[articoletto n.° 18]
ARRIVA LA
CIVITA’ ARABA
di
Calogero TAVERNA
Con gli Arabi l’antica civiltà
racalmutese si eclissa e non può fondatamente affermarsi che sia subentrata la
tanto favoleggiata cultura saracena. Il tempo degli arabi a Racalmuto è
totalmente buio: né vestigia archeologiche, né testimonianze scritte, né
tradizioni appena attendibili, né indizi in qualche modo illuminanti. L’abate
Vella nel Settecento fabbricò un falso su Racalmuto che è, appunto, inventato
di sana pianta. Certo, per i racalmutesi è ostico pensare che di arabo
Racalmuto non ha nulla: già, perché i tanto conclamati toponimi - a partire dal
nome del paese - o l’etimologie arabe dei vari lemmi della parlata locale,
resta da vedere se risalgono ai tempi della dominazione saracena o non
piuttosto, come pare, a quelli posteriori della signoria normanno-sveva sulle
sconfitte popolazioni arabe. A sfogliare
una qualsiasi delle pubblicazioni degli eruditi locali che si sono dilettati di
storia racalmutese, la vicenda araba è ben condita di fatti, dati, curiosità,
risvolti sociali, politici, demografici, religiosi. Vai a dir loro che trattasi
di meri vaneggiamenti, di fole senza fondamento, di ingenue credenze. Racalmuto
non ebbe moschee, né consistente intensità demografica tanto da raggiungere nel
998 ‘il numero di 2000 abitanti’ (frutto questo dell’irrefrenabile fantasia
dell’abate Vella), né nobiltà terriera, né ‘usi e costumi che assieme ad una
presenza genetica’ noi racalmutesi ci trascineremmo sino ai nostri dì. E’ certo
che un paese di tal nome non esistette per nulla durante tutta l’epoca araba:
Racalmuto sorge attorno alla metà del XIII secolo, quasi duecento anni dopo la
conquista normanna dell’agrigentino. E il suo toponimo (indubbiamente arabo)
lascia trasparire l’assesto voluto da Federico II, dopo la repressione dei moti
ribellistici degli sudditi arabi dell’intero territorio agrigentino. Non
possiamo credere, con il Tinebra Martorana, che «... Moezz ordinò l’inurbamento
di queste popolazioni rurali, fra le quali era quella di Rahal Maut, e per suo
ordine l’Emir di Palermo, a rendere più tranquilla l’industria agraria e più
sicura la proprietà, creò ufficiali addetti alla esazione delle imposte. Spento
così per opera di Moezz l’abuso delle esazioni, la libera operosità
dell’agricoltore dovette svolgersi notevolissimamente. Rahal Maut a quest’epoca
è uno dei popolosi casali.» Così, nel 998 «.. il nostro villaggio conteneva
1101 adulti e 994 di un’età inferiore ai 15 anni.» Tanto secondo quel che «il
governatore di Rahal-Almut, AABD-ALUHAR, per bontà di Dio servo dell’Emir
Elihir di Sicilia» era in grado di rapportare al suo Padrone Grande a seguito dell’ordine ricevuta dall’Emir di Giurgenta ([1])
Ma l’intera faccenda nient’altro è che il solito imbroglio storico dell’abate
Vella. Nell’introduzione alle memorie del Tinebra, Leonardo Sciascia non manca
di cicchettare lo storico locale per avere contrabbandato come storia quella
che era stata una mera invenzione del “famoso Giuseppe Vella” e ciò per la
«tentazione dell’accensione visionaria,
fantastica», non sapendo «resistere al piacere di riportare un documento falso
pur sapendo che è falso». E del resto lo stesso Sciascia confessa: «anch’io non
mi sono privato del piacere di riportare quel documento pur conoscendone la
falsità, e precisamente nelle Parrocchie
di Regalpetra.» E di piacere in piacere, il falso affascina tuttora i
racalmutesi. Anche il compianto p. Salvo
(v. Ecco tua Madre, Racalmuto 1994, p. 20) non resiste al fascino di
quella falsità. Ed a ben vedere, neppure Leonardo Sciascia mostra totale
resipiscenza se nel 1984, nel presentare la mostra di Pietro d’Asaro, si lascia
andare a questa arditezza storica: «... siamo nella microstoria di Racalmuto:
antico paese che esisteva già, un pò più a valle, quando gli arabi vi
arrivarono e, trovandolo desolato da una pestilenza, lo chiamarono Rahal-maut,
paese morto. Ma non era per nulla morto, se fu riedificato arrampicandolo verso
l’altipiano che dal paese prende oggi il nome....». Non sembra che la fonte di
cui si serve Sciascia sia altra o più attendibile rispetto a quanto va
asserendo il solito Tinebra Martorana (v. pagg. 33 e segg.).
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