiuntur.
Postremo Literae Magnae Curiae
Episcopalis Agrigentinae anno 1711, 16 settembris impetratae et de mense
octobris 1738 renovatae officere clienti non possunt: sunt enim parte incitata
concessae, et Vicario Regalmuti /directae,
quae licet in Curia Spirituali Regalmuti/ praesentatae detegantur,
executioni datae non videntur in Curia temporali, et earum vigore ad aliquid
processum fuisse non apparet, fortius quod ibidem asseritur huiusmodi
exemptionem fuisse ab Ill.ri de Drago Judice Deputato decisam in causa tunc cum
rev. Clero vertente, et tamen de hac decisione non constat.
Promodo ergo quae scripsimus
altiori DD.VV. Judicio submittimus, ut clientis jura protegatis, quae tamen de
novo emergerent, novo indigebunt examine.
[Memoria non datata, ma sicuramente di poco posteriore al 1738]
[16])
Vedasi la nota apposta nel Libro dei Morti del 1667 presso l’Archivio della
Matrice di Racalmuto. Il 26 agosto del 1667 muore il padre fra Giovan Battista
FALLETTA degli Ordine degli Eremiti di
Sant’Agostino della Congregazione di Sicilia all’età di 63 anni. Ad assisterlo
è il confratello P. Salvatore da Racalmuto, agostiniano, un frate in odore di
santità, che solo in questi ultimi tempi si cerca di farlo emergere dalle
nebbie di un colpevole oblio. Per volontà del vescovo agrigentino frà Ferdinando Sancèz de Cuellar, invero in
esecuzione di disposizioni pontificie, il Convento di S. Giuliano di Racalmuto
andava chiuso, per carenza di uomi e di mezzi.
Fra Giovan Battista Falletta veniva pertanto sepolto nella Chiesa Madre,
anziché a S. Guliano, dato che, come viene annotato: «stante soppressione conventui Sacre
Congregationis per decretum sub die 26 augusti 1667 ». Ma il Convento riaprì e sopravvisse per un altro secolo
almeno.
[17])
Leggasi quanto elucubrato in Morte dell’Inquisitore a pag. 182 dell’edizione
Laterza 1982. Per inciso, è tutt’altro che provata la storia del priore
agostiniano mandante dell’omicidio di Girolamo del Carretto, avvenuto il 1° (e
non 6) maggio del 1622, ammesso che di omicidio si sia trattato e non della
stroncatura per “un morbo” del venticinquenne conte di Racalmuto.
[18])
Archivio Segreto Vaticano - Sacra Congregazione dei Vescovi e Religiosi - Anno
1602: positiones D-M.
[19])
ASV - SCVR - anno 1601: positiones G-M.
[20])
ARCHIVIO VATICANO SEGRETO - SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI - PROCESSI nn. 28;
2169; 2170.
[21])
ARCHIVIO PARROCCHIALE DELLA MATRICE DI RACALMUTO - LIBER MORTUORUM 1811. Dove
fosse quella piazza ove veniva eretto il patibolo non sappiamo con certezza:
tutto però induce a pensare che si trattasse della parte antistante l’attuale
Piazzetta Crispi. Il toponimo tradizionale del «cuddaro» sembra comprovarlo. L’attribuzione di quel macabro posto
alle male esecuzioni dell’Inquisizione - come fa Sciascia - puzza alquanto di
astioso anticlericalismo.
[22])
Vincenzo Di Giovanni - Palermo Restorato - Palermo 1989, libro quarto, pag. 335. Per un
approfondimento si leggano le splendide pagine di C.G. Garufi: Fatti e
personaggi dell’Inquisizione in Sicilia - Palermo, Sellerio - pp. 255
e 262-263.
[23]
) Cfr. catalogo su Pietro d’Asaro “il Monocolo di Racalmuto - Racalmuto 1985
- pag. 72
[24]
) Archivio Vescovile di Agrigento - Registri Vescovi 1622-1623 - f. 230r-231 -
die 24 januarii 1623.
[25]
) Archivio Vescovile di Agrigento - Registri Vescovi 1622-1623 - f. 412v - die
3 settembre VII ind. 1622.
[26]
) Archivio di Stato di Palermo - Protonotaro del Regno - Processi investiture -
busta n.° 1560 - proc. N.° 4074 - anno 1621- Sotto la data del primo settembre
si può leggere:
Memoriale quod dat, presentat et
offert in officio Regni Siciliae Protonotarij Joannes Antonius Scamardi
procurator substitutus U.J.D. d. Vincentij del Carretto procuratoris illustris
d. Beatricis del Carretto comitissae Reacalmuti, gubernatricis et administratricis don Joannis del Carretto comitis Racalmuti
vigore procurationis in actis notarij Angeli Castrijoannis terrae Racalmuti die
X julij 4 ind. 1621 et substitutionis in actis notarij Annibalis Musanti die
XXVI augusti 4 ind. 1621 tenens et possidens dictus ill. don Joannes dictum
commitatum cum juribus et pertinentijs suis omnibus pro se suisque heredibus et
successoribus in perpetuum, in quo comitatu terrae Racalmuti cum castro
successit ob donationem sibi factam de dicto comitatu ab illustre don Hieronimo
del Carretto eius patre vigore donationis in actis notarij Angeli Castri
Joannis terrae Racalmuti die x julij 4 ind. 1621 pro capienda investitura ob
donationem predictam et successionem troni regis D. Philippi 4 ob mortem
rerenissimi regis d. Philippi 3.
Item ponit et vult probare
qualiter dictus ill.is d. Hieronimus tenuit et possedit dictum comitatum et
terram Racalmuti cum castro cum iuribus et pertinentijs suis omnibus ut per
investituram per eum captam die 14 augusti 4 ind. 1610.
Cuius tenorem sibi protestatur si
et quatenus
Item ponit et vult probare
qualiter dictus ill.is d. Hieronimus fecit donationem de dicto comitatu et
terrae Racalmuti cum castro dicto ill.i d. Joanni eius filio primogenito
legitimo et naturali et indubitato successori virtute actus donationis superius
calendati.
Cuius tenorem sibi protestatur si
et quatenus..
[f. ...]
Item ponit et vult probare
qualiter dictus ill.is d. Joannes ad presens tenet et possidet dictum Comitatum
et terram Racalmuti cum castro virtute actus possessionis in actis notarij
Angeli de Castro Joanne die X° mensis Julij 4 ind. 1621.
Cuius tenorem sibi protestatur si
et quatenus
Item ponit et vult probare
qualiter dicta ill.is donna Beatrix del Carretto fuit creata gubernatrix et
administratrix d.i ill.is d. Joannis comitis Racalmuti, virtute actus eiusdem
donationis
Cuius tenorem sibi protestatur si
et quatenus...
Item ponit et vult probare
qualiter dictus ill.is d. Joannes volens se persolvere et conferre ad capiendam
investituram constituit eius verum legitimum et indubitatum procuratorem dictam
illustrem d. Beatricem U.J.D. Vincentium del Carretto cum potestate
substituendi et dictus U.J.D. d. Vincentius substituit Joannem Antoninum
Scamardi pro capienda investitura et prestandum juramentum et homaggium
fidelitatis et vassallagij ut patet per procurationem et substitutionem supeius
calendatam
Quorum tenorem si protestatur si
et quatenus..
[27])
Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - Vol. 508 - f. 35,
[28]
) Significativo il passo dell’atto di donazione di Girolamo III del Carretto
del 1621 che recita: « alijs per modum ut infra ipse d. Hieronimus comes per se
et suos etc. donavit et donat dedit et dat et ipsius donationis titulo et omni
alio meliori modo habere licere concessit et concedit predictis d. Joanni et
donnae Dorotheae eius filis alijsque filijs utriusque sexus nascituris absentibus me notario pro
eis et eorum heredibus et successoribus in perpetuum stipulante et recipiente
equis etiam portionibus omnia et singula eius bona mobilia stabilia ubicumque
existentia vasa argentea et aurea jugalia pecudes petras pretiosas paramenta
sericos servos et servas et animalia
cuiuscumque generis et speciej frumenta ordea legumina vina et pariter totum
mobile domus ipsius donantis et extra nec non dicto don Joanni soli eius filio
primogenito suisque successoribus in dicto statu et comitatu in futurum et in
perpetuum succedentibus quondam eius tenimentum domorum consistens in pluribus
corporibus et membris cum eius viridario, aqua fluente membris et pertinentiis
ipsius cum integro et indiminuto statu situm et positum in felice urbe Panormi
et in quarterio Xhalciae in contrata nuncupata di lo Allauro qauod olim erat
quondam Alvari Vernagallo prope ecclesiam divae Mariae Itriae et secus alios
confines emptum per ipsum comitem ab heredibus dicti quondam Alvari Vernagallo
virtute contractus in attis predictis de Musanti die XIJ mensis Junij Primae
Inditionis 1618 et hoc cum onere solvendi per dictum d. Joannem eiusque heredes
et successores in eo in perpetuum uncias centum quadraginta otto anno quolibet
dictis heredibus jura census ac etiam jus proprietatis unc. sex sacrae domui
mansionis predictae urbis juxta formam dicti contractus et aliorum actionum
contractuum et scripturarum in eo calendatorum et denique dictis don Joanni et
donnae Dorotheae alijsque filijs nascituris ut supra omnia et singula alia eius
bona mobilia .. ». Sui Vernagallo di Palermo cfr. Di Giovanni, Palermo Restaurata, op. cit.
[29]
) Leonardo Sciascia, Morte dell’inquisitore, op. cit. pag. 182 e segg.
[30]
) Gio. Battista Caruso, Storia di Sicilia, PUBBLICATA
CON LA CONTINUAZIONE SINO AL PRESENTE SECOLO PER CURA DI Gioacchino di MARZO Palermo 1878 - Vol. IV - LIBRO XIV [p. 116]
[31]
) Leonardo Sciascia, Morte dell’inquisitore, op. cit. pag. 177.
[32]
) Dal Diario delle cose occorse nella città di palermo e nel regno di Sicilia
dal 19 agosto 1631 al 16 dicembre 1652, composto dal dottor D. Vincenzo Auria
palermitano, dai manoscritti della Biblioteca Comunale a’ segni Qq C64a e Qq A 6, 7 e O - pubblicato a Palermo nel
1869 da Gioacchino di Marzo (pagine citate nel testo).
[33])
In piena contraddizione dunque con fra Alberto Fardella (vedi sopra) che
pretendeva che a quel tempo fosse barone di Racalmuto Enrico Abrignano.
[f. 40 r]Unc. 1.- 3.
Concessio Cappellae condam Monserrati de Agrò
Pro ven: eccl. Sanctae
Mariae contra Orlandum Messina et
consortes.
Nota a fianco: L’onza 1 di rendita
resa da Orlando di Messina è riscattata come alli atti di not. Natali
Castrogiovanni di Racalmuto.
Die xij° septembris x^ ind.
1596.
Cum hijs diebus praeteritis
existente condam don Monserrato in lecto infirmo corpore manu mea notarij
infrascripti facta est quadam donatio, metu et causa mortis pro Deo et eius anima, nonnullorum bonorum cum quadam
clausola quod secuta morte ditti don Monserrati, Paulinus Agrò donatarius simul
cum Francisco Grillo cadaver don Monserrati humare inserint in ven. eccl.
Sanctae Mariae Maioris, in quadam cappella electa per ispsum don Monserratum
prope Cappellam Sanctae Mariae Itriae, in frontispicio Imaginis Sancti
Francisci de Paula, pro qua quidem Cappella consignarentur unc. una et tt. tres
redditus emendi de illis unc. 11 debitis per Orlandum Messina et consortes,
juxta formam bullae apostolicae et regiae pragmaticae, pro concessione dittae
cappellae et locus sepolturae pro ut et quem ad modum clarius continetur et
apparet vigore dittae donationis causa mortis, celebratae in attis meis not.
infrascripti die xxvj° mensis augusti
nonae inditionis prox. praet. 1596 ad quam in omnibus et per omnia plena
habeatur relactio et me refero; volens dictus dictus Paulinus adimplere bonam
optimam dispositionem dicti quondam don Monserrati eius avunculi requisivit
rectores dictae ven. eccelsiae quatenus dignarentur concedere dittam cappellam
et locum sepulturae. ..
dicti rectores ven. eccl.
Sanctae ... fuerunt et sunt contenti eidem Paulino Agrò eamdem Cappellam et
locum ad effetum in ea divinus cultus operatur concedere quod futura memoria et
tandem ad infrascriptum attum concessionis dictae cappellae deventus (?) fuit et est modo forma quibus
infra.
Ideo hodie praesenti die
praeterito magister Rogerius La Scalia et Sebastianus Macalusio huius terrae
Racalmuti mihi notario cogniti coram nobis intervenientes ad haec veluti duo ex
rectoribus ven. eccl. Sanctae Mariae Maioris cum consensu, interventu et expressa voluntate infrascriptorum
confratruum eiusdem ecclesiae hoc est Angeli de Jannuctio, Jacobi Averna, Jo:
Antoni de Acquista, Thomae Sancto Angilo, Joseph Morreale, Petri Francisci La
Licata, Pauli Francisci de Giglo, Gerlandi La Mendula, Antonini La Lattuca,
magistri Mariani Morreale, magistri Philippi Bocculerio, Petri La Licata, Pauli
Matthei La Paxuta, Vincentii Nalbuna, Nicolai Jannuczo, Cesaris Falletta,
magistri Francisci Bonfigli confratruum ecclesiae ut mihi notario cognitorum
praesentium volentium et se contentantium unanimiter et nemine discrepantium ut
dixerunt et non aliter sponte dictis nominibus pro dicta ecclesia et
successoribus in ea in perpetuum concesserunt et concedunt ac assignaverunt et
assignant titulo et causa huius dictae concessionis et assignationis et omni
alio meliori modo et nomine habere licere concesserunt et concedunt ut supra
praedicto Paulino de Agrò condam Simonis eiusdem terrae Racalmuti mihi quoque
notario cognito presenti et stipulanti
pro se heredibus et successoribus in
perpetuum recipienti dittam cappellam fundatam intus dictam ecclesiam Sanctae
Mariae Majoris prope Cappellam Sanctae
Mariae Itriae in frontispicio cappellae Imaginis
Sancti Francisci de Paula electam per dictum condam don Monserratum et hoc cum
et sub omnibus et singulis juribus privilegijs et alijs ad dictam Cappellam
debite spectantibus et pertinentibus et non aliter nec alio modo.
Totam dictam Cappellam ut supra
concessam et assignatam cum omnibus et singulis juribus et justis et legitimis pertinentijs suis
universis et cum omnibus hipothecis.
Francam quidem liberam inmunerem
exemptam et expeditam ab omni et quovis onere censuque et cuiuslibet alterius
generis servitutis et gravaminis.
Ad habendum per dictum de Agrò et eorum & dittam Cappellam ut supra
concessam et assignatam cum omnibus et singulis juribus et pertinentijs suis
universis ab hodie ac de inceps et ex nunc in antea tenendum possidendum dandum
utifruendum et gaudendum. In qua quidem cappella ut
supra concessa possit dictus Paulinus facere eius sepulturam sive carnaleam et
altare et alia pro eius decoro, necessaria ad eam erettionem
per modum ut supra.
Et hac ex causa praedictus Paulinus de Agrò pro dotatione et
concessione cappellae et loci pradicti ad effettum complendi dispositionem
dicti condam don Monserrati eius avunculi super debitum unc. 11 per Orlandum et
Paulinum Messina tandem praedictus Orlandus et Paulinus de Messina pater et
filius huius terrae pradictae Racalmuti mihi notario cogniti praesentes coram
nobis unam simul ... in solidum se
obligantes .. per eos e et suorum
heredes et successores in perpetuum cum infrascripta tamen clausola termino et
pacto reddimendi mediante pro ut infra praedictis unc. undecim quas tenentur
solvere dicto condam de Agrò pro pretio unc. .. vigore contractus fatti in
actis meis die & et de ordine
intervento et expressa voluntate dicti Paulini de Agrò praesentis
volentis ita mandantis et se contentantis ac etiam de ordine et intervento
Francisci Grillo Fiderici conmessarij et exequitoris dispositionis ditti condam
don Monserrati vigore dictae donationis causa mortis superius calendati a quo
dittus Paulinus asserit habere speciale mandatum vendiderunt et subjugaverunt
et ipsius venditionis et subjugationis titulo et causa habere licere concesserunt et concedunt praedictis magistro
Rogerio La Scalia et Sebastiano Macalusio rectoribus dictae ecclesiae et pro
successoribus in dicta ven: Eccl. in perpetuum unciam unam et tt. tres po: ge:
annuales censuales rendales debitos in quolibet anno solvendas juxta formam
bullarum apostolicarum et regiarum pragmatarum super eis editarum et non aliter
.
Quos quidem unc. 1-3 annuales predictus Paulinus imposuit et imponit
subjugavit at subjugat solvere et expresse in et super infrascriptis predijs.
In primis et et super quadam
vinea arborata existenti in pheudo dictae terrae Racalmuti consistenti in
miliarijs duobus vel circa in contrata
Garamulis seu Corvi secus vineam Fabbij de Palermo ex unam et secus vineam Jo: Restivo Drago et
Antonini Drago, secus vineam Antoninae Molè Villico et secus vineam Leonardi
Luparello ex altera et alios confines.
Item et super quadam vinea
cum eius parte torcularis in pheudo etiam dittae terrae Racalmuti et in
contrata Garamolis seu Corvi secus vineam Fabbij de Palermo et Petri Vitillaro
et vineam don Monserrati Agrò vd: vinea habita per ipsos Orlandum et Paulinum
de Missina patrem et filium a ditto quondam don Monserrato Agrò vigore
contrattus fatti in attis meis die &
Item super quadam domo
terranea existenti in dicta terra Racalmuti in quarterio Sanctae Rosaliae secus
domos magistri Philippi Bucculerio ex unam et secus domum Joseph Curto Stephani
ex altera, viam publicam et alios confines.
Item in et super quadam
domum terraneam ditti Paulini in quarterio Sanctae Margaritellae secus domum
Antonij Auchello ex unam et secus viam publicam et prope mag.na [magazena] Antonini Sferraza et alios
confines.
Item unam clausuram
existentibus in pheudo Gibillinorum in
contrata Logiati secus clausuram Antonij Gulpi ex una et secus vieneam
Catarinae Maragliano et condam Bartoli Maragliano et altera et alios confines.
Et hoc pro dote concessionis
assegnationis dictae cappellae per modum ut supra.
Testes Petrus Grillo,
Blasius Averna et Jo: Macalusio Don Franciscus de Nicastro et frater Paulus
Fanara. Ex actis meis notarii Joseph Sauro et Grillo Racalmuti. - coll. salv.
(In actis condam notarij Joseph Sauro et Grillo die 26
augusti 9^ ind. 1596)Et inde dictus de
Agrò donans voluit et mandavit quod dictus Paulinus cum don Francisco Grillo
habeant et debeant de fructu vinee ipsius donantis ... capere uncias decem et
de eis emere aliam unciam unam redditus per modum ut supra eamque similiter
reddere et assignare dictis rectoribus dicte ecclesie cum clausola et
condicione quod predicti rectores qui
erunt in perpetuum in dicta ven. ecclesia quotidie in qualibet hebdomoda in die
veneris celebrari facere unam missam .... pro anima dicti donantis de Agrò et
remissione suorum peccatorum et, facta
assignatio dicte unc. 1 redditus, teneatur dictus Paulinus Agrò dare et solvere
elemosinam dicte misse in die veneris ... ut supra et non aliter.
Item voluit
dictus de Agrò donans quod in assignatione facienda dicte unc. 1 redditus in celebratione dicte misse teneattur dictus
Paulinus cum dicto don Francisco Grillo ponere clausulam quod si forte rectores, qui erunt in dicta
confraternitate Sancte Marie, per annum unum cessaverint coram dittum altare
cappelle ipsius donantis celebrari facere dictam missam die veneris, qualibet
hebdomode, tali casu, statim et in contanti, dicta uncia 1 redditus capere
possit .. prior conventus Sancte Marie
Montis Carmeli predicte terre Racalmuti, qui in dicto tempore erit in dicto
conventu, ... simili effectu cui priori dictus de Agrò donans disposuit .....
nec alio modo.
[iii]) Transactio
Pro
Ill.mo don Hieronimo del Carretto
Comite huius terrae Racalmuti
cum
Universitate dictae terrae Racalmuti.
[Palagonia n.° 1 p. 29-123]
[fondo n.° 631]
[....]
Die decimo quinto januarij nonae ind. 1581- Consilium congregatum et
eximium dominum Ascanium de Barone U.J.D. delegatum E. Suae virtute literarum
datarum Panormi die tertio Junij octavae Ind. 1580 et aliarum literarum, ad
sonum campanae in maiori Ecclesia terrae Racalmuti die dominicae, vocatis et
congregatis duabus tertijs partibus populi
invenire [a.v.: intervenire]
solitis in consilio pro ut cum juramento retulerunt mihi: Laurentius
Justinianus, Jacobus Monteleone et Antonius de Alaymo Jurati dictae terrae esse
duas tertias partes populi solitas intervenire in consilio super accordio facto
infra universitatem dictae terrae et illustrem D. Hieronymum de Carrectis
comitem dictae terrae, per quem dominum de barone delegatum fuit expositum in
dicto consilio tenoris sequentis videlicet:
Magnifici
Nobili, et persone decorate [a.v.: honorati]
et altri populani, siti congregati in questo loco; sapiti ch’avendosi tanto tempo
ed anni litigato infra l’università di questa terra con li spettabili
illustri ed illustrissimi signori Baroni e Conti di questa terra sopra alcuni
pretenzioni ed esenzioni di tirraggi di fora [a.v.: supra alcuni pretenzioni et
exemptioni di alcuni soluptioni di dupli terragi di fora] et altri esenzioni
come più largamente si contiene per lo libello e processocontenti nella R.G.C.
con detti spettabili ed illustri signori Baroni e Conti di questa sudetta
terra, ed avendosi tant’anni litigato non s’have mai finito per tanto si
congregao consiglio, e si elessero deputati lo magnifico Gio: Vito d’Amella,
Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzio
Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonino lo Brutto, Pietro d’Alaymo,
Antonino Gulpi e Giacomo Morreale, li quali deputati esposiro a S.E. e R.G.C.
che avendo più anni litigato in detta R.G.C. con li predecessori dell’illustre
signor Conte di questa terra di Racalmuto ed anche con detto signor conte sopra
diversi pretenzioni d’essere esenti e liberi di diversi raggioni e pagamenti in
detto processo e libello addutti, e contenti, e che s’ave trattato accordio fra
l’università e detto signor conte, e sopra ciò fatti certi capitoli li quali
s’hanno da publicare per notaro publico per commune cautela ed era di
publicarsi con la volontà della maggior parte del Popolo congregato per
consiglio supplicando S.E. resti servita provedere e comandare che si
destinasse un delegato in questa terra per congregare detto consiglio, ed essendo
la maggior parte contenta dell’ accordio, farrà leggere li capitoli ed essendo
contenti quelli detto delegato farrà publicare, e stipulare ed interponere
l’authorità di S.E. e R.G.C. per ciò S.E. mi ha destinato delegato in questa
terra, undechè personalmente mi conferisca a congregare detto consiglio, ed
intendere la vostra volontà se volete accordio per questo siti convocati in
questa maggior chiesa acciò ognuno di voi dasse il suo parere [a. v.: siti convocati in questa maggior Ecclesia a
tal che ogn’uno di voi dugna lo suo pariri e vuci si vuliti accordio], se
volete accordio con detto signor conte, perché volendo accordio si leggiranno
li capitoli che mi sono stati presentati per detti deputati e notar publico, ed
essendo contenti di detti capitoli per voi s’eligeranno dui Sindaci e
procuratori per potere quelli publicare e fare instrumento pubblico con li
soliti obligazioni, renunciationi,
stipulazioni giuramento firmato in forma, alli quali Io come delegato di S.E. e
R.G.C. interponissi l’autorità e decreto acciò omni futuro tempore s’habbiano
inviolabilmente osservare siché ogn’uno venga, e dona la sua vuci, e pariri, lo
magnifico Gio: Vito d’Amella capo di detta terra di Racalmuto dice che è di
voto, e parere, e si contenta che si faccia accordio stante li lite e questioni
che sono stati et su infiniti e sono immortali e non hanno mai diffinizioni e
sono dubbij ed incerti e per evitarsi tante spese che s’hanno fatto e si
potranno fare tanto più che s’ha visto la buona volontà dell’illustrissimo signor
conte lo quale per li capituli ni ha fatto molte grazie ed esenzioni in favore
di quest’Università di Racalmuto e non facendosi accordio interim esigirà come
per il passato s’have fatto e perché in l’accordio e in mancari quelle raggioni
che siamo obligati paghari per questo è contente come è detto di sopra che si
faccia detto accordio e si leggano li capitoli e doppo si contratta in forma;
lo magnifico Lorenzo Justiniano giurato contiene [a.v.: concurri] con il detto magnifico Gio: Vito d’Amella,
[...]
Testes magnificus Marianus Catalano, magnificus dominus Antonutius Cirami
Ar: et Med: doctor, magnificus Gaspar Lo
Giudice, Mazziotta di Neri, Franciscus la Vecchia de civitate Agrigenti,
reverendus d. Joseph de Averna, clericus Orlandus de Averna, reverendus pater
Monserratus de Agrò et magnificus Hieronimus Riggio.
Ex actis
quondam noatarij Nicolai Monteleone extracta est presens copia per me notarium
Michaelem Castrojoanne Racalmuti; dictorum actorum conservatorem collectione
salva.
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