martedì 7 luglio 2015

Don Vincenzo D’Averna


Ci sembra un parente dell’arciprete d. Gerlando D’Averna, ma non abbiamo prova alcuna ove si eccettui una qualche singolare coincidenza. Sicuramente non era racalmutese. E’ cappellano della matrice a partire dal luglio del 1571. I salti della documentazione parrocchiale ci impediscono di sapere sino a quando operò assiduamente. Comunque, stando agli atti di battesimo disponibili, nel successivo periodo che decorre dal 6.11.1575 sino al 21.5.1576 è il sacerdote officiante in n.° 76 funzioni battesimali. Dopo quella data non lo s’incontra più, ma vanno tenute presenti le interruzioni che si riscontrano per quel periodo nell’archivio della matrice. Don Vincenzo D’Averna non appare nel “liber” della parrocchia: ovviamente già nel 1636 si era perso il ricordo di quel cappellano.

Don Giuseppe D’Averna

 Appare per la prima volta in un atto notarile della confraternita di S. Maria Inferiore del 31 agosto 1578:
Terrae Racalmuti Die xxxi° augusti vj ind. 1578. - Notum facimus et testamur quod Reverendus pater Joseph d’Averna cappellanus, Antoninus de Acquista; Jo Grillo et Vincentius Macalusio rectores venerabilis  ecclesiae Sanctae Mariae Inferioris ...
Nel 1580 fa da padrino di battesimo a Vincenza Stincuni:
14 2 1580 Vincentia      di Gerlando Stincuni e Angela; lo q. don Joseph di Averna  la q. Betta la Carretta'.                                    

E’ poi assiduo come cappellano sino alla data della sua morte che il ‘Liber’ segna sotto la data del 26 ottobre del 1600 (Liber in quo adnotata .. cit. col. 1. n.°  13). Una malcerta annotazione sembra indicarlo come Vicario Foraneo, ma è indizio troppo dubbio per essere certi che abbia ricoperto tale importante carica. Comunque è presente nei battesimi dei figli degli ottimati locali come quello di
3     7 1598 Margarita donna di Geronimo don Russo e di donna Elisabetta Del Carretto, per don Gioseppe d'Averna; patrini Vinc. Piamontese et soro Gioanna Piamontese                                                                             

Elisabetta del Carretto era figlia di Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto e di donna Caterina de Silvestro. Ella fu legittimata il 12 novembre del 1587, come emerge dall’esordio del  seguente atto regio:
(1587, 12 novembre)
Philippus etc.
Vicerex et gen:lis Capitaneus in h: S: R: D: D: Elisabeth del Carretto fid: reg: D.S.
Solitum est Principis et illius vicem gerentis gratiam et favorem legitimationis suis  ... subditis  cum itaque vos predicta d: Elisabetha nata et procreata estis ex Ill.re d: Joanne del Carretto comite Regalmuti uti coniuncto cum nobili d: Catharina de Silvestro et sic illicito toro egeatis, propterea huiusmodi legitimationis beneficio et gratia munificentia gratiose decorari atque investiri supplicationi dicti ill. genitoris vestri benigne inclinati, considerantes dignum esse et rationi consone et quae parentum culpa et naturalium defectum impediuntur, per principem ligitimationis beneficio reparentur; et super eo favor regius largiatur, providimus ad relationem Sp: Reg: Conservatoris Jo: Francisci Rao J.P. die 20 Julij XV: Ind. 1587. Concedatur circa prejudicium monentium ab intestato, tenore igitur presentium de certa nostra scientia, motu proprio deliberato et consulto et de gratia speciali regiaque auctoritate qua fungimur in hac parte et regiae postestatis  plenitudinem legibus absolutam qua uti colimus, ac si motu proprio inducemur, vos predicta d: Elisabetham ex inonesto et illicito coito legitimamus et ipsius legitimationis beneficio et privilegio decoramus et insignimus, etiam habilitamus ad omnia et singula legitima successione hereditatis et ad omnes onores omnesque dignitates si ex legitimo toro nata et procreata esses, et succedatis et succedere possitis, et valeatis pleno jure omnibus et quibuscumque juribus de bonis paternis et maternis, mobilibus et stabilibua, sese moventibus allodialibus quibscumque etiam nominibus debitorum acquisitis et acquirendis de praesenti, praeterito et futuro in testamento, sive ab intestato, seu aliquoquocumque jure, tutulo, ratione, actione, seu causa et successione et dictis vestris parentibus, ac etiam admitti possitis et valeatis ad quamcumque aliam successionem omnium et quorumcumque aliorum superiorum et inferiorum ascendentium et descendentium, ac transversalium, fratruum, consobrinorum et aliorum quorumcumque tuorum ex testamento et ab intestato et ad quamlibet aliam ultimam voluntatem etiam ea donatione et quacumque alia ratione, sive successione, titulo, jure sive causa, directe vel indirecte tamquam legitima et legitimata.

Giovanni del Carretto, fa sposare la figlia, attorno al 1590, con il nobile Girolamo Russo. Costui figura come governatore del castello di Racalmuto nell’ultimo scorcio del secolo. Un’eco affiora in certo carteggio scambiato tra il vescovo di Agrigento Horozco Covarruvias e la Santa Sede, come si è visto nello stralcio di un documento vaticano sopra riportato.

Clerico Blasi Averna


Tra il 1579 ed il 1581fa capolino negli atti parrocchiali tal Clerico Blasi Averna. Di lui non fa menzione il “Liber”: era dunque sparito persino dal ricordo nel 1636. Nel rivelo del 1593 figura tal Blasi Averna, ma è un ragazzo di 22 anni che vive con la madre Vincenza nel quartiere di S. Giuliano: non ha dunque nulla a che vedere con il chierico in questione. Costui sposerà nel gennaio del 1601 Agata Mastrosimone, come da seguente trascrizione della Matrice:
7 1 1601 Averna Blasi di Antonino q.am e di Vicenza q.am con Mastro Simuni Gatuzza di Nicolao q.am e di Francesca; testi: Muntiliuni cl. Jac. e Gulpi Antonino: Benedice il sac.Macaluso Jo:

Don Monserrato d’Agrò.


Compare come cappellano della Matrice attorno al 1579, agli esordi dell’arcipretura Romano, e la sua missione sacerdotale, in subordine all’arciprete, dura sino al 1594. Sotto la data del 30 aprile 1595 lo incontriamo negli atti della chiesa di S. Maria di Gesù, di cui è divenuto cappellano. Nel coevo atto di assegnazione di un’onza di reddito da parte dei fratelli Vincenzo e Giacomo d’Agrò per avere in cambio la concessione di sepoltura nella medesima chiesa, don Monserrato d’Agrò fornisce il suo benestare nella cennata veste di cappellano:
Praesente ad haec omnia et singula praesbyter Monserrato de Agrò, mihi etiam notario cognito et stipulante pro dicta ecclesia uti eius cappellano et se contentante de praesente attu et omnibus in eo contractis et declaratis et non aliter.
 Ma negli ultimi giorni di agosto dell’anno successivo è già infermo e si accinge a fare testamento. Il suo attaccamento alla chiesa di S. Maria di Gesù è tale da presceglierla quale luogo della sua tumulazione. A tal fine assegna una rendita annua di un’onza e 3 tarì.
In un atto della chiesa del 12 settembre 1596 viene formalizzato il contratto di concessione in termini che sono uno spaccato del vivere civile e religioso dei racalmutesi dell’epoca. Per questo lo riportiamo  pressoché integralmente in appendice.[i]
Sappiamo dal rivelo del 1593 che a quel tempo il sacerdote aveva 45 anni. Era nato dunque attorno al 1548. Muore giovane, all’età di 48 anni. Abitava, apparentemente da solo, nel quartiere della Fontana come da questa nota del rivelo del 1593:
3 149 AGRO' (DI) PRESTI MONSERRATO [Sac:] CAPO DI CASA DI ANNI 45

La cappella desiderata da don Monserrato sorse nella chiesa di S. Maria vicino a quella di S. Maria dell’Itria e di fronte all’altra ove era raffigurata l’immagine di S. Francesco di Paola (intus dictam ecclesiam Sanctae Mariae Majoris prope  Cappellam Sanctae Mariae Itriae in frontispicio cappellae Imaginis Sancti Francisci de Paula...). Risulta che questa fu dedicata a S. Michele Arcangelo ( nell’atto del 1604 si parla, infatti della dote Cappellae Sancti Michaelis Arcangeli condam presbiteri Monserrati de Agrò).
Per quel che ci dice il Rollo della confraternita di S. Maria di Gesù, don Monserrato aveva almeno quattro nipoti di cui si ricorda nel testamento:
Est sciendum quod inter alia capitula donationis causa mortis facta per condam don Monserrato de Agrò Paulino, Natali, Joseph et Joannelle de Agrò eius nepotibus est infrascriptum capitulum tenoris  .... [ii]
Il nipote Paolino d’Agrò risulta figlio di quel Simone d’Agrò che approvò la transazione feudale con il conte Girolamo del Carretto nel 1581 (è il 229° dei presenti nella chiesa maggiore di Racalmuto che diedero l’assenso il giorno 15 gennaio 1581). Don Monserrato si limiterà ad apporre la sua firma come teste. [iii]


I primi cappellani:

1.    don Vincenzo Colichia;

2.    don Antonino La Matina;

3.    don Dionisi Lombardo;

4.    don Antonio Castagna.

 


Il più antico quinterno di atti battesimali della Matrice è composto di n.° 26 colonne. In alcune parti è indicata la data del 1554 (ad esempio 24 di augusto 1554 o die Xbris 1554) in altre 1563  (adi 9 januarii 1563) ed in altre ancora 1564 (junii VII ind. 1564). Non è facile districarvisi. A noi comunque sembra che le date sia apocrife, aggiunte successivamente. In effetti il fascicolo dovrebbe essere datato 1563-64, settima indizione anticipata.
Vi vengono segnati i sacerdoti che celebrano il battesimo. Sono costoro i cappellani della Matrice (operante nella chiesa di S. Antonio). Non riscontriamo mai la presenza dell’arciprete (né don Gerlando d’Averna, né quello che si considera il suo predecessore,  don Tommaso Sciarrabba (“Arciprete e canonico della cattedrale di Girgenti anno 1553”, annota il Liber citato, c. 1 n.° 2).
I cappellani officianti risultano:
1. don Vincenzo Colichia;
2. don Antonino La Matina;
3. don Dionisi Lombardo;
4. don Antonio Castagna.

La maggior frequenza si registra per don Vincenzo Colichia e per don Dionisi Lombardo. Entrambi vengono segnati con il titolo di “presti” (prete).  Di nessuno di loro si fa il più vago cenno nel “Liber”. Nella successiva documentazione del 1570/71, riappare soltanto il cappellano don Antonino La Matina.

I cappellani del periodo successivo (1570/1571):

1.    Don Vincenzo d’Averna;

2.    Don Jo Cacciatore;

3.    Don Antonino D’Auria;

4.    Don Giuseppe Garambula;

5.    Don Antonino La Matina;

6.    Don Filippo Macina.


E’ il periodo centrale dell’arcipretura di don Gerlando D’Averna che spesso presiede alla funzione battesimale. Su don Vincenzo d’Averna ci siamo già abbondantemente soffermati. Abbiamo pure accennato a don Antonino La Matina, presente negli atti del periodo precedente del 1564 (o giù di lì). Sul D’Auria, Cacciatore e Garambula non disponiamo di altri dati. Fra tutti questi cappellani, il solo ricordato dal Liber è don Filippo Macina (c. 1 n.° 8).  Stando ai cognomi, il D’Auria, il La Matina e Jo Cacciatore possono essere stati benissimo indigeni. Il Macina ed il Garambula appaiono oriundi.

I cappellani del periodo 1575/76

1.    Don Vincenzo d’Averna;

2.    don Lisi Provenzano.


I salti della documentazione disponibile ci portano a questa quarta indizione anticipata (1575/76). I battesimi vengono ora suddivisi solo tra il d’Averna ed il Provenzano. Su entrambi ci siamo dilungati in precedenza. Arciprete di Racalmuto è ancora don Gerlando d’Averna

I cappellani del periodo 1579/1582:

1.    Don Michele Abate;

2.    Don Monserrato d’Agrò;

3.    Don Lisi Provenzano;

4.    Don Giuseppe d’Averna.


Nei fascicoli dei battesimi del 1579 appare segnato come arciprete Don Michele Romano, dottore in sacra teologia (S.T.D.). Nel Liber vengono citati Abbate (n.° 24), Monserrato d’Agrò (n.° 7) , Giuseppe d’Averna (n.° 13) e naturalmente l’arc. Romano ( n.° 4). Il Provenzano è segnato come diacono (n.° 18) non si sa se per errore o perché c’era veramente un diacono Luigi Provenzano morto il 20 luglio 1600.

I cappellani del periodo 1583/84:

1.    Don Monserrato d’Agrò;

2.    Don Francesco Nicastro;

3.    Don Paolino Paladino;

4.    Don Lisi Provenzano.


Arciprete del tempo è don Michele Romano che appare in qualche battesimo. Rispetto al precedente periodo appaiono per la prima volta don Francesco Nicastro e don Paolino Paladino: entrambi sono annotati nel Liber, ma senza alcun altro dato all’infuori del nome e cognome.

I cappellani del periodo  1584/1594:

1.    Don Monserrato d’Agrò;

2.    Don Vito Alongi;

3.    Don Giuseppe d’Averna;

4.    Don Leonardo Castellano;

5.    Don Angelo Dardo;

6.    Don Filippo Macina;

7.    Don Francesco Nicastro;

8.    Don Paolino Paladino;

9.    Don Leonardo Spalletta.


Don Filippo Macina fa una breve apparizione fra il maggio e l’agosto del 1591. Don Leonardo Spalletta appare per la prima volta il 18.6.1592. Ritorna sporadicamente d. Giuseppe d’Averna  nel 1585 e nel 1593. Dal 20 giugno 1593 comincia la sua missione sacerdotale come cappellano della matrice don Leonardo Castellano, appena consacrato prete (3 Aprile 1593). Don Angelo Dardo inizia il 3.8.1590 il suo compito di cappellano della matrice. D. Francesco Nicastro è assiduo nell’intero decennio. Dal 1° settembre 1586 sino alla conclusione del periodo sotto esame, il cappellano maggiormente presente nei battesimi è don Paolino Paladino.

I cappellani a fine secolo:

1.    Don Vito Alongi;

2.    Don Giuseppe d’Averna;

3.    Don Giovanni Macaluso;

4.    Don Leonardo Spalletta.



A ridosso del secolo troviamo altri cappellani come don Baldassare Farrauto, di cui non sappiamo però nulla a far tempo dal 18.8.1596 e don Francesco Nicastro di cui abbiamo notizie sino al 1597. L’arc. Michele Romano era nel frattempo morto (28 luglio 1597). L’arcipretura di d. Alessandro Capoccio dura pochissimo: dal 16 luglio 1598 a parecchi mesi prima del 7 merzo 1600, data dell’insediamento del suo successore don Andrea d’Argomento.

I cappellani all’inizio del 1600

1.    Don Vito Alongi,

2.    Don Giuseppe d’Averna;

3.    Don Giovanni Macaluso;

4.    Don Leonardo Spalletta.



Il 7 marzo 1600 s’insedia il nuovo arciprete don Andrea d’Argumento e sappiamo con certezza che già il 15 ottobre 1600 è presente in Racalmuto (cfr. atti di battesimo). Tutti i cappellani d’inizio secolo sono ovviamente gli stessi che operavano alla fine del ‘500. Il più anziano  fra loro è don Giuseppe d’Averna che sappiamo essere deceduto il 26 ottobre 1600. 

Gli altri sacerdoti del ‘500


Il citato “Liber in quo sunt adnotata ...” elenca sacerdoti del ‘Cinquecento di cui non sappiamo null’altro all’infuori di quanto segnalato nel 1636 dal sac. Paolino Falletta. Ne trascriviamo i dati:



Cognome e nome
note
col.
n.°
Alberto (d’) Giovanni
Arciprete di Raffadali
1
22
Alberto (d’) Giuseppe
Arciprete
1
15
Amodeo Leonardo

1
9
Bertuccio Leonardo

1
12
Calcèra Geronimo

1
14
La Mattina Stefano

1
6



Alla fine del XVI secolo ed all’inizio del successivo appare spesso un chierico Giuseppe o Simuni d’Alberto che forse è da identificare con quello del Liber, sempre che sia stata fatta qui una qualche confusione tra il chierico e l’arciprete di Raffadali.

Don Giuseppe Romano


Annotato nel Liber (c. 1 n.° 17) si riscontra solamente in questa nota a margine del libro parrocchiale delle trascrizioni dei matrimoni 1582-1600:
Die 24 ottobris Xa ind.s 1597, mi detti lu cunto don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia don Joseppi Romano come procuraturi di mons.r ill.mo.
L’arc. don Michele Romano era morto solo da poco tempo (28 luglio 1597). Che vi sia un qualche vincolo di parentela, è congetturabile.

Arciprete Michele Romano


Ha tutta l’aria di essere il primo arciprete d’origine racalmutese. Insediatosi attorno al 1579, succede a don Gerlando d’Averna. Muore il  28 luglio 1597, prossimo al suo ventennio di arcipretura. Ebbe forse ad acquisire un discreto patrimonio, fatto sta che il vescovo Horozco intenta una lite al conte del Carretto per rivendicare i beni successori del defunto arciprete Romano. Il Vescovo ne fa cenno in una sua difesa inviata al Vaticano, ove fra l’altro si legge:
« [.....]Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia[1] del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassar quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. »
A distanza di secoli non è facile sapere chi avesse ragione. Di certo, il Romano durante la sua vita non si mostra contrario ai Del Carretto. Sul punto di morte è persino propenso a favorire il conte facendogli - a dire del vescovo - «certi testamenti et atti fittizij, falsi  e litigiosi».
L’arciprete Romano deve vedersela con il primo conte di Racalmuto, Girolamo del Carretto - divenuto tale nel 1576 - e, dopo il 9 agosto 1583, con il successore, l’avventuroso Giovanni Del Carretto, che finirà trucidato a Palermo il 5 maggio 1608. Entrambi furono però signori di Racalmuto che amarono starsene a Palermo. L’arciprete Romano ebbe a che fare più con gli amministratori comitali, quali Cesare Del Carretto e Girolamo Russo, che non con gli altezzosi titolari. E l’intesa sembra essere stata buona, anche quando si trattò di stabilire, nel 1581, oneri e tributi di vassallaggio.
Quando scende a Racalmuto un parente dei Del Carretto per battezzare il figlio di un personaggio eccellente, in quel tempo operante nella contea, l’arc. Romano è ovviamente presente:
“Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593 Diego figlio del s.or Gioseppi e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano archipr.te - il Compare fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Conbare l'Ill'S.ora Donna Maria del Carretto''
In ogni caso, nei raduni del popolo, chiamato ad avallare gravami tributari, l’arciprete si mantiene, almeno formalmente, al di sopra delle parti e non appare neppure come teste.

Arciprete Alessandro Capoccio


Il Vescovo Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il Capoccio aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non aveva tempo di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi  atti notarili. Presso la Matrice può leggersi questa nota apposta al margine di un atto matrimoniale:
«DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico''.» (cfr. Atti della Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600 )
Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di Agrigento al Papa[2]. Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene indicato come "Sacrae theologie professor eiusque [del vescovo] Secretarius”.
In Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento) - ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e residente per il momento in questa  corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y Covarruvias  di vista  e solo da due mesi, poco più poco meno, e di non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
 Salta quindi ben dodici domande che attenevano alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni, poco più poco meno’.
Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l'Argumento, nominato nel marzo del 1600.[3] Quel che appare sicuro è che l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto di battesimo o nella celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia racalmutese di cui per un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze pastorali fu di certo don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti parrocchiali testimoniano zelo ed assidua presenza.



LA FINANZA LOCALE A CHIUSURA DEL XVI SECOLO.


E le tasse comunali? Una testimonianza preziosa e piuttosto completa ce la fornisce proprio il Rivelo del 1593. Recita il documento: [4]
« [f. n.° 807] Praesentant  Ragalmuti die XI Julij V ind. 1593 [...]
Rivelo Ragalmuto .. presentato allo spettabile Natalitio Buscello in virtù di bando promulgato d’ordine di detto spettabile delegato.

Stabili                                                                                                                         

In primis la gabella dello pane et foglie: lo pilo, vino, formaggio, panno, la ligname,  pesci e sono affittate questo anno onze quattrocento sesanta che a ragione de dieci per cento sono onze quattromilia e seicento........................................................................................................................................-/ 4.600
stabili onze quattromilia sei cento .............................................................................................. -/ 4.600

Gravezze

Nota: Paga ognie anno alli Sindicaturi onze quindici; il capitale sono onze centocinquanta: a dieci per cento.......................................................................................................................................... -/     150
Paga ognie anno per salario dello orloggio, oglio  et conci onze dodici:
 il capitale sono centovinte......................................................................................................... -/     120
                                                                                                                                                                   e anno per salario dello mastro notaro et carta per le ocurentie onze dieci: il capitale son onze cento  ......................................................................................................................................... -/    100

Paga ognie anno per spese de bagaglie de cumpagnia onze trenta:
 il capitale son onze tricento.........................................................................................................-/    300

Paga ognie anno per salario di procuratori per occorentia apresso la Corte onze dudici:
il capitale sono cento vinte ......................................................................................................... -/    120

Paga ognie anno alla Regia Corte onze tricentosettantaquattro, tarì tridici e grana quattro a dieci per cento sono onze tremila setticento quaranta quattro .................................................................... -/ 3.744

Paga ognie anno onze sei per lo pagamento della Regia Corte in tre tande onze sei; il capitale sono onze sesanta ........................................................................................................................................ -/     60

Paga ognie anno a don Loise  Mastro-Antonio di Palermo onze vinteotto e tarì dicidotto a ragione de dieci per cento: il capitale sono onze duecentoottantasei ............................................................. -/    286

GRAVEZZE QUATTROMILIA OTTO CENTO OTTANTA ................................................... -/   4.880

INTROITO ONZE QUATTROCENTO SESANTA .................................................................. -/     460

ESITO ONZE QUATTROCENTO OTTANTA OTTO TARI' UNO E GRANA QUATTRO... -/   488.1.4

RESTA DI GRAVEZZE OGNIE ANNO ONZE VINTE OTTO TARI' UNO E GRANA QUATTRO.... ................................................................................................................................................-/   280.1.4

che a dieci per cento dette onze vinte otto tarì uno e grana quattro a dieci per cento sono il
capitale onze duecento ottanta tarì undici ............................................................................. -/  280.11.0
                                                                                                                                        ------------ 

                                                                                                                                       
+ cola macaluso. J[uratus]
+ joseppi cachaturi. [Juratus]
+ antonino vilardo J:[uratus]
+ notar giseppi sauro e grillo __ J[uratus].


Gli ottimati di Racalmuto nel rivelo del 1593.


I giurati di Racalmuto allo spirare del secolo XVI sono dunque:
1.    Nicolò Macaluso: ha 45 anni; abita nel centro del paese, al 159° fuoco del quartiere di S. Giuliano; la moglie si chiama Francesca ed è coadiuvata nei servizi di casa da Dora una “citella di casa”; non ha figli che coabitano con lui;
2.    Giuseppe Cacciatore: ha 42 anni e viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 226° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con lui quattro figli: Giuseppe di anni 11 e le femminucce Caterina, Franceschella e Contessella;
3.    Giuseppe Vilardo: ha 30 anni ed anche lui viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 76° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con lui sei figli: Giuseppe di anni 9 e le femminucce  Franceschella, Costanza, Innocenza, Angela  e  Fania [Epifania];
4.    il notaio Giuseppe Sauro e Grillo: ha solo 25 anni ed è sposato con Antonella: non ha figli; professionalmente si affermerà molto; frattanto abita al quartiere di S. Giuliano al 167°  fuoco; si era sposato a Racalmuto il 20 settembre 1592 appunto con  Antonella Magaluso e le nozze erano state benedette da don Francesco Nicastro: compari, il sac. don Paolino Paladino e il maggiorente Giovan Francesco d’Amella. Abbiamo l’impressione che il Sauro e Grillo non fosse racalmutese: il matrimonio con una locale gli poteva consentire di installarsi nel feudo dei Del Carretto per una esplosiva carriera ed una fortunata professione notarile.

Sono chiamati a fungere da delegati per il Rivelo conformemente ai criteri che abbiamo in esordio illustrati:
per il principale e più popoloso quartiere di Santa Margaritella:
·      Martino di Messina: ha 35 anni circa; abita al quartiere Fontana al 29° fuoco; la moglie si chiama Catherinella ed ha un figlio di otto anni;
·      Vincenzo di Amella Pridicaturi: ha 40 anni; abita al quartiere Santa Margaritella al 369° fuoco; la moglie si chiama Biatricella; ha tre figli maschi: Giuliano di anni 9, Giuseppe di 6 e Diego di un anno, ed una femminuccia,  Jurla [Gerlanda];
per il  quartiere di San Giuliano:
·      Giovanni Antonio Sferrazza: secondo noi risiedeva al quartiere Monte di cui, come detto, non abbiamo il quinterno di dati demografici;
e per il quartiere della Fontana:
·      Giovan Cola Capoblanco;
·      Natale Castrogiovanni;
·      Pietro Bellomo.
Di questi tre personaggi non abbiamo notizie certe: dovrebbero tutti e tre abitare al quartiere Monte.

 




Chiese, quartieri e facoltà nel rivelo del 1593.


I ponderosi volumi del rivelo del 1593 non possono essere tutti minuziosamente setacciati, se non da una squadra di studiosi e con rilevanti mezzi economici. Dobbiamo quindi accontentarci di alcuni sommari cenni.
A quell’epoca la terra di Racalmuto era idealmente segnata da un sistema di assi cartesiani in cui l’ascissa era una linea ideale che dalla Guardia andava al Padre Eterno e l’ordinata (che all’atto pratico era una sequela di strade tortuose) partiva dal Carmine per giungere alla Fontana. Nel mezzo vi era di sicuro la chiesa di Santa Rosalia (sicuramente in prossimità dell’attuale Collegio, ma a quale punto non sembra che si possa individuare con certezza). In tale sistema la parte sud-ovest costituiva il popoloso quartiere di S. Margaritella; quella di sud-est il quartiere di S. Giuliano; l’altra di nord-est era la Fontana ed infine il quartiere del Monte occupava la sezione di nord-ovest.
All’interno vi erano località di spicco che negli atti ufficiali servivano per l’individuazione di case e beni: faceva spicco il rione di Santa Rosalia che in effetti risultava inglobato prevalentemente nel quartiere di San Giuliano ma una minima parte debordava in quello di S. Margaritella. Santa Rosalia - che talora veniva chiamata S. Rosana o S. Rosanna o S. Rosaria, non si capisce bene se per errata trascrizione o per omonimia popolare o per la presenza nella chiesa di qualche altra immagine della celeberrima Vergine Sinibaldi - ospitava tanti personaggi cospicui. Esclusivo appare anche il rione di S. Agata. Anche per dare un saggio di come venivano censiti i patrimoni delle famiglie (fuochi), vogliamo qui dilungarci un po'  fornendo la successiva tavola[5]:



n.°
anno
quartiere
rivelante
composizione familiare
descrizione
confini
note
riferimenti
1
1593
Fontana
Lo Nobili Orazio a. 36
Filippella m.; Marco a. 12; Francesco a. 4; Betta
casa

Fontana (quartiere)
Vol. 597 1593 Inv. 83
2
1593
S. Agata
Agrò (d') Giuseppe a. 33
Maria m.; Giovanni mesi 4
Ugo signor Giuseppe; Chiesa di S. Agata e via pubblica
casa confinante con la chiesa di S. Agata
fasc. 597 1593
3
1593
S. Agata
Agrò Pietro a. 70
Catarina m.



fasc. 597 1593
4
1593
S. Agata
Gueli Antonino a. 43
Margarita m.; Marco a. 13; Juannella; Jacopa; Betta sogira
La Licata Nardo e Sanguineo Masi
fasc. 597 1593
5
1593
S. Agata
Randazzo Antonino
Juannella m.; Geronimo a. 12; Margarita; Bartula; Santa
Ugo Giuseppe
fasc. 598 1593
6
1593
S. Agata
Sanguineo Masi a. 48
Beatrice m.; Jacopo a. 20; Gaspare a. 13
2 corpi e cortiglio
Gueli e via

fasc. 597 1593
7
1593
S. Rosalia
Alajmo Pietro dott. Medico a. 40
Francesco a. 9; Giuseppe a. 5; Marco Antonio a. 2; Caterina
1 tenimento di casi in diversi corpi
Lo Brutto Antonino
onze 30
Vol. 597 1593 Inv. 83
8
1593
S. Rosalia
Arrigo (d') Geronimo a. 56
Angela m.; Vito figlio a. 8
1 casa terrana
Macaluso Pietro
Vol. 598 1593 Inv. 83
9
1593
S. Rosalia
Barberi Joanni a. 45
Antonina moglie

Noto (di) Marino
Vol. 598 1593 Inv. 83
10
1593
S. Rosalia
Collura (la) soro Antonina
Antonella sua nipote
2 casi
Di Lio Francesco
Vol. 598 1593 Inv. 83
11
1593
S. Rosalia
Fanara Francesco a. 28
Antona moglie
casa terrana
Afflitto (d') Carlo
Vol. 598 1593 Inv. 83
12
1593
S. Rosalia
Formusa Gio: Antoni a. 24
Margarita moglie; Lauria figlia
casa terrana
Blundo Gregorio e Morriali Giuseppe
Vol. 597 1593 Inv. 83
13
1593
S. Rosalia
Giordano Paulino a. 40
Antonina moglie; Battista a. 13; Maria; Anna
casa terrana
D'Anna Pietro e ? (Maltisi ?) Antonino
Vol. 597 1593 Inv. 83
14
1593
S. Rosalia
La Licata Caterinella
ved. di Santo - Andria f. a. 16
una casa terrana
Asaro Gi.

Vol. 598 1593 Inv. 83
n.°
anno
quartiere
rivelante
composizione familiare
descrizione
confini
note
riferimenti
16
1593
S. Rosalia
Lo Re Paulo a. 45
Antonella moglie; Cosimo a. 14; Antonino a. 8; Paulino a. 8; Petro a. 3; Filippa; Francesca
casa terrana
Macaluso ..

Vol. 597 1593  Inv. 83
17
1593
S. Rosalia
Macaluso Giuseppe a. 30
Giovannella moglie; Vincenzo a. 11; Girolamo a. 6; Angelo a. 1
casa
Lo Brutto Antonino
Vol. 597 1593 Inv. 83
18
1593
S. Rosalia
Maligno ( Pro^geco ?) Filippo a. 50
Norella moglie
casa terrana
Lo Re Paulo

Vol. 598 1593 Inv. 83
19
1593
S. Rosalia
Modica (di) Leonardo
Antonia moglie; Francesco a. 3; Vincenzo a. 1
casa terrana
Macaluso Pietro
Vol. 597 1593 Inv. 83
20
1593
S. Rosalia
Sanguineo soro Joannella
casa terrana
Brucculeri Filippo
Vol. 598 1593 Inv. 83
21
1593
S. Rosalia
Taibi Alissandro a. 40
Juanna moglie; Vincenzo a. 14; Vincenza
una casa in più corpi
confina con la chiesa (S. Rosalia)
Vol. 597 1593 Inv. 83
22
1593
S. Rosalia
Taibi Salvatore a. 20
Vincenza moglie
casa terrana
La Lumia Simuni e via
Vol. 597 1593 Inv. 83
23
1593
S. Rosalia
Valentino Jacopo a. 40
Paulina moglie
casa terrana
Macaluso Pietro e via
Vol. 597 1593 Inv. 83



 

 

Dettagli del Rivelo del 1593.


Sembra fuor di dubbio che il monaco benedettino Vito Maria  Amico[6] ebbe tra le mani, verso il 1750 il materiale del rivelo di Racalmuto del 1593. Nel suo Dizionario topografico (la parte riguardante Racalmuto è riportata in appendice al libro di Tinebra Martorana) l’Amico infatti annota: «Contaronsi nel tempo di Carlo V 890 case, e 4447 cittadini nell’anno 1595», (secondo la traduzione del Di Marzo). Una particolarità ci sorprende: del censimento sotto Carlo V (che crediamo essere quello del 1548) l’A. ci fornisce il numero delle case (890) e non quello degli abitanti, per quello del 1595 (per noi 1593) fa l’inverso dandoci invece solo il numero degli abitanti. E dire che se l’Amico ebbe i due volumi dell’Archivio di Stato di Palermo (il n.° 597 ed il n.°  598) sarebbe arrivato presto a quel conteggio: bastava sommare il numero finale del primo volume delle numerazioni dei fuochi con quello del secondo per avere l’esatto (o quasi) ammontare dei fuochi di Racalmuto.
Il numero degli abitanti che ci fornisce il d’Amico è di complessa quantificazione se ha proceduto ad un analitico conteggio dei componenti dei nuclei familiari: se, invece, come crediamo, disponeva del quinterno del quartiere Monte, in calce del quale è da presumere esistesse già quel calcolo di sintesi, la fatica del benedettino fu di poco conto.
Presso il Tribunale del Real Patrimonio dell’Archivio di Stato di Palermo, all’apposito fondo dei Riveli, possiamo rintracciare tre distinti gruppi di documenti che riguardano appunto quello del 1593 fatto nella ‘terra’ di Racalmuto:
1.    alle pagine 807r - 807v del vol. n.°  596 abbiamo lo spaccato della finanza locale sopra riportato;
2.    allegati al volume stanno i quinterni delle rilevazioni fatte dagli appositi deputati, disgraziatamente limitati a solo tre dei quattro quartieri (visto che è stato trafugato quello del Monte).  A parte ci diamo carico di farne la trascrizione;
3.    in due grossi volumi (n.° 597 e n.° 598) sono annotate le dichiarazioni che i racalmutesi erano tenuti a fare dinanzi al “Delegato”, reiterando quanto già direttamente (o tramite un loro familiare) avevano segnalato ai ‘deputati’ ed aggiungendo dati sommari sulle loro possidenze. Va notato che ancora nel 1593 la ‘dichiarazione dei redditi’ non aveva la completezza che avrà poi nel XVII secolo.[7]

Località e Rioni.


La suddivisione amministrativa tra i deputati era in quattro quartieri: S. Margaritella, S. Giuliano, Fontana e Monte. Nelle dichiarazione dei privati (rivelanti) e negli atti notarili si faceva invece ricorso ad una ripartizione topografica alquanto diversa che faceva sostanzialmente capo alle varie chiese e qualche volta alle particolarità di alcuni luoghi. Non si trattava di veri e propri rioni, ma il concetto vi rassomiglia molto. Abbiamo, così:


·      il Carmine;
·      S. Margaritella;
·      S. Giuliano;
·      S. Leonardo;
·      la Fontana;
·      il Castello (o Castrum);
·      S. Francesco;
·      S. Nicola;
·      la Cava;
·      Santa Maria;
·      li Fossi;
·      San Gregorio;
·      S.Antonio;
·      la Nunciata;
·      il Monte (lu Munti);
·      lu Spitali o S. Sebastiano o S. Bastianu;
·      la Piazza (o Platea);
·      Santa Rosalia;
·      Sant’Agata;
·      li Bottighelle;
·      Zagarano..



Molte di queste località si estendevano in due e forse, come nel caso di Santa Rosalia, in tutti e quattro i quartieri.

Centro topografico del paese era Santa Rosalia - difficilmente collocabile con estrema decisione, ma certamente - come detto -  non lontano dall’asse Itria-Collegio - che era quartiere ove stavano botteghe e le abitazioni di alcuni ottimati locali (il padre di Marc’Antonio Alaimo, il dott. Pietro; i Macaluso; i Taibi; i Lo Brutto; i Sanguineo; gli Afflitto, i Monteleone; i Cacciatore; i Catalano e via dicendo). Ma il rione più esclusivo sembra quello di S.Agata (gravitante sull’attuale via Rapisardi): vi abitavano i potenti Piamontesi ed i nobili Ugo.

Molti militari stavano invece al Monte. Non molte erano le case ‘solerate’ - quelle dei benestanti - ma non rare: in cortili a grosso affollamento si ammassavano attorno le case terrane  (di norma un solo locale) ove dimoravano i poveri.
Le maestranze riuscivano a farsi soggiogare dalle potenti confraternite di appartenenza delle discrete abitazioni. Le botteghe (c.d. Apoteghe) erano in mano  alle stesse confraternite e venivano affittate con magniloquenti atti notarili ai propri confratelli.

Il castello - rimesso a nuovo a metà del XV secolo dai Del Carretto, come abbiamo sopra visto - era in piena efficienza: non vi stavano più i conti, ma vi erano alcuni loro stretti parenti che gestivano la cosa pubblica come avvenne sotto i Russo il marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto.

Il Carmine era piuttosto deserto: del tutto fuori dell’abitato si ergeva il Convento sotto l’egida dei Del Carretto e con un valido priore padre Paolo Fanara. C’era anche un altro carmelitano sacerdote: padre Roberto Costa. Ben sei coadiutori semplici frati rendevano fertile la tenuta annessa. Costoro si chiamavano (e dal cognome sembre che fossero tutti racalmutesi): Fra Salvatore Riccio; Fra Francesco Sferrazza; fra Angelo Casuccio; fra Geremia Russo; fra Giuseppe Ragusa e fra Zaccaria Riccio. Le rade case intorno erano ripartite tra il quartiere di S. Margaritella e quello del Monte.

Rientravano totalmente nel quartiere Monte i rioni dello Spitali (l’attuale S. Giovanni di Dio), di S. Antonio, Zagarano e quello strettamente confinante con la chiesa. Vi confluivano parzialmente quelli di S. Rosalia, della Nunciata e di San Gregorio.
Erano annessi  amministrativamente al quartiere della Fontana le località di S. Agata, della Fontana vera e proprio, del Castello, di San Francesco, di S. Nicola, di Santa Maria, delle Fosse e qualche frangia di Santa Rosalia. Qualche abitante di San Gregorio viene incluso alla Fontana. 
Il nome della Nunciata appare a cavallo tra Monte e  Fontana.
Se nel 1540 quella dell’Annunciata era una ‘ecclesiola’ e Sant’Antonio la chiesa principale; dopo mezzo secolo le parti sembrano invertite. L’Annunciata non ha la grandezza dell’attuale Matrice (che conseguirà nella seconda metà del Seicento) ma è già abbastanza capiente con una ‘cupolona’, come recita un atto notarile del tempo.
Fino al 1608 S. Antonio era ancora operante ma il suo ruolo era di molto scemato. Persisteva comunque il toponimo che, come abbiamo detto, indicava una zona gravitante sul quartiere del Monte.

Lo Spitale era operante nel 1593 quando ancora non era stato affidato ai Fatebenefratelli. Tale affidamento avvenne un secolo dopo nel 1693[8] per opera dell’ultimo Girolamo del Carretto. Ma godeva già di rendite. Tale Giovanna Vigni aveva soggiogato all’Ospedale due case per tarì sei annui con atto del notaio Gio: Vito d’Amella del 10 settembre 1585[9].

Giuseppe Gulpi gli aveva costituito un’onza e 15 tarì di rendita sopra 9 salme di terra  con vigne, stanze ed alberi nel fego della Menta con due atti soggiogatori: uno del notaio Gacomo Damiano di Racalmuto in data 24 ottobre 1551 e l’altro a rogito del notaio Nicolò Monteleone in data 29 dicembre 1582. [10]

Un altro atto di dotazione dello Ospedale risale al 10 gennaio 1558, sempre a gli atti del notaio  Giacomo Damiano. Risultavano incisi quasi due secoli dopo  “Santo Cristofalo, Vincenzo e Marc’Antonio di Giglia e Isidoro Mulé Paruzzo”.

Nel 1693 ecco com’era descritto il vetusto ospedale:
«Nella terra di Racalmuto vi è un Spedale sotto titolo di S: Sebastiano che dall’antichità di esso non si ha certezza della fondazione e perciò li Prelati ... [ed i Del Carretto] have dato la cura ed amministrazione di detto Spedale, e sue rendite alli Deputati di tutte le Chiese di detta terra, li quali, benché s’havessero impiegato à tutto potere all’augumento di Esso, e suo servizio, per le molte occupazioni, e per la poco prattica con esse somiglianti, l’Ammalati patiscono della loro salute in tanto detrimento del publico di essa terra.»[11]
L’ospedale era peraltro munito di “chiesa con giogali ed arnesi”.


Qualche immigrato di spicco.


Capitava che dalle vicinanze venisse qualche persona di spicco per trovare moglie a Racalmuto. Ebbero così inizio famiglie oggi fra le più significative del paese. Dal libro dei matrimoni della Matrici estraiamo qualche esempio:
SAVATTERI (provenienza: Mussomeli)
7 7bris XIIIe Ind.nis 1586 - Vincenzo figlio di Vito et Angila Carlino cum    Margaritella figlio di Paulino et Belladonna SAVATERI dilla terra di Mussumeli, servatis  servandis et facti li tri denunciatione inter missarum solenia  et observato l'ordine sinodali et consilio tredentino, non si trovando inpedimento alcuno, contrassero matrimonio pp.ce in  facie ecclesie et foro beneditti nella missa celebrata per me  presti Francesco Nicastro, presenti li magnifici notari Cola et Gasparo Montiliuni et notaro Jo:Vito D'Amella et di multa quantità di personj”.

BUSCEMI (provenienza: Agrigento)
Die 6 di Jongno 1593 - Petro BUXEMI di la gitati di Jorgenti  cum Margaritella figlia di Jacubo di Graci, servatis servandis  .... contraessiro matrimonio pp.ce e foro benediti per me don  Paolino Paladino, presento presbiter Francesco di Nicastro, don Michele Romano e multa quantità di agenti”. 

SCHILLACI (provenienza: Cerami)
Die 9 februarij 1591 - Vincenzo SCHILLACI di la terra di Cirami cum Angila figlia di Calogiaro Savuso, servatis servandis ...., contrassiso matrimonio pp.ce e foro beneditti  per don Paolino Paladino, presenti Paulino Buscarino et Antonino di Mole' et multa quantità di genti”.  

SCHILLACI (provenienza: Sutera)  
Die 21 di Jongno 1593 - Scipiuni Jngrao di li Grutti cum Joanedda SCYLACHI di la terra di Sutera, servatis servandis e fatte le tri denunciationi inter missarum solemnia, non si  trovando inpedimento alcono, contra essiro matrimonio pp.ce e foro beneditti per me don Paolino Paladino, presenti clerico Jacubo di Avedda e multa quantità d'agenti”.


RIZZO (provenienza: Scicli)
 “Die 30 Januarii 1600 - Antonino RICZO di la terra di Xicli  cum Diana figlia di lu q.dam Minicu et Margarita Muraturi, servatis servandis et facti li tri denunciationi inter missarum solemniarum et observato l'ordini sinodali seu concilio tridentino, non si trovando impedimento alcuno, contrassiro matrimonio publice et in facie ecclesie foro benedicti per don Leonardo Spalletta, p.nti Filippo di Graci e Francesco Furesta”.

BONGIORNO (provenienza: Gangi)  
Die 6 di ferbaro 1583 - Vicenso BONJORNO di Ganci con Contissa figlia di Petro e Joannella di Antonuczo Caldararo di  Agro', a litre (lettera) di monsignore illustrissimo e  reverendissimo di Jurgenti, servatis servandis e facte li tre denunciaczioni, la prima a li 9 la 2a a li 16 e la tercza a li  20 di Jnaro inter missarum solemnia, non si trovando   inpedimento alcono contraessiro matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foru benediti jn la missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti lu magnifico Jacubo Piyamontisi, lu  magnifico Cola Montiliuni, lu magnifico Marino Catalano e multa quantitati di agenti

PIAZZA (provenienza: Mussomeli)
Die 8 Januarii  1594 - Minico di CHIACZA di la terra di Musumeli con Josepa di Vinciguerra, servatis servandis ..., contra essiro matrimonio pp.ce et foro benediti per me don  Paulino Paladino, p.nti Mastro Francesco Sachineo, clerico Jacubo d'Aveda e multa quantità  di agenti”.                     

LO JACONO (provenienza: Aidone)
 “Die XVo Julii Xe ind.is 1589 - Mastro Masi La Iacono della terra di Daiduni cum Lucretia figlia di Antonj et Hiaronima di Guarino, servatis servandis .... contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foro beneditti per presbiter Leonardo  Spalletta, p.nti Ioanni di Vigna et Hieronimo Piruchio et  multa quantità di genti”.




Uomini e cose da segnalare.


A Racalmuto sono stanziati come soldati di professione:
1.    Salvo (de) Mg. Ruggero, soldato anni 45, che abita al Monte;
2.    Morriali Antonino di Federico, soldato di cavallo, di anni 75, pure del quartiere Monte;
3.    Buxemi Currau anni 35, soldato, abitante anche lui al Monte;
4.    Barberi Petro anni 50; soldato cavallo, sempre del quartiere Monte;
5.    Matina (la) Gio, soldato di anni 70, residente nello stesso quartiere;
6.    Morriali Federico anni 40; soldato, vicino di casa;
7.    Sferrazza Mariano soldato di anni 22, che abita nel quartiere di S. Antonio.

In paese non è del tutto ignota la schiavitù a fine del secolo XVI.  Il magnifico Giacomo Piamontisi di anni 44 e sua moglie Beatricella tengono una “scava” nella loro abitazione di S. Agata.
La loro vicina Antonella La Licata - un personaggio di grande risalto - ne emula il singolare rapporto di schiavitù e tiene “Cristina sua serva seu scava” a tenerle compagnia nella sua vedovanza del quondam Leonardo La Licata, ricchissimo per i suoi tempi.
Del resto a quei tempi anche l’altezzosa donna Aldonza del Carretto teneva una schiava addirittura dentro il convento che l’ospitava.
Sono invece ben 17 le famiglie che possono permettersi una “citella”, una serva:
1.     AFFLITTO (D')  CARLO MAGNIFICO
2.     AGRO'(DI) PETRO
3.     ALAIMO (DI) LU M.co PETRO
4.     BALDUNI M.co FRANCESCO
5.     CATHALANO MICHELI
6.     CHICCARANO ANTONINO
7.     GUELI (DI) JOSEPPI
8.     GUELI (DE) GIUSEPPE DI JORLANDO DI ANNI 29
9.     LA LOMIA JOSEPPI
10. MACALUSO NICOLAO
11. MACALUSO PETRO
12. MONTILIUNI Not. Mco COLA
13. PAXUTA (LA) MATTHEO
14. PROMONTORO BALDASSARE LO S.r
15. SALERNO JO:
16. TODISCO Sp. ARTALI
17.TODISCO Sra SALVAGIA

Sul finire del secolo piuttosto diffuse sono le maestranze: abbiamo contato  52 mastri (il 4,11% dei fuochi). Non sono tantissimi ma rappresentano sempre una discreta forza sociale, anche se “li jurnatara” e li “burgisi” (per la gran parte contadini poveri) costituiscono la massa della popolazione, a sfondo quindi proletaria e spesso miserabile. I cinquantadue “mastri” sono:

1.     ALAIMO (DI) M.° ANTONINO
2.     ALLIGRIZZA M° CARLO
3.     AMICO (D') MASTRO PAOLO
4.     ARRIGO M° HYERONIMO
5.     BARBERI M° JOSEPPI
6.     BARUNI M° FRANCESCO
7.     BLUNDO MASTRO GRIGOLI
8.     BOCCULERI M° FILIPPO
9.     BONOANNO HYRONIMO M°
10. BUFALINO M.° BENEDITTO
11. CACHIATURI M.° FRANC.
12. CACHIATURI M° PAULO
13. CANSUNERI M° GERLANDO
14. CAPOBLANCO NICOLO M°
15. CATHALANO M° FRANCESCO
16. DAIDUNI M° PETRO
17. DI NOLFO M° HYERONIMO
18. DILIBRICI MASTRO GIUSEPPE
19. FACHIPONTI M° PAOLO
20. GENTILE M.° LUCIANO
21. GIGLIA (DI) M.° PIETRO
22. GIGLIA (DI) MASTRO ANTONINO
23. GIGLIA M.° ANTONINO
24. GIGLIA (DE) M.° MARCO
25. GISULFO M° SILVESTRO
26. GUELI (di) M° ANT.no
27. GULPI ANTONINO MASTRO
28. JACONA (LA) M° MASI
29. LA SCALIA M° ROGERI
30. LO PILATO M° BARTHULO
31. MANGIA M° JOANNI
32. MANGIAMELI  Mastro HETTARO
33. MEDIORA ? M° ANGILO
34. MILACZO (DI) M° MATTEO
35. MONASTERI M° BASTIANO
36. MONTANA (DI) M° XANDRO
37. MORREALI  M° MARIANO
38. NOBILI (LO) M° FRANC.°
39. NOBILI (LO) M° GIULIO
40. NOBILI (LO) M° HORATIO
41. NOBILI (LO) M° MASI
42. NOBILI (LU) M.° PETRO
43. PUMA (DI) M° FILIPPO
44. PUMA (DI) M° LISI
45. RAGUSA (DI) M° JULIO
46. RIZZO M°  FRANCESCO
47. SALVO (DI)  M° PETRO
48. SANGUINEO M° MASI
49. SPATAFORA M° PETRO
50. TAIBI M°  FRANCESCO
51. VILARDO ANTONI M.°
52. XANDRA M° HYERONIMO

Ma dagli atti della Matrice risulta un ben più nutrito numero di mastri (n.° 149 pari al 11,83% dei nuclei familiari):

Anno         Cognome      Nome
  1594           Acquista              Petro m.o
1591             Agnello                Filippo m.o
1588             Aiduni                  Petro  mastro
1594             Alaimo                Petro m.o
1593             Alexi                    Josepi m. o
1593             Alfano                 Antonino m.o
1595             Allegrizzi             Carlo m.o
1589             Amico                  Paulo m.o
1581             Apicella               Jo:Leonardo m.ro
1587             Argento               Maciotta m.o
1571             Arnone                Antonuzzu m.o
1571             Arrigo                   Gerlando m.
1580             Arrigo mastro     Hieronimo
1598             Baieri                   Petro m.o
1592             Baldoni               Francesco m.o
1596             Barberi                Antonino m.o          
1593             Barberi                Joseppi m.
1592             Baruni                 Francesco mastro
1584             Baruni                 Baldassaro m.ro
1589             Bellomo              Petro m.o
1599             Blundo                Jacupo m.o
1590             Blundo                Grigoli m.o
1593             Blundo                Joseppi m.o
1598             Bonanno             Geronimo m.o
1596             Bonsignori          Francesco m.o
1576             Borsellino            m.Giacomo
1590             Bufalino              Benedicto m.o
1593             Buxemi               Currao m.o
1591             Buxemi               Francesco m. o
1591             Cacciatore          Paulino mastro
1591             Cachiaturi           Joseppi m.o
1587             Cachiaturi           Francesco m.o
1593             Cannella             Benedicto m. o
1595             Capizzi                Cola mastro
1588             Caramuzza        Benedetto m.o
1580             Carlino                Jo: mastro
1595             Carmeni              Filippo m.o
1584             Castagna            Caloiro m.o
1593             Chianetta            Antonino m.o
1599             Cimino                Mariano m.o
1576             Cipolla                 m. Paolo
1593             Conti                    Paulino m.o
1593             Costa                   Paulino m.o
1591             Curto                   Josephu m.o notaro
1589             Damuni               Filippo m.o
1594             Di Etaro               Etaro m.o
1591             Di Liberto            Gerlando m.o
1586             Di Marco             Jeronimo m.o
1586             Di Noto                Marco m.o
1586             Docturi                Paulo m.o
1594             Facciponti           Petro m. o
1587             Fachiponti          Carlo m.o
1593             Falletta                Jacobo m.o
1587             Fantino                Giseppi m.o
1576             Favaraci (di)       m.o Angilo
1594             Ferranti                Matteo mastro
1580             Fontana              Antonino m.o
1581             Foresi                   Antonino mastro
1599             Gentili                  Luciano m.o
1584             Giandardone      Narcisi m.ri
1591             Giglia                   Marco m.o
1593             Giglia                   Antonino m.o
1584             Ginolfi                 Luciano M.o
1570             Girardo (di)         Pietro m.o
1592             Gisulfo                 Silvestro m.o
1589             Guaglardo           Nardo m.o
1597             Gualteri               Nuncio m.o
1590             Gueli                    Antonino m.o
1594             Gulpi                    Simuni m. o
1582             Guttadiauro        Antoni m.o
1585             Herbicella           Francesco m.o
1582             Infantino            Joseppi m.o
1571             Jacupunello        Antonino m.o
1584             La Matina          Josephi m.o
1586             La Ramogna      Caloiaro m.o
1595             La Scalia             Rogieri mastro
1590             Lansaloca           Rugieri m.o
1582             Latragna             Calojaro m.o
1593             Laurenzi              Petro m.
1598             Liuni                    Francesco m.o
1593             Lo Re                   Paulo m.
1588             Lu Patatari         Antoni m.o
1588             Lumbardo          Joanni m.o
1595             Macaluso            Andria mastro
1581             Magina                Jo: m.ro
1597             Mangiameli        Hettore mastro
1591             Mangiameli        Gaetano m.o
1588             Mangiameli        Prospiro m.o
1594             Manso                 Giseppi m. o
1594             Marturana          Petro mastro
1598             Mediona             Angelo m.o
1588             Menso Pani        Paulo m.o
1594             Migliuri                Vincenzo m.o
1592             Milazzo               Matteo m.o
1581             Ministeri              Antonino mastro
1586             Mole'                    Mariano m.
1587             Montana             Antoni m.o
1591             Monteliuni          Gasparo m.
1593             Morriale              Mariano m.o
1584             Naduri (di)          Pietro m.o
1588             Nicastro               Paulino m.o
1595             Nobile                  Masi mastro
1599             Nobile                  Gioseppe m.o
1590             Nobili                   Francesco m.o
1593             Nobili                   Petro m.o
1593             Nobili                   Razio m.o
1593             Nobili                   Jolio m.o
1591             Noto                     Marco m.o
1584             Noto (di)              Nardo m.o
1595             Pansera               Vincenzo m.o
1588             Pecuni                  Jacubo m.o
1589             Perna                   Joseppi m.o
1588             Pilato                   Jolio m.o
1584             Pino' (di)              Giseppi m.o
1597             Pititta                   Cola m.o
1571             Pitricella              Francesco m.o
1596             Puma                   Paulo m.o
1596             Puma                   Lisi m.o
1580             Puma                   Filippo m.o
1589             Ragusa                Julio m.o
1591             Raineri                 Antonuzzo m.o
1594             Randazzo           Jeronimo m.o
1594             Rizzo                   Francesco mastro
1593             Rizzo                   Mariano Mastro
1571           Romano                Jambattista m.
1597             Salvo                   Roggiero m.o
1586             Salvu                   Giorgio m.o
1571             San Mariano      Gireri m.
1597             Sanguineo           Francesco m.o
1587             Sanguineo           Masi m.o
1590             Sanguineo           Francesco m.o
1589             Scaturro              Filippo m.o
1594             Silvestri                Agustino mastro
1575             Spina                   Nardo (m.o)
1571             Tabuni                 Antonino m.tru
1587             Taibi                    Francesco m.o
1592             Todaro                Vincenzo m.o
1591             Todaro                Vito M.o
1585             Travali                 Antonuccio m.o
1589             Valanca              Paulo m.o
1587             Vinchiguerra       Nardo m.o
1599             Virdiramo           Pascquali m.o
1599             Viscuso                Francesco m.o
1590             Vriczi                   Carlo m.o
1598             Xortino                Masi m.o
1598             Yhano                 Paulo m.o
1598             Yharrubba          Nardo m.o
1587             Zimbili                 Ieronimo m.o
1586             Zuczarello           Santoro m.o

Al Monte abita lo “speziale” del paese, ma con aromateria in piazza. Si chiama Francesco Baldoni ed è sessantenne. E’ sposatO con tale Alfonsina ed ha in casa due figli maschi (di 15 e 10 anni) e tre figlie femmine.

Anche l’anziano notaio, Giovan Vito d’Amella, abita al Monte. Ha 58 anni, moglie ed una figlia. Medico del paese è invece, come abbiamo detto, il padre di Marc’Antonio Alaimo.
Il futuro grande medico abita ancora a Racalmuto: ha appena due anni secondo il censimento dei deputati fatto nel 1593:








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ALAIMO (DI)  M.co PETRO

CAPO DI CASA DI ANNI 44 - MARUZA SUA MUGLERI - FRANCESCO SUO FIGLIO DI ANNI 9 - JOSEPPI SUO FIGLIO DI ANNI 5 - MARCO ANTONI DI ANNI 2 SUO FIGLIO  CATHERINA SUA FIGLIA - UNA CITELLA DI CASA


Viene censito al quartiere di S. Giuliano, ma il suo rione è quello di S. Rosalia



.

*     *    *

Giovanni IV del Carretto fu trucidato in Palermo nel 1608: tanti diaristi annotarono quel fosco delitto.
La cronaca, fra l’altro, la troviamo nei Diari della Città di Palermo, pubblicati nel 1869 da Gioacchino di Marzo (Vol. II - Aggiunte al Diario di Filippo Paruta e di Niccolò Palmarino, da un manoscritto miscellaneo seg. Qq C 48 - pag. 24-25 dell’edizione del 1869). Eccola:

«A 5 di  maggio 1608, Lunedì sera, a ora una di notte. In questa città di Palermo, nella strada Macheda, alla calata a mano dritta dove si va alli Ferrari, successi uno orrendo caso, che venendo in cocchio lu ill.e conte di Racalmuto, chiamato D. Ioanni del Carretto, insemi con un altro gentilomo nominato D. Ioanni Bonaiuto (quali sempre era solito di andare con lui), come fu alla detta strata, ci accostorno dui omini, li quali non si conoscêro, allo palafango [parafango]di detto; e ci tirarono dui scopettonate nel petto a detto conti, chi a mala pena potti invocare il nome di Jesù, con gran spavento di quello che era con detto conti, e con gran maraviglia di tutti li agenti; e finìo.

« A 7 detto, mercori, ad uri 22. Si gittao un bando arduissimo della morti del ditto conti di Racalmuto: chi cui sapissi o rivilassi cui avissi occiso a detto conti, S.E. li donava scuti cincocento, dudici spatati, quattro testi, sei destinati [nota del di Marzo: .. non è agevole intendere il significato di spatati e testi, che davansi in premio a chi rivelasse.

«De’ sei destinati però (qual voce in siciliano vale esuli, relegati) intendo facilmente, che accordavasi facoltà al denunziante di ottenere per sei di loro la grazia del ritorno], purché non sia lu principali ci avissi fatto  detto delitto, et anco la grazia di S. M.».

Ci dispiace per il nostro Tinebra Martorana: è del tutto destituita di fondamento la notizia che riporta a pag. 123 e cioè: «..il conte di Racalmuto tornava al suo castello, seguendo con la sua carrozza la via che attraversa la contrada Ferraro, sita nel nostro territorio ed a quattro chilometri dal Comune.»

 Nello stesso Diario, pubblicato dal di Marzo (pag. 30-31),  leggesi che successivamente:

 «A 20 ottobre 1608. Fu martoriato il sig. Baruni dello Summatino. Lo primo iorno happi quattro tratti di corda, e lo secundo tre, ed il terzo dui, e li sùccari [Sùccari in sic. canape o fune, con cui si collava, ed era proprio per uso della tortura. Colla ] soliti; e tinni [intendi che tenne forte a non confessare]: avendo stato carcerato del mese di agusto passato.

«E fu perché il giorno che sindi andâli galeri di Franza, andando Scagliuni a vidiri cui era supra detti galeri, trovao uno calabrisi quali era di Paula, e travovauci certi faldetti che avia arrubati allo Casali.

«E pigliandolo, ci disse, che non ci facissero nenti, ché isso volìa mettiri in chiaro uno grandissimo caso.

«E cussì Scagliuni ci lo promisi; et isso dissi, che isso con il sig. D. Petro Migliazzo aviano tirato li scupittunati al conti di Racalmuto, essendoci ancora in loro compagnia  alli cantoneri il sig. D. Petro e il sig. D. Vincenzo Settimo; e che il detto di Migliazzo avia tirato il primo; e che il baroni del Summatino ci avea promesso onzi cento per fari detto caso. E chiamao ancora diversi personi».


In una pubblicazione dell’ARCHIVIO STATO PALERMO: L'ARCHIVIO DEI VISITATORI GENERALI DI SICILIA - ROMA 1977 pp.. 191 vengono fornite notizie sulla dovizia di documenti relativi al processo del presunto mandante dell’omicidio del conte Giovanni del Carretto.

Sono documenti che si trovano  nell’ «Archivo General» di Simancas e precisamente:

-  nel legajo n.° 254 è contenuta la copia del  "PROCESSO CAUSADO EN LA GRAN CORTE SOB RE LA MUERTE DEL CONTE DE RECALMUTO" CC. 123  - ANNO 1608 - VISITAS DE ITALIA 1) SICILIA.

Riportiamo integralmente quanto si legge nella pubblicazione dell’A.S.P.:

 «Si tratta degli accertamenti disposti dal visitatore ad istanza di don BLASCO ISFAR e CRUILLAS, barone di Siculiana, e don GASPARE LO PORTO, barone di SOMMATINO, suo nipote, nel processo subito da quest'ultimo, come presunto mandante dell'assassinio di Giovanni DEL CARRETTO, conte di Racalmuto. I due baroni sostengono che il processo fu messo su in base a false testimonianze dal procuratore fiscale della Corte capitanale di Palermo, GIACOMO SCAGLIONE, con la complicità del Presidente della Gran Corte RAO.

Il successivo Leg. 255.1. 1579-1611 contiene i discarichi di Giacomo Scaglione e vi sono le difese del funzionario in ordine alle accuse mossegli a proposito del processo contro i presunti mandanti dell'omicidio del conte Giovanni del Carretto.»
In quei “legajo” di Simancas v’è dunque il seguito della storia. Sembrerebbe un delitto in famiglia: gli Isfar sono poi gli eredi di quel genero di Giovanni I del Carretto che a dire del Bresc lo avrebbe depredato dei feudi racalmutesi; a distanza di due secoli un altro Isfar avrebbe trucidato Giovanni IV del Carretto, evidentemente per interessi.
Ma è storia di famiglia che a noi non importa gran che. E’ in definitiva storia della nobiltà palermitana, verso cui nutriamo altrettanta indifferenza.

La comunità ecclesiale di Racalmuto nei primi anni del Seicento.

Il nuovo secolo, il XVII, si apre a Racalmuto con un vuoto: non c’è ancora il nuovo arciprete. Questi viene solo dopo alcuni mesi e si tratta di Andrea d’Argomento.
Questo nuovo arciprete di Racalmuto è comunque esaminatore sinodale ad Agrigento, ed è dottore in utroque iure; giunge nel marzo del 1600, il giorno della festività di San Tommaso dottore della chiesa, prende possesso della chiesa arcipretale di S. Antonio, anche se forse anche lui preferisce la più centrale chiesa suffraganea della Nunziata. Questo pozzo di scienza immigra a Racalmuto, oriundo da non si sa quale parte della Sicilia. Forestiero, di sicuro, ma almeno in paese ci viene e rispetta le novelle costituzioni tridentine. Non muore però come arciprete del paese; si trasferisce o viene mandato altrove. Ma per l’intero triennio 1600-2 lo ritroviamo annotato qua e là nei registri parrocchiali. In quelli dei morti del 1601 rimangono rivelatrici annotazioni come “detti fra Paulo [pensiamo a fra Paulo Fanara] la palora a l’arciprete; all’arciprete; palora al s. arcipreti”. Il senso è evidente; non può che trattarsi del regolamento dei conti della cd. quarta dei “festuarii”; in altri termini la quota di spettanza per i funerali (che costavano per le spese di chiesa, 5 tarì e 10 grani per gli adulti ed un tarì e dieci grani per le “glorie”, i bambini). Negli esempi che qui sotto riportiamo, le sepolture avvengono “a lo Carmino” (ed ecco il riferimento al celebre priore fra Paulo Fanara, di cui abbiamo fornito cenni biografici), a Santa Maria (di Giesu) - e vi viene tumulato un pargoletto della racalmutesissima famiglia Mulé, ed a S. Giuliano (accompagnata da tutto il clero vi è sepolta una tale Angela Turano, ceppo poi emigrato da Racalmuto). Sia però chiaro che non abbiamo elementi di sorta per sospettare di questo arciprete dottore in utroque. Crediamo, anzi, che sia stato bene accetto e rispettato: un “signore arciprete”, dice il chiosatore dell’archivio parrocchiale.


Dopo il 1602 sino al 10 gennaio 1606, l’Horozco ha traversie giudiziarie, contese con Roma, deve vedersela con il conterraneo - ma non per questo meno ostile - vescovo di Palermo, Didacus de Avedo (Haëdo). Perseguitato dai nobili, è costretto a fuggire in un convento amico di Palermo. Artefice di obbrobri giudiziari per il tramite del suo manutengolo, don Francesco Zanghi, canonico percettore della prebenda di S. Maria dei Greci, soccombe presso la Sacra Congregazione dei Religiosi e dei vescovi nella persecuzione contro i canonici cammaratesi don Francesco Navarra, titolare della prebenda di Sutera, e don Raimondo Vitali: il primo era accusato di pederastia; il secondo di relazione peccaminosa con la vecchia madre del primo.
La diocesi sbanda e così Racalmuto. Certe carenze d’archivio parrocchiale ne sono un indice. Il nuovo vescovo Vincenzo Bonincontro, che si insedia il 25 giugno 1607 e durerà a lungo sino al 27 maggio 1622, dovette mettersi di buzzo buono per riordinare la sua turbolenta e disastrata diocesi.
Il 18 giugno del 1608, il novello vescovo da Canicattì si porta a Racalmuto per la sua visita pastorale. Ne tramanderà una relazione minuziosa, ricca di riferimenti a persone, chiese, istituzioni, fatti e misfatti, tale da rappresentare una preziosissima fonte per la storia di Racalmuto, e non solo quella religiosa. Seguiamone alcuni passaggi:

Ill.mus Rev.nus noster de Bonincontro  summo mane recedens cum tota sua familia de predicta terra Cannicatti,  Deo adiuvante, pervenit ad terram Racalmuti distantem  circiter  miliaria octo et pariter a civitate Agrigenti alia mialiaria duodecim. In qua sunt domus seu fochi mille et quingenti et anime circiter septemmillia et cum ad eam pervenisset hora quasi duodecima statim contulit se ad ecclesiam maiorem dicte terre sub titulo S.ti Juliani martiris ubi facta absolutione fidelium defunctorum et visitazione S.mi Sacramaneti ac fontis Bapt.malis et sacro oleo...
mandavit.
che il deposito del Ss.mo Sacramaneto non si tenghi nella sfera come s'è tenuto insino al presente ma si facci  una custodia a questo effetto. (non è fatto, annotazione successiva, n.d.r.)
che si facci una cucchiara d'argento con suo manico d'argento quale capa almeno una libra d'acqua et con quella si debba battezzare. (non è fatto, annotazione successiva, n.d.r.)
che nel fonte del battesimo si facci un'altro catinazzello che serri bene.
che si compri un vacilello seu cato di ramo per l'Aspergere.
Un martirologio moderno
che si facci una cappella cioe cappa casubula et torricelle di damasco verdi; et un paro di torricelle di damasco bianco. Le quali cose predette tutti et singule li debba fare l'Arciprete a sue dispese fra il termine di anno uno sotto pena di sospensione ipso fatto incurrendo dello suo beneficio seu mansionariato di detta terra di Racalmuto.
Die 19 medesimi mensis Junii 1608
Prefatus Ill.mus et Rev.mus Dominus mane se contulit ad predictam ecclesiam S. Juliani  et ibi ministravit solemne sacramentum confirmationis. Et clerum invigilavit ....
Item visitavit onfraternitatem S.cti Juliani et mandavit che si comprino dui teli di calice di taffita uno bianco et l'altro aurato. Due cingoli con suoi giummuli grossi et un missale grandi moderno. Et revidit jugalia redditus et computa introitus...

die 20 eiusdem
Ill.mus Rev.mus d.nus iterum se contulit ad predictam ecclesiam s.cti Juliani et iterum ministravit sacramentum confirmationis multis fidelibus ....
visitavit ecclesiam et confraternitatem S.te Marie Maioris, positam extra dictam terram, in qua die presentes sunt fratres, et conventum S.te Marie di Jesu, quia ius visitandi pertinet ad Ordinarium, et post visitationem dicti conventi et altaris S. Marie Maioris ac omnem jugalem et paramenta confraternitatis sub eodem titulo S. Marie Maioris;
mandavit confratribus et rectoribus
 che debbano comprare un messale grande moderno. Un sopra calice di taffeta bianco. due cingoli con suoi giumbi grossi, una tovaglia di damasco russo per lo crocifisso; che si apparecchi un altarecto per la consacratione et che dentro allo sgabello della imagine della beata vergine si cavi con scarpello una finistrella dentro la quale si debba riporre il reliquario con sua porta e serratura con chiave.

Item visitavit ecclesiam seu cappellam S.te Margarite Virginis et martiris collateralem et coniunctam cum dicta ecclesia S.te Marie Maioris. In qua est titulus canonicalis Don Joannes Bondì saccensis et fuit per eundem de novo restaurata et reedificata atque ornata ... 
S.te Margarite valoris unciarum septem
et mandavit  ...
 che vi facci un pallio d'altare di damasco. tre tovaglie. un paio di candeleri. una crocetta et che inalbi detta cappella et si accomodi un fonticello per l'acqua benedetta.

Die 22 eiusdem mensis Junii vi indi. 1608
Ill.mus et Rev.mus D.nus inivigilavit die dominica mane;
contulit ordinans minores et ipsemet visitavit ecclesiam fratrum Sancti Francisci vulgo dicti di li zuccolanti ubi post celebratam missam visitavit S.mum Sacramentum. Et sero fecit erectionem et divisionem duorum parrochiarum videlicet: unam sub titulo Sancti Juliani martiris et in eadem ecclesia S. Juliani; et alteram sub titulo et in ecclesia Annuntiationis sub nomine Virginis Marie  ... hac modo videlicet quod in parochia S.cti Juliani provvideatur de rebus necessariis per ill.mum archipresbiterum  et confraternitatem S.mi Sacramenti prout hactenus permissum est quod Archipresbiter non sit obligatus detinere in ea duos cappellanos prout hactenus prout solitus fuerat detenere sed eorum tantum stante quod per dictam divisionem remanet ei minus cura quem antea. Parochiae vero Annuntiationis minori erectae provvideatur hoc modo. videlicet ipse d. Archipresbyter contribuat uncias sex decim quolibet anno. et confraternitas S.mi Sacramenti provvideat  ...... unciis 24

Et interim d. V.or accessit ad locum et divisionem fecit dictarum parochiarum de ordine et .. dicti ill.mi ...
et sic fuit completa visitatio terre Racalmuti.

(f- 250)
 In Dei nomine amen
Die 22 Junii VI Ind.is 1608
in discursu visitationis terre Racalmuti factae per Ill.mum et Reve.mum de Bonincontro

Divisio Parocchiarum erectarum  in dicta terra VD. unius sub titulo Sancti Juliani Mart. et alterius sub titulo Annunciationis Gloriosisimae Virginis Mariae.
Incipit Parocchia sancti Juliani ab ecclesia seu conventu fratrum Carmelitarum sito et posito a parte meridiei dictae terrae et in loco inhabitato distante ab abitatione dictae terrae per iactum lapidis et prosequitur usque ad fontem seu ut vulgo dictam alla fontana seu biviratura sita et posita a parte aquilonis coniuncta cum habitatione dictae terrae.

L’anno successivo, il Bonincontro ritorna a Racalmuto e completa la vista, annotando ([12]):

Racalmut - Accessit de mane, una cum coa/... (Coadiutore?), associante parte Cleri, ad Eclesiam santi Juliani quae est matrix eclesia, cuius cura spectat ad Archipresbiterum dictae terrae, qui est Dr Vincentius del Carretto, habens a dicta terra et cura multis ab hinc mensibus, Ubi audita reverenter missa, facta profunda riverentia Santiss.mo Sacramento Eucaristie, et illo incensato D. Visitavit dictum Santissimum Sacramentum dicto himmo, et oratione
 Et mandavit
che il deposito che se tiene nella sfera, non vi si tenghi, ma si faccia una custodia di argento a questo effetto, come fu ordinato l'anno passato nella visita di Mons. Ill. Vescovo, et questa fra termine di tre mesi, sotto la pena di XX onze di applicarsi ad opere pie, non assolvendo l'Arciprete predetto dalle pene, et censure incorse, anzi reservando in ciò la provista  ... alle dette pene et censure.
Deinde visitavit Santissimum Baptismalem, qui est lapideus, rotundus, coopertus tabula lignea, et panno rubeo, clausus et bene detinens.
che si eseguiva onninamente tra spatio di 3 mesi, quanto fu ordinato l'anno passato, sotto pena predetta con la detta reserva.
che il sacrario si levi di dove è hoggi, et si metta a' costo al muro, et si tengha chiuso con chiave.
revisit olea sacra; et omnia iugalia. et fecit absolutionem pro animabus defunctorum. cum solitis ceremonijs.

Visitavit altare maius, in quo est ... confraternitas sub altari S. Juliani, et confratres sunt quasi numero 400. induunt saccos albos cum muzzetta rubei coloris, et servatur inter hanc confraternitatem et confratres S. Mariae alternativa in processionibus.
Ex parte dextra d. altaris maioris est altare defuntorum, cum quadro depicto in tela, in quo est societas pro suffragiis defunctorum, quae habet incias quatuor redditus, et cum elemosinis dicuntur multae missae pro animabus existentibus in purgatorio. Mandavit
che l'esactori di ditte elemosine porti il conto
che vi si faccia una Croce di ottone ...ove sonno i candelieri.
Ex altera parte sinistra est Cappella S. Marci
Ordinavit
che quanto prima s'imbianchi, e vi si faccino doi candelieri, et una Croci di ligno dorato.
Sequitur altare S.me Virginis de Gratia super quo est eius imago confecta de stucho, manet n quodam tabernaculo ligneo, et est valde pulcrum decoratam et decentem ornatam.
Ordinavit
che si incosti l'Alraretto, di modo che non si possa levare
che si compri una Croce conforme alli candelieri
Fuerunt inventae quaedam reliquiae in quodam vasculo argenteo, quae sunt .... et quia bene quia bene detineatur nil fuit ordinatus
Sequitur Cappella transfigurationis S.mi Dni Nostri Iesu Xristi, quae fuit constructa a Don Francisco Sferrazza propriis expensis. et adhuc non est completa.
Altare d.e Cappellae est decenter ornatum super quo est Scena trasfigurationis praedictae cum multis imaginibus aliorum sanctorum, est bene depicta et pulchra, est dotata uncias duas redditus relictus a q. Antonino praedicti de Sferrazza pro celebratione unius missae qualibet hebdomada quae celebratur a Cappellano Ecclesiae
Habet etiam dicta Cappella incias X pro maritaggio inius orfanae consanguineae, pariter relictus iure legati a d.o Antonino Sferrazza.
Sequitur altare S. Michaelis Arcangeli, quod est decens, et ornatus et habet uncias ... pro celebranda missa.
che si comprino 2 candelabri et Croci .. di ligno dorato.
Ab altera parte est altare S.ti Philippi et Iacobi,
che il padrone Vito Volpe lo doti almeno di quattro scudi di rendita per celebratione di una missa la settimana.
che si faccia una Croci conforme alli Candelieri, et tutto questa fra termine di 4 mesi, sotto pena ad arb. di Mons. Ill.mo Vescovo.
Visitavit deinde Sacristiam, revidendo (?) iugalia. et mandavit ut supra, cioè, che si mandi in executione l'ordini della Visita passata..
et che si faccia un'libro dove si notino il nome, et cognome delli defunti, quali libro sia conforme a quello, dovi si scrivano li battezzati tra termine di un mese, sotto pena al Cappellano di Carcere ..
 Die 19 eiusdem
Fuit factus edictus, et affixus ad valvas Ecclesiae maioris pro revelandis beneficiis tam curatis quam non curatis seu pro examinandis confessoribus.
Praevio examine fuerunt approbati infrascripti sacerdotes  pro administratione  sacramento penitentiae
Videlicet
Don Gerlandus Monreale usque aliam Visit.
Don Giuseppe Sanfilippo cum ad alia Sacramenta uti cappellanus
Don Angelus Dardo
Don Mario Curto
Don Santo d'Agrò
Frater Angelus de Bivona ord. min. osserv.
Frater Nicola de ... ord. min. oss.
Frater Marianus de Caltanaxetta eiusd. ord.
Frater Salvator Riccius Carmelitanus ad sex menses
Frater Sebastianus et Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses

Die 20 eiusdem
Visitavit Cappellam S. Marie  .. sitam in ecclesia S. Mariae de Iesu, in qua ad presens commorantur  fratres S.ti Francisci minoris oss. detti li Zoccolanti, et ordinarius habet ius visitandi Cappellam praedictam quae est confraternitas sub dicto Xenobio (?), et confratres induunt saccis albis cum mozzetta cerulei   coloris, sunt numero 500. Inservit d.e Cappelle pro Cappellano qui est amovibilis ad nutum rectoris Sanctus de Agro' cum salario seu mercede onze undecim cum onere celebrandi quotidie missam.
Super altari est imago B.M.V. lignea, decorata de vesta et decenter ornata, quae in die eius festivitatis defertur solemniter  per totam terram.
 Mandavit
che si metta in esecutione quanto fu ordinato nella visita passata sotto pena alli ... di XX onze per applicarsi a lochi pii.
Di più si ordina che si faccia una tabella ove siano scritti il nome et cognome che tutti li fraticelli .... assenti Volendo che quelli confrati che mancarono per due volti m di andari alli solite processioni, et solennità , se morranno in quell'anno non siano essenti dalla sepoltura, come sono quando servino,et assistono alle solemni.

Visitavit deinde altare S.mi Rosarii cuius curam habent dicti confratres, illud paramentis ornando, super quo cum icona in tila cum multis missionariis (?) SS. Rosarii.
Ordinavit
che li confrati ci comprino quanto prima una Croce, et le tovaglie se mutino più spisso tenendosi nette et pulite.

Eodem

Continuando visitationem praedictam visitavit Ecclesiam S. Margaritae Virginis, et martiris coniunctam cum dicta ecclesia S. Mariae de Jesu quae eae titulus canonicalis Don Joannis Bondì a' Sacca, quae est noviter constructa
Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae S. Margaritae  depictum in tila manu pictoris Monoculi Racalmutensis.
Mandavit
che il   Canon. Bondì  faccia quello che le fu ordinato nella visita passata  et  ... se vede la sua negligenza si ordina che il Vic.io foraneo  di ordine  seguenti 6 salme di formento, potersi effettuarsi detto ordine.
Eodem
Visitavit ecclesias Sanctae Mariae Montis, ubi prius conservabatur Sacramentum Eucharestiae, et erat ecclesia Archipresbitalis. Modo inservit d.e ecclesiae pro Cappellano D. Joannis Macaluso, qui tenetur celebrare tres missas in hobdomada et omnes dies festos, habet pro eius mercede uncias sex, quae solvitur a confratribus confraternitatis ibi fundatis sub titulo dictae ecclesia, induunt saccis albis sine mozzettis.
Visitavit altare maius super quo est imago marmorea S.mi Virginis, ornata et admodum deaurata.
che per dicto altare si compri una croce saltim di legno
Ex parte sinistra altaris maioris est altare S. Luciae, in quo est imago dictae Sanctae de stuccho. Deaurata.
che l'altare si faccia più lungo, e vi si compri una Croce.
Fuerunt inventae quaedam reliquiae S.cti Crispini et Crispiani . Videlicet parvum frustum ossis, quod habet autenticum documentum in quadam capsula lignea. Mandavit
che si faccia un'reliquario di argento dove si mettano dette reliquie.
che nell'altare di S. Margarita non vi si celebri mentri che non si accomada , facendosi più grande.
che per l'altare di S. Francesco si compri una Croci, et 2 candelabri.

Die 20 Julii 1609

Visitavit ecclesias Annuntiationis B. M. Virginis, quae est Confraternitas sub dicto nomine, et usque hunc non habet saccos.
Visitavit altare maius et ... alia altaria. Mandavit
che per l'altari maggiori si comprino dui candeleri, una Croci, et una carta di gloria.
che l'altari dell'Assunta si faccia più lungo, che sia almeno di 7 palmi, et largo proporzionatamente, facendovisi il suo scabello, et interim non vi si celebri.
che l'altare di S. Giuseppe si faccia più lungo, et lo scabello si faccia lungo come sarà l'Altare.
che per l'altari di S. Pietro e Paolo si comprino due Candelieri, et una Croci di legno dorato.

Inservit dictae ecclesiae pro Cappellano Don Paulinus di Asaro cum onere celebrandi 4 missas hebdomoda, et habet pro mercede untias . 7.
Fuerunt revisa computa intoitus et exitus.

Con riferimento al 5 giugno 1609, al foglio 244, viene redatto un elenco di sacerdoti, cui segue una sorta di inventario:
L'arciprete  - Rev. Gioseppi Samphilippo V. Sub (?)
P. Gio Macaluso - P. Angelo Dardo - P. Leonardo Castellano - P. Gerlando Merli - P. Santo d'Agro' - P. Mariano Curto - P. Giuseppe Thodaro (?) - P. Francesco Sferrazza - P. Paolino d'Asaro - D. Gio. Piamontese - P. Angelo Casuchia .
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Diaconi et Subdiaconi
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Diacono Petro Curto - Diacono Micheli Barberi - Subdiacono Geronimo Borzellino.
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Clerici
Cle. Marcantonio di Alaimo - Cle. Jacomo Amella - Cle. Gasparo Lo Brutto - Cle. Gioseppi Lo Brutto - Cle. Bartolo lo Ciciro - Cle. Francesco Fimia - Cle. Francesco Lattuca - Cle. Antoni Baruni (?) - Cle. Francesco Lauricella - Cle. Gerlando di Gueli - Cle. Francesco di Alessi - Cle. Zaccaria Rizo - Cle. Domenico di Salvo - Angelo di Alfano - Francesco Lo Sardo - Francesco Savatteri - Vincenzo Macaluso - Antonino di Salvo - Vincenzo di Gueli - Vincenzo Bellomo - Vincenzo Ragusa - Mariano Sferrazza - Francesco Buffalino (?) - Francesco Sciangula - Giseppi d'Ugo - Grispino Capilli - Bastiano Macaluso - Antonio Capobianco.
NOTAMENTO DI TUTTE LE CHIESE
Quelli che si visitano
Confraternita di S.ta Maria di Jesu
Santo Giuliano
la nunziata
Santa Maria del monte
Santo Antonio      Santa Agata
l'Hospitale             Santo Nicola
Santa Rosana  
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La compagnia del Santissimo Sacramanto - La compagnia del Taù.
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F. 245
S. Vincenzo del Carretto Arciprete
D. Giuseppe San Filippo Vic.o Subiecto - an. 28 consacratus ad Sacerd. die 3 Aprilis 1604 ...
D. Jo. Macaluso. an: 5o cons. ad sacerd. die 18 decembris 1583  ..
D. Leonardo Castellana an. 40 consacratus ad sacerd. die 3 Aprilis 1593 ...
D. Angelo D'Ardo. An. 50 Non ostendit  .. sed semper fuit habilitatus pro Sacerdot. et alius fuit ... in civitate Nari
D. Paulino d'Asaro an. 27 consacratus ad sacerdot. die 17 Xbris 1605 ...
D. Gerlando Morreali an. 31 cons. ad Sacerd. die 16 Junii 1601 Agusti vis. ..
D. Santo d'Agro' an. 29 cons. ad Sacer. die 24 maij 1603 in civ. S.ti Joannis ..
D. Jo.  Piamontese an. 27 consac. ad sacerdot. die xj martii 1606 Siracusis
D. Franciscus Sferrazza an. 27 cons. ad sacerd. die 17 decembris 1605 Panorm ... quas dixit amisisse

Diacono Micheli Barberi an. 26 consacr. ad diaconat. die 9 junii 1607.
mammane
Nora La missina - experta et approbata.
Cle.  D. Giuseppe Lo Brutto an. 22 cons. ad 4 min.es ord.es die 19 maij 1606
Cl. d. Geronimo Burcellino an. 24 cons. ad sudiaconatum die xi martii 1606
Cl.  d. Bartolomeo Lo Ciciro an. 18 cons. ad 4 min.ord. die 24 7bris 1606
Cl. Marco Antonio d'Alaimo an. 17 cons. ad p.am ton.re Hostarian. die 15 martii 1603 Agrigenti
cl. Franciscus Lauricella an. 17 cons. ad p. t. et Host. die 15 martii 1606
cl: Franciscus Fimia an. 21 cons. ad p. t. et host. die xi martii 1606
cl: Girlando di Gueli an. 16 cons. ad p. tons. die 14 martii 1603
cl: Franciscus d'Alessi  an. 16 cons. ad p. tons.et Host.
cl: Franciscus Lattuca an. 21 cons. ad p. t. et duos p.os ord. die 15 martii 1603 Agrigenti
Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23 martii 1602  ... S. Francisci
cl: Antonino Barone an. 21 cons. ad p. t. et tres ord. die 15 martii 1603 Agrigenti
cl: Zaccaria Rizzo an. 25 cons. ad p. t. die 19 decembris 1597 alias vocatus Leonardus
cl: Gasparo Brutto an: 20 cons. ad duos p. min. ord. die 19 maij 1606 Panormi

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F. 246
Notamento di confessori
L'Arciprete - P. Gioseppi Sanfilippo V. Subsidiario - P. Paolino di Asaro - P. Angelo Dardo - P. Gio. Macaluso - D. Leonardo Castellano - P. Gerlando Morreali - D. Santo di Agro' - P. Gioseppi Thodaro - D. Gio: Piamontese - P. Angelo Casuchia -
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Padre Guardiano di Santa Maria di Gesù - fr. Mariano di Naro - fra Paolo di Girgenti.
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del Carmine
fra Paulo di Racalmuto - Fra Salvatori di Racalmuto
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di S.to Francisci
il p.re guardiano - fra. Antonio di Amato.


Il Bonincontro trova a Racalmuto una situazione che doveva essere anomala sotto il profilo del codice canonico del tempo. Il figlio legittimato - era stato concepito fuori dal talamo coniugale dall’irrequieto Giovanni IV del Carretto - don Vincenzo del Carretto si era insediato nella chiesa di S. Giuliano, elevandola a sede parrocchiale. Dove e quando e se fosse stato consacrato sacerdote, l’Ordinario diocesano non sa ma si guarda bene dall’indagare. Il potente e collerico figlio del prepotente Giovanni IV non consente insolenze del genere. Neppure il titolo arcipretale e l’appropriazione di San Giuliano hanno i crismi della legalità canonica. Il Bonincontro sorvola: ratifica il fatto compiuto. Solo, divide la terra in due parti approssimativamente uguali: la bisettrice parte dal Carmino ed arriva a la Funtana lungo un percosso che per quante ricerche abbiamo fatte non siamo riusciti a tratteggiare con sicurezza. Non passava di certo per la discesa Pietro d’Asaro, al tempo un vadduni pressoché impraticabile, ma lungo un dedalo di viuzze a sud-ovest. Lambiva la chiesa di Santa Rosalia, posta al centro del paese, ma dalla parte di S. Giuliano, per irrompere nella parte terminale della vecchia via Fontana.
La parte a sud-est viene lasciata a questo strano arciprete; quella a nord-ovest, in mancanza di anziani ed autorevoli sacerdoti, viene assegnata al giovane - è appena ventisettenne - fratello del pittore Pietro d’Asaro, don Paolino d’Asaro. Di sfuggita annotiamo che il pittore nel 1609 è già affermato ed una sua tela - oggi purtroppo irrimediabilmente perduta - viene apprezzata, come abbiamo visto, in occasione della visita a Santa Margherita, la chiesa congiunta e collegata con quella di Santa Maria (Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae S. Margaritae  depictum in tila manu pictoris Monoculi Racalmutensis, annota il segretario del vescovo).

Giovanni IV del Carretto, familiare del Santo Ufficio, ma per interessi e per sottrarsi a tribunali laici molto meno accomodanti, non dovette essere molto religioso. Quel figlio legittimato che faceva il prete nel suo lontano feudo di Racalmuto doveva apparirgli come un povero diavolo che si arrabattava per superare le umiliazioni del suo essere stato concepito in toro non benedetto. Gli echi della vita religiosa della sede della sua contea gli saranno pervenuti, ma molto affievoliti, lasciandolo nella totale indifferenza. Non vi è documento che comprovi la sua presenza, anche saltuaria, a Racalmuto. Ma appena seppellito quel truculento conte, il figlioletto deve raggiungere la lontana dimora di Racalmuto, così diversa dai fasti di Palermo.

GIROLAMO II DEL CARRETTO

«Nella chiesa del Carmine c’è un massiccio sarcofago di granito, due pantere rincagnate che lo sorreggono. Vi riposa “l’ill.mo don Girolamo del Carretto, conte di questa terra di Regalpetra, che morì ucciso da un servo a casa sua, il 6 maggio 1622.» Così esordisce Sciascia nelle sue “parrocchie di Regalpetra”. Con tali ricordi inizia la folgorante carriera letteraria del più grande figlio di Racalmuto
A Leonardo Sciascia, Girolamo II del Carretto portò dunque fortuna, lui che nella vita ne ebbe ben poca; lui che da morto resta ancora vituperato, e non proprio a ragione.
Il famigerato padre, dopo una moglie sterile di Cerami, dopo un’amante prolifica, ebbe a sposare, di là negli anni, la nobile Margherita Tagliavia-Aragona attorno al 1596. Un solo figlio da questo matrimonio, appunto Girolamo II, battezzato in Palermo il 28 ottobre 1597.

Giovanni IV Del Carretto lasciò il  figlioletto (l’unico legittimo) di appena nove anni. Il ragazzino non riuscirà mai più a togliersi di dosso l’anatema e l’ingiuria (cocu) di Sciascia. Girolamo II del Carretto viene raccolto fanciulletto a Palermo e portato nel suo castello di Racalmuto, affidato alle cure (chissà se affettuosi) del fratellastro, il neo arciprete di Racalmuto don Vincenzo del Carretto.
Non resistiamo neppure alla tentazione di spettegolare con Sciascia (op. cit. pag. 16): «Il conte [Girolamo II del Carretto] stava affacciato al balcone alto tra le due torri guardando le povere case ammucchiate [invero non poteva, perché da lì le case non si vedono, n.d.r.] ai piedi del castello quando il servo Antonio di Vita “facendoglisi da presso, l’assassinò con un colpo d’armi da fuoco”. Era un sicario, un servo che si vendicava: o il suo gesto scaturiva da una più segreta e sospettata vicenda? Donna Beatrice, vedova del conte, perdonò al servo Di Vita, e lo nascose, affermando con più che cristiano buonsenso che “la morte del servo non ritorna in vita il padrone”. Comunque la sera di quel 6 maggio 1622, i regalpetresi certo mangiarono con la salvietta, come i contadini dicono per esprimere solenne soddisfazione; appunto in casi come questi lo dicono, quando violenta morte rovescia il loro nemico, o l’usuraio, o l’uomo investito di ingiusta autorità.»
E nella Morte dell’Inquisitore (pag. 180): «Che un fondo di verità sia in questa tradizione, riteniamo confermato dall’epilogo stesso del racconto popolare, che dice il servo di Vita averla fatta franca grazie a donna Beatrice, ventitreenne vedova del conte: la quale non solo perdonò al di Vita, fermamente dicendo a chi voleva fare vendetta che la morte del servo non ritorna in vita il padrone, ma lo liberò e lo nascose. Ora chiaramente traluce ed arride, in questo epilogo, l’allusione a un conte del Carretto cornuto e scoppettato...».
Purtroppo ci divertiamo meno, quando sacrilegamente lo scrittore prosegue: «ma questa viene ad essere una specie di causa secondaria della sua fine, principale restando quella del priore. Insomma: se non ci fossero stati elementi reali a indicare il priore degli agostiniani come mandante, volentieri il popolo avrebbe mosso il racconto dalle corna del conte. Il priore non era certamente uno stinco di santo: ma quel colpo di scoppetta il conte lo riceveva consacrato da un paese intero. Una memoria della fine del ’600 (oggi introvabile, [ma ora trovata dal Nalbone, n.d.r.], autore di una buona storia del paese) dice della vessatoria pressione fiscale esercitata dal del Carretto, e da don Girolamo II in modo particolarmente crudele e brigantesco. Il terraggio ed il terraggiolo, che erano canoni e tasse enfiteutiche, venivano applicati con pesantezza ed arbitrio...»
Non è nuova la nostra contrarietà a simile modo di rievocare la microstoria: « Le carte della matrice di Racalmuto - abbiamo scritto altrove -  sono un po' stregate: appaiono vendicatrici. Basta che uno storico locale si sbilanci in ricostruzioni storiche che prescindano dalla loro consultazione per scattare la vendetta: esse stanno lì per sbugiardare il malcapitato paesano. Esigono rispetto, deferenza, assidua  frequentazione e meticolosa attenzione.
Quando il giovane studente in medicina - il Tinebra Martorana  - si mise a scrivere improvvisandosi storico locale, nella totale ignoranza dei libri parrocchiali, questi lo hanno beffato smentendolo impietosamente specie nelle fantasiose saghe dei del Carretto, della vaga vedova di Girolamo, nello scambio di sesso del figlio Doroteo (che invece era una Dorotea longeva e per nulla uccisa dalla cornata di una capra: voce popolare questa raccolta dal Tinebra). Dispiace che il grande Leonardo Sciasciasi si sia fatto travolgere dal suo fidato storico e sia incappato in spiacevoli topiche, specie nell’anticlericale attribuzione di un nefando crimine al frate Evodio Poliziense - che davvero era un pio monaco e che a Racalmuto, se vi mise mai piede,  ciò fece poche volte e per compiti istituzionali e conventuali, limitandosi solo ad edificanti incontri con i suoi confratelli di S. Giuliano. In ogni caso Frate Evodio Poliziense poté frequentare Racalmuto quando Girolamo del Carretto - che secondo Sciascia fu fatto trucidare dal monaco - era poco più che tredicenne.
Non fu, poi, questo Girolamo del Carretto ad essere tiranno di Racalmuto in modo “grifagno ed assetato” secondo il lessico del Tinebra, né fu lui ad accordarsi con i maggiorenti di Racalmuto per una promessa di affrancamento in cambio di 34.000 scudi (vedi sempre il Tinebra); né egli è colpevole del “terraggio” e del “terraggiolo” e di tutte quelle altre nefandezze che sono l’humus storico-culturale delle Parrocchie di Regalpetra o di Morte dell’Inquisitore. Quando il conte morì non aveva ancora raggiunto l’età di venticinque anni e da oltre un anno con atto di donazione tra vivi si era liberato di tutti i suoi beni in favore dei due figli Giovanni - quello giustiziato poi a Palermo nel 1650 - e Dorotea ( e non Doroteo); egli, inoltre, aveva nominato amministratrice e tutrice la giovanissima moglie Beatrice di cui, peraltro, si conosce bene il cognome. Era, costei,  una Ventimiglia.
(E tanto grazie alle recenti scoperte d’archivio del prof. Nalbone. Siffatte carte ci forniscono anche notizie su Dorotea del Carretto, divenuta marchesa di Geraci che risulta defunta da poco nel 1654 [pro comitatu Racalmuti et Baronia Gibellini, filii filiaeque donnae Dorotheae Carrecto Marchionissae defunctae Hieratij et praefati d.ni Joannis Comitis Rahalmuti sororis - f. 267 v.]. Il 1654 è l’anno della restituzione da parte del Re di Spagna a Girolamo del Carretto dei suoi domini racalmutesi con diploma emesso nel  Cenobio di S. Lorenzo il   28 ottobre 1654).
E’ ora disponibile una documentazione - quella del Fondo Palagonia - che  restituisce alla verità la faccenda del terraggio e del terraggiolo pretesi dai del Carretto. Crediamo che queste non siano tasse enfiteutiche o che sia inesatto definirle così. Erano diritti feudali spettanti al baronaggio siciliano e legati al semplice fatto che contadini abitassero nella terra del barone: dovevano al feudatario (di solito al suo arrendatario o esattore delle imposte cui queste venivano concesse in soggiogazione) una certa misura di frumento per ogni salma di terra coltivata nel feudo (terraggio) ed un’altra (di solito doppia) per quella coltivata fuori dal feudo (terraggiolo). A preti e conventi racalmutesi codesti gravami feudali non andavano giù ed essi fecero cause memorabile (e secolari) per sottrarsi e sottrarre agli odiati terraggio e terraggiolo.  La spuntarono, come si disse, solo il 27 settembre 1787.
Invero il Tinebra Martorana ebbe tra le mani le carte feudali del terraggio e del terraggiolo: gliele misero a disposizione i suoi protettori i Tulumello, già baroni e maggiorenti del paese. Quel che il giovane vi capì è riportato fideisticamente da Sciascia e cioè:

«Oltre alle numerose  tasse e donativi e imposizioni feudali, che gravavano sui poveri vassalli di Regalpetra, i suoi signori erano soliti esigere, sin dal secolo XV, due tasse dette del terraggio e del terraggiolo dagli abitanti delle campagne e dai borgesi. Questi balzelli i del Carretto solevano esigere non solo da coloro che seminavano terre nel loro stato, benché le possedessero come enfiteuti, e ne pagassero l'annuale censo, ma anche da coloro che coltivassero terre non appartenenti alla contea, ma che avessero loro abitazioni in Regalpetra. Ne avveniva dunque, che questi ultimi ne dovevano pagare il censo, il terraggio e il terraggiolo a quel signore a cui s'appartenevano le terre, ed inoltre il terraggio e il terraggiolo ai signori del nostro comune... Già i borgesi di Regalpetra, forti nei loro diritti, avevano intentata una lite contro quel signore feudale per ottenere l'abolizione delle tasse arbitrarie. Il conte si adoperò presso alcuni di essi, e finalmente si venne all'accordo, che i vassalli di Regalpetra dovevano pagargli scudi trentaquattromila, e sarebbero stati in perpetuo liberi da quei balzelli. Per autorizzazione del regio Tribunale, si riunirono allora in consiglio i borgesi di Regalpetra, con facoltà di imporre al paese tutte le tasse necessarie alla prelevazione  di quella ingente somma. Le tasse furono imposte, e ogni cosa andava per la buona via. Ma, allorché i regalpetresi credevano redenta, pretio sanguinis, la loro libertà, ecco don Girolamo del Carretto getta nella bilancia la spada di Brenno  ... e trasgredendo ogni accordo, calpestando ogni promessa e giuramento, continua ad esigere il terraggio e il  terraggiolo, e s'impadronisce inoltre di quelle nuove tasse».
Sciascia commenta: «Il documento riassunto dal Tinebra dice che appunto durante la signoria di Girolamo II i borgesi di Racalmuto, che già avevano mosso ricorso per l'abolizione delle tasse arbitrarie, subirono gravissimo inganno: ché il conte simulò condiscendenza, si disse disposto ad abolire quei balzelli per sempre; ma dietro versamento di una grossa somma, esattamente trentaquattromila scudi. L'entità della somma, però, a noi fa pensare che non si trattasse di un riscatto da certe tasse, ma del definitivo riscatto del comune dal dominio baronale; del passaggio da terra baronale a terra demaniale, reale.
«Per mettere insieme una tal somma, il Regio Tribunale autorizzò una straordinaria autoimposizione di tasse: ma appena le nuove e straordinarie tasse furono applicate, don Girolamo del Carretto dichiarò che le considerava ordinarie e non in funzione del riscatto. I borgesi, naturalmente, ricorsero: ma la dolorosa questione fu in un certo modo risolta a loro favore solo nel 1784, durante il viceregno del Caracciolo.
«Il priore degli agostiniani e il loro servo di Vita fecero dunque vendetta per tutto un paese, quale che sia stato il pasticciaccio di cui, insieme al defunto e a donna Beatrice, furono protagonisti. (Curiosa è la dicitura di una pergamena posta, quasi certamente un anno dopo, nel sarcofago di granito in cui fu trasferita la salma del conte: dà l'età di donna Beatrice, ventiquattro anni, e tace su quella del conte. Vero è che non disponiamo dell'originale, ma di una copia del 1705; ma non abbiamo ragione di dubitare della fedeltà della trascrizione, dovuta al priore dei carmelitani Giuseppe Poma: e l'originale era stata stilata dal suo predecessore Giovanni Ricci, che forse si permise di tramandare allusivamente una piccola malignità.) [...]

«Dall'anno 1622, in cui fra Diego nacque, al 1658, in cui salì al rogo, i conti del Carretto passarono in rapida successione: Girolamo II, Giovanni V, Girolamo III, Girolamo IV. I del Carretto non avevano vita lunga. E se il secondo Girolamo era morto per mano di un sicario (come del resto anche il padre), il terzo moriva per mano del boia: colpevole di una congiura che tendeva all'indipendenza della Sicilia. E non è da credere che si fosse invischiato nella congiura per ragioni ideali: cognato del conte di Mazzarino per averne sposato la sorella (anche questa di nome Beatrice), vagheggiava di avere in famiglia il re di Sicilia. Ma l'Inquisizione vegliava, vegliavano i gesuiti; e, a congiura scoperta, il conte ebbe l'ingenuità di restarsene in Sicilia, fidando forse in amicizie e protezioni a corte e nel Regno. Una congiura contro la corona di Spagna era però cosa ben più grave dei delittuosi puntigli, delle inflessibili vendette cui i del Carretto erano dediti. Giovanni IV, per esempio, aveva fatto ammazzare un certo Gaspare La Cannita che, appunto, temendo del conte, era venuto da Napoli a Palermo sulla parola del duca d'Alba, viceré, che gli dava guarentigia. E' facile immaginare l'ira del viceré contro il del Carretto: ma si infranse contro la protezione che il Sant'Uffizio accordò al conte, suo familiare. (Questo stesso Giovanni IV troviamo nella cronaca dello scoppio della polveriera del Castello a mare, 19 agosto 1593: stava a colazione con l'inquisitore Paramo, ché allora il Sant'Uffizio aveva sede nel Castello a mare, quando avvenne lo scoppio. Ne uscirono salvi, anche se il Paramo [Ludovico Paramo o de Paramo è l'autore di quel libro che Voltaire infilza, alla voce Inquisizione, nel Dizionario filosofico.] «Luigi [Ludovico] di Paramo, uno dei più rispettabili scrittori e dei più vivi splendori del Sant'Uffizio... Questo Paramo era un uomo semplice, esattissimo nelle date, che non ometteva nessun fatto interessante, e calcolava col massimo scrupolo, il numero delle vittime umane che il Sant'Uffizio aveva immolato in tutti i paesi.»] gravemente offeso. Vi perirono invece Antonio Veneziano e Argisto Giuffredi, due dei più grandi ingegni del cinquecento siciliano, che si trovavano in prigione.)
«Della familiarità dei del Carreto col Sant'Uffizio abbiamo altri esempi. Ma qui ci basta notare che a Racalmuto, contro l'eretica pravità e a strumento dei potenti, l'Inquisizione non doveva essere inattiva.  [...]
«L'ordine degli agostiniani di sant'Adriano fu fondato nel 1579 da Andrea Guasto da Castrogiovanni: il quale, stabilita coi primi compagni la professione della regola nella chiesa catanese di Sant'Agostino, si trasferì in Centuripe, in luogo quasi allora deserto, e fabbricate anguste celle, pose i rudimenti di vita eremitica, e propagolla in progresso per la Sicilia: notizia che dobbiamo a Vito Amico [Dizionario topografico della Sicilia di VITO AMICO, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1859.], e non trova riscontro nelle enciclopedie cattoliche ed ecclesiastiche che abbiamo consultato. Lo stesso Vito Amico dice che il convento di Racalmuto fu dal pio monaco Evodio Poliziense promosso e dal conte Girolamo del Carretto dotato nel 1628. Evidente errore: ché nel 1628 il conte Girolamo era morto da sei anni. Più esatto è il Pirro: S. Iuliani Agustiniani Reformati de S. Adriano ab. an. 1614, rem promovente Hieronymo Comite, opera F. Fuodij Polistensis [R. Pirro, Sicilia Sacra, libro terzo, Palermo 1641].
«In quanto al pio monaco Evodio Poliziense o Fuodio Polistense, si tratta senza dubbio alcuno di quel priore cui dalla leggenda popolare è attribuito il mandato per l'assassinio del conte Girolamo. Infatti il Tinebra Martorana, che non si era preoccupato di consultare in proposito i testi del Pirro e dell'Amico, cade in equivoco quando dice che al priore di questo convento la tradizione serba il nome di frate Odio, riferendosi con ogni probabilità all'azione da lui commessa. Era semplicemente il nome, piuttosto peregrino, di Evodio o Fuodio che nel corso del tempo si era mutato in Odio.»

La ricostruzione sciasciana non ci convince molto. Un fatto singolare si verificava frattanto a Racalmuto. Era diventato arciprete un illegittimo, sia pure figlio di Giovanni IV del Carretto. Era quel don Vincenzo del Carretto su cui si è già  avuto modo di fornire taluni ragguagli. Anche lui venne colpito dalla violenta morte del padre (5 di  maggio 1608) e così aveva raccolto il fratellastro novenne Girolamo II che per diritto ereditario era divenuto novello conte di Racalmuto (la legge contemplava il maggiorascato, e sarebbe toccato quindi a don Vincenzo essere Conte, ma escludeva i figli illegittimi. Non sappiamo come abbia accolta quell’infamante esclusione.  quello scorno a la faccia di lu munnu).
Don Vincenzo diviene comunque il tutore del conte minorenne: nel 1609 pasticcia quell’infame accordo sul terraggio e terraggiolo che Tinebra Martorana e Sciascia affibbiano al “vorace e brigantesco don Girolamo II Del Carretto”, all’epoca uno smarrito bambino. Lo desumiamo da un  diploma:
Sotto le quali convenzioni ed accordio detta università ed il conte di detto stato hanno campato ed osservato per insino all’anno settima indizione prox: pass: 1609, nel qual tempo detta università, e per essa li suoi deputati eletti per publico consiglio a quest’effetto, ed il dottor Don Vincenzo del Carretto Balio e Tutore di detto Don Geronimo, moderno conte allora pupillo, con intervento e consenso del reverendissimo don Giovanni de Torres Osorio, giudice della Regia Monarchia protettore sopraintendente di detto pupillo e con la sua promissione di rato, devennero à novo accordio e transazione in virtù di nuovo consiglio confirmato per il signor Vicerè e Regio Patrimonio, per il quale promisero detti deputati à nome di detta università pagare al detto conte don Geronimo scuti trentaquattromila infra  quattro mesi, e quelli depositarli nella tavola di Palermo per comprarne feghi ò rendite tuti e sicuri, con l’intervento e consenso di detta Università, con diversi patti e condizioni in cambio per l’integra soluzione e satisfazione di detti terraggi e terraggioli dentro e fuora di detta terra e suo territorio, e per contra detto tutore cessi lite alla detta exazione di detti terraggi, quali ci relasciò e renunciò, essendoli prima pagata detta somma di scuti trentaquattromila, promettendo non molestare più detti cittadini ed abitatori di detta università di detti terraggi e terraggioli come più diffusamente appare per detto contratto all’atti di notar Geronimo Liozzi [a.v.: Liezi] à 17 luglio settima indizione 1609., confirmato per Sua Eccellenza e Regio Patrimonio
A porre una qualche attenzione alle date, abbiamo che Die 22 Junii VI Ind.is 1608 Don Vincenzo viene riconosciuto Arciprete (sia pure a metà con quella specie di mitateri quale appare il vassallo don Paulino d’Asaro); il successivo 17 luglio si sbilancia nella gestione delle sopraffazioni feudatarie.
Investigando i processi d’investitura emerge che don Vincenzo del Carretto esercita questa funzione tutoria sino al luglio del 1610. Ma da questa data, quando il bambinello Girolamo II viene d’autorità - pare - fidanzato - a Beatrice figlia bambina del Ventimiglia), il tutore diviene il futuro suocero del conte, come si evince dallo stralcio qui riportato:
Reg.tus Panormi die 3 julij viii ind. 1610
Testes ricepti et examinati per ill.m Regni Siciliae Protonatorum ad instantiam d: Jo: de Viginti Milijs, Marchionis Hieracij, Principis Castriboni, balej et tutoris ill. d. Hieronimi del Carretto Comitis Racalmuti ad verificandam infrascriptam pro investituram capiendam ditti comitatus.

Il Tinebra Martorana (pag. 125) vorrebbe Girolamo II sposato ad una ”certa Beatrice, di cui s’ignora il cognome”. Niente di più falso: di donna Beatrice sappiamo tanto. Non crediamo che finché si protrasse il breve legame matrimoniale si sia indotta all’adulterio, come maliziosamente insinua lo Sciascia. Da vedova, qualche leggerezza può averla commessa (ma noi non lo diremo dinanzi a voi stelle pudiche.) Negli atti vescovili troviamo questa singolare “littera monitoria” ([13]):
«Die 3 septembris VII ind. 1622 - Rev. Acr: terrae Racalmuti. Semo stati significati da parti di donna Beatrice Del Carretto e Ventimiglia, contissa di detta Terra, nec non da parti di don Vincenzo lo Carretto, tuturi et tutrici di li figli et heredi del quondam don Geronimo lo Carretto, olim conti di detta Terra qualmenti li sonno stati robbati, occupati et defraudati molte quantità di oro, argento, ramo, stagni et metalli, robbi bianchi, tila, lana, lina, sita, capi lavorati, come senza, et occupati, scritturi publici et privati, denegati debiti, et nome di debitori; rubato vino di li dispensi, animali grossi, stigli con arnesi, cosi di casa .... In suo grave danno, prejuditio, et ... In forma comuni etc.»
Sembra, dunque, che dopo la morte del conte avvenuta il primo ( e non il  6) maggio 1622, una rivolta popolare sia esplosa a Racalmuto: vi sarebbe stato l’assalto al munito castello ed il popolino rivoltoso abbia fatto man bassa di tutto. La giustizia - che pure era mera espressione dei del Carretto - non fu in grado di far nulla e così alla giovane vedova ed a suo cognato, tutore, non rimase nient’altro da fare che chiedere la comminatoria delle canoniche sanzioni da parte della sede vacante del vescovado di Agrigento. Ne avesse avuto sentore Leonardo Sciascia, crediamo che avrebbe più succulentamente imbandita la tavola della “mangiata cu la salvietta” dei racalmutesi nell’estate del 1622.
Poi, con gli anni, il terrore della morte ebbe a sorprenderlo: si costruì una chiesetta (Itria) tutta per lui e la dotò. I suoi eredi - nobili - dovettero corrispondere le rendite al cappellano di quella chiesetta perlomeno sino 1902: il prof. Giuseppe Nalbone ha potuto stilare questo quadro sinottico:



1609
VINCENZO
DEL CARRETTO
FONDATORE DELLA CHIESA  DELL'ITRIA
1632
SANTO
D ' AGRO'
BENEFICIALE DELL ' ITRIA
1677
STEFANO
SAIJA
BENEFICIALE S.MARIA DELL'ITRIA
1731
PIETRO
SIGNORINO
BENEFICIALE S.MARIA DELL'ITRIA
1736
PIETRO
SIGNORINO
CAPPEL. ITRIA
1782
NICOLO'
AMELLA
BENEFIC.S MARIA DELL'ITRIA
1830
CALOGERO
PICONE
ER.SIGNORINO,CONF,UTR.CH. ITRIA
1902
GIOVANNI
PARISI FU VINCENZO
MARIA SS. DELL' ITRIA



GLI ARCIPRETI DI RACALMUTO SOTTO GIROLAMO II DEL CARRETTO

Don Vincenzo del Carretto, arciprete di Racalmuto lo fu (o volle essere) per poco tempo. Ancora vivo, l’arcipretura risulta passata a tale Pietro Cinquemani , originario, forse, di Mussomeli. ([14]) Secondo il prof. Giuseppe Nalbone, costui sarebbe stato prima rettore e poi arciprete del nostro paese:

1613  PIETRO CINQUEMANI RETTORE  e  poi  nel 1614  ARCIPRETE

Viene annotato, nel Liber in quo a f. 1, n°. 11 come «D. Pietro Cinquemani - Arciprete 1614. » Gli atti della Matrice ce lo confermano ancora tale nel 1615, ma l’anno successivo arciprete è don Filippo Sconduto. Il 7 gennaio 1616 benedice, ad esempio le nozze di  Silvestre Curto di Pietro con Giovanna Bucculeri del fu Francesco (vedi atti di matrimonio del 1616).
Don Filippo Sconduto regge a lungo la nostra arcipretura, fino alla morte avvenuta il 6 novembre 1631. (Cfr. Liber in quo adnotata .. f. 2 n.° 42). Sotto il suo arcipretato avvengono fatti memorabili a Racalmuto, tristi, lieti e rissosi: la famigerata peste è appunto del 1624; la vedova del Carretto, vuole reliquie di S. Rosalia e manda 80 cavalieri a Palermo a prenderle, in una con  una bolla che si conserva in Matrice; torna a nuovo splendore la chiesetta dedicata alla santa eremitica nel centro del paese.

*   *   *
Ma ritorniamo indietro, agli esordi del comitato dell’infelice Girolamo II del Carretto. Arriva, frastornato, a Racalmuto nel 1608, subito dopo la morte violenta e scioccante del padre. Ha quasi nove anni; finisce sotto le grinfie del fratellastro Vincenzo del Carretto che, per eccessiva benevolenza del vescovo Bonincontro, diviene frattanto arciprete della  importante comunità ecclesiale di Racalmuto. Non ci sembra un prete molto degno. Non finirà la sua vita da arciprete, ma come balio di Giovanni V del Carretto, dopo esserlo stato del padre Girolamo II. Conclude la sua esistenza in stretta intimità con la nuora donna Beatrice del Carretto e Ventimiglia, almeno giuridica ed economica. Per il resto, chissà. Quel volersi salvare l’anima, alla fine dei suoi giorni, con l’erezione della minuscola chiesetta dell’Itria, può far sospettare ancor di più come può farlo assolvere: dipende dai punti di vista.
Vincenzo del Carretto, arciprete, ma soprattutto “balio e tutore” dell’illustre conte, vede vedersela con le procedure della successione comitale, e non è agevole. Soprattutto sono esborsi cospicui da approntare. Vincenzo del Carretto, non ne ha voglia o possibilità. Tergiversa. I processi di investitura che qui pubblichiamo mostrano una sfilza di rinvii a richiesta appunto di codesto strano arciprete. Una proroga è del 2 maggio 1609; un’altra del 2 giugno; un’altra del 26 giugno; un’altra del 28 luglio; un’altra del 2 settembre 1609. Ma a questo punto subentra l’abile e potente Giovanni di Ventimiglia marchese di Gerace e principe di Castelbuono. Il vecchio patrizio risiede - come la migliore nobiltà - a Palermo vigile sulla corte viceregia. Ha potere e lo dispiega per altre proroghe del suo nuovo protetto, il nostro Girolamo II del Carretto.
Un passo della investitura della contea di racalmuto in capo a don Girolamo II del Carretto è altamente esplicativo, ragion per cui si procede qui a ritrascriverlo (aliunde, l’intera struttura del processo).
«D. Franciscus  Del Campo baro Campifranchi c. pr. testes jurandus et juratus super infrascriptam dixit qualiter sa esso testimonio del'ill. don Geronimo del Carretto fu et e figlio legitimo e naturale del quondam ill. don Jo: del Carretto et donna Margarita del Carretto et Aragona jugali et in tali e per tali s'ha tenuto trattato et reputato et visto teniri trattari et reputari lo quali d. Jo: passò di questa vita in questa città di Palermo per la cui morte esso d. Geronimo come figlio unico et indubitato successore successi nello contato e feghi di Racalmuto et altri ex pacto et providentia principis quale contato e feghi al presenti teni et possedi don Gio: Ventimiglia Marchese di Hieraci come balio e tutore di detto d. Geronimo percependoni di quelli li frutti come patrone e signore e questo lo depone esso testimonio come pratico et intrinsico con detto ill. don Gio:  et stetti in casa sua alcuni anni et sapi naxere a detto ill. don Geronimo in questa città. De causa scientia loco et tempore ut supra.»

L’arcigno marchese di Geraci era stato il padrino di battesimo del piccolo Girolamo. Abbiamo l’atto battesimale della chiesa parrocchiale di San Giovanni dei Tartari in Palermo:

Die 28 octobris XI ind. 1597
Ba: lo ill.ri et molto Rev.do don Francisco Bisso v.g. lo figlio delli ill.mi SS.ri D. Gioanne et donna Margarita del Carretto et Aragona conti et constissa di Racalmuto jug: nomine Geronimo; lo compare lo ill.mo et excellentissimo don Giovanni Vintimiglia, la commare la ill.ma et ex.ma donna Dorothea Vintimiglia et Branciforti.

Il marchese va oltre: fidanza la figlia Beatrice con il suo pupillo. Sono due bambini, ma l’impegno matrimoniale è inderogabile. In un atto del 7 luglio 1610 il fidanzamento appare ufficializzato:
Ill.mo et Ex.mo Signore
Don Giovanne Vintimiglia Marchese di Hieraci come Baleo e tutore di don Geronimo del Carretto Conte di Racalmuto suo genero dice che havendo venuto a passare il termino a detto Conte di prender l'investitura di detto stato e del feggho di Donnamaria, li fu detto termino per V.E. prorogato ad alcuni mesi e dopo per non havere havuto detto Conte tutore li è stato per V.E. detto termino prorogato ad alcuni altri mesi et ultimamente finisce alli 9 del presente mese di luglio et poichè l'esponente è stato novamente creato balio e tutore di detto conte et perciò non ha havuto ancora commodità di poter buscare il denaro necessario per potere prender le dette investiture ad altri giorni vinti ultimi et peremptorii fra li quali prenderà certo dette investiture per li quali si stanno mettendo in ordine li scripturi necessarij. Ut Altissimus etc.
Del Marchese di Hieraci - Pan. 7 julij 8 ind. 1610

Girolamo II ha meno di tredici anni; la sua futura sposa ha appena dieci anni (nacque nel 1600 a credere ai dati anagrafici contenuti nel noto cartiglio del sarcofago del Carmine). Il matrimonio avverrà comunque attorno al 1616, quando il giovane conte  era quasi ventenne e la splendida Beatrice Ventimiglia sedicenne   (nell’atto di donazione di Girolamo II del 1621, la primogenita è appena di 4 anni -Dorothea aetatis annorum quatuor incirca).

Don Vincenzo del Carretto ebbe comunque modo di interessarsi alla scottante questione del terraggio e del terraggiolo. Se ne è parlato sopra: vi ritorniamo per la rilevanza di quei gravami feudali. Nel 1609, l’arciprete pensa che una trasformazione del tributo comitale da annuale e circoscritto ai coltivatori di terre nello stato e fuori dello stato di Racalmuto in una rendita perpetua di un capitale costituita da un’imposizione generalizzata su tutti gli abitanti, possa finalmente dirimere e chiudere le annose controversie. Pensa ad un’imposta straordinaria di 34.000 scudi che al saggio allora corrente del 7% potevano fruttare  2.380 scudi, sicuramente molto di più di quel che rendica l’invisa tassazione tradizionale.

Non sappiamo se l’idea fosse buona o iniqua; sappiamo però che fu un fallimento. Sembra che vi sia stata una fuga di vassalli (soprattutto mastri e gente che non aveva terra da coltivare); gli abitati feudali vicini (Grotte, in testa) furono ben lieti di raccogliere quei profughi  che non vollero essere tartassati. Anziché l’imposizione dell’intero capitale, si tentò allora di ripartire i soli frutti pari a 2.380 scudi ma annualmente. Anche questa via fallì. Nel 1613, il vigile tutore e futuro suocero di Girolamo II pensò bene di ritornare all’antico, ai patti stipulati nel 1580, di cui abbiamo già detto. Altro che frate Evodio o Odio che dir si voglia; altro che insinuazioni sacrileghe alla Sciascia. Ci ripetiamo, ma è pagina di storia, di microstoria se si vuole, che va riproposta con il debito rispetto della verità, senza spumeggiamenti anticlericali.
In una memoria del 1738 [15], quando lo stato di Racalmuto era stato arraffato dai duchi di Valverde, i Caetani, la vicenda del terraggio e del terraggiolo racalmutese ci pare molto bene inquadrata.

Ancora nel 1738 i possessori dello stato di Racalmuto avevano il diritto di esigere dai vassalli, che coltivavano terre fuori del territorio, il terraggiolo nella misura di due salme per ogni salma di terra coltivata, sia che si trattasse di secolari sia che si trattasse di ecclesiastici. Il diritto si originava dalla transazione del 1580 intercorsa tra il conte ed il popolo. Era stata una transazione che aveva dimezzato la misura del terraggiolo (da quattro a due salme di frumento per ogni salma di terra coltivata).

Nel 1609 c’era stata la riforma che abbiamo prima specificata. Ma poiché fuggirono da Racalmuto oltre 700 famiglie, nel 1613 si ritenne di tornare all’antico.


La questione si risolleva nel 1716, quando D. Luigi Gaetano sanzionò la ridotta misura di due salme per salma relativamente al terraggiolo.
Vi fu un ricorso presso la Magna Curia datato 23 settembre 1716. Il fatto era che il Monastero di San Martino pretendeva l’esonero dal terraggiolo per i racalmutesi che andavano a coltivare i feudi benedettini di Milocca, Cimicìa e Aquilia. Ma questa è faccenda che esula dai limiti di questo studio. In calce il documento in latino per l’eventuale curioso.

Il 1613 è dunque data importante per la storia del terraggiolo (e terraggio) di Racalmuto; quasi contemporaneamente (nel 1614) il giovanissimo conte Girolamo II concordava con l’agostiniano di S. Adriano, fra Evodio, la fondazione del convento di San Giuliano. Due vicende distinte e separate: non interrelazionabili. Una era di natura fiscale, un bene accolto ritorno all’antico; l’altra aveva un profondo significato religioso, era un segno della pia devozione del giovane conte, sorgeva un cenobio tanto a cuore dei racalmutesi sino alla sua estinzione verso la fine del Settecento: gli agostiniani furono confessori di fiducia di tanti peccatori incalliti che non mancarono certo a Racalmuto.
Le note sciasciane stridono con siffatte vicende che una sia pur superficiale lettura dei documenti rende incontrovertibili.
Fra Diego La Matina (secondo noi).

Un anno prima della morte di Girolamo II del Carretto, nasce fra Diego la Matina. Era il 1621 (e non il 1622, come vorrebbe Sciascia e come disinvoltamente si continua a scrivere).
Trattasi del povero fraticello dell’ordine centerupino dei sedicenti  riformati di S. Agostino. Ebbe la sventura di finire in un convento che già nel 1667 ([16]) si tentava di scardinare, almeno in quel di Racalmuto, per disposizione vescovile. Visse da brigante ma finì sul rogo a S.Erasmo in Palermo per un atto incolsulto di rabbia omicida. Morì con ignominia, ma da tre secoli e mezzo non trova più pace, oggetto di mistificazioni, magari letterariamente sublimi, ma sempre mistificazioni.

Lo si dice di Racalmuto, sol perché di sfuggita tale lo indica il suo accusatore inquisitoriale. Gli si attribuisce un atto di battesimo rinvenuto nei registri dell’Archivio della locale Matrice, ma per una imperdonabile svista lo si fa nascere un anno dopo: nel 1622 anziché nel 1621 (ovviamente per scarsa consuetudine con le datazioni indizionarie, ché diversamente si sarebbe saputo che la chiara indicazione della quarta indizione corrispondeva appunto al 1621). E dire che in tal modo tornava l’età di 35 anni assegnata al La Matina dal Matranga per il tragico anno della fine raccapricciante del frate, avvenuta nel 1656. Ma lungi da noi il sospetto che in tal modo Sciascia non avrebbe potuto irridere ai vezzi astrologici del Padre Matranga ([17]).

Lo si vuole ad ogni costo di ‘tenace concetto’ in materia di fede per farne un martire del pensiero e si trascura quanto l’inquisitore Matranga dice circa i vagabondaggi ed i ladronecci del monaco agostiniano: scrive da cane il frate della Santa Inquisizione - si dice - ma se deve definire il valore dell’eretico frate racalmutese “la penna gli si affina, gli si fa precisa ed efficace”. E così a Racalmuto è ora ‘fino’ attribuire a qualcuno - a proposito e non - quella locuzione matranghesca.

Si deve credere all’Inquisitore quando si arrabatta nel retorico addebito al frate di colpe dello spirito (bestemmiatore ereticale, dispreggiatore delle Sagre Imagini, e de’ Sagramenti  .. superstizioso ... empio ... sacrilego .. eretico non solo, e Dommatista, ma di sfacciatissime innumerabili eresie svirgognato, e perfido difensore). Non è invece più consentito dargli ascolto quando accenna alle tendenze di fra Diego a vivere da ‘fuoriscito, e scorridore di campagna, in abito secolaresco’ tanto da finire nella maglie della giustizia ‘laicale’.  Ora il nostro grande Sciascia ama fare lo ‘sprovveduto’ e risponde di no al quesito: «se nell’anno 1644, in Sicilia, un individuo pervenuto al secondo degli ordini maggiori ma dedito a scorrere le campagne in abito secolaresco, dedito cioè ai furti e alle grassazioni, potesse invocare, una volta catturato dalla giustizia ordinaria, il foro del Sant’Uffizio; o dalla  giustizia ordinaria essere rimesso al Sant’Uffizio come a foro a lui competente; o dal Sant’Uffizio, per uguale considerazione, essere sottratto alla giustizia ordinaria.»

Di questi tempi bazzichiamo l’archivio segreto del Vaticano alla ricerca delle notizie sul vescovo spagnolo di Agrigento Horozco Cavarruvias y Leyva, finito all’indice nel 1602 per avere scritto un’operetta in latino, ove malaccortamente il  presule si era sbilanciato ai fogli dal 119 al 230 «in diverse figure et proposizioni» risultate indigeste alla potente e prepotente famiglia dei Del Porto del capoluogo agrigentino.([18]) Da un contesto di canonici libertini e concubini, maneggioni e corrotti, affiora la figura di un canonico cantore e dottore, imposto dalla curia papale per l’esercizio della giustizia della lontana diocesi di Sicilia. Non è personaggio gradevole, ma della giustizia del suo tempo - che è poi tanto prossimo a quello messo sotto accusa da Sciascia - doveva pure intendersene. Dalle sue ruffianesche relazioni alla Congregazione sopra i vescovi ci va di stralciare questo illuminante passo: «Nella Diocese, che è molto grande, vi sono molti chierici, e molti di essi si sono ordenati per godere il foro ecclesiastico, già che alcuni hanno chi trenta e chi quaranta anni e chi più, et hanno il modo ed habilità per ordenarsi, e tutta volta non si ordinano, e quel che è peggio ogni dì ci fanno incontrare con li superiori temporali e laici per defenderli delli errori che commettono e disordini che fanno, vorrei sapere se conviene à costoro assegnarci un tempo conveniente acciò si ordinino, e, non lo facendo, dechiararli non essere più del foro ecclesiastico che sarebbe liberarsi da molti inconvenienti.» ([19]).

Alla luce di queste considerazioni coeve, ci pare che al quesito posto da Leonardo Sciascia si dovrebbe dare una risposta del tutto opposta a quella data dallo scrittore.

Un contemporaneo ebbe, pure, ad interessarsi di fra Diego, il dottor Auria di Palermo nei suoi notissimi diari di Palermo. Sciascia lo segnala «come uomo talmente intrigato al Sant’Uffizio, e così ben visto dagli inquisitori, che era riuscito a far diventare eresia l’affermazione che il beato Agostino Novello fosse nato a Termini». Quel dottore acquista, però, tutta intera la fiducia quando ci vuol far credere che il frate di Racalmuto sia finito nel 1647 (a ventisei anni) tra le grinfie dell’Inquisizione per avergli trovato nelle “sacchette” “un libro scritto di sua mano con molti spropositi ereticali”. Ma di un tal crimine - veramente grave per l’Inquisizione - l’accusatore Matranga tace. Per Sciascia, l’accorto Inquisitore avrebbe taciuto «ché sarebbe apparso strano il fatto che un “ladro di passo” avesse scritto un libro”. E dire che gli sarebbe tornato oltremodo comodo e non doversi, inceve, abbarbicare in evidenti tortuosità per conclamare la competenza del Sant’Ufficio.

Lo scrittore di Racalmuto cercò quel libro per tutta la vita: non ebbe fortuna. «Volentieri - scrisse con tocco blasfemo - [si sarebbe dato] al diavolo con una polisa, avesse potuto avere quel libro che fra Diego scrisse di sua mano con mille spropositi ereticali, ma senza discorso e pieno di mille ignoranze». Credette che «gli atti del processo, e il libro scritto di sua mano agli atti alligato come corpus delicti, si consumarono tra le fiamme, nel cortile interno dello Steri, il Venerdì 27 giugno del 1783».


Molto più semplicemente, invece, se un libro eretico fosse stato rinvenuto, sarebbe stato bruciato con tanto d’intervento della Sacra Congregazione dell’Indice. Ma Diego La Matina - erculeo, sanguigno, ‘ladro di passo’, appena ventiseienne - non pare tipo da scrivere libri. Arriva al secondo degli ordini maggiori, il diaconato: è quindi ad un passo dal sacerdozio che, tra messe e prebende, era all’epoca anche un invidiabile traguardo economico. Non procede, però: si ferma ed a ventitré anni si dà alla macchia da ‘fuoriuscito’ e diviene ‘scorridor di campagna, in abito secolaresco’. Sembrerà un’amenità, ma non lo è: la fuga dal convento di S. Giuliano per l’avventura palermitana sarà stata una fuga dallo scarso cibo del convento (e dalla dura disciplina) con cui il gigantesco giovanottone, tutto appetito (in ogni senso) e scarso cervello (non è in grado di approdare al terzo ordine maggiore), non riesce a convivere. Per rendersene conto, basta scorrere la rigida regola degli agostiniani del tempo.
Allora, essere sorpresi a “scorridar campagne” non era una bazzecola. Sempre in Vaticano, tra gli atti del processo di beatificazione del contemporaneo p. Lanuza, gesuita, si rinviene la descrizione di un evento che si attaglia al caso nostro.
 Alcuni compagni di religione del padre La Nuza, dagli altisonanti nomi aristocratici, battevano le campagne dell’Alcantara, in Messina, per loro cosiddette Missioni che erano poi qualcosa di molto simile alle nostre predicazioni del mese mariano. Si imbatterono in briganti di passo, alla fin fine benevoli con loro, a riverbero della fama di santità del celebre padre La Nuza. Presero, sì, qualcosa, ma i padri, in cambio di una solenne promessa di non sporgere denuncia alcuna, ebbero salva la vita. I gesuiti non mantennero la promessa. Appena incontrati i militari di pattuglia, rivelarono la loro avventura. La caccia all’uomo fu immediata e proficua. I ‘ladri di passo’ ebbero subito segnata la loro sorte: furono senza indugio giustiziati sul posto. ([20])
Il latrocinio di passo era crimine da condanna a morte. E tale rimase anche ai primi dell’ottocento, sotto i Borboni, ad Inquisizione cessata, pur dopo lo scioglimento del Sant’Uffizio da parte del conclamato Marchese Caracciolo. Negli archivi della Matrice di Racalmuto leggesi un atto di morte di un brigante datosi alla macchia (così ce lo accredita Eugenio Napoleone Messana) che desta tuttora grande raccapriccio: era il 23 novembre 1811 ed il ‘miserandus’ - un uomo di 42 anni - «susceptis sacramentis penitentiae et viatici, necato capite multatus a Tribunali nostrae regiae Curiae Criminalis, animam in patibulo expiravit, in medio plateae et resecatis capite et manibus: corpus per me D. Paulo Tirone sepultum [fuit] in ecclesia Matricis, in fovea Communi», come a dire che il “povero disgraziato, confessato e ricevuto il Viatico, dopo essere stato condannato alla decapitazione dal Tribunale penale della nostra regia Curia, spirò sul patibolo in mezzo alla piazza, avendo avuto tagliate testa e mani: il suo corpo, con l’accompagnamento di me Sac. D. Paolo Tirone, fu seppellito in Matrice, nella fossa comune.” ([21])

Il Matranga sostiene che il frate di Racalmuto aprì i suoi conti con la giustizia, non certo, per questioni ideali, per eresia o per le sue idee, ma solo perché datosi al brigantaggio in abiti secolari, pur essendo già un diacono. A prenderlo fu la Corte Laicale che ebbe a passarlo, per lo stato religioso del monaco, al Tribunale del Santo Ufficio. Non abbiamo elementi per non credere al Matranga. Anzi, la vicenda appare del tutto plausibile. Fu dunque una fortuna per fra Diego La Matina potersi avvalere del Tribunale dell’Inquisizione, diversamente i suoi giorni li avrebbe finiti subito, a 23 anni, nel 1644. I crimini commessi sono per l’accusatore P. Girolamo Matranga fatti delittuosi ascrivibili alla ‘crudeltà’ del frate agostiniano (giudizio che lo si rigiri come meglio aggrada,  resta sempre di censura morale) e a ’libertà di coscienza’, locuzione oggi adoperata più per esaltare che per condannare. E Sciascia vi si appiglia per la glorificazione di quel tipo di reo. Nel linguaggio del tempo, quel modo di dire alludeva, però, solo alla sfrenatezza dei costumi, a non avere coscienza morale, o ad averla sfrenata, libertina.
«Siamo convinti, - scrive Sciascia, nella “Morte dell’Inquisitore” op. cit. pag. 222 - convintissimi, che nel giro di quattordici anni il Sant’Ufficio poteva ben riuscire  a fare di uomo religioso, che dentro la religione in cui viveva mostrava qualche segno di libertà di coscienza (l’espressione è del Matranga) un uomo assolutamente religioso, radicalmente ateo». Lo snaturamento del pensiero del Matranga è purtroppo fin troppo scoperto. L’intento polemico e l’idea preconcetta giocano un brutto scherzo allo scrittore, peraltro sempre molto circospetto. Il Tribunale dell’Inquisizione era non migliore degli altri organi di giustizia dell’epoca, ma neppure peggiore se si faceva a gara nell’invocarne la competenza per sfuggire alle corti laicali. Si leggano le pagine del Di Giovanni in “Palermo Restaurato” così lapidarie nel descrivere le manfrine del conte di Racalmuto Giovanni del Carretto per sottrarsi alle grinfie del Viceré, conte d’Albadalista,  e darsi in pasto all’Inquisizione. La fece franca da un irridente assassinio. [22]
E la misera storia di fra Diego si chiude con un omicidio: del suo aguzzino, si dirà, ma sempre uccisione era. Una tragica legge del taglione venne applicata. Stigmatizziamo pure quell’esecuzione capitale, ma parlare di martirio, è blasfemo.
La mamma di fra Diego non ebbe motivo di scagliarsi contro la chiesa. Era una terziaria francescana, intrisa di tanta pietà cristiana. Morì, assistita dai frati racalmutesi, con esemplare forza d’animo e tanto attaccamento al Cristo, senza alcuna voglia di ribellismo eretico. Pianse, sì, il figlio, ma lo pianse come un infelice peccatore, giammai come un eroico martire, dal “tenace concetto”. L’archivio della Matrice è pieno di testimonianze al riguardo. Andava opportunamente consultato. Ma era lettura ostica.
Riandando indietro nel tempo, un antenato di fra Diego La Matina fu Vincenzo Randazzo, un giurato racalmutese che ebbe parte di rilievo nelle tassazioni del 1577; nell’adunata presso l’«ecclesiola della Nunziata» pare addirittura farla da presidente del consiglio popolare. Viene indicato con il titolo di Magnifico, ma è plebeo, forse appartenente alla piccola borghesia agricola, un “burgisi” come si direbbe oggi. La madre di Diego La Matina era una Randazzo, famiglia questa genuinamente racalmutese. Il padre di Diego La Matina, Vincenzo era invece figlio di un oriundo da Pietraperzia.


Vin.o f. delli q.dam Gasparo et Geronima La Matina della T.ra di PETRAPERTIA con Francesca f.a del q.am Jac.o et Letitia di Randazzo servatis servandis contrassero matrim. pp.ce in facie ecc.e foro benedetti per .....

                                                
 29/9/1651 LA MATINA GIOSEPPE M.RO di VICENZO Q.AM e di FRANCISCA SORO 
con
SURRUSCA DI CANDICATTI’ ANNA di ANTONINO e di ANTONIA:
si  fecero le denunciationi e la fede  per tt. 3. 10.
Trattasi del fratello di frate Diego LA MATINA. [n.d.r.]


Tralascio l’irrisolta questione della vera identità di fra Diego La Matina. Non è per nulla poi certo che corrisponda al condannato a morte il Diego La Matina battezzato da don Paolino d’Asaro il 15 marzo 1621 in base a quest’atto che va correttamente letto:
Eodem [nello stesso giorno del 15 marzo 1621 quarta indizione] DIECHO f.[figlio] di Vinc.° [Vincenzo] et Fran.ca [Francesca] La matina di Gasparo giug. [giugali o coniugati] fui ba—tto [battezzato] per il sud.^ [suddetto e cioè don Paolino d’Asaro] p./ni [patrini] iac.° [ illeggibile secondo Sciascia, ma in effetti Jacopo o Giacomo] Sferrazza et Giov.a [Giovanna] di Ger.do  [Gerlando] di Gueli.

Sovverte ogni consolidata credenza sul frate dal tenace concetto la presenza a Racalmuto nel 1664 (anno a cui risale la seconda delle numerazioni delle anime della parrocchia della Matrice che ci sono state tramandate)  - e cioè a sei anni di distanza dell’esecuzione dell’agostiniano fra Diego -  di tal clerico Diego La Matina che ha tutta l’aria di essere lo stesso che era stato battezzato nel 1621.

CENSIMENTO DEL 1664

974   LA MATINA DIEGO                              CL(ERICO)
975   PIAMONTISI ANTONI
976   BORZELLINO GIUSEPPE DI FILIPPO DOMINICA M.C. - FRANCESCO                                                                                     
ANTONINO - FILIPPO                                                
977   ALAIMO (D') ERASMO - PAULA                
978   VINCIGUERRA LEONARDO             

In definitiva, la vicenda emblematica di Fra Diego La Matina ci appare un fervido parto letterario del pur grande Leonardo Sciascia. Lo scrittore diede enfasi alle dubbie affermazioni di un cronista secentesco e prese alla lettera accuse palesemente rigonfiate. Un Fra Diego La Matina autore di libelli eretici è ipotesi infondata e comunque non potuta documentare dallo Sciascia. A noi risulta, invece,  - come si è detto - che un chierico di tal nome dimorasse nel 1660 e rigorosamente assolvesse al precetto pasquale. Il dato della più antica ‘Numerazione delle Anime’ che gli Archivi Parrocchiali della Matrice hanno tramandato sino a noi, è sconcertante: va indagato. Forse non si riferisce al frate giustiziato a Palermo, ma un ragionevole dubbio lo inculca. Per nulla al mondo stipuleremmo una polisa con il diavolo per risolvere un tale rebus; porteremmo tanti ceri per convenire con Sciascia sulla nobile eresia di fra Diego; temiamo purtroppo che Sciascia abbia irrimediabilmente travisato i fatti della veridica storia del turbolento fraticello di Racalmuto.


*    *   *

Assistito dal notaio racalmutese Angelo Castrogiovanni, Girolamo II del Carretto si produce in uno strano atto di donazione ai suoi figli della contea di Racalmuto e di tutti gli altri beni che possiede. E’ il 4 luglio del 1621. Non ha ancora raggiunto i ventiquattro anni. Nomina la moglie “governatrice”. Il fratellastro don Vincenzo del Carretto ha un ruolo preminente come esecutore delle volontà del conte, ma non appare beneficiario di alcunché. Cosa mai sarà successo? Forse è stato un trucco per aggirare le imposte spagnole, sempre lì in agguato. Forse sentiva alito di morte sulla nuca.
L’atto viene nascosto dai gesuiti di Naro. Mistero, anche qui. Resta un fatto provvidenziale: quando, l’anno successivo, un servo spara al giovane conte una schioppettata - se concediamo fede totale alla trascrizione settecentesca del cartiglio che si conserva (o si conservava?) nel sarcofago del Carmine - quell’atto di donazione universale torna molto acconcio. Il figlioletto Giovanni può assurgere a conte incontrastato come quinto con tal nome. La sorella - Dorotea - ha beni sufficienti per aspirare ad un matrimonio altamente prestigioso. I due fratellini, carucci e distinti, vengono ritratti dal pennello di Pietro d’Asaro nel bel quadro della «Madonna della Catena» (le pretenziose note [23] di coloro che vi scorgono i ritratti di Maria Branciforti e di Girolamo III del Carretto, quando sarebbero stati “promessi sposi”, sono davvero cervellotiche.)
Quel sotterfugio della consegna dell’atto di donazione ai gesuiti di Naro - quale si coglie nella varia documentazione disponibile - resta in ogni caso inspiegabile visto che il 27 luglio del 1621 il rogito era stato insinuato nella conservatoria notarile della Curia Giurazia di Racalmuto sotto tutela del notaio Grillo. Un tocco di mistero in più.
Il 2 aprile del 1619 era frattanto nato il primogenito destinato alla successione nella contea. Ecco la fede di battesimo:
Ego Don Philippus Scondutus S.T.D. Archipresbiter huius terrae Racalmuti fidem facio qualiter in uno librorum in quibus sunt descripta nomina et cognomina baptizatotum parentum et patrinorum invenio notam tenoris sequentis.
Die VI° Aprilis 2^ Ind. 1619
Don Giovanni Francisco Carlo Giuseppe figlio dell’ill.mi Signori Don Geronimo et Donna Beatrice del Carretto iugali battizato per me Don Giuseppi Sanfilippo - Patrini Leonardo Scibetta et Giovanna La Conta.
Ad firmandam veritatem fuit per me fatta presens propria manu scripta et subscripta ac sigillo quo in similibus utor firmata, hodie 2° Augusti iiijæ ind. 1621.
Don Philippus Scondutus S.T.D. Archipresbiter

Nel cartiglio del Carmine il conte Girolamo III è dato per ucciso da un servo sotto la data del 6 maggio del 1622. Stranamente, alla Matrice, il suo atto di morte suona così:
[Dal Libro dei morti del 1614. Alla colonna n.° 83, n.° d’ordine 17 è annotato:]
Die 2 dicto (maggio 1622), il ill.mo d. Ger.mo del Carretto fu morto et sepp.to in ecc.a S.ti Fra.sci per lo clero.

Ecco un ulteriore elemento d’incertezza che si aggiunge al quadro tutt’altro che chiaro delle vicende feudali racalmutesi di questo conte ucciso a soli venticinque anni.
Don Vincenzo del Carretto, ormai non più arciprete, che sembrava essersi eclissato negli ultimi tempi della vita curtense racalmutese, eccolo ora riapparire vigile ed intrigante accanto alla vedova Beatrice Ventimiglia. Costei frattanto era divenuta principessa di Ventimiglia, come unica erede del genitore il citato Marchese di Geraci. I documenti la chiamano principessa di Ventimiglia.
Sembra donna energica. Dopo due anni dalla morte del marito, ne riesuma le spoglie dalla tomba di famiglia di San Francesco e le tumula nel grifagno sarcofago descritto da Sciascia al Carmine. I francescani non le dovevano essere simpatici: i carmelitani riscuotono le sue preferenze.
Giovanni V del Carretto non ha manco sei anni per avere un qualche peso: la contea è ora davvero nelle mani della giovane ma volitiva vedova.


I tempi dell’interregno di Beatrice Del Carretto Ventimiglia.

Non erano passati molti mesi dalla esecuzione del giovane conte Girolamo III che dei ladri audaci si erano introdotti nel castello per compiere una vera e propria razzia. L’ordine pubblico a Racalmuto era veramente precario: furti, abigeato, rapine nelle campagne (fascine di lino, “vaxelli” di api, frumento, buoi “formentini”) sono ricorrenti. La vedova Facciponti tutrice dei figli ed eredi di Antonino Facciponti, disperata, non ha altro da fare che invocare le sanzioni spirituali (una scomunica a tutti gli effetti) per gli incalliti malviventi che la curia vescovile accorda di buon grado. [24] La curia invia il provvedimento al rev.do arciprete. Vi leggiamo dati sul feudo di Gibillini, su quello di Laicolia. Sappiamo di furti alla vedova di “molta quantità di filato, robbi di lana, robbi bianchi .. denari et altre robbe, stigli di casa et di massaria”. Se da un lato si ha il disappunto per siffatte malandrinerie, dall’altro  c’è la piacevole sorpresa di venire a sapere che sussisteva uno stato di discreto benessere in diffusi strati della popolazione  racalmutese del Seicento.
Ma la crisi dell’ordine pubblico, qui, investe addirittura l’avvenente giovane vedova del conte. Sempre gli archivi vescovili ci ragguagliano su un’altra scomunica, stavolta comminata ai ladri del castello. Il 3 settembre 1622 [25] altra missiva al locale arciprete (e qui è ribadito che non è più don Vincenzo del Carretto, che peraltro è ancora vivo). “  Semo stati significati da parti di donna Beatrice del Carretto et Ventimiglia - recita il diploma vescovile - contissa di detta terra nec non da parti di don Vincenzo lo Carretto tutori et tutrici de li figli et heredi di del quondam don Ger.mo lo Carretto olim conti di detta terra qualmenti li sonno stati robbati occupati et defraudati molta quantità di oro, argento, ramo, stagni et metallo, robbi bianchi, tila, lana, lino, sita, cosi lavorati come senza, et occupati scritturi publici et privati, derubati debiti et nome di debitori, rubato vino di li dispensi ... animali grossi et vari stigli con arnesi, cosi di casa come di fori.” Un disastro dunque.
Don Vincenzo del Carretto riemerge come tutore dei figli del fratellastro. Affianca la cognata che in quanto donna, anche se contessa, non ha integra personalità giuridica per l’ordinamento del tempo. Ella necessita di un “mundualdo”, compito che ben volentieri l’ex arciprete si accolla. Ed in tale veste lo ritroviamo nei processi d’investitura del piccolo Giovanni V del Carretto risalenti al 1621 (vedansi gli esordi dell’investitura n. 4074 del 1621 sotto la data del primo settembre 1621 [26] ). Ma non è da pensare che la volitiva vedova concedesse troppo spazio al cognato anche se prete. Nell’anno di vita del conte Girolamo III del Carretto seguente il bizzarro (almeno per noi che scriviamo a distanza di quasi quattro secoli) atto espoliativo di donazione universale, il potere di donna Beatrice Del Carretto-Ventimiglia è già esclusivo. Figuriamoci dopo che l’ingombrante marito si era fatto uccidere da un servo. La tradizione tutta racalmutese di corna, di servi amanti, di perdoni adulterini etc. un qualche fondamento ce l’avrà pure. Indulgervi, però, da parte nostra, sarebbe fuorviante.
La vedova riaffiora dalle ombre del passato con contorni netti allorché, mietendo la peste vittime desolatamente, si decide di postulare al potente cardinale Doria una qualche reliquia di Santa Rosalia, atta a debellare il flagello a Racalmuto.
Il culto di Santa Rosalia è ben provato in Racalmuto, sin dal primo decennio del 1600, un quarto di secolo almeno anteriore alla discutibile invenzione delle spoglie mortali in Monte Pellegrino da parte del cardinale Doria.


In un appunto manoscritto del 15 ottobre del 1922 rinvenibile in Matrice, si riferisce - credo dall'arciprete Genco - che Santa Rosalia sarebbe nata a Racalmuto nel natale del 1120. Le prove documentali le avrebbe avute il canonico Mantione ma le avrebbe distrutte per dispetto al vescovo riluttante a finanziargli la pubblicazione di un suo libro. Tra l'altro, in quell’appunto manoscritto leggesi che «fui il 13 ottobre 1921 nella Biblioteca Nazionale di Palermo ed ebbi il piacere di leggerlo [un libro del Cascini] per summa capita. » In quel libro si  parla di antiche iscrizioni e di chiese anche fuori Palermo. Viene inclusa "quella di Rahalmuto, della quale non appare altro millesimo. che questo M.CC. ed il muro è guasto"». Il testo riportato dall’Arciprete Genco non comprova certo che il 1200 fosse la data di costruzione di quell'antica chiesa, essendo sicuramente abrase le successive lettere della data, appunto per quel 'muro guasto'.
II mio spirito laico mi spinge ad essere alquanto scettico sull'attendibilità di tante notizie contenute nel manoscritto: è certo, comunque, che di esse ebbe ad avvantaggiarsi il padre gesuita Girolamo Morreale nel suo "Maria SS. del Monte di Racalmuto" , stando a quel che si legge nelle pagine  23, 24, 69, 97, 98, 99 e 101.


   Senza dubbio la fonte storica sulla Chiesa di Santa Rosalia più antica ed accreditata è quella del PIRRI. (A pag. 697 abbiamo un’esauriente notizia). Il passo, in latino, può venire così tradotto: «A Racalmuto v'era una chiesetta [aedes] - antichissima - che risaliva all'anno 1400 circa. Fino al 1628 vi si poteva vedere dipinta un'immagine di santa Rosalia in abito d'eremita e portante una croce ed un libro tra le mani. Purtroppo, è andata distrutta  per incuria di alcuni,  ormai tutti presi dalla nuova chiesa dedicata alla medesima Vergine, di cui venerano alcune reliquie, essendosi peraltro costituita una confraternita denominata delle Anime del Purgatorio. La chiesa ha rendite per 70 once.» Non saprei se la nuova chiesa di Santa Rosalia sia sorta in altro posto oppure sopra quella vecchia. Quella vecchia, nel 1608, collocavasi nel mezzo della bisettrice Carmine-Fontana. Sappiamo che travavasi dalla parte della parrocchia di S. Giuliano.

Per il prof. Giuseppe Nalbone non vi sono dubbi: “la chiesa di Santa Rosalia eretta nell’omonimo rione fu sempre la medesima dal 1593, anno dal quale inizia la documentazione consultabile, sino al 1793, anno di cessione dell’ “edificio” al sac. Salvatore Maria Grillo.
Di recente, ricercatrici universitarie hanno ritenuto un rudere (ampiamente fotografato)  nei pressi della Barona essere l’antica chiesetta di S. Rosalia. E’ tesi che respingiamo: la Santa Rosalia del 1608 doveva ubicarsi nella parte sud-est di via Marc’Antonio Alaimo, qualche isolato a ridosso dell’attuale Corso Garibaldi. I documenti vescovili sembrano non dare adito a dubbi. Certo, c’è da interpretare l’aggettivo “nuova”  usato dal Pirri. Per “nuova” chiesa si deve intendere un edificio nuovo ubicato altrove o il riadattamento del vecchio stabile? Un interrogativo, questo, che non ha ancora soluzione certa. Non si sa neppure dov’era ubicato il rudere venduto al nobile sacerdote Salvatore Maria Grillo, e dire che siamo nel recente 1793. L’abate Acquista parla nel 1852 di ben quattro distinti luoghi di culto in vario modo dedicati a Santa Rosalia. Il Prof. Nalbone trova, però, molte inesattezze nell’opera dell’Acquista.


Don Vincenzo del Carretto si fa rilasciare un nulla osta ecclesiastico dalla curia vescovile agrigentina, costruisce la chiesetta della Modonna dell’Itria; la dota piuttosto consistentemente. Non gli porta fortuna: tra il 1624 ed il 1625 scocca il suo ultimo giorno di vita terrena. Crediamo sia una delle vittime del flagello endemico che in quel biennio si abbattè a Racalmuto. Il giovane medico Marco Antonio Alaimo - trasferitosi a Palermo - dava preziosi consigli ai fratelli rimasti in paese. Non potevano avere - e non avevano - grande efficacia.

Donna Beatrice del Carretto esce indenne dalla peste del 1624. La troviamo ancora solerte e dispotica nel 1626. Ella ha deciso che le reliquie di Santa Rosalia, portate a Racalmuto il 31 agosto 1625 vengano traslate da S. Francesco alla nuova (o rimessa a nuovo) chiesetta di Santa Rosalia.
La vicenda delle reliquie della santa eremita è stata così raccontata dal Cascini:
«Ne si mostrò poco divota verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la quale come si è detto nel primo libro, fin dal suo principio, nacque sotto la protettione di questa Santa e vi dedicò  la sua prima chiesa, havendola hora rifatta di nuovo; è incredibile la divotione, con che viene visitata a piè scalzo ogni sera non da pochi, ma d'una moltitudine grande. Però con molto maggior mostra di pietà, e humiltà ciò fecero il  giorno quando accompagnarono la sua Santa reliquia, che fù l'ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla da Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si cantò prima la Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità solita; e si liberò una spiritata; dopo il  Vespro pur solenne si fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa d'apparato con tre archi trionfali,  di luminarie per tre giorni, di concerto di Musiche, e salve di schioppi, nondimeno superava ogni cosa la devotione, che s'udia delle voci, e sospiri, e pianti, e si vedea della moltitudine tutta a piè scalzo.
Accettò la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari segni, che la sua protettione l'havea liberati dalla pestilenza; imperoché havendo la terra delle Grotte presso à due miglia molto mal menata da quel morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che fosse dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti fra loro e haver molta communicatione, non si attaccò però male veruno; anzi entrandoci dentro appestati diversi, si di questa terra, come d'altre, i medesimi che la portavano poi in altri luoghi, quivi non vi lasciarono vestigio alcuno.»

La vedova ha a cuore anche Grotte: «Le Grotte - aggiunge infatti il cronista - patirono anche molto [al tempo della peste del 1624], alle quali soccorse la Contessa di Rahalmuto, che l'era vicinissima, colla reliquia di S. Rosalia; ma non hò distinta, e certa relatione di alcun benefitio ...»

Nella nuova chiesa di Santa Rosalia - che entra sotto la tutela della locale Universitas - il culto della santa è intenso. Il comune si fa carico di una lampada ad olio perennemente accesa. La delibera è adottata dai giurati dell’epoca Francesco Fimia, Giacomo Montalto, Benedetto Troiano e Francesco Lauricella. Ma non varrebbe nulla senza il benestare della potente vedova. E’ il giorno 18 aprile 1626. “Ad effectum in dicta ecclesia Sancte Rosalie detinendi lampadam accensam ante magnum altare ubi est collocata Reliquia sancta dictae dive Rosalie pro sua devotione et elemosina et non aliter nec alio modo”, sanziona un comma della decisione comunale. “Praesente ad hec ill.me D. Beatrice del Carretto et Xxliis comitissa dictae terre Racalmuti tutrice eius filiorum et affittatrice status eiusdem terre Racalmuti”, soggiunge il documento. La contessa avalla ed autorizza l’impegno giurazio: diversamente il tutto sarebbe stato senza effetto. Va invece bene “quoniam predicta ipsa D. Comitissa sic voluit et vult et contenta fuit et est”, giacché essa signora Contessa così volle e vuole, fu contenta ed è contenta.
Per di più “la predetta signora Contessa per la devozione che nutre verso la suddetta chiesa di Santa Rosalia e la sua santa reliquia, graziosamente concedette e concede quale tutrice e balia dei predetti suoi figli, alla venerabile chiesa di Santa Rosalia ed alla confraternita in essa esistente che si possa celebrare la festività con fiera in luoghi congrui ed opportunamente benedetti, da scegliersi dai signori Giurati. E siffatta festività e fiera (festivitas et nundinae) volle e vuole, nonché ne diede incarico e ne dà essa signora Donna Beatrice Contessa come sopra acciocché siano franche, libere ed esenti dai diritti di gabella spettanti al signor Conte della terra di Racalmuto. E l’esenzione vale per otto giorni cioè a dire da quattro giorni dalla detta festa sino a quattro giorni dopo». Un editto feudale con tutti i crismi come si vede. Ma è l’ultimo atto della chiacchierata contessa Beatrice del Carretto Ventimiglia di cui siamo a conoscenza che testimonia la  sua presenza a Racalmuto. Dopo, si sarà trasferita a Palermo. Il figlio resta sotto la sua tutela sino al diciottesimo anno. Nell’archivio di Stato di Agrigento sono conservati i documenti del convento del Carmelo di Racalmuto. Vi si rintraccia una nota comprovante i diritti del convento a valere sulle doti di paragio di donna Eumilia del Carretto (argomento in seguito sviluppato). Vi si legge fra l’altro: «Don Joannes del Carretto comes Racalmuti et Princeps de XXlijs ... concessit cum auctoritate donnae Beatricis del Carretto et XXlijs Comitissae Racalmuti et Principissae XXlijs eius curatricis seu procuratricis» Era il 7 maggio 1636. [27] 


GIOVANNI  V   DEL CARRETTO

Giovanni V del Carretto non lascia traccia alcuna di sé a Racalmuto. Vi nacque soltanto (6 aprile 1619); gli si danno quattro nomi: Giovanni Francesco Carlo Giuseppe; i padrini non sono illustri: Leonardo Scibetta e Giovanna La Conta; l’arciprete non reputa di somministrare il battesimo, delega don Giuseppe Sanfilippo. Nell’agosto del 1621 Girolamo III ritiene di abdicare a suo favore: è un bambino di quattro anni. L’anno dopo è già orfano di padre. Qualche anno ancora a Racalmuto e subito dopo il 1626 emigra a Palermo, senza dubbio nella nuova residenza che il padre Girolamo, mentre era vivo, ebbe a comprare dai Vernagallo .[28]
La giovinezza di Giovanni IV a Palermo dovette essere davvero scapigliata; ricco, senza veri freni inibitori, con una madre che ormai non ha peso alcuno, con consiglieri predaci e compiacenti, è proprio sulla via che lo porterà alla forca allo Steri nel 1650, per una dubbia partecipazione ad un colpo di stato, in cui veramente implicato era il cognato che furbamente se la squaglia in tempo.
Sciascia sbaglia dati anagrafici ma non personaggio quando scrive «il terzo [Girolamo, ma in effetti era Giovanni V del Carretto] moriva per mano del boia: colpevole di una congiura che tendeva all’indipendenza del regno di Sicilia. E non è da credere si fosse invischiato nella congiura per ragioni ideali: cognato del conte di Mazzarino per averne sposato la sorella (anche questa di nome Beatrice [errore anche qui: invero si chiamava Maria Branciforte, n.d.r.]), vagheggiava di avere in famiglia il re di Sicilia. Ma l’Inquisizione vegliava, vegliavano i gesuiti: e, a congiura scoperta, il conte ebbe l’ingenuità di restarsene in Sicilia, fidando forse in amicizie e protezioni a corte e nel Regno. Una congiura contro la corona era cosa ben più grave dei delittuosi puntigli, delle inflessibili vendette cui i del Carretto erano dediti.» [29]
Ma passando dalla letteratura alla storia, è bene attenersi a quello che sul nostro conte scrisse Giovan Battista Caruso: [30]
«Rappresentava il Giudice a costoro, che l'accennato conte del Mazzarino (il quale avea nome D. Giuseppe Branciforte), essendo indubitato successore del principato di Butera, che godeva la prerogativa di primo titolo del regno e di capo  del braccio militare, potea con l'appoggio de' suoi parenti e de' suoi amici aspirare ad essere riconosciuto per principe di tutto il regno, e così li persuase facilmente a scuoter dal collo il giogo straniero in tempo, che, mancata la legittima successione degli Austriaci di Spagna, e minorata di forza e di autorità la monarchia spagnuola, poteano i Siciliani ristabilire l'antica gloria della nazione, e godere come prima un re proprio ed interessato al comune vantaggio.
Di tali false lusinghe ingannati gli accennati nobili, e più di ogni altro il conte di Mazzarino, si unirono al consiglio degli avvocati e pensarono davvero all'elezione di un nuovo principe nazionale [tutto ciò per la falsa notizia della morte di re Filippo IV]. Al contempo i due avvocati Giudice e Pesce tramavano [p. 117] in favore del duca di Montalto, personaggio di maggiore importanza e che con più simulazione  aspirava al principato. Seppe egli da D. Pietro Opezzinghi, suo confidente, i dubbi promossi per  la successione al regno di Sicilia ... Introdottone dunque col mezzo dell'istesso Opezzinghi il trattato co' due avvocati e con gli altri lor confidenti, e molto cooperandosi a tal disegno il celebre D. Simone Rao e Requesens, cavaliere, che alla nobiltà della nascita accoppiava una sopraffina politica e grandissima destrezza nel maneggiare gli affari, avvalorossi una tal pratica a segno tale, che si vide in breve accresciuto il numero de' congiurarti con persone di prima qualità, fra le quali il conte di RAGALMUTO, cognato di quel del Mazzarino, D. Giuseppe Ventimiglia, fratello del principe di Geraci, l'abbate D. Giovanni Gaetani, fratello del principe del Cassaro, D. Giuseppe Requesens, fratello del Principe del Cassaro, D. Giuseppe Requesens, fratello del principe di Pantelleria. D. Ferdinando Afflitto, de' principi di Belmonte, D. Pietro Filingeri, fratello del marchese di Lucca, e molti altri.
[p.118] Certo però si è, che, ito egli [il conte di Mazzarino] a trovare il padre SPUCCES, uomo de' più stimati allora fra' Gesuiti, e confidatogli tutto il trattato, lo richiese di consiglio e di aiuto. [...] Fu rispedito il MERELLI [genovese e spia] in Palermo con un ordine [da parte del vicerè Don Giovanni] al capitano di giustizia, che era allora don Mariano Leofante, ed al pretore della città D. Vincenzo Landolina, di assicurarsi prima di ogni altro degli avvocati. Il che riuscito ... servì ai congiurati di porsi in salvo [e cioè] l'Opezzinghi, l'Afflitto, il Filingeri ed il Requesens ... prima che don Giovanni d'Austria colà venisse; il che fu a' 12 di novembre dell'intero anno 1649. Uscì ancor fuori dell'isola il conte di Mazzarino per sua maggior sicurezza.... e ben potea fare l'istesso il conte di RAGALMUTO suo cognato. Temendo però egli d'incolparsi maggiormente con la fuga, lusingossi di non venir nominato come complice da' due avvocati e dall'abbate Gaetano, caduti nelle mani de' regi. Mentre però il Vicerè era ancora a Messina, confessarono il Gaetani ed il Giudice tutto ciò, che sapevano dell'accennata consulta; ed ancorché il Pesce ed insieme il procurator Potomia negassero costantemente avervi avuto parte, furono tutti condannati alla morte. Allora il Giudice, che di tanto male si conosceva la prima cagione, dettò in difesa de' compagni una sì eloquente orazione, che dal Ronchiglio consultore del vicerè venne onorato l'infelice suo autore col titolo di Tullio Siciliano.
Né meno dell'eloquenza del Giudice fu ammirata l'intrepidezza e la costanza del  Pesce, il quale pria di morire scrisse alla madre una moralissima lettera. Giustiziati costoro, fu ancor maggiore la discussione del processo del conte di Ragalmuto, e nella corte la compassione. Corse anche voce, che fosse a lui facilitata dal vicerè stesso la fuga, per non macchiarsi le mani nel sangue di un sì nobile e principalissimo barone: ma non ostando a ciò il segretario Leiva, gli fu concessa almeno la scelta della morte. Contentatosi intanto il vicerè D. Giovanni del castigo di costoro, fu imposto silenzio alle accuse contro gli altri, de' quali il numero era assai grande, e principalmente contro il duca di Montalto, a cui la grandezza della casa, la quantità de' parenti, il numero de' vassalli ed il pericolo di suscitare nuovi torbidi servirono, per così dire, di scudo. »
La cronaca dell’incarcerazione e dell’esecuzione di Giovanni V del Carretto l’abbiamo in un diarista palermitano: quel Vincenzo Auria che Sciascia infilza impietosamente forse perché non tenero con fra Diego La Matina .[31] Non credo che si possa dubitarne l’attendibilità cronachistica. Seguiamolo, dunque:
«Martedì, 11 di detto [gennaio 1650]. Fu preso D. Giovanni del Carretto conte di Ragalmuto, come uno dei capi principali della congiura. [v. pag. 359]
«A dì 14 di detto [gennaio 1650]. - [...] Ma se è vero ciò che si diceva, egli [il Pesce] aveva consigliato il conte di Mazarino, che in caso della morte del re poteva farsi re di Sicilia, come primo signore del regno, e che il conte, posto a cavallo con le genti del conte di Racalmuto la notte di Natale di nostro Signore, doveva occupare il castello ed uccidere gli Spagnuoli. [v. pag. 364]
«Sabbato, 26 [febbraio 1650] di detto. Fu affogato privatamente dentro del castello D. Giovanni del Carretto conte di Ragalmuto, e nell’istesso modo il dottor D. Antonino lo Giudice. Il conte fu convinto da testimonii d’avergli sentito dire, ch’egli rimproverava il conte del Mazarino della tardanza dei suo trattato, e che gli aveva promesso molte genti a cavallo de’ suoi vassalli, per effettuare quanto egli aveva machinato. Ebbe il conte di Ragalmuto molto tempo da fugire e liberarsi del pericolo della vita; ma infatti, violentato dal suo avverso destino, dimorava a Palermo e vi passeggiava, come non avesse mai avuto nessuna parte ne’ disegni del conte del Mazarino. Onde fu stimata giustissima disposizione di S.A. e suoi ministri, per non avergli perdonato la vita, usando sopra tutti egualmente il meritato castigo.» [v. pag. 367][32]

Forse il conte qualche parola pietosa la meritava, ma Sciascia - come si è visto - è stato inflessibile. E dire che forse fra quei vassalli di cui Giovanni V disponeva a Palermo, pronti ad un colpo di stato, c’era proprio fra Diego La Matina, allora un giovanottone scappato dal convento ed abbagliato dalle chiemere della capitale palermitano.

Ma a parte questa storia di vassalli racalmutesi agli ordini di Giovanni V del Carretto, non riusciamo a cogliere un qualche spunto che possa legare la vita terrena del nostro conte con le faccende del nostro paese.




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GENESI DELLA FANDONIA DEGLI ABRIGNANO SIGNORI DI RACALMUTO


MEMORIE DEL GRAN PRIORATO DI MESSINA - RACCOLTE DA FRA DON ANDREA MINUTOLO



dei baroni del Casale di Callari, e feudi di Boccarrato - Cavaliero Gerosolimitano 1699 - dedicate all'illustrissimo Eccellentissimo Signo mio Padrone Colendissimo il Signor
Fra D. Giovanni Di Giovanni de Principi di Tre Castagni ; Gran Priore di Messina, e già di Barletta, Capitan Generale della Squadra Gerosolimitana, e Condottiero di quella di N.S. Innocenzo xij nel 1692-1693.
In Messina - Nella stamperia camerale di Vincenzo d'Amico 1699 - Con licenza de' Superiori.
[Richiesta di Taverna Calogero alla Biblioteca Nazionale Centrale V.E. di Roma
Pos. 10.7.E.3 -]
Andrea Minutolo . Memorie del Gran Priorato di Messina - 1699 - fogli con ristretti; 2-13; 19-39; 198; 210; 214; 253; 269; 273; 294; 296.
Roma 15/4/1993.



pag. 273

FARDELLA ................... BOSCO, O DEL BOSCO.................... ABRIGNANO............FARDELLA
---------------------------------                                                     
-----------------------------------
--------------------------------------------------------------------- HENRICO ABRIGNANO DEI
---------------------------------------------------------------- SIGNORI DI RECALMUTO, NO-
................................................................................... BILE DI TRAPANI, E REGIO GIU-
--------------------------------------------------------------------- ZIERO, E CAPITANO 1395.




                                                                                                                    I

                                                                                             Francesco, Senatore, e Regio
                                                                                             Giustiziere, 1419.
                                                                                                                    I                                                                                            

                                                                                                        Cesare 1462

                                                                                                                     I

                                                                              Antonino sposò Antonina Bosco 1507
                                                                                                                     I

                                                                              Giuseppe barone della Salina 1528

                                                                                                                     I

                                                                               Ottofredo,  Barone Scammaria, e Senatore    Tommasa (Fardella)                                                                                                                                                   
                                                                               di Trapani, 1635                                                   Baronessa della                                                                                                                                                                                                                                                            Scammaria

  
      
         Giovanni Fardella e Bosco, Barone                           Cointa Abrignano, e Fardella, Baronessa
         della Ripa, Regio Giustiziero, nobile                          della Ripa, nobile di Trapani
         di Trapani, Padre                                                           Madre


                                              -----------------------------------------------
                                                                               I

                                           Fra D. Alberto Fardella di Trapani 1633.

                                                                                                                


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FRA D. ALBERTO FARDELLA DI TRAPANI 1633 di Giovanni Fardella e Bosco, barone di Ripa, regio giustiziero, nobile di Trapani, padre ....... Cointa Abrignano, e Fardella Baronessa della Ripa, nobile di Trapani, Madre.

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pag. 272
FARDELLA ..............FARDELLA........................ABRIGNANO......................................VICENZO O DI VICENZO

           Vedi foglio 270                                     Un castello di oro con tre torri               Non ho possuto avere la disti-
                                                                          e tre ponti, in campo rosso                     nta notizia delle armi di così

                                                                          fu molto nobile nei trascorsi secoli
                                                                          questa stirpe Abrignano nella Italia
                                                                          imperoché molti passarono nella
                                                                          nostra Sicilia, dove popolarono
                                                                          questa famiglia, e con la propria
                                                                          virtù e valore la resero molto distin-
                                                                           ta nella Città di Trapani.

                                                                           Enrico Abrignano Nobile di Trapani
             
                                                                                                      I

                                                                           Francesco, Senatore, Regio Giustiziere,
                                                                           e Capitano di Trapani nel 1428.

                                                                                                        I

                                                                             Cesare 1462

                                                                                                         I

                                                                              Antonino ebbe in moglie Antonina Bosco 1507
                                                                                                          I

                                                                              Giuseppe si casò con Filippa Bondino 1528

                                                                                                           I

                                                                               Onofrio, Barone della Isola, ....     Giacoma   (Vicenzo)  baronessa
                                                                                e Saline 1563                                   1563

  
      
         D. Giacomo Fardella e Fardella nobile                           D. Geronima Abrignano, e Vicenzo
         di Trapani, padre 1606                                                 di Trapani, Madre 1606                                                       


                                              -----------------------------------------------
                                                                               I

                                 Fra D. Martino Fardella di Trapani 1629.


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Fra D. Martino Fardella di Trapani 1629                         Fra D. Alberto Fardella di Trapani 1633.
        (nipote di Vito Fardella)                                                 (Pronipote di Vito Fardella)
   (nipote per parte di madre di                                             (nipote per parte di madre di
    Giuseppe Abrignano 1528)                                                Giuseppe Abrignano 1528)               


di Giacomo Fardella e Fardella                                          di Giovanni Fardella e Bosco
e di Geronima Abrignano e Vicenzo                                 e di Cointa Abrignano e Fardella

Giacomo Fardella è figlio di                                                 Giovanni Fardella è figlio di
Vito Fardella e Brigida Fardella                                           Michele Marino Fardella e Angela Bosco

Geronima Abbrignano è figlia di                                         Cointa Abrignano è figlia di
Onofrio Abrignano e Giacoma Vicenzo (?)                        Ottofredo Abrignano e Tomasa Fardella (?)

Vito Fardella è figlio di                                                           Michele Marino Fardella è figlio di
Michele Fardella                                                                      Vito Fardella
                                                                                                    Vito Fardella è figlio di
                                                                                                    Michele Fardella

Michele Fardella è figlio di                                                      Michele Fardella è figlio di
Giacomo Fardella che sposò                                                   Giacomo Fardella  Senatore e Capitano 1516
Bianca Barlotta 1506   

Giacomo Fardella è figlio di                                                    Giacomo Fardella è figlio di
Antonino I c.tto emancipazione 1490                                  Antonio Fardella Senatore e regio giustiziero 1490


                                                                                                     
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Onofrio Abrignano è figlio di                                                   Ottofredo Abrignano è figlio di
Giuseppe Abrignano, si casò con                                           Giuseppe Abrignano Barone della Salina 1528
Filippa Bonino 1528

Giuseppe Abrignano è figlio di                                                 Giuseppe Abrignano è figlio di
Antonino Abrignano sposato con                                           Antonino, sposò Antonia Bosco 1507
Antonia Bosco 1507

Antonino Abrignano è figlio di                                                 Antonino Abrignano è figlio di
Cesare Abrignano 1462                                                               Cesare Abrignano 1462

Cesare Abrignano è figlio di                                                        Cesare Abrignano è figlio di
Francesco Abrignano  regio giustiziero 1419                           Francesco Abrignano Senatore e regio Giustiziero 1419


Francesco Abrignano è figlio di                                                  Francesco Abrignano è figlio di
Enrico Abrignano 'Nobile di Trapani'                                         "Henrigo Abrignano dei Signori di Recalmuto, Nobile                                                                                                                                                                                                                                                    di Trapani, Regio Giustiziero, e capitano, 1395."                                                                                                           


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Pag. 294

GIORGENTI.




CARRETTO                                                VALGUARNERA                  LUCCHESE                               SIRACUSA                                         

Un aquila con cinque sbarre
rosse in campo

Ritrovo molto illustre, ed antica questa
Famiglia, nel Regno della nostra Sicilia,
e per le dignità possedute, e per li Titoli,
e preminenze che fino al presente numera,
con non poco splendore di una delle più
cospicue prosapie del nostro Regno.

Antonio del Carretto, dei Signori di Savona,
piantò la sua famiglia in Sciacca, e fece acquisto
della terra di Recalmuto nel Val di Mazzara.
                               I
Matteo, Barone di Racalmuto, 1391[33]
                  I

Giovanni, Barone 1401
              I
Federico, Barone, 1453

                I

Hercole, Barone.

                 I
Giovanni Barone di Recalmuto, 1519

                                   I
Federico, 1558.           Leonora,(Valguarnera) 1558.

D. Baldassare del Carretto e Valguarnera, Barone           D. Maria Lucchese, e Siracusa, Baronessa
della Sciabica, Nobile di Giorgenti, Padre                         della Sciabica, Nobile di Giorgenti, Madre.
                                                    ---------------------------------
                                                                               I

            Fra D. Alfonzo del Carretto, di Giorgenti, 1617.

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TRASCRIZIONE SOMMARIA DEI DIPLOMI D’INVESTITURA DEI DEL CARRETTO DI RACALMUTO


ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO
FOTOCOPIE CHIESTE DAL PROF. GIUSEPPE NALBONE
PALERMO 20\11\1993
SALA DI STUDIO CATENA . RIPR. N. 3253  - N. 259
COPIA DEGLI ATTI RIGUARDANTI
1) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1482 PROC. 21 - ANNO 1452 - FACCIATE 7
2) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1487 PROC. 1175 - ANNO 1518-21 - FACCIATE 11
3) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1514 PROC. 2162 - ANNO 1558 - FACCIATE 5
4) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1517 PROC. 2354 - ANNO 1562 - FACCIATE 11
5) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1538 PROC. 2872 - ANNO 1584 - FACCIATE 30
6) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1555 PROC. 3542 - ANNO 1600 - FACCIATE 9

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ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO
RICHIEDENTE NALBONE GIUSEPPE
FONDO PROTONOTARO REGNO
SERIE INVESTITURE
N. 1482 - PROC. 21
ANNO 1452
PAGINE DA RIPRODURRE 7
DATA 29/11/1993
FIRMA GIUSEPPE NALBONE
[VEDI FOTO FUORI POSTO N. 2]

N.° 21
[foto 4/b del retro]

Garrecto/di/ Federicus

Casale et castrum Rayalmuti
documenta

1) Memoriale Federci di Garrecto
2) Depositio testium

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[foto 5/b del retro]

presentata Panormi pro officio Protonotari iij augusti augusti p’me ind.

Memoriale magnifici Federici de Garrecto domini et baronis terre casalis rt castri Rayalmuti quad dat et offerit coram magnifico domino Gerardo Aglata Regni Siciliae prothonotario ad hoc deputato pro nova investitura de novo obtinenda supra dicto casali et castro baroniae Rayalmuti.

In primis

Item quod  magnificus dominus Mattheus di lu Garrettu fuit et erat verus dominus et baro dictae casalis et castri Rayalmuti percipiendo fructus reditus et proventus paficice et quiete et de hoc  fuit et est vox notoria et fama publica et ..

Item quod dictus quondam magnificus dominus  Mattheus

[foto 6/b del retro]

de Garrecto et quondam magnifica domina Alionora fuerunt et erant ligitimi maritus et uxor ex quibus Jugalibus natus et procreatus fuit magnificus quondam dominus Joannis de Garrecto qui subcessit in dicto casali et castro Rayalmuti tamquam filius legitimus et naturalis percipiendo fructus reditus et proventus usque ad eius mortem et de hoc fuit vox notoria et fama publica et ..

Item quod ex dicto magnifico domino Johanne et magnifica domina Elsa jugalibus natus et procreatus fuit dominus magnificus dominus Federicus de Garrecto ad presens baro dictae baronie Rayalmuti et qui tamquam filius legitimus et naturalis subcessit in baroniae predictae percipiendo fructus reditus et proventus et de hoc fuit et est vox notoria et fama publica  etc. ..

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[Foto 7/b del retro]

Repertus Panormi  iiij augusti primae ind.

Testimonium magnifici Federici de Garrecto baronis casalis et castri Rachyalmuti  [reperitis supra memoriale?] pro officio magnifici domini prothonotarii.

Honorabilis Franciscus de Oruleva [rese tesimonianza] quod quondam magnificus dominus Mattheus  di lu Garrettu fuit et erat dominus et baro casalis et castri Rachalbuti cum omnibus eius membris (?) pheudis fructis et pertinenciis de causa ...  ... ex forma publica  referentis in civitate Agrigenti ... ex jugalibus fuit natus dominus Johannes qui successit in dicta baronia  et pheudis omnibus ... et possedi ea durante ius vita percipiendo  et percepi faciendo fructus redditus et proventus quae admodum solvere sunt favore baronis  ...
quod dominus dominus Johannes et donna Elsa fuerunt legitmi maritus et uxor ex quibus fuit procreatus prefatus  ... quem ... retenerunt (?) filium ...
 dominus Federicus  ... successit in dicta baronia cum omnibus membris suis et proventis suis quam tenuit et possedit ac tenet et possidet .... tamquam dominus et baro .....

[Foto 8/b del retro]

Magnificus Manfridus de Alagna .. dixit (?) quod quondam magnificus Mattheus di lu Garrecto fuit dominus et  baro casalis et castri Rachalmuti cum omnibus pheudis juribus et pertinenciis  ... ex forma sua publica ... restoratus .. auctoritate regis Martini... de loco et tempore ...  ..
dixit quod prefatus quondam dominus Mattheus et domina Alionora fuerunt legitimi maritus et uxor;
quae domina Alionora fuit soror eiusque soror soceri  (?) eiusdem et dictum socer illud referebat  ... quod domina Alionora fuit soror eiusdem soceri .. et ex quibus jugalibus natus et procreatus .. prefatus quondam dominus Johannes ... quem prefatus dominus Mattheus tenuit et tractavit in suum filium legitimum et naturalem  et ex quo  prefatus dominus Johannes ... domini Matthei  in suum herdem ..
quod post mortem dicti quondam domini Matthei prefatus dominus Johannes successit in dicto casali castro et pheudis, qui tenuit et possedit dicta bona cum iuribus et pertinenciis eorum percipiendo et percepi faciendo jura reditus et proventus ...
quod  prefatus dominus Johannes et quondam Elsa fuerunt legitimi maritus et uxor de quibus natus fuit prefatus dominus Federicus quem tenuerunt in eorum filium legitimum et naturalem  (e lo elessero in loro erede] .. ex forma publica ... prefatus dominus Federicus  successit in dicta baronia et iuribus suis universalibus  ..

---
[Foto n. 9/b del retro ]

Magnificus dominus Antoninus de Castillis  .. dixit quod quondam dominus Mattheus di lu Garrecto ut publice dicebatur  in auctoritate quondam regis Martini  erat dominus et baro casalis et Castri Rachalmuti cum omnibus pheudis et membris juribus et pertinenciis  ex quibus ... ... et percipiebat et percepi faciebat  fructus redditus et proventus tamquam dominus et patronus ...
quod idem dominus Mattheus et domina Alionora fuerunt legitimi maritus et et uxor qui sic se tenuerunt et tractaverunt ex quibus natus et subsceptus ... quondam dominus Johannes di lu Garrecto quem tenuerunt et tractaverunt in eorum filium legitimum et naturalem ex eo idem filius [divenne erede] post mortem predictorum successit in dicto ... casali  di Rachalbuto  quas tenuit et possedit .. ut ex forma ...
quod idem Johannes et domina Elsa fuerunt legitimi maritus et uxor ex quibus natus fuit ut apparet prefatus infrascriptus [Federicus?] qui ex forma possidet ..

Honorabilis ??? ???  dixit ut ..

[Foto n. 10/b del retro]

item quod dominus magnificus Federicus de Garrecto ad presens baro tenet et possidet baroniam predictam in casali et castro bona fide et justo titulo ex ea percepiendo fructus  reditus  et proventus pacifice et quiete sine condicione aliqua et de hoc fuit et est vox notoria et publica et ..


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[Foto n. 11/b del retro]

Baronia Rayalbuti


terra Rayalmuti

___&___

Magnifico Federico de Garrecto


primae Inditionis 1453




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ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO
FOTOCOPIE CHIESTE DAL PROF. GIUSEPPE NALBONE
PALERMO 20\11\1993
SALA DI STUDIO CATENA . RIPR. N. 3253  - N. 259
COPIA DEGLI ATTI RIGUARDANTI
2) PROTONOTARO REGNO INVESTITURE -  BUSTA 1487 PROC. 1175 - ANNO 1518-21 - FACCIATE 11

[Foto n. 13/b del retro]

1175
 


... Panormi in officio Regni Siciliae Prothonotarii, die
XXVIII Januarii VII Ind. 1519 ... prcuratore Regii Fisci
 ut constitit .......

Memoriale oblatum et presentatum in officio Regni Siciliae Prothonotarii per magnificum Ill. Artalem de Tudisco procuratorem magnifici domini Johannis de Carrectjs filii primo geniti legitimi et naturalis unici atque heredis universalis quondam magnifici Herculis de Carrectis olim domini et baronis terrae Rayhalmuti ac tenentis et possidentis  dictam terram Rayhalmuti cum castro et fortilitio ac juribus et pertinencijs suis ob mortem prefati quondam magnifici Herculis patris sui ad capiendum investituram dictae baroniae cum juribus et pertinencijs suis tam ob mortem domini nostri regis Ferdinandi  gloriosae memoriae  et .... successionem catholicarum majestatum reinae Johannae et regis caroli dominorum nostrorum invictissimorum, quam etiam propter mortem prefati quondam magnifici Herculis eius patris.
 


In primis est qualiter dictus quondam magnificus Hercules de Carrectis pater dicti magnifici don Johannis, tempore suae vitae, et usque ad eius mortem, tenuit et possedit terram cum eius castro seu fortilitio Rayhalmuti cum juribus et pertinencijs suis et in dicta terra permutando cunctos officiales totiens quotiens eidem quondam magnifico Herculi baroni placuissete  et de eis percipiendo per percepi faciendo fructus redditus et proventus ut verus dominus et patronus.

 


Item ponit qualiter prefatus magnificus dominus Johannes de Carrectis fuit et est filius promo genitus legitimus et naturalis dicti quondam magnifici Herculis et in talem et pro tali eum tenebat  tractabat et reputabat et ab alijs tenebatur tractabatur et reputabatur.

_______________________

Item ponit qualiter dictus quondam magnificus Hercules de Carrectis olim dominus et baro dictae terrae et pater dicti magnifici domini Johannis Domino placuit mortuus et defunctus fuit in castro terrae predictae Rahalmuti de mense Januarii VI ind. 1517 superstite et succedente in dicta baronia dicto magnifico quondam Johanne de Carrectis eiusdem quondam magnifici Herculis unoco filio legitimo et naturali , condito pius per eum sollemni testamento manu notarii Johannis Antoni Quagla de civitate Agrigenti  olim die XXVII predicti mensis Januarij in quo in quo instituit suum universalem heredem dictum magnificum dominum Johannem.

_________________________

cuius tenorem sibi protestatur

Item ponit qualiter martuo et defuncto dicto magnifico Hercule dictus magnificus don Johannes de Garrectis tamquam filius legitimus et naturalis dicti quondam magnifici Herculis et legitimi successoris de dicta baronia per eius procuratorem habuit cepit et persequtuus est actualem

[Foto n. 14/b del retro]

realem et corporalem possessionem dictae terrae Rayhalmuti cum eius castro seu fortilitio ac juribus et pertinencijs suis pro ut despositione constat per actum publicum celebratum in castro et terra predictis manu notarii Antoni Quaglia de  civitate Agrigenti olim die XVI mensis Januarii VI Ind. 1517

cuius tenorem sibi protestatum

Item ponit qualiter in hoc regno Siciliae fuit et est fama publica et vox notoria prefatum catholicum nostrum regem Ferdinandum gloriosae memoriae obiisse diemque suum extremum clausisse de mense januarii anni IIIJ Ind. proximae decursae cui successit in omnibus regnis et dominiis suis Serenissima Regina domina Johanna eius filia legitima et naturalis nec non catholicus et invictissimus Rex Carolus eiusdem Reginae Johannae filius primo genitus legitimus et naturalis prout fuit et est veritas.

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Item ponit qualiter debitum prestare juramentum et homagium debitae fidelitatis et vassallagij ac obtinere investituram terrae predictae et castri una cum juribus et pertinenciis suis tam ob mortem regis Ferdinandi gloriosae memoriae quam patris sui constituit  serie creavit et ordinavit procuratorem suum magnificum illustrem Artalem de Tudisco sicuti de procuratione constat per instrumentum publicum celebtatum manu egregi notarii Johannis de Malta olim die XXVI° presentis mensis Januarij VII^ Ind. 1519.

cuius tenorem sibi protestatur

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[Foto n. 15/b del retro]

[trattasi di un doppione della foto n. 13/b del retro]

_________________________

[Foto n. 16/b del retro]

Testes recepti et examinati per officium Regni Siciliae Prothonotarii  ad petitionem et et instantiam magnifici domini Johannis de Carrectis filii legitimi et naturalis quondam magnifici Herculjs de Carrectis ad capiendum investituram baroniae Rayhalmuti tam ob mortem regis Ferdinandi gloriosae memoriae quam magnifici Herculjs de Carrectis eius patris olim baronis et dominus dictae terrae.


Nobilis Alonsius de Caldarone ter..  ... ... supra capitulis probatoriis dixit se scire qualiter stando ipsu testimonio como uno degli domestichidi lo quondam magnifico Herculi lu Garretto baruni di Rayhalmuto vidia dicto magnifico regiri et governari la dicta terra et in quella  permutari li officiali  et rescotirisi et fachendosi rescotirj li renditi et provendi di dicta terra comu veru signuri et patruni et canuxi lo dicto don Joanni de Carrectis esseri figlo primogenito et unicodi dicto quondam  signuri Erculi lu Garrecto a lo quali lo dicto quondam magnifico Herculi tenia et reputava per figlo unico et primo genito et da tucti accussì era tenuto trattato et reputato ; lo quali  dicto quondam magnifico Herculi baruni fu mortu in lo castello di dicta terra et lo presenti testimonio lo vitti sepelliri et scondo intisi dicto testimonio dicto magnifico Herculi innanti sua morti fichi testamento .... .... ... premissa scire per modum  ut supra dicta ... tamquam ille qui ut domesticus dicti magnifici interfuit vidit et audivit de tempore a pluribus annis de loco in terra Rayhalmuti et alibi.

1     5        9

Franciscus Maganero .... supra capitolis probatoriis dixit in omnibus et per omnia ut proximi deposuerunt de suis de loco et tempore ut supra.


1     5        9

______________________


[Foto n. 17/b del retro]

Nobilis Andreas de Milatio dextera  .... supra capitolis probatoriis dixit in omnibus et per omnia ut proximi deposuerunt de suis de loco et tempore ut supra.


1     5        9

Nobiles Antoninus Palumbo, Alonsus de Silvestro et Gaspar Sabia .... supra ultimo capitulo probatorio dixerunt qualiter in hoc regno Siciliae fuit et est fama publica et vox notoria prefatum catholicum regem Ferdinandum divi recordii haviri passato de questa vita in sancta gloria in lo misi di ginnaro anni IIIJ Ind. proximae decursae a lu quali successiru in tutti soj reamjet segnurij la serenissima regina dopmna Johanna sua figla legittima et naturali et lo catolico et invictissimo re Carlo eiusdem Johannae filius promo genitus legitimo et naturali de causa successionis intra dixerunt premissa scire per modum  ut supra dicta sicut de loco in urbe Panhormi et alibi de tempore ab annis tribus circiter.

1 / 5 / 9



[Foto n. 18/b del retro]

Est sciendum qualiter inter alia capitula testamenti quondam spectabilis Herculis de Carrectis baronis terrae Raxalmuti est capitulum infrascriptum ut infra.

In nomine Domini nostri Jesus Xristi, Amen. Anno ab incarnatione eiusdem M° Cv  decimo septimo mense Januarii die vero XXVII° eiusdem mensis januarii VI (o VII?) Ind. in oppido Raxalmuti et in castello magnifici et spectabilis domini Herculis de Carrectis tribus candelis accensis ad quintas horas noctis incircum.

Et quia caput et principium cuiuslibet testamenti fuit et est universalis institutio, ideo dictus magnificus et spectabilis dominus Herculis testator instituit fecit et ordinavit suum heredem universalem magnificum et spectabilem dominum donpmum Johannem de carrectis suum filium legitimum et naturalem primogenitum natum et procreatum ex se et quondam magnifica et spectabili donna Marchisa de Carrectis olim prima uxore illustris et spectabilis dicti testatoris in omnibus bonis suis mobilibus et stabilibus presentibus et futuris amobilibus et amobilibus et omnibus debitoribus ubicumque existentibus et melius apprentibus et designatis et precipue in baronia pheudis et territoriis barOniae Raxalmuti, cum juribis redditibus emolumentis proventibus ac honoribus et oneribus dictae baroniae debite spectantibus et pertinentibus


____________

[Foto n. 19/b del retro]

juxta seriem et tenorem suorum privilegiorum dictae baroniae et suorum in ea indultorum et concessorum et cum administratione justitiae juxta formam suorum privilegiorum.

Ex actis mei notarii Antonini Quagla agrigentini.
Collectione salva.

[Foto n. 20/b del retro]


XVI mensis martii VI^ Ind. 1517 (M.° Cv  decimo septimo)

Universis et singulis presentis acti publici serie inspecturis visuris lecturis pariter et audituris pateat avidenter et sit notum quod nobis natotario et testibus infrascriptis ad hoc vocatis et rogatis existentibus [?] in castello terra et baronia Raxalmuti in regno Siciliae [ videri inveniri ? not..? rest..?? que infrascriptorum ? qualiter constitutis ? ] magnificus dominus Caesar [? ] de Carrectis ad infrascripta omnia interveniens veluti procurator magnifici et spectabilis domini don Johannis de Carrectis  domini et baronis predictae terrae et baroniae Raxalmuti filii primo geniti legitimi et naturalis magnifici et spectabilis  quondam domini Herculis de Carrectis in dicta terra et baronia nuper mortui et vita presenti  cum omni qua convenit  ad infrascriptos plenitudine [po.tis ? p/ti?] et que admodum nobis plene costitit et contineri  vidimus tenore et auctoritate cuiusdam pubblici predicti ? instrumenti in forma autentica in carta membrana omni qua solemniter expediti ? et roborati ? in civitate Neapolis die primo martii VI^ ind. 1518 manu nobilis et egregij Bartholis Carloni de eadem civitate Neapolis publici ubilibet per totum regnum Neapolis notarii, cepit et apprehendidit et manu tenuit ac cepit apprehendit et manu tenet  naturalem realem corporalem possessionem predictae terrae baroniae Raxalmuti per tactum et palpationem clavis castelli ipsius terrae et baroniae ac per

[Foto n. 21/b del retro]

portam et cantarum eiusdem castelli ipsamque portam propriis manibus aperiendo et claudendo ac egrediendo et ingrediendo ex eo et per eum ad libitum volentis [?] nemine contradicente  indignum vere capte et apprehense possessionis naturalis realis et corporalis terrae et baroniae predictae cum omnibus et singulis suis juribus et omnibus pertinenciis et eius integrum stetit ? ad ipsam terram et baroniam quominus dominumque et qualiter unquam spectantibus et pertinentibus juxta formam seriem et continentiam privilegiorum ipsius baroniae  [continuando ?consentendo?] nobis cum notario et testibus infrascriptis terram predictam et deambulando per eam nemine contradicente indignum vere captae et amprehensae possessionis naturalis et corporalis baroniae et terrae predictae cum omnibus suis suo integro statu quos (?) opus est et continuando eamdem possessionem ut supra apprehensam et captam mutavit et deposuit in ipsa terra officiales   et in ea hos creavit  officiales videlicet in primis creavit et fecit capitanum eiusdem Nardu lu Nobili, nob. Scipionem lu Carrecto eum judiceme; item magnificum dominum Paulum de Mistrectis ut dicitur regium ? militem (o militarem) judicem ordinarum ? dictae terrae et baroniae; Item juratos ..ecum (Henricum?) lu Nobili, Petrum de Acquisto; Vitum Taybi et Andream Gulpi; item castellamum in castello predicto magnificum dominum Johannem Benignum de Tudisco; item segretum eiusdem magnificum Silvestrum de Urso; item magistrum notarum ipsius terrae  magnificum Gilibertum de Tudisco unde de premissis indignum vere

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continuatae et apprehensae possessionis naturalis ad cauthelam ? et requisitionem ipsius magnifici domini procuratoris procuratorio nomine  quo supra et cuius seu quorum inter eum vel inter eos poterit in futurum pactum est  presens ? actum publicum suis loco tempore et valiturum

Testes Magnificus Mattheus de Carrectis et magnificus Jo. Artalis Tudisco magnificus ... Torres et nobilis Jacobus de Allecto

Ex actis meis notarii Antonini Quagla agrigentini.
Collatione salva.

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Die XXVI^ Januarii VII^ Ind. 1518

Magnificus don Joannes de carrectis baro et dominus terrae Raxalmuti paesens coram nobis sponte omni meliore modo via et forma quibus melius dici et fieri potest constituit fecit creavit et sollemniter ordinavit in suum verum et indubitatum procuratorem actorem nuncium specialem  ad  ... magnificum Joannem Artalem Tudisco presentem et onus infrascrittae procurationis in se voluntarie suscipientem  ad comparendum nomine et pro parte dicti magnifici constituentis coram illustri domino pro rege et capiendam investituram terrae cum castro cum toto integro statu et juris ditionibus  baroniae et terrae Rayhalmuti tam ob mortem  gloriosae memoriae  regis Ferdinandi et successionem invectissimarum catholicarum majestatum reginae Joannae et regis Caroli dominorum nostrorum invictissimorum quam ob mortem quondam magnifici Herculis de Carrecto eius patris et in manibus  illustris et potentis domini viceregis juramentum et homagium debitis fidelitatis et vassallagii nomine et pro parte dicti magnifici constituentis prestandum et ad omnia alia et singula faciendum que ad capiendam dictam investituram necessarias fiant permittens dictus magnificus constitutiones sub ypoteca et obligatione et  etc. et juravit et etc.

Testes nobilis Petrus Pasta et magnificus Vitus Paladello

Ex actis meis no. Joannis de Malta  ... extratta est praesens copia mani aliena.

Collatione salva.

[Foto n. 24/b del retro]

Pro

Magnifici don Joannis  de Carrectis baronis Rayhalmuti investitura

VII^ Ind. 1519

1518-19

februarii VII^ ind.
 ,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,,
fiat investitura ad impensis ...


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[Foto n. 25/ b del retro]

ARCHIVIO DI STATO - PALERMO
Richiedente: Giuseppe Nalbone
Fondo Archivistico : PROTONOTARO REGNO

Serie: Investiture
n.° 1514 PROC. 2162 anno 1558
microfilm facciate 5

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[Foto n. 26/b del retro]

Mess.ae [Messina] die ultima februarii p.^ ind.
in officio protonotharii regni Siciliae

Joannes Gisulfus
...


Die ultimo januarii VII^ ind. 1519 apud urbem felicem Panormi et in sacro regio hospitio magnificus Jo: Artalis Tudisco procurator ut constitit procuratorio instrumento celebrato manu notarii Joannis de Malta olim die XXVI januarii VII ind. ... ... magnifici don Joannis de Carrectis filii primo geniti legitimi et naturalis quondam magnifici Herculis de Carrectis olim baronis terrae Rayhalmuti  ac tenentis et possidentis terram predictam Racalmuti cum eius castro ob mortem quondam predicti magnifici Herculis eidem predicti secuti de successione primogeniturae  atquae successionis procuratione ?  et aliis constituit per testamentum celebratum predictum quondam .... eius patrem manu notarii Antonini Quagla de circoscriptione Agrigenti olim die XXVII Januarii 1517 ... possessionis celebrate in oppido Racalmuti die XVI martii VI^ ind. 1517 ... in ...eventi  per offertam Regni Siciliae prothonatario ..  testamentum actum possessionis  ... ipsos una cum procuratione predicta  vidit et recognovit pro ut cautela magnificus regius cancellarius dominus A... de Biscardis  u.j.d.  et pro. f. p. constitutus atque procurator ipsum procuratorio nomine quo supra ... in presentiaill. et potentis  domini magnifici Hectoris Pignatello comitis Montis Leonis huius Regni Siciliae Pro regis pro terra prodicta  cum eius castro  seu fortilitio jam ob mortem catholici et invictissimi regis Ferdinandi gloriosa memoria et succssionem catholicorarum Mjestatuum  Reginae Joannae et regis Caroli castella Aragonum utriusque Siciliae Regnum et Jerusalem et cetera invictissimum heredum et successorum suorum in perpetuum quam ob mortem dicti quondam magnifici Herculis legitimi  et homagium debitae fidelitatis et vassallagii in manibus et posse dicti illustrissimi magnifici viceregis manibus et ore eorum dominorum in forma debita et consueta
 




[1]) Ciò che alla morte del prelato ricade nel dominio del Governo durante la sede vacante:  spoglio.


[2]) Archivio Segreto Vaticano - Relationes ad Limina - 18A - f. 1.
In spagnolo, il Covarruvias così presentava il Capocho alla Sacra Congregazione competente:
«Quando no veniera negocios en esta Corte a que embiar a Don Alexandro Capocho mi secretario, me diera contento embiarlo a hacer riverencia a V.S.Ill.a y darle cuenta de las cosas de por aca, como lo hara Don Alexandro ...el obispo de Girgento».
[3]) Cfr. Atti Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600. E’ ivi annotato: «Di la maiori ecclesia di Racalmuto pigliao possisioni don Andria Argumento  a li 7 di  marzo XIII ind.1600».

[4]) Archivio di Stato di Palermo - Tribunale Real Patrimonio - Riveli - Busta n.° 596 - anno  1593 -  pag. 807-807v.
[5]) Archivio di Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio - Riveli (Gancia).
[6]) AMICO Vito Maria - storico e geografo (Catania 1697 - ivi 1762), monaco benedettino, priore di vari conventi  del  suo ordine, professore di storia civile nell’università di Catania (1743), dal 1751 storiografo regio sotto Carlo III di Spagna; è autore del “Lexicon topographicum Siculum” 1757-60) (tradotto da G. Di Marzo nel 1855 in “Dizionario topografico della Sicilia” - 2 voll.).

[7]) Dalle Istruzioni date in Palermo il 20 aprile 1651 risulta che, tra l’altro, il formulario del rivelo doveva dispiegarsi come segue:

Alfine di ogni rivelo si doverà fare il suo Ristretto in questa seguente forma. cioè:


·       N.N. - Nome e cognome del rivelante.
·       Maschi d’età ...........................................N.     5
·       Maschi di altra età ..................................N.     8
·       Femine di ogni età ..................................N.   17
·                                      Somma delle anime  N.   30  
·       Cavalli ................................................. N.     3
·       Giumente ............................................. N.     2
·       Bovi ................................... ................ N.   10
·       Vacche lavoratorie ............................. N.     8
·       Beni stabili                        564
·       Beni mobili                  64.914 . . . onze  1214
·       Gravezze stabili           34.823
·       Gravezze mobili          56.319 . . . onze 91412
·                                 Resta di liquido  onze     290 20


 N. N. sottoscrizione del rivelante. 

[Da Maggiore-Perni, op. cit. pag. 129-130]     

[8]) Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 532.
[9]) ibidem
[10]) ibidem
[11]) ibidem
[12]) ARCHIVIO VESCOVILE DI AGRIGENTO - REGISTRO VISITE 1608-1609 - MONSIGNOR Dn VINCENZO BONINCONTRO - VESCOVO DI GIRGENTI (RACALMUTO PAG. 244 aggiunto: 203).
[13]) Archivio Vescovile Agrigento - Registri Vescovi 1622-1623 - f. 412v
[14]) Giuseppe Sorge - Mussomeli ... vol. II, pag. 95 vi rinviene una famiglia Cinquemani “di cui le prime notizie rimontana al 1584.
[15] ) Archivio di Stato Palermo                                                           
Palagonia n.° 709 Anni 1613-1749
[n.° 3] Relationes  Burgentium Terrae Racalmuti [f. 141-149]
J.M.J.
Possessores status Regalmuti, qui aliunde ab omnibus gabellis exemptus existit, jus habent exigendi à Vassallis, extra territorium serentibus, terraggiolum ad quantitatem salmarum duarum pro qualibet salma terrae serendae, sive ista sit propria secularium, sive Ecclesiasticorum.
Promanat jus hoc ex immemoriali praescriptione, de qua habetur ratio in transactione anni 1580, inter Comitem et Populum adstipulata, et ex eadem transactione ipsa, in qua nedum fatentur contrahentes, huiusmodi juris titulum promanare ex contractu et sententia compromissoria (licet instrumenta haec cum die et consule enunciata non videantur) verum etiam terragiolum praedictum in quantitate salmarum quatuor esse, ac semper fuisse solutum, et comitem transigentem in possessione actualis exactionis tunc extitisse.

Profecto tamen transactioni praedictae causam dedit judicium à vassalis  contra dominum in Magna Curia institutum super exemptione ab huiusmodi, alijsque juribus praetensa, quod, cum per nonnullos annos agitatum fuisset, denique perpertuum passum est silentium, media transactione facta cum interventu jurisperiti a magna curia destinati et accedente totius populi consensu, ex qua, ultra quam plures gratias à comite vassallis concessas, reportarunt isti relaxactionem medietatis huiusmodi terraggioli, quod è quantitate salmarum quatuor frumentorum pro qualibet terrarum salma, ad binas redactum fuit.

Populus autem, postquam sub ista transactionis lege usque ad annum 1609 steterat, cogitavit hoc terragioli onus à se excutere, media soluctione scutorum triginta quatuormille, proprio domino promissa per aliam transactionem eodem anno factam, in qua fructus ad rationem de septem conventi fuere, donec solutio ipsa adimpleta non fuerit.

Pro soluptione summae promissae, de permissu Magne Curiae Rationum, nonnullas sibi Populus gabellas imposuit; earum tamen iugum ferre nequivit, quia omnis fere incola praemebatur quando aliunde soli burgenses semina in agris emittentes terraggiolum domino persolvere debuissent; qua de re, anno 1613 detempto novo consilio, praeviis literis regij patrimonij, obtentis sub injunctione ad se opponendum comiti facta, de nullitate transactionis anni 1609 dicere praetendebant, ad hoc ut ad illam anni 1580 regredi cives potuissent, dum 700 familiae è terra discesserant.

Porro Comes benignè annuens, per novam transactionem anno praedicto 1613 adstipulatam, secundam delendo, ab ea recessit, illamque una cum vassallis ratham habuit, quae de anno 1580 primo conventa fuerat ac insuper fructus ei non soluta super capitali iam dicto dimisit, et haec finalis conventio usque ad praesens exequuta videtur.

Pervento autem dicto statu de anno 1716 in illustrem ducem D. Aloysium Gaetano, ipse, ut facilius vassalli seminerijs operam darent, de permisso praesidis de Drago Judicis Deputati, ab illis pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis exegit, alia vero medietas duci, status praedicti semper gabelloto, ab eodem de Drago pro computo gabellae compensata fuit.

Praemissorum verum prorsus inscius noster cliens, ad Magnam Curiam die 23 Settembris nuper elapsi recursum faciendo, exposuit, ex immemorabili praescriptione usque ad annum 1716 quemlibet ex vassallis extra statum serentem in feudis tam secularibus, quam ecclesiasticis solvisse Domino, eiusque gabelloto terragiolum praedictum ad dictam quantitatem salmarum duarum pro qualibet salma terrae satae, ipsumque de permissu praedicto, ut ad seminerium illos provocaret, exigisse dimidium, alterum vero eidem à judice deputato compensatum fuisse, pro ut ex documentis compensantionum, et ex testibus possessionis extremum deponentibus apparebat; proindeque petiit et obtinuit manutentionis posessionis literas in jure exigendi dictum integrum terraggiolum, dummodo quod in eius facultate sit, illud pro dimidia exigere, absque eo quod ex huiusmodi facultativo actu favor vassallis quaetatur, vel domini jus praejudicatum remaneret, quae sane literae de mense settembris in dicta terra presentatae, atquae exequutae fuerunt eodemque modo die trigesimo octobris in Civitate Agrigenti.

Praemissorum etiam inscium Monasterium Sancti Martini possessor feudorum Cimiciae et Aquiliae prope dictum statum sitorum petiit die 9 octobris, per eius memoriale, exemptionem a soluctione huiusmodi terraggioli favore civium Regalmutentium, qui dicta feuda sererent, ea ratione quia ex vi eius privilegiorum à Pontificibus atque Regibus concessorum atque ordinationum et determinationum contra dominos dicti status obtentorum, et potissimum de anno 1711. 16 settembris a Magna Curia Episcopali Agrigentina, cives praedicti dicta feuda serentes immunes ab immemorabili fuere, unde literas obtinuit monasterium ut infra:
A detto manasterio l’habbiate e dobbiate eseguire, ed osservare, inviolabilmente et ad unguem, li precitati privileggij ed ordini a suo favore concessi sopra le dette immunità ed esenzioni, giusta la loro serie, continenza e tenore dalla prima linea sino all’ultima e di parola in parola conforme stanno, ed in vista delli moderni, costandovi delle sudette immunità ed esenzioni, come sopra espressate, abbiate e debbiate in esse manutenere, difendere e conservare à detto Venerabile Monastero e tutti gl’arbitrianti e coltivanti le dette terre di detti feudi di Aquilìa e Cimicìa anche che fossero terrazani ed abitanti di detto stato e terra di Regalmuto, come esenti ed immuni di ogni dritto ed aggravio, ed in particolare di detto terraggiolo che si pretende esigere. Et avertendovi sempre di deportarvi juris et rithus ordine servato, senza dar motivo a niuna delle parti di contro voi reclamare nella distribuzione della Giustizia, che in virtù delle presenti dovrete compartire.

Praedictarum literarum sigillatio impedita Monasterio fuit à Cliente per emparam generalem sigillis appositam proindeque die 11 octobris actus incitata parte expeditus apparet, quo praefigitur:

Pro interinaria providentia incolae et vassalli dictae terrae Regalmuti possint et valerant colere et arbitriare terras praedictorum feudorum di Cimicìa et Aquilìa propriorum ipsius Monasterij et in hoc servetur pro ut hactenus servatum fuit non obstantibus quibuscumque bannimentis, ordinationibus et alijs emissis et datis et in posterum emictendis de ordine dominorum et possessorum dictae terrae et status Regalmuti super pretenso jure exigendi terraggiolum, pro cuius exactione vel exclusione sint et intelligantur observata jura utrique parti in judiciis forsan proponendis.

Pro comparatione itaque de proximo facienda, in qua Monasterium pro suarum literarum sigillatione instabit, credimus, omni jure esse respondendum, obstare Monasterio clientis literas manutentionis possessionis iam executas, nec aggi de possessorio adipiscendae, proindeque teneri monasterium, si quid praetenderet, principaliter agere in petitorio magis quod eidem obstant transactiones, de quibus supra, quibus non rescissis, audiri non potest.

Propterea nec privilegia, nec determinationes, quae Monasterium fortasse habet sub pacto de non revelando, clienti obstare possent, dum extremum suae possessionis in hoc jure exigendi ab immemorabili satis, superque probatum fuit testibus, quorum depositionis vigore absque clausulis literas praedictas cliens impetravit, qui, licet vassalli sint, favore tamen domini deposuisse non dicuntur, una semel quod contra semetipsos deposuere. potissimum quia monasterium hoc extremum non probavit, et ea de quibus  se iactat in literis, non habet, habere non potest, et si per possibile darentur, non officerent. Non enim habet, quia si habuisset, illa enunciasset in literis; quem ad modum enunciavit literas Magnae Curiae Episcopalis Agrigentinae de anno 1711 habere non potest, quia si habuisset, eadem executioni demandasset, et status Regalmuti possessores minimè per immemoriale hoc datium vassallorum exegissent ab his, qui feuda monasterij severunt; denique etiam si haberent non officerent, quia non executa fuere. Unde semper ad petitorium eidem Monasterio recurrendum esset, in quo sane judicio, non vidimus, quo jure, quove medio Monasterium cum aliena jactura obtinere possit, dum non solum contra idem militant transactiones praelaudatae inter dominum et vassollos, tribunalibus approbantibus, initae, contractus, sententia compromissoria et immemorilis praescriptio in eisdem transactionibus enunciata, de quibus hodie cliens docere non tenetur, quia defentiones, atque probationes sunt peremptae, et per accordium sopitae, imo super eis impositum perpetuum silentium; verum etiam et jura contra vassallos conclamant, dum isti etiam si ecclesiastica feuda colerent, et inquilini dicerentur ecclesiasticorum feudorum, non gaudent de jure illis immunitatibus et exemptionibus, quibus huiusmodi feudorum possessores potiuntur.

Postremo Literae Magnae Curiae Episcopalis Agrigentinae anno 1711, 16 settembris impetratae et de mense octobris 1738 renovatae officere clienti non possunt: sunt enim parte incitata concessae, et Vicario Regalmuti /directae, quae licet in Curia Spirituali Regalmuti/ praesentatae detegantur, executioni datae non videntur in Curia temporali, et earum vigore ad aliquid processum fuisse non apparet, fortius quod ibidem asseritur huiusmodi exemptionem fuisse ab Ill.ri de Drago Judice Deputato decisam in causa tunc cum rev. Clero vertente, et tamen de hac decisione non constat.

Promodo ergo quae scripsimus altiori DD.VV. Judicio submittimus, ut clientis jura protegatis, quae tamen de novo emergerent, novo indigebunt examine.
[Memoria non datata, ma sicuramente di poco posteriore al 1738]
[16]) Vedasi la nota apposta nel Libro dei Morti del 1667 presso l’Archivio della Matrice di Racalmuto. Il 26 agosto del 1667 muore il padre fra Giovan Battista FALLETTA  degli Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino della Congregazione di Sicilia all’età di 63 anni. Ad assisterlo è il confratello P. Salvatore da Racalmuto, agostiniano, un frate in odore di santità, che solo in questi ultimi tempi si cerca di farlo emergere dalle nebbie di un colpevole oblio. Per volontà del vescovo agrigentino frà Ferdinando Sancèz de Cuellar, invero in esecuzione di disposizioni pontificie, il Convento di S. Giuliano di Racalmuto andava chiuso, per carenza di uomi e di mezzi.  Fra Giovan Battista Falletta veniva pertanto sepolto nella Chiesa Madre, anziché a S. Guliano, dato che, come viene annotato: «stante soppressione conventui Sacre Congregationis per decretum sub die 26 augusti 1667 ». Ma il Convento riaprì e sopravvisse per un altro secolo almeno.
[17]) Leggasi quanto elucubrato in Morte dell’Inquisitore a pag. 182 dell’edizione Laterza 1982. Per inciso, è tutt’altro che provata la storia del priore agostiniano mandante dell’omicidio di Girolamo del Carretto, avvenuto il 1° (e non 6) maggio del 1622, ammesso che di omicidio si sia trattato e non della stroncatura per “un morbo” del venticinquenne conte di Racalmuto.
[18]) Archivio Segreto Vaticano - Sacra Congregazione dei Vescovi e Religiosi - Anno 1602: positiones D-M.
[19]) ASV - SCVR -  anno 1601: positiones G-M.

[20]) ARCHIVIO VATICANO SEGRETO - SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI - PROCESSI nn. 28; 2169; 2170.
[21]) ARCHIVIO PARROCCHIALE DELLA MATRICE DI RACALMUTO - LIBER MORTUORUM 1811. Dove fosse quella piazza ove veniva eretto il patibolo non sappiamo con certezza: tutto però induce a pensare che si trattasse della parte antistante l’attuale Piazzetta Crispi. Il toponimo tradizionale del «cuddaro» sembra comprovarlo. L’attribuzione di quel macabro posto alle male esecuzioni dell’Inquisizione - come fa Sciascia - puzza alquanto di astioso anticlericalismo. 

[22]) Vincenzo Di Giovanni - Palermo Restorato - Palermo 1989,  libro quarto, pag. 335. Per un approfondimento si leggano le splendide pagine di C.G. Garufi: Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia - Palermo, Sellerio  - pp. 255   e 262-263. 
[23] ) Cfr. catalogo su Pietro d’Asaro “il Monocolo di Racalmuto - Racalmuto 1985 -  pag. 72
[24] ) Archivio Vescovile di Agrigento - Registri Vescovi 1622-1623 - f. 230r-231 - die 24 januarii 1623.
[25] ) Archivio Vescovile di Agrigento - Registri Vescovi 1622-1623 - f. 412v - die 3 settembre VII ind. 1622.
[26] ) Archivio di Stato di Palermo - Protonotaro del Regno - Processi investiture - busta n.° 1560 - proc. N.° 4074 - anno 1621- Sotto la data del primo settembre si può leggere:
Memoriale quod dat, presentat et offert in officio Regni Siciliae Protonotarij Joannes Antonius Scamardi procurator substitutus U.J.D. d. Vincentij del Carretto procuratoris illustris d. Beatricis del Carretto comitissae Reacalmuti, gubernatricis et administratricis  don Joannis del Carretto comitis Racalmuti vigore procurationis in actis notarij Angeli Castrijoannis terrae Racalmuti die X julij 4 ind. 1621 et substitutionis in actis notarij Annibalis Musanti die XXVI augusti 4 ind. 1621 tenens et possidens dictus ill. don Joannes dictum commitatum cum juribus et pertinentijs suis omnibus pro se suisque heredibus et successoribus in perpetuum, in quo comitatu terrae Racalmuti cum castro successit ob donationem sibi factam de dicto comitatu ab illustre don Hieronimo del Carretto eius patre vigore donationis in actis notarij Angeli Castri Joannis terrae Racalmuti die x julij 4 ind. 1621 pro capienda investitura ob donationem predictam et successionem troni regis D. Philippi 4 ob mortem rerenissimi regis d. Philippi 3.
Item ponit et vult probare qualiter dictus ill.is d. Hieronimus tenuit et possedit dictum comitatum et terram Racalmuti cum castro cum iuribus et pertinentijs suis omnibus ut per investituram per eum captam die 14 augusti 4 ind. 1610.
Cuius tenorem sibi protestatur si et quatenus
Item ponit et vult probare qualiter dictus ill.is d. Hieronimus fecit donationem de dicto comitatu et terrae Racalmuti cum castro dicto ill.i d. Joanni eius filio primogenito legitimo et naturali et indubitato successori virtute actus donationis superius calendati.
Cuius tenorem sibi protestatur si et quatenus..
[f. ...]
Item ponit et vult probare qualiter dictus ill.is d. Joannes ad presens tenet et possidet dictum Comitatum et terram Racalmuti cum castro virtute actus possessionis in actis notarij Angeli de Castro Joanne die X° mensis Julij 4 ind. 1621.
Cuius tenorem sibi protestatur si et quatenus
Item ponit et vult probare qualiter dicta ill.is donna Beatrix del Carretto fuit creata gubernatrix et administratrix d.i ill.is d. Joannis comitis Racalmuti, virtute actus eiusdem donationis
Cuius tenorem sibi protestatur si et quatenus...
Item ponit et vult probare qualiter dictus ill.is d. Joannes volens se persolvere et conferre ad capiendam investituram constituit eius verum legitimum et indubitatum procuratorem dictam illustrem d. Beatricem U.J.D. Vincentium del Carretto cum potestate substituendi et dictus U.J.D. d. Vincentius substituit Joannem Antoninum Scamardi pro capienda investitura et prestandum juramentum et homaggium fidelitatis et vassallagij ut patet per procurationem et substitutionem supeius calendatam
Quorum tenorem si protestatur si et quatenus..

[27]) Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - Vol. 508 - f. 35,
[28] ) Significativo il passo dell’atto di donazione di Girolamo III del Carretto del 1621 che recita: « alijs per modum ut infra ipse d. Hieronimus comes per se et suos etc. donavit et donat dedit et dat et ipsius donationis titulo et omni alio meliori modo habere licere concessit et concedit predictis d. Joanni et donnae Dorotheae eius filis alijsque filijs utriusque  sexus nascituris absentibus me notario pro eis et eorum heredibus et successoribus in perpetuum stipulante et recipiente equis etiam portionibus omnia et singula eius bona mobilia stabilia ubicumque existentia vasa argentea et aurea jugalia pecudes petras pretiosas paramenta sericos servos et servas  et animalia cuiuscumque generis et speciej frumenta ordea legumina vina et pariter totum mobile domus ipsius donantis et extra nec non dicto don Joanni soli eius filio primogenito suisque successoribus in dicto statu et comitatu in futurum et in perpetuum succedentibus quondam eius tenimentum domorum consistens in pluribus corporibus et membris cum eius viridario, aqua fluente membris et pertinentiis ipsius cum integro et indiminuto statu situm et positum in felice urbe Panormi et in quarterio Xhalciae in contrata nuncupata di lo Allauro qauod olim erat quondam Alvari Vernagallo prope ecclesiam divae Mariae Itriae et secus alios confines emptum per ipsum comitem ab heredibus dicti quondam Alvari Vernagallo virtute contractus in attis predictis de Musanti die XIJ mensis Junij Primae Inditionis 1618 et hoc cum onere solvendi per dictum d. Joannem eiusque heredes et successores in eo in perpetuum uncias centum quadraginta otto anno quolibet dictis heredibus jura census ac etiam jus proprietatis unc. sex sacrae domui mansionis predictae urbis juxta formam dicti contractus et aliorum actionum contractuum et scripturarum in eo calendatorum et denique dictis don Joanni et donnae Dorotheae alijsque filijs nascituris ut supra omnia et singula alia eius bona mobilia .. ». Sui Vernagallo di Palermo cfr. Di Giovanni, Palermo Restaurata, op. cit.

[29] ) Leonardo Sciascia, Morte dell’inquisitore, op. cit. pag. 182 e segg.
[30] ) Gio. Battista Caruso, Storia di Sicilia, PUBBLICATA CON LA CONTINUAZIONE SINO AL PRESENTE SECOLO PER CURA DI Gioacchino di MARZO Palermo 1878 - Vol. IV - LIBRO XIV [p. 116]
[31] ) Leonardo Sciascia, Morte dell’inquisitore, op. cit. pag. 177.
[32] ) Dal Diario delle cose occorse nella città di palermo e nel regno di Sicilia dal 19 agosto 1631 al 16 dicembre 1652, composto dal dottor D. Vincenzo Auria palermitano, dai manoscritti della Biblioteca Comunale a’ segni Qq C64a  e Qq A 6, 7 e O - pubblicato a Palermo nel 1869 da Gioacchino di Marzo (pagine citate nel testo).
[33]) In piena contraddizione dunque con fra Alberto Fardella (vedi sopra) che pretendeva che a quel tempo fosse barone di Racalmuto Enrico Abrignano.




[f. 40 r]Unc. 1.- 3.
Concessio Cappellae condam Monserrati de Agrò
Pro ven: eccl. Sanctae Mariae  contra Orlandum Messina et consortes.
Nota a fianco: L’onza 1  di rendita  resa da Orlando di Messina è riscattata come alli atti di not. Natali Castrogiovanni di Racalmuto.
Die xij° septembris x^ ind. 1596.
Cum hijs diebus praeteritis existente condam don Monserrato in lecto infirmo corpore manu mea notarij infrascripti facta est quadam donatio, metu et causa mortis pro Deo  et eius anima, nonnullorum bonorum cum quadam clausola quod secuta morte ditti don Monserrati, Paulinus Agrò donatarius simul cum Francisco Grillo cadaver don Monserrati humare inserint in ven. eccl. Sanctae Mariae Maioris, in quadam cappella electa per ispsum don Monserratum prope Cappellam Sanctae Mariae Itriae, in frontispicio Imaginis Sancti Francisci de Paula, pro qua quidem Cappella consignarentur unc. una et tt. tres redditus emendi de illis unc. 11 debitis per Orlandum Messina et consortes, juxta formam bullae apostolicae et regiae pragmaticae, pro concessione dittae cappellae et locus sepolturae pro ut et quem ad modum clarius continetur et apparet vigore dittae donationis causa mortis, celebratae in attis meis not. infrascripti die xxvj° mensis augusti  nonae inditionis prox. praet. 1596 ad quam in omnibus et per omnia plena habeatur relactio et me refero; volens dictus dictus Paulinus adimplere bonam optimam dispositionem dicti quondam don Monserrati eius avunculi requisivit rectores dictae ven. eccelsiae quatenus dignarentur concedere dittam cappellam et locum sepulturae. ..
dicti rectores ven. eccl. Sanctae ... fuerunt et sunt contenti eidem Paulino Agrò eamdem Cappellam et locum ad effetum in ea divinus cultus operatur concedere quod futura memoria et tandem ad infrascriptum attum concessionis dictae cappellae  deventus (?) fuit et est modo forma quibus infra.
Ideo hodie praesenti die praeterito magister Rogerius La Scalia et Sebastianus Macalusio huius terrae Racalmuti mihi notario cogniti coram nobis intervenientes ad haec veluti duo ex rectoribus ven. eccl. Sanctae Mariae Maioris cum consensu, interventu  et expressa voluntate infrascriptorum confratruum eiusdem ecclesiae hoc est Angeli de Jannuctio, Jacobi Averna, Jo: Antoni de Acquista, Thomae Sancto Angilo, Joseph Morreale, Petri Francisci La Licata, Pauli Francisci de Giglo, Gerlandi La Mendula, Antonini La Lattuca, magistri Mariani Morreale, magistri Philippi Bocculerio, Petri La Licata, Pauli Matthei La Paxuta, Vincentii Nalbuna, Nicolai Jannuczo, Cesaris Falletta, magistri Francisci Bonfigli confratruum ecclesiae ut mihi notario cognitorum praesentium volentium et se contentantium unanimiter et nemine discrepantium ut dixerunt et non aliter sponte dictis nominibus pro dicta ecclesia et successoribus in ea in perpetuum concesserunt et concedunt ac assignaverunt et assignant titulo et causa huius dictae concessionis et assignationis et omni alio meliori modo et nomine habere licere concesserunt et concedunt ut supra praedicto Paulino de Agrò condam Simonis eiusdem terrae Racalmuti mihi quoque notario cognito  presenti et stipulanti pro se  heredibus et successoribus in perpetuum recipienti dittam cappellam fundatam intus dictam ecclesiam Sanctae Mariae Majoris prope  Cappellam Sanctae Mariae Itriae in frontispicio cappellae Imaginis Sancti Francisci de Paula electam per dictum condam don Monserratum et hoc cum et sub omnibus et singulis juribus privilegijs et alijs ad dictam Cappellam debite spectantibus et pertinentibus et non aliter nec alio modo.
Totam  dictam Cappellam ut supra concessam et assignatam cum omnibus et singulis juribus  et justis et legitimis pertinentijs suis universis et cum omnibus hipothecis.
Francam  quidem liberam inmunerem exemptam et expeditam ab omni et quovis onere censuque et cuiuslibet alterius generis servitutis  et gravaminis.
Ad habendum per dictum de Agrò et eorum & dittam Cappellam ut supra concessam et assignatam cum omnibus et singulis juribus et pertinentijs suis universis ab hodie ac de inceps et ex nunc in antea tenendum possidendum dandum utifruendum et gaudendum. In qua quidem cappella ut supra concessa possit dictus Paulinus facere eius sepulturam sive carnaleam et altare et alia pro eius decoro, necessaria ad eam  erettionem  per modum ut supra.
Et hac ex causa  praedictus Paulinus de Agrò pro dotatione et concessione cappellae et loci pradicti ad effettum complendi dispositionem dicti condam don Monserrati eius avunculi super debitum unc. 11 per Orlandum et Paulinum Messina tandem praedictus Orlandus et Paulinus de Messina pater et filius huius terrae pradictae Racalmuti mihi notario cogniti praesentes coram nobis unam simul  ... in solidum se obligantes  .. per eos e et suorum heredes et successores in perpetuum cum infrascripta tamen clausola termino et pacto reddimendi mediante pro ut infra praedictis unc. undecim quas tenentur solvere dicto condam de Agrò pro pretio unc. .. vigore contractus fatti in actis meis die & et de ordine  intervento et expressa voluntate dicti Paulini de Agrò praesentis volentis ita mandantis et se contentantis ac etiam de ordine et intervento Francisci Grillo Fiderici conmessarij et exequitoris dispositionis ditti condam don Monserrati vigore dictae donationis causa mortis superius calendati a quo dittus Paulinus asserit habere speciale mandatum vendiderunt et subjugaverunt et ipsius venditionis et subjugationis titulo et causa habere licere concesserunt et concedunt praedictis magistro Rogerio La Scalia et Sebastiano Macalusio rectoribus dictae ecclesiae et pro successoribus in dicta ven: Eccl. in perpetuum unciam unam et tt. tres po: ge: annuales censuales rendales debitos in quolibet anno solvendas juxta formam bullarum apostolicarum et regiarum pragmatarum super eis editarum et non aliter
.
Quos quidem unc. 1-3 annuales predictus Paulinus imposuit et imponit subjugavit at subjugat solvere et expresse in et super  infrascriptis predijs.
In primis et et super quadam vinea arborata existenti in pheudo dictae terrae Racalmuti consistenti in miliarijs duobus vel circa  in contrata Garamulis seu Corvi secus vineam Fabbij de Palermo  ex unam et secus vineam Jo: Restivo Drago et Antonini Drago, secus vineam Antoninae Molè Villico et secus vineam Leonardi Luparello ex altera et alios confines.
Item et super quadam vinea cum eius parte torcularis in pheudo etiam dittae terrae Racalmuti et in contrata Garamolis seu Corvi secus vineam Fabbij de Palermo et Petri Vitillaro et vineam don Monserrati Agrò vd: vinea habita per ipsos Orlandum et Paulinum de Missina patrem et filium a ditto quondam don Monserrato Agrò vigore contrattus fatti in attis meis die &
Item super quadam domo terranea existenti in dicta terra Racalmuti in quarterio Sanctae Rosaliae secus domos magistri Philippi Bucculerio ex unam et secus domum Joseph Curto Stephani ex altera, viam publicam et alios confines.
Item in et super quadam domum terraneam ditti Paulini in quarterio Sanctae Margaritellae secus domum Antonij Auchello ex unam et secus viam publicam et prope mag.na  [magazena] Antonini Sferraza et alios confines.
Item unam clausuram existentibus in pheudo Gibillinorum  in contrata Logiati secus clausuram Antonij Gulpi ex una et secus vieneam Catarinae Maragliano et condam Bartoli Maragliano et altera et alios confines.
Et hoc pro dote concessionis assegnationis dictae cappellae per modum ut supra.
Testes Petrus Grillo, Blasius Averna et Jo: Macalusio Don Franciscus de Nicastro et frater Paulus Fanara. Ex actis meis notarii Joseph Sauro et Grillo Racalmuti. - coll. salv.

[ii])  ..... sequentis, videlicet:
(In actis condam notarij Joseph Sauro et Grillo die 26 augusti 9^ ind. 1596)Et inde dictus de Agrò donans voluit et mandavit quod dictus Paulinus cum don Francisco Grillo habeant et debeant de fructu vinee ipsius donantis ... capere uncias decem et de eis emere aliam unciam unam redditus per modum ut supra eamque similiter reddere et assignare dictis rectoribus dicte ecclesie cum clausola et condicione  quod predicti rectores qui erunt in perpetuum in dicta ven. ecclesia quotidie in qualibet hebdomoda in die veneris celebrari facere unam missam .... pro anima dicti donantis de Agrò et remissione suorum peccatorum  et, facta assignatio dicte unc. 1 redditus, teneatur dictus Paulinus Agrò dare et solvere elemosinam dicte misse in die veneris ... ut supra et non aliter.
Item voluit dictus de Agrò donans quod in assignatione facienda dicte unc. 1 redditus  in celebratione dicte misse teneattur dictus Paulinus cum dicto don Francisco Grillo ponere clausulam  quod si forte rectores, qui erunt in dicta confraternitate Sancte Marie, per annum unum cessaverint coram dittum altare cappelle ipsius donantis celebrari facere dictam missam die veneris, qualibet hebdomode, tali casu, statim et in contanti, dicta uncia 1 redditus capere possit  .. prior conventus Sancte Marie Montis Carmeli predicte terre Racalmuti, qui in dicto tempore erit in dicto conventu, ... simili effectu cui priori dictus de Agrò donans disposuit ..... nec alio modo.

[iii]) Transactio
Pro
Ill.mo don Hieronimo del Carretto
Comite huius terrae Racalmuti
cum
Universitate dictae terrae Racalmuti.
[Palagonia n.° 1 p. 29-123]
[fondo n.° 631]
[....]
Die decimo quinto januarij nonae ind. 1581- Consilium congregatum et eximium dominum Ascanium de Barone U.J.D. delegatum E. Suae virtute literarum datarum Panormi die tertio Junij octavae Ind. 1580 et aliarum literarum, ad sonum campanae in maiori Ecclesia terrae Racalmuti die dominicae, vocatis et congregatis duabus tertijs partibus populi  invenire [a.v.: intervenire] solitis in consilio pro ut cum juramento retulerunt mihi: Laurentius Justinianus, Jacobus Monteleone et Antonius de Alaymo Jurati dictae terrae esse duas tertias partes populi solitas intervenire in consilio super accordio facto infra universitatem dictae terrae et illustrem D. Hieronymum de Carrectis comitem dictae terrae, per quem dominum de barone delegatum fuit expositum in dicto consilio tenoris sequentis videlicet:

Magnifici Nobili, et persone decorate [a.v.: honorati] et altri populani, siti congregati in questo loco; sapiti ch’avendosi  tanto tempo  ed anni litigato infra l’università di questa terra con li spettabili illustri ed illustrissimi signori Baroni e Conti di questa terra sopra alcuni pretenzioni ed esenzioni di tirraggi di fora [a.v.: supra alcuni pretenzioni et exemptioni di alcuni soluptioni di dupli terragi di fora] et altri esenzioni come più largamente si contiene per lo libello e processocontenti nella R.G.C. con detti spettabili ed illustri signori Baroni e Conti di questa sudetta terra, ed avendosi tant’anni litigato non s’have mai finito per tanto si congregao consiglio, e si elessero deputati lo magnifico Gio: Vito d’Amella, Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzio Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonino lo Brutto, Pietro d’Alaymo, Antonino Gulpi e Giacomo Morreale, li quali deputati esposiro a S.E. e R.G.C. che avendo più anni litigato in detta R.G.C. con li predecessori dell’illustre signor Conte di questa terra di Racalmuto ed anche con detto signor conte sopra diversi pretenzioni d’essere esenti e liberi di diversi raggioni e pagamenti in detto processo e libello addutti, e contenti, e che s’ave trattato accordio fra l’università e detto signor conte, e sopra ciò fatti certi capitoli li quali s’hanno da publicare per notaro publico per commune cautela ed era di publicarsi con la volontà della maggior parte del Popolo congregato per consiglio supplicando S.E. resti servita provedere e comandare che si destinasse un delegato in questa terra per congregare detto consiglio, ed essendo la maggior parte contenta dell’ accordio, farrà leggere li capitoli ed essendo contenti quelli detto delegato farrà publicare, e stipulare ed interponere l’authorità di S.E. e R.G.C. per ciò S.E. mi ha destinato delegato in questa terra, undechè personalmente mi conferisca a congregare detto consiglio, ed intendere la vostra volontà se volete accordio per questo siti convocati in questa maggior chiesa acciò ognuno di voi dasse il suo parere [a. v.: siti convocati in questa maggior Ecclesia a tal che ogn’uno di voi dugna lo suo pariri e vuci si vuliti accordio], se volete accordio con detto signor conte, perché volendo accordio si leggiranno li capitoli che mi sono stati presentati per detti deputati e notar publico, ed essendo contenti di detti capitoli per voi s’eligeranno dui Sindaci e procuratori per potere quelli publicare e fare instrumento pubblico con li soliti obligazioni,  renunciationi, stipulazioni giuramento firmato in forma, alli quali Io come delegato di S.E. e R.G.C. interponissi l’autorità e decreto acciò omni futuro tempore s’habbiano inviolabilmente osservare siché ogn’uno venga, e dona la sua vuci, e pariri, lo magnifico Gio: Vito d’Amella capo di detta terra di Racalmuto dice che è di voto, e parere, e si contenta che si faccia accordio stante li lite e questioni che sono stati et su infiniti e sono immortali e non hanno mai diffinizioni e sono dubbij ed incerti e per evitarsi tante spese che s’hanno fatto e si potranno fare tanto più che s’ha visto la buona volontà dell’illustrissimo signor conte lo quale per li capituli ni ha fatto molte grazie ed esenzioni in favore di quest’Università di Racalmuto e non facendosi accordio interim esigirà come per il passato s’have fatto e perché in l’accordio e in mancari quelle raggioni che siamo obligati paghari per questo è contente come è detto di sopra che si faccia detto accordio e si leggano li capitoli e doppo si contratta in forma; lo magnifico Lorenzo Justiniano giurato contiene [a.v.: concurri] con il detto magnifico Gio: Vito d’Amella,
[...]

Testes magnificus Marianus Catalano, magnificus dominus Antonutius Cirami Ar: et Med:  doctor, magnificus Gaspar Lo Giudice, Mazziotta di Neri, Franciscus la Vecchia de civitate Agrigenti, reverendus d. Joseph de Averna, clericus Orlandus de Averna, reverendus pater Monserratus de Agrò et magnificus Hieronimus Riggio.
Ex actis quondam noatarij Nicolai Monteleone extracta est presens copia per me notarium Michaelem Castrojoanne Racalmuti; dictorum actorum conservatorem collectione salva.

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