martedì 7 luglio 2015

feudalesimo tardo

L’organizzazione feudale del centro agrario di Racalmuto.


Sorprendentemente, i religiosi del Carmelo di fine ’500 detenevano tutta una documentazione[1] sugli strani debiti di uno di tali rami cadetti.  Se ne ricava uno spaccato dell’organizzazione feudale di un centro agrario qual era Racalmuto. Con una “polisa” il 15 febbraio del 1569 il barone di Sciabica, don Federico del Carretto s’indebita con Antonio Pistone. «Io don Fidirico del Carretto per la presente polisa mi fazzo debitori ad Antoni Pistuni in salmi quaranta e tummina setti di frumento forti et sunno li detti ad complimento di salmi 70, tt.a 7 si comi chi mi prestao hora dui anni in lo fego di la Menta quali frumenti prometto darli per tutto lo misi di augusto proximo da veniri et ad sua cautela hajio fatto la presenti polisa scripta di mia propria mano in Girgenti a di 15 di frebaro XIJ^ Ind. 1579, dico salme 40 e tt.a 7 - ditto don Fiderico del Carretto.»

Quale il rapporto sottostante di questa transizione di frumento della Menta, non è dato di sapere. E’ da pensare ad una speculazione granaria. Il nobile agrigentino, un cadetto della celebre famiglia, ha entrature a Racalmuto. Qui pare che non manchino gli abbienti come questo Antonio Pistuni che può tranquillamente prestare ingenti quantità di frumento. Federico del Carretto cessò di vivere qualche anno dopo.
Si ricorda dei suoi debiti nel testamento: «E’ da sapere - si può volgere dal latino - come fra gli altri capitoli del testamento fatto  a mio rogito il 9 novembre p.^ Ind. 1572 dal quondam spettabile signor don Federico del Carretto un tempo barone di Sciabica, sussista l’infrascritto capitolo del seguente tenore:
«Del pari lo stesso spettabile testatore volle e conferì mandato che qualsiasi persona dovesse ricevere od avere dal detto spettabile testatore qualsiasi somma di denaro o quantità di frumento, di orzo o di altro sia saldata dalla propria moglie secondo diritto a valere sui redditi del detto spettabile testatore, sempreché quei debiti appaiano in atti pubblici o con testi degni di fede o in scritture ricevute da qualsiasi curia. E ciò volle  e non altrimenti né in altro modo.»
«Faccio fede, io notaio Giovan Battista Monteleone».
Vi è un atto esecutivo della Gran Corte del XV luglio 1573 dai toni pomposamente ultimativi ma che in definitiva non fanno altro che confermare i fatti suesposti.
La curialità cinquecentesca non scherzava davvero: «secondo la forma della nuova Prammatica, si dovrà procedere con l’accesso ed il recesso e per la soddisfazione di cui sopra pignorando qualsiasi bene e vendendo quelli privilegiati ... carcerando e scarcerando ed operando l’estradizione da un luogo ad un altro o da un castello all’altro ...» Ma ci limitiamo agli atti formali della locale curia racalmutese, emergendone procedure, figure locali,  personaggi pubblici.
«Racalmuto 28 gennaio 1572 - atti contro donna Eleonora del Carretto per Gaspare La Matina, baiulo.
«Testi ricevuti - alcuni passi sono in latino, ma qui ne diamo la traduzione - ed esaminati a cura dello spettabile baiulo della terra di Racalmuto ad istanza e richiesta di Antonuzzo Pistuni avverso e contro la spettabile donna Eleonora del Carretto tutrice testamentaria dei propri figli e figlie, eredi del quondam spettabile don Federico del Carretto suo marito, in ordine alla verifica degli infrascritti documenti.

«Relazione del nobile Marco de Promontorio, giurato di questa stessa terra di Racalmuto, che ha prestato giuramento, in ordine al memoriale presentato in curiae, il quale  punto per punto disse: “è tale e quale una polisa quali incomensa ‘Io don Fiderico del Carretto per la presenti polisa mi fazzo debbituri ad Antonj Pistuni in salmi quaranta e tt.na setti di frumento’ et finisci ‘ditto don Fidirico del Carretto’ fui et est scripta di manu propria di ditto quondam spettabile sig.r don Fiderico, si comi per signi, caratteri et figuri di quella appare et questo lo so come quello che havi multi anni che pratico con lo sopradetto spett. don Fiderico et ni havi avuto multi polisi de causa sua”. E questa è la sua relazione”.

Identica relazione fanno i sotto indicati personaggi:
·      nob. Giovanni Antonio Piamontisi, Secreto della terra di Racalmuto, con don Federico ha avuto “pratica et canuxi la sua manu”;
·      magnifico Jo: Saguales di Racalmuto, «che canuxi essiri la manu propria del ditto quondam et che ni havj multi polisi de causa sua et interrogatus dixit scire premissa per modum ut supra ditta sunt..»;
·      hon. Vincenzo Lo Perno di Racalmuto, «como pratico che era con lo ditto quondam don Fiderico ...»;
·      Diacono Martino Rizzo di Racalmuto, il quale «vitti quando ditto quondam don Fiderico scrivia la ditta polisa et la vitti scriviri et la ditta polisa scripta che fui l’appi in potiri lo ditto di Pistuni ....»;
·      Reverendo don Alerico Tudisco di Racalmuto, che sa «come quillo che a pueritia usque in diem obitus canuxi a ditto quondam del Carretto et canuxi essiri ditta polisa la sua propria manu modo quo supra...».

Risulta il tutto dagli atti della curia del baiulo della terra di Racalmuto, essendone stata fatta copia dal maestro notaro Giuseppe de Ugone (gli Ugo del Rivelo).
Sotto Girolamo I Racalmuto dunque consolida il suo vivere contadino: il conte è lontano, ma i suoi esattori onnipresenti. L’accordo è tutto a favore del feudatario. I racalmutesi non lo gradirono; cercarono di aggirarlo; lo contestarono. Le contese continuarono sotto tutti gli altri conti di Racalmuto. Fino al tempo dei Requisenz, quando il prete Figliola e l’arciprete Campanella riuscirono a far caducare dalla corte borbonica il terraggio ed il terraggiolo. Era il 28 settembre 1787 quando il Tribunale borbonico sentenziò: “ius terragii et terragiolii tam intra, quam extra territorrium declaratur non deberi”.
Ecco perché ci appaiono settari gli aculei che Sciascia (sull’onda degli anatemi del Tinebra) scagliò contro il solo - ed appena ventiquattrenne - Girolamo II del Carretto: ben altre erano le responsabilità dei predecessori; ancor più inique le pretese dei suoi successori e persino dei feudatari settecenteschi che non portavano più l’esecrato nome dei del Carretto.

Oltre ad una caterva di figlie femmine, Girolamo I del Carretto lasciò tre figli maschi: Giovanni IV, suo successore nella contea di Racalmuto, Aleramo, che diverrà conte di Gagliano e resterà famoso per gli abusi amministrativi, ed un tal Giuseppe, di cui si occuparono le cronache nere del tempo.



GIOVANNI IV
 DEL CARRETTO

Giovanni IV del Carretto fu un torbido personaggio di cui ebbero ad occuparsi le cronache nere del tempo, anche dopo la sua morte. Ma fu un personaggio che visse, operò, uccise e fu ucciso in quel di Palermo. Crediamo che a Racalmuto non abbia mai messo piede. Fece amministrare i suoi beni racalmutesi da un genero (Russo) che dovette essere parente della prima moglie e che fu sposo della figlia illegittima Elisabetta, alla quale però il conte teneva tanto da legittimarla.
Tinebra Martorana ed Eugenio Messana spendono varie pagine ad illustrare la figura di questo Giovanni del Carretto: i fatti di sangue che lo riguardano destano curiosità ed interesse cronachistico, anche a distanza di secoli. Non sono però molto attendibili questi nostri due storici locali. Sciascia, sul nostro conte Giovanni IV del Carretto, ragguaglia sapientemente nella sua ricostruzione  delle vicende di fra Diego La Matina (vedasi la pag. 185 della Morte dell’Inquisitore, ed. 1982 cit.)

Ad onta del fatto che il conte se ne stava a Palermo, o forse appunto per questo, Racalmuto prospera dopo la terribile peste del 1576. Divenuto contea, sistemata in qualche modo la faccenda del terraggio e del terraggiolo sotto Girolamo I, questo nostro centro attira contadini, mastri, piccoli imprenditori, anche usurai specie da Mussomeli, e diviene un paesone enorme per quei tempi: il rivelo del 1593 annovera circa quattromila e cinquecento abitanti, e molti di loro hanno patrimoni apprezzabili.

I dati esplicativi dell’evoluzione demografica racalmutese, prima e dopo Giovanni IV del Carretto sono riepilogati nella tavola che segue:



Anno
fuochi trend
abitanti trend
fuochi ricalcolati
scostamento %
abitanti ricalcolati
scostamento %
fuochi riveli
Scostamento %
 abitanti riveli
 Scostamento %
1376
136
480
200
0,64
706
2,26
136
0,00
480
0,00
1404
282
974
220
-0,62
777
-1,97
150
-1,32
530
-4,44
1450
521
1.785
440
-0,81
1.553
-2,32
300
-2,21
1.059
-7,26
1505
807
2.754
694
-1,13
2.450
-3,04
473
-3,34
1.670
-10,84
1548
1030
3.512
986
-0,44
3.479
-0,33
896
-1,34
3.163
-3,49
1593
1264
4.306
890
-3,74
4.447
1,41
1.260
-0,04
4.447
1,41
1658
1602
5.452
1.239
-3,63
5.165
-2,87
1.239
-3,63
5.165
-2,87
1660
1614
5.488
1.614
0,00
5.488
0,00
1.614
0,00
5.488
0,00




In un siffatto contesto demografico, il ‘rivelo’ del 1593 si colloca come il primo censimento che si ispira ad un certo rigore statistico. Si può pensare che ciò si deve alla lontananza del conte Giovanni del Carretto. In questi anni, infatti, Giovanni del Carretto è nel bel mezzo della sua bufera giudiziaria. Vi era incappato per una vicenda avvenuta attorno al 1590.
Ecco come ce la racconta un suo parente Vincenzo di Giovanni[2]«In questi tempi [tra il 1589 ed il 15 maggio 1591] successe che essendo  riportato a D. Giovanni Carretto, conte di Racalmuto, che Gasparo la Cannita gli faceva mal’opera riportando alcune sue opere, ed avendo colui lasciatosi trasportar dalla colera, dicendo contro quello parole ingiuriose, il detto della Cannita ebbe ardire di mandargli un disfido per una lettera, dicendogli che aspettava la risposta in Napoli.

 Gli mandò dietro il conte per farlo castigare della presunzione; ma fûro i messi ingannati ivi da quei, che gli avevano promesso far l’effetto: il che sentì gravemente il conte, ed attese a procurar meglio ricapito.
In questo, sentendo il conte di Albadalista, viceré in questo regno, tal negozio, fé venire il Cannita su la sua parola per farlo accordare col conte; ed assicuratosi di questo, si conferì a Palermo, non uscendo per la città, per dubbio, che aveva, se non quando andasse in palagio a trattare col viceré.
Tra tanto il conte di Racalmuto, sentita la venuta del Cannita, andava per le spie osservandogli i passi, perché aveva concertato genti per tal effetto.
Lo ingannâro due finalmente, che, offerendosi al Cannita di accompagnarlo a palagio, lo diedero in mano de’ nemici.
Aveva il conte concertato due con due pistole, e quattro per far salvar quelli dopo fatto il caso. Venendo a passare il pover’uomo, gli scaricarono coloro le pistole e l’uccisero; e quelli, che erano per salvarli, sbigottiti fuggirono.
Fuggì uno schiavo del conte: ma l’altro, essendo in fuggire, fu sopraggiunto dal marchese della Favara, e seguitandolo, fu preso e menato al viceré, dicendogli l’eccesso che fatto avea. Se corse [s’indispettì] assai quello, lo fé tormentare, e chiamato il conte, fé cercarlo con grande diligenza. Egli, vestito da monaco, fu uscito in cocchio da D. Francesco Moncata, principe di Paternò, e si salvò in modo, che per molti mesi non se ne seppe nova.
Salvatore lo Infossato, che era stato preso per l’omicidio, fu afforcato; e procedendosi in bando contro il conte, si fé dopo prendere in Messina da gente dell’Inquisizione, e pretese il foro.
Ma vennero lettere di Sua Maestà che fusse dato al viceré, perché era venuto ordine, che i signori non potessero essere del sant’Officio; ed in questo modo il viceré ebbe in potere il conte.
Pensò dargli il tormento della corda, con la clausola ‘citra paejudicium probatorium’, e gli aveva fatto provista, che non si eseguì per venire il giorno di festa con un altro seguente.
Si aspettava il dì di lavoro per eseguirsi la provista , quando la sera precedente venne un estraordinario con lettere, che aveva ottenuto D. Aleramo Carretto, suo fratello, che era alla corte, che soprasedesse il conte viceré sino ad altro ordine. Tra tanto era tenuto il conte di Racalmuto con dodici guardie.
Si adoperò in questo l’imperatore, che con i Carretti si trattava da parente; alle cui intercessioni vennero lettere di Sua Maestà, che il conte per qualche rispetto fusse rimesso al foro: il che sentì molto il conte d’Alba.
Fu rimesso; e fatte le sue defensioni in sant’Officio, dopo dieci anni di travagli e gravissime spese fu liberato, condennandolo solo ad onze mille, da pagarsi alla moglie del defunto, ed onze duecento al fisco. In questo modo ottenne il conte la sua liberazione.»

Il Tinebra Martorana ne fa una fantasiosa ricostruzione a pag. 120-123, apparendo partigiano dei Del Carretto e contro il povero La Cannita quando ricama sul testo - invero arduo  - del Di Giovanni (che pure cita come fonte). Eugenio Napoleone Messana ricalca la narrazione, sia pure con qualche personale svolazzo e con qualche arbitraria annotazione (v. pag. 105-107).

 

 

L’intrico (veritiero) del conte Giovanni del Carretto.

Il Sant’Offizio.



Ma dobbiamo al Garufi[3] queste esplicative note.
«S’aspettava ancora il giudizio della corte di Madrid su questa vertenza [quella relativa al caso Ferrante]  - scrive l’illustre storico - e chi sa per quanto tempo se il Conte d’Albadalista insieme al reclamo non avesse forse fatto pervenire al re le sue dimissioni per mezzo del D.r Morasquino, quando il 19 dicembre ‘89 i due Inquisitori, don Lope Varona e don Ludovico Paramo, spedirono al G. Inquisitore di Spagna, col Cardinale don Gaspare de Quiroga, un altro rapporto[4] con le copie d’un nuovo processo contro Don Vincenzo Ventimiglia, e le informazioni su due nuovi fattacci occorsi al fratello del conte di Racalmuto ed ai fratelli La Valle. [...]
[E sono fatti diversi dalle] due sole notizie tramandateci dai contemporanei: l’una riguardante il fatto di “Giovanni del Carretto conte di Racalmuto, rimesso al foro del S. Officio per essere giudicato d’assassinio, fatto commettere appositamente e liberatosi mediante la multa di once mille”, e l’altra riferentesi al caso gravissimo del conte di Mussomeli, che turbò la cittadinanza palermitana e diede origine all’interdizione del regno, volendo l’Inquisitore “sostenere la giurisdizione del S. Tribunale esposta, come dice il Franchina, ad esser gravemente vilipesa”.  [...]».

Ed  il Garufi così illustra il caso che avrebbe coinvolto un fratello di Giovanni del Carretto, Giuseppe del Carretto: « [Dopo avere affrontato la vicenda del Ventimiglia] il rapporto  passa a parlare del fratello del conte di Racalmuto.
«Premetto che non è affatto a dubitare che il sistema di rappresaglia e soprattutto gli interessi materiali abbiano mosso gli Inquisitori a salvare don Giuseppe del Carretto, tramutato  per l’occasione in un misero commensale del fratello conte di Racalmuto “teniente de oficial” del S. Officio.
«Arrestato costui per una serie di gravi ed atroci delitti, a servirci dei termini usati dalla G. Corte, nel luogo della sua dimora, Messina, da cui foro giudiziario per le consuetudini della città non poteva esser distratto, gl’Inquisitori, a favorire il conte di Racalmuto che ne faceva una questione di decoro di famiglia o meglio di salvezza per il fratello, imbastirono le prove necessarie a dimostrare ch’egli era commensale di lui dimorante in Palermo, avendolo alimentato e mantenuto anche a sue spese a Messina: sotto lo specioso pretesto che il diritto di commensalità non si perde finché non sia intervenuta una regolare sentenza di magistrato.

«E giacché la G. Corte suggeriva di definire tale questione per via di consulta, secondo il Concordato dell’80, gli Inquisitori si rifiutarono dicendo:  che “di pieno diritto spettasse loro di giudicare se il Del Carretto fosse o pur no commensale del fratello”.

«Affermato codesto principio con la sicumera di un diritto indiscusso, procedettero alle inibitorie ed alle scomuniche, e quindi fu necessario che la G. Corte sospendesse il processo, e il Viceré indirizzasse nuove proteste e nuovi reclami a Filippo II
«La moralità di tutta questa vertenza fu l’assoluzione di Del Carretto con un mezzo molto simile a quello già fatto per il fratello di lui, conte di Racalmuto, condannato per assassinio ad una multa di mille fiorini.»
Confessiamo che le vicende ci appaiono piuttosto confuse. Propendiamo, comunque, per l’ipotesi che i due fatti siano interconnessi. Che per primo si ebbe a verificare l’incidente di Giuseppe Del Carretto (sicuramente databile prima del 19 dicembre del 1589). La «mal’opera» che  Gasparo la Cannita - un personaggio importante se sta tanto a cuore al viceré Albadalista -  faceva  al conte Giovanni del Carretto riportando alcune sue opere, fu forse una pubblica accusa sul comportamento dell’arrogante conte di Racalmuto in occasione dell’ intrigo giurisdizionale  del S. Officio contro la G. Corte per salvare l’omicida Giuseppe del Carretto. Altro che “gravi danni” inferti ai domini del Conte, come vorrebbero Tinebra Martorana ed Eugenio Messana. Dopo, si consuma l’orrida esecuzione del La Cannita, mandante Giovanni del Carretto. Quindi la reiterazione del gioco della competenza del foro per una sentenza di comodo.

Al conte Giovanni del Carretto - si sa - il crimine portò iella: il 5 maggio del 1608 cade a sua volta , folgorato con due schioppettate in pieno petto, in via Maqueda a Palermo.

Il figlio Girolamo del Carretto, se crediamo alle carte del sarcofago del Carmine, venne fatto fuori da un servo.

Morì il 1°[5] ( e non il 6 maggio) del 1622 all’età di appena 24 anni, 7 mesi e 3 giorni[6].

Il nipote Giovanni del Carretto finisce giustiziato nel regio Castello di Palermo il 26 febbraio 1650 (AURIA, Diario Palermitano), colpevole più di avventatezza e boria che di alto tradimento verso Filippo IV, re di Spagna.

Ma qual era la situazione di Giovanni del Carretto nel  1593, all’epoca del ‘Rivelo’?
A noi sembra, decisamente compromessa.
Un sintomo si coglie in un lavoro dell’epoca di un funzionario napoletano[7] che, parlando della nobiltà di Palermo e di Messina, ignora del tutto la famiglia del Carretto.
I documenti lo vorrebbero in carcere per tutto il decennio della fine del secolo XVI. Questo sembrerebbe di capire dalla sibillina frase del Di Giovanni:« e fatte le sue defensioni in sant’Officio, dopo dieci anni di travagli e gravissime spese fu liberato..». Ma forse ebbe solo il fastidio di un processo decennale. Libero, però; limitato tutt’al più nei suoi movimenti e costretto a dimorare in Palermo.
Nel processo n. 3542 del 1600[8], appare che Giovanni del Carretto, nel 1594, aveva potuto compiere tutte le procedure per assicurarsi l’investitura della terra di Cerami.
Avrebbe dovuto essere trattenuto in carcere, ma, sia pure tramite procuratori, riesce ad acquisire il titolo di barone di Cerami. Diamo qui la traduzione dal latino del diploma.
«Investitura della terra di Cerami - Il giorno 26 marzo, settima indizione, 1594 [si è costituito] presso la felice città di Palermo, e nel sacro palazzo regio della medesima città, Vincenzo di Blasi procuratore, come consta in forza della procura celebrata agli atti del notaio Marsilio Lo Pacchio dell’8 marzo, settima indizione, 1594[9], rilasciata dall’illustre don Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto.
«Costui  tiene e possiede la baronia e la terra di Cerami e dei suoi feudi, con i diritti e le pertinenze tutte, e con l’integrità dello stato, per sé e i suoi eredi e successori, in perpetuo,  finché vivono,  jure francorum, giusta la forma dei suoi privilegi, per atto di transizione ed accordo fatto tra lo stesso illustre don Giovanni e Girolamo Camulo e Russo, agli atti del notaio Modesto Tudisco della città di Troina del 4 luglio, dodicesima indizione, 1582.
«In tale rogito  appare che il detto don Girolamo [Camulo e Russo], come indubitato successore nella detta baronia e terra di Cerami, fu ed è contento che detto illustre conte tenga e possegga detta baronia et terra di Cerami durante la vita dello stesso conte.

«E, peraltro,  di detta baronia e terra si deve prendere l’investitura in quanto il detto don Girolamo successe in tale baronia per la morte di donna Beatrice Russo, a suo tempo moglie del detto conte, morta ab intestato senza figli legittimi e naturali e come primogenito e naturale e più stretto in grado della fu donna Paola Russo e Camulo madre dello stesso don Girolamo, sorella seconda genita della stessa donna Beatrice, a suo tempo baronessa come sopra.
«Risultano  anche le circostanze relative alla morte e successione dello stesso don Girolamo per testi resi nell’Ufficio del Protonotaro del Regno di Sicilia di Palermo il giorno 5 marzo, settima indizione, 1594.

«Del pari emergono i fatti  in ordine al possesso dello stesso don Giovanni, maritali nomine, della detta fu donna Beatrice, sua moglie.
«Pertanto attesa l’investitura da lui a suo tempo conseguita in data primo aprile, tredicesima indizione, 1570 investitura, di cui all’atto di transizione ed accordo, ed attesa la successione di don Girolamo attestata dai  predetti testi, [si dà atto] della presa di possesso a rogito del notaio Bartolomeo de Alberto, ceramense, del primo aprile, VI indizione, 1593.
«Tale presa di possesso è avvenuta per il tramite di  Gaspare Barone procuratore dello stesso don Giovanni, che ne era stato delegato in forza di procura celebrata agli atti del notaio Giulio Pompeani di Palermo del 21 settembre, seconda indizione, 1588, nonché per la successiva procura precalendata.
«[Tutto ciò] per cautela ispezionò e riconobbe lo spettabile signore, consigliere diletto del re, dottore in utroque jure, don Francesco de Milanesi, costituito procuratore del Patrimonio del regio Fisco.
Il predetto [Vincenzo de Blasio], in veste di procuratore, pertanto, alla presenza dell’illustrissimo ed eccellentissimo signor don Enrico de Gusman Olivares, viceré e capitano generale di questo regno di Sicilia, per la baronia e la terra predetta, in relazione all’atto di transazione ed accordo ed alla relativa successione precalendata, prestò e fece giuramento, rendendo l’omaggio della debita fedeltà e vassallaggio nelle mani e per bocca del delegato, nella forma debita e consueta, giusta il contenuto ed il tenore delle sacre Costituzioni imperiali del Regno.
E tanto fu recepito nelle mani ed in potere della predetta eccellenza che l’acquisì in nome e per conto della sacra e cattolica maestà, signor Filippo re invittissimo di Spagna, delle due Sicilie, di Gerusalemme, etc., a suo favore e dei suoi eredi e successori, in perpetuo, ritenuti tuttavia e salvi tutti quei privilegi sulla baronia riservati alla Regia Corte per la natura e forma del feudo, non intaccati in alcunché i diritti del servizio militare, e salvaguardati  e permanentemente illesi i diritti dei terzi.
Così e non diversamente.
Presenti a ciò i testi Francesco Girgenti, Virginio Godano, regi secretari e Giovan Domenico Sferlazza e molti altri a testimonianza del fatto. Viene fatta la presente nota a memoria della investitura, che viene redatta e registrata negli uffici del Protonotaro del Regno di Sicilia e della Regia Cancelleria giusta la forma dei capitoli del Regno, senza la presente nota possa, tuttavia, recare pregiudizio ai diritti della Regia Curia tacitamente o espressamente, dovendo permanere quei diritti sempre illesi.
Nicolò Antonino La Porta - »


Matrimonio di Giovanni del Carretto con Beatrice Russo di Cerami.


Sul matrimonio di Giovanni del Carretto con codesta Beatrice Russo di Cerami abbiamo un altro documento alquanto significativo. Ci sembra uno spaccato di quello che sarà stato l’andazzo sparagnino, alla ligure, dei Del Carretto. Più che i sentimenti, sono gli interessi di famiglia, le puntigliosità in campo economico, i testamenti che sanno di resoconti patrimoniali dei Del Carretto che traspaiono a distanza di  mezzo millennio.
Il documento - il testamento del padre di Giovanni, il conte Girolamo del Carretto - trovasi riportato nel processo n. 2872 del 1584[10]. Eccone una traduzione dal latino (ma limitata ai passi più salienti).

«E’ da sapere che tra gli altri capitoli dell’ultimo testamento solenne dell’ill.mo signor don Girolamo Carretto, chiuso e sigillato il giorno 14 del mese di gennaio, XI^ indizione, 1583[11], aperto e pubblicato dopo la sua morte, come dagli atti del mastro notaro Giacomo de Vacante in data 11 agosto, XI^ indizione, dello stesso 1583, transunto agli atti del sottoscritto notaio in data 16 settembre, 12^  indizione, 1583, vi fu e vi è l’infrascritto capitolo del seguente tenore, videlicet:

«Del pari, il signor spettabile testatore, con e sotto i prescritti ordini, statuti, giurisdizioni ed altri simili infrascritti, istituì suo erede particolare l’illustre signore don Giovanni Carretto, barone della terra di Cerami, suo figlio primogenito, legittimo e naturale, nato e procreato dallo stesso signore testatore e dall’ill.ma signora donna Elisabetta, di lui moglie, nella contea e nella terra di Racalmuto, con i feudi, gabelle, rendite, vassalli della stessa contea, completa, dunque, di diritti,  giurisdizioni e pertinenze, congiuntamente a tutti i singoli oneri e soggiogazioni insite sopra la detta contea.

«Per suo pieno diritto, legittimamente, dunque, la predetta contea perviene al detto illustre don Giovanni, di lui figlio primogenito, cui competono anche tutti e singoli i beni allodiali dello stesso cennato testatore.

«Istituisce, del pari, il detto don Giovanni, di lui figlio primogenito, erede particolare in tutti i diritti e le azioni spettanti o che dovessero competere al detto testatore per l’acquisto di qualsiasi feudo o soggiogazione in beni feudali o relativi alla contea e terra di Racalmuto, compresi le 90 once di reddito una volta dovuti dai mastri Benedetto e Francesco tanto sopra la detta contea, una volta baronia, di Racalmuto, redenti per lo stesso illustre testatore con le proprie disponibilità liquide, così come in quelle 700 once corrisposte ed erogate per lo stesso signor testatore per il vestiario e le altre spese sostenute in favore dello stesso don Giovanni al tempo del suo matrimonio, giusta quanto appare nei partitari delle tavole della cessione dei diritti, in ispecie per spese d’acquisto di panni serici e di altri arredi.

«E tanto vale per quelle altre 600 once mutuate dallo stesso testatore al detto don Giovanni, suo figlio, come dalle tavole di questa università, once che furono corrisposte per il tramite del detto don Giovanni a questa università per interessi decorsi;  del pari, lo istituisce erede in tutti i manufatti e miglioramenti apportati per lo stesso signor testatore nel castello  e nei possedimenti di detta terra e contea di Racalmuto e massimamente nei lavori fatti alla fontana, nei giardini, nei mulini e negli altri manufatti della contea.

«Del pari lo istituisce erede nel mero e misto impero della detta contea, nonché nel titolo di conte conseguito dal detto testatore, così come in tutte le spese sostenute dal detto signor testatore per la dimora del detto signor don Giovanni e della sua famiglia qui nella sua casa nella detta terra di Racalmuto, presso l’abitazione di lui testatore, nonché per vitto, alimenti e sopratutto per gli esborsi in contanti a vantaggio di detto don Giovanni, per esecuzione della promessa di quei 1000 scudi fatta nel contratto matrimoniale dello stesso signor don Giovanni con l’illustre donna Beatrice, sua moglie, baronessa della detta terra di Cerami, contratto matrimoniale celebrato in atti del notaio Bartolo (o Barnaba) Bascono in data 23 marzo, XI^ indizione, 1568.

«Del pari lo istituisce erede in tutti e singoli i pagamenti pecuniari, redditi, pagati o dati  o consegnati dallo stesso predetto testatore al detto don Giovanni comunque ed a qualsiasi titolo, ed anche nella dote dovuta dal detto testatore alla quondam donna Aldonza sua madre, della quale lo stesso signor testatore può disporre.

«E così la predetta dote, il predetto reddito di 90 once, e tutti gli altri e singoli beni confluiscano al detto conte e da lui non potranno mai essere divisi, come del resto, né in suo pregiudizio né dei suoi successori, nella stessa contea potranno il detto don Giovanni  ed i suoi successori disporre, alienare o apporre pesi.
«Tanto valga anche per tutti o i singoli diritti  spettanti al detto don Giovanni o che dovessero in futuro competergli sopra tutti ed i singoli beni del detto signor testatore a ragione della detta legittima successione.
«E ciò valga anche per i beni allodiali dello stesso testatore.
Poiché così piacque al detto testatore che si facesse...»


La presa del possesso di Racalmuto.


Segue l’atto di presa del possesso di Racalmuto. Va anch’esso qui trascritto, risultando di grande interesse per la storia locale.

Veniamo innanzitutto a sapere che il primo don Girolamo del Carretto - quello che era riuscito a farsi rilasciare la patente di conte da Filippo II, facendogli magari credere che erano parenti alla lontana, per via delle pretesi origini sassoni dei Del Carretto della originaria Liguria - aveva abbandonato il castello di Racalmuto, che pure aveva abbellito, e si era trasferito a Palermo.
Sappiamo che Girolamo, padre di Giovanni del Carretto, fu sepolto il 9 agosto XI indizione del 1583 nella chiesa di Santa Maria di Gesù fuori le mura di Palermo[12].

Defunto l’ex pretore di Palermo, il figlio Giovanni non ha il tempo - o la voglia - di recarsi a Racalmuto per prendere possesso della contea. Ne dà delega al parente agrigentino don Cesare del Carretto.

Eccone, in traduzione, l’atto di possesso:
«Atto di possesso - 8 agosto, XI^ indizione, 1583 -
«Si premette che il condam d. Girolamo del Carretto, conte della terra di Racalmuto, morì - come piacque a Dio - nella felice città di Palermo ed a lui successe - così come dovette e deve - nella contea predetta, per patto e provvidenza del principe, l’ill.mo don Giovanni del Carretto, in quanto figlio primogenito, legittimo e naturale, e successore in virtù dei suoi privilegi e degli altri atti e scritture.

«In relazione a ciò, nel predetto giorno,  lo spettabile don Cesare del Carretto della città di Agrigento - noto a me notaio, presente, innanzi a noi - come procuratore del prefato ill.mo signor don Giovanni, in forza della procura celebrata agli atti miei il giorno sette del presente mese, in virtù dei detti suoi privilegi ed anche dei relativi diritti, contratti e scritture,  con ogni miglior modo e forma, con i quali meglio e più utilmente poté essere detto, fatto e pensato, in favore e per l’utilità dello stesso illustrissimo signor don Giovanni come figlio primogenito ed indubitato successore per morte del prefato ill.mo signor don Girolamo del Carretto, suo padre, per patto e provvidenza del principe ed in forza dei suoi dei suoi privilegi ed in ogni miglior modo e nome e continuando nel possesso in cui fu ed è e per quanto occorra, il predetto procuratore prese e acquisì il reale, attuale, naturale, materiale, vacuo, libero e corrente possesso della detta terra di Racalmuto, della contea e dello stato della giurisdizione civile e criminale, nonché del mero e misto impero e degli altri diritti ed universe pertinenze sue.

«E per me infrascritto notaio, ad istanza e richiesta dello spettabile procuratore predetto, fatte seriamente, lo stesso procuratore, per suo tramite ma in nome del delegante, è stato introdotto, posto ed immesso nello stesso possesso della predetta terra, contea e stato con tutti i singoli suoi diritti e le pertinenze universe, nonché nell’integrità dello stato, della giurisdizione  civile e criminale e nel mero e misto impero, il tutto spettante alla detta contea in forza dei detti suoi privilegi ed altre scritture.

«E ciò per acquisizione delle chiavi del castello, con apertura e chiusura delle sue porte, entrando, uscendo e deambulando in esso castello e nelle sue stanze.

«Così come si è proceduto alla rimozione, destituzione e revoca dell’ufficio di castellanìa nella persona del magnifico Giovanni Bartolo Ciccarano, e dell’ufficio di secrezìa nella persona del magnifico Giovanni Antonio Piamontesi, dell’ufficio di capitano, giudice e maestro notaio nelle persone di magnifici Artale Tudisco, Nicolò di Monteleone e Rainero Fanara.

«E tanto si è fatto anche per i loro sostituti negli uffici della giurazìa nelle persone di mastro Martino Rizzo, Antonucio Morreali, Filippo Vaccari e Nicolò Capoblanco; e negli uffici di mastro notaro e dell’erario fiscale nelle persone di mastro Giacomo Puma e mastro Paolo Cacciaturi.

«Per nuova elezione e creazione negli uffici predetti, sono stati rinominati gli stessi ufficiali e gli stessi loro sostituti per beneplacito e sino ad altra nomina degli ufficiali in altra occasione o circostanza.

«Per la solenne celebrazione di un tale possesso ed a testimonianza di tale vero, reale, attuale, naturale e materiale possesso, ed a cautela del predetto ill.mo signor don Giovanni, viene redatto il presente strumento, corredato del timbro di avvaloramento, da me notaio Antonino de Gagliano, regio pubblico notaio di Cerami di questo Regno. L’atto viene rogato, in presenza di testimoni, e quindi registrato a suo tempo e luogo.

«Testi presenti: chierico Francesco Nicastro; m.° Pietro Romano; m.° Marino de Mulé e m.° Pietro Cacciatore.

«Nello stesso giorno, ai fini dell’estensione del possesso predetto, fu fatto accesso per me predetto infrascritto notaro e per il detto spettabile don Cesare del Carretto procuratore, con i testi infrascritti, fuori di Racalmuto presso il feudo detto di Racalmuto, e presso i feudi di Donnacale (Donnafala?), Garamoli e Culmitella, nonché presso i giardini, le sorgenti d’acqua, i vigneti della detta contea. Ne è stato preso possesso a nome del detto ill.mo don Giovanni, facendo l’entrata e l’uscita, visionando la concessione degli erbaggi, toccandone gli alberi, facendo il lancio di pietra, ispezionando il defluvio delle acque e compiendo gli altri riti atti a dimostrare la solenne presa di possesso.

«Testi: Nicolò di Mastrosimone, m.° Pietro de Pomis e m.° Pietro Buscemi.
Dagli atti miei notaio Antonino de Gagliano, di Cerami,  regio pubblico notaio del Regno.»

Il truce personaggio che fu don Giovanni del Carretto (il quarto della sua famiglia), se ebbe fretta a prendere possesso dell’eredità, appare poi in difficoltà quando deve prenderne l’investitura (con gli aggravi fiscali che comportava).
Ottiene due dilazioni:
1.    ) (Investitura citata) « Ill.mo Signore, Don Gioanne Carretto conte di Racalmuto ha di prendere la investitura di detto contato per la morte del condam Ill. don Geronimo Carretto suo padre, successoli, del quale prese la posessione cum juribus et pertinentiis suis e perché lo veni a periri il termino et instantia dello anno alli octo di augusto proximo da venire, che per alcuni impedimenti non li ha possuto sin ad hora prendere, supplica Vostra Signoria Ill.ma sia servita quelli prorogarsi di altri mesi dui...»;
2.    ) (ibidem) « Dice che ha di prendere la investitura di detto contato et perché havi havuto travagli nello taxari delli doti di paragio delli soi sorelli quella non ha possuto prendere et li veni a periri il termino del anno supplica v.s. ill.ma quello prorogarsi di altri mesi  dui..»




[1]) Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 509 - f. 52-55.
[2]) Vincenzo Di Giovanni - Palermo Restaurato - Palermo 1989, pag. 334-335. Trattasi della ripubblicazione di un testo manoscritto del 1627 (una trentina d’anni dunque dopo la conclusione degli eventi). Vincenzo di Giovanni, gentiluomo, è un del Carretto per parte di madre. In un suo lavoro  Palermo triunfante, l’autore dichiara di essere Don Vincenzo Di Giovanni e Carretto, Gentil’huomo palermitano e dottore di lege. Il suo avo materno fu Paolo, fratello di quell’Ercole del Carretto della venuta a Racalmuto della Madonna del Monte (op. cit. pag. 191).
[3]) C.A. Garufi - Fatti e Personaggi dell’Inquisizione di Sicilia - Edizione Sellerio, Palermo 1978, pag. 255; 260; 260 e 262-263

[4]) Il Garufi non indica con precisione gli estremi di questo Rapporto.

Se lo colleghiamo con i dati della nota n. 219 di pag. 258 dovrebbe trattarsi del vol. 556 dell’Archivo Historico Nacional de Madrid. Ma sappiamo che la numerazione di quelle buste “legajo” è radicalmente cambiat. Constano ad esempio questa serie di mutamenti:
Archivo Histórico Nacional di Madrid = Garufi legg. (legajo) 163-175 ora in Archivo Histórico Nacional di Madrid =1743-1755 e Garufi 155-160 = legg. 2297-2302


[5]) Nel libro dei Morti della Matrice di Racalmuto del 1614 alla colonna n. 83, n.ro d'ordine 17, leggesi:

«2 dicto [maggio 1622] il Ill.mo D. Ger.o [Geronimo] del Carretto fu morto e sepp.[llito] nella ecclesia di S.to Francesco per lo clero». Dai processi d’investitura sappiamo che era morto  il giorno prima 1° maggio 1622.

[6]) Traiamo dal processo d’investitura (Archivio di Stato di Palermo - Protonotaro Regno - Busta n. 1562 - processo n.° 3794)  di Girolamo del Carretto il suo certificato di battesimo:

 «die 28 ottobris XJ^ Ind. 1597 - Ba:[ttezza] lo Ill.stri et molto Rev.d° don Francesco Bisso v.g. (vicario generale) lo figlio delli Ill.mi SS.ri D. Giovanne et donna Margarita del Carretto et Aragona conti et contissa di Racalmuto jug:[ali] nomine Geronimo: lo q.re [compare] lo ill.mo et ex.mo don Gio: [vanni] Vintimiglia; la q.re [commare] donna Dorothea Vintimiglia et Branciforti.»


[7]) Crivella A. -Trattato di Sicilia - Palermo 1970

[8]) Archivio di Stato di Palermo - Protonotaro del Regno - Processi d’investiture - Busta n. 3542 - Contea, terra e castello di Racalmuto - Del Carreto Francesco (così erroneamente indicato, ma trattasi di Giovanni del Carretto)   
[9]) Invero il diploma porta 1593, ma data l’indizione, pensiamo si tratti del 1594.
[10]) Archivio di Stato  di Palermo - Protonotaro del Regno - Processi d’investiture  - busta n. 1538 - processo n. 2872 - Feudo: Contea e Terra di Racalmuto - Investito Giovanni del Carretto.
[11]) 1582 nel testo, ma crediamo che vada corretto in 1583.

[12]) Nel processo N.° 2872 del 1584 prima citato, riscontriamo questo atto di morte:

« Fides mortis ill.is don Hyeronimi del Carretto - Die 14 Julii XII^ Ind. 1584 - Nos P. Raphael de Natale et P.  Dionisius de Martina Capp.ni Parr.lis Ecc.e S.ti Jacobi Maritimae u.f. Panhormi fidem indubitatam facimus omnibus, et singulis has presentes visuris, lecturis, et audituris quod in uno ex libro dictae Eccl.e in quibus notantur mortua, invenitur nota tenoris sequentis. V.D.:        


«Die nono Mensis Augusti XI^ Ind. 1583 - Fu sep.to in S.ta Maria de Giesu extra moenia lo Ill.mo s.or Do’ Geronimo Lo Carretto conte de Racalmuto

«In quorum fidem, et testimonium predictam notam nostra propria manu subscripsimus suis die loco, et tempore valituram. - dat. Pan: die precalendato - + P. Raphael de Natale Capp.us ut supra + P. Dionisius de Martina Capp.us ut supra. Coll. facta.»

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