[articoletto n.°22]
GLI ESORDI
STORICI DI
RACALMUTO
di Calogero
Taverna]
Su interessate segnalazioni
dei canonici agrigentini, il Pirri non aveva, attorno al 1630,
dubbi che la più antica chiesa di Racalmuto fosse S. Margherita Vergine -
che secondo postumi documenti appare contigua e collegata con la chiesa di S.
Maria di Gesù - e che essa fosse stata fondata
nel 1108 da Roberto Malconvenant. Purtroppo, la notizia si base su un documento dell’Archivio
Capitolare agrigentino, che, come ebbe a dimostrare Mons. Paolo Collura, si riferisce a ben altra località, molto probabilmente sita nei
pressi di S. Margherita Belice. Sappiamo di certo che S. Maria di Gesù non è chiesa del XII secolo:
dobbiamo risalire alla prima metà del XVI secolo per averne indubbi dati
documentali.
I primi cenni sulla comunità
religiosa di Racalmuto risalgono alle decime avignonesi
del 1308 e 1310. Nell’abitato racalmutese vi erano almeno due chiese: quella
parrocchiale retta da tale presbiter
Angelo di Montecaveoso, e quella forse conventuale
dedicata alla Vergine Maria, i cui carichi tributari ricadevano su un certo
Martuzio Sifolone (divenuto poi il moderno Scicolone?).
Altra pagina storica insieme
civile e religiosa è quella rinvenibile negli archivi avignonesi dell’Archivio
Segreto Vaticano sulla presenza a Racalmuto dell’Arcidiacono Bertrando du
Mazel per numerare i fuochi, stabilirne la capacità
contributiva e raccoglierne l’imposta per togliere l’interdetto che si
originava dalla rivolta dei Vespri Siciliani. Era l’anno 1375.
Nel 1375 Racalmuto doveva essere un piccolo centro
agricolo con non più di 900 abitanti. Nell’archivio segreto Vaticano è
reperibile il resoconto delle collette redatto in quell’anno dall’arcidiacono
du Mazel (cfr. Reg. Av. 192). Questi era
stato mandato in Sicilia per raccogliere il sussidio che doveva servire alla rimozione
dell’interdetto. Il sussidio andava ripartito in ciascun abitato per case, in
rapporto alle condizioni economiche: 1 tarì per le famiglie più povere, 2 per
le ‘mediocri’, 3 per le agiate e cioè
‘qualsiasi fuoco di ricchi abbondanti in facoltà’ (cfr. Peri I.: la Sicilia dopo il vespro - Laterza, 1982, pag. 235). Il 29 marzo del
1375, il pio collettore (o suoi
emissari) giungeva a Racalmuto e trovatovi 136 fuochi
raccoglieva il ‘sussidio’ e scioglieva l’interdetto (cfr. AVS - Reg. Av. 162 f.419v). Dato che per ogni fuoco
è calcolabile un nucleo familiare medio di 4-5 persone, ne deriva una
popolazione di circa 610 abitanti, aumentabile sino a 7-800 se pensiamo ad
evasori o a soggetti resisi irreperibili.
In un secolo e tre quarti - dal 1375 al 1548, la popolazione di
Racalmuto - se le nostre congetture e i dati del Tinebra Martorana hanno una
qualche attendibilità - si sarebbe accresciuta di quasi tre volte e mezzo. Nel
successivo eguale lasso di tempo, la
crescita si è invece limitata solo al
48,32%, che in ogni caso è tasso di sviluppo normale.
Che cosa sia avvenuto tra il
1375, quando Racalmuto era una modesta terra del
potente Manfredi Chiaramonte, e la metà del XVI secolo
non è chiaro. Il salto nell’intensità abitativa testimonia comunque un
massiccio afflusso di forestieri.
Abbiamo motivo di
congetturare che tanti sono giunti dalle terre marine vicine, fuggiti per la
paura dei pirati. L’improvviso sviluppo della coltura granaria ha esaltato il
fenomeno della immigrazione intensiva. I tanti La Licata sembrano convalidare la prima
ipotesi. I molti cognomi di paesi e
terre del circondario scandiscono la provenienza di numerosi agricoltori
accorsi nei feudi racalmutesi che talora sostituiscono e talora si aggiungono
ai patronimici.
Tanti immigrati nel campo
dei mestieri, ma ancor più in quello delle mansioni pubbliche, acquisiscono
come cognome di famiglia la peculiare attività o funzione svolta. I non pochi
Xortino denunciano l’antica carica di maestri di xurta. I maestri xurteri erano
al tempo di Carlo d’Angiò i soprintendenti alla sicurezza
notturna. Se ne riscontra traccia in documenti del 1270 e se ne ha conferma nel
1282-1283 sotto Pietro d’Aragona.
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